Capitolo I

1 Samuele 15,22: "Obbedire è meglio del sacrificio"

Nel cielo di quella sera invernale, del tramonto era rimasta solo qualche sfumatura calda che man mano stava lasciando posto al blu della notte.

All'esterno tutto taceva, neppure un auto solcava quell'immenso tappeto d'asfalto.

Infondo Egester City era un paesello tranquillo, sconosciuto, disperso chissà in quale strambo continente dove i sogni erano costretti a rimanere reclusi tra quegli insolcabili confini.

Per vivere serenamente non bisognava farsi notare, chi non voleva avere ulteriori problemi doveva fingere di non esistere pur di non dire addio alla propria reputazione.

All'interno del centro sportivo però,  non vi era la stessa quiete poiché si era appena conclusa la solita partitella di basket tra quei liceali scalmanati che puntualmente,  prenotavano il campo ogni sabato alle 16:00.

«Devis, stasera hai spaccato culi, eh?» una voce lontana e tremolante lo aveva fatto sorridere.

Era bastato veramente poco a far scoppiare una sonora risata collettiva, visto che la sbronza, stava dando i suoi effetti.

«Solo questa sera?» eccolo lì Steven, che con una falcata fiera, si apprestava a bere il suo terzo bicchierone di bionda fresca fresca.

Aveva passato la mano fra i suoi mossi capelli corvini, sorridendo con quel fare irresponsabile e menefreghista che lo rendevano un vero adolescente.

Quel giovane aveva un certo fascino nonostante la fronte costantemente ornata da goccioline di sudore, compensate però, dal fisico atletico e slanciato.

Egli adorava quella vita priva di responsabilità, colorata dall'amicizia e dalle uscite in compagnia di qualche bella ragazza.

Infondo Steven poteva ritenersi un ragazzo fortunato perché era cresciuto nel benessere di una delle famiglie più ricche, cristiane e rispettate del paese.

Nell'ultimo periodo, da quando aveva iniziato a fare uso spropositato di fumo e alcool, la benevolenza dei genitori veniva sempre meno ma soprattutto quella del padre, difatti
Steven sapeva benissimo che anche quella sera, Mark sarebbe stato furioso trovandolo in quelle condizioni.

Il giovane non badava più a quelle inutili conseguenze, almeno nei momenti precedenti al fatale incontro.

Quando però le chiacchiere e i festeggiamenti s'erano volti al termine, Devis si era seduto su un muretto aspettando quel terribile arrivo.

Non appena aveva visto l'auto avvicinarsi, con un balzo era sceso dalla sua postazione per poi dirigersi verso il mezzo.

«Ciao papà» aveva aperto la portiera cercando di sembrare sobrio.

«Ciao Steven» quasi quasi, credeva di aver scampato la solita infuriata che invece, non era tardata ad arrivare.

«Di male in peggio mi dicono...potrai proferire parola non appena avrò finito di parlare, insolente che non sei altro» un ceffone gli era arrivato in piena faccia facendolo sentire ancora più confuso di quanto non lo era già prima.

«Tra poco sarai maggiorenne, il basket non ti porterà a niente e lo stesso vale per il lavoro alla pizzeria visto che, quel poco che guadagni, lo spendi in alcool. Vergognati, quest'anno hai lasciato gli studi per cosa? Una vita misera come la tua? Devi avere un diploma, una certificazione che possa darti un futuro» quelle parole, avevano disegnato sul volto della pecora nera della famiglia, una smorfia disgustata e non poco irritata dalla triste verità.

A quel punto Steven non sapeva cosa aspettarsi, si sentiva denigrato e colpito duramente dall'innegabile che sicuramente, avrebbe portato solo estreme ed esemplari punizioni.

«Ora cosa pensi di fare? Togliere il cellulare al tuo spregevole figlio senza palle?» aveva detto tutto d'un fiato sfidandolo.

«Sei grosso ma infondo sei ancora un moccioso e continuare a comportarti in questo modo, risolverà ben poco. La mia non sarà una punizione qualunque. Non studi, non ti impegni, sperperi. Bene, ti porterò in un posto che ti renderà una persona migliore e potrai studiare, che ti piaccia o no, per prendere il diploma » a quel punto il sangue nelle vene del figlio s'era raggelato.

«Che vuoi dire?» aveva sorriso falsamente.

«Ti ho iscritto ad un istituto paritario, tutti uomini, solo studio. Senza ulteriori distrazioni, potrai comprendere educazione e disciplina»

Steven aveva poggiato la testa al sediolino, stanco, e senza voglia di continuare la discussione. Sperava solo di non dare soddisfazione al padre che di certo, secondo lui, si sarebbe calmato poco dopo rimangiandosi tutte le minacce.

Una volta arrivati sull'uscio della porta, gli unici ad aspettarlo volentieri erano una valigia ed uno scatolo con all'interno alcuni dei suoi effetti personali.

Non c'era più nessuno con cui sfogarsi, nessuno era disposto più ad ascoltarlo e acconsentire ad ogni suo capriccio come un tempo.

«Game Over. Steven, l'hai fatta grossa» aveva sospirato fra sé e sé, prendendo gli oggetti e riponendoli nell'auto.

«Saluta tua madre e tua sorella, non c'è tempo da perdere» la pecora nera era rimasta sconvolta da quella affermazione.

Egli aveva silenziosamente eseguito gli ordini per poi rimettersi in cammino verso il Winterville Institute, distante due ore e mezza da Egester City.

Steven stava aspettando impaziente Mark seduto in auto, mentre messaggiava su WhatsApp gli amici annunciando loro l'orribile notizia.

Sapeva benissimo che quella notte sarebbe stata lunga ed estremamente asfissiante per il suo spirito, trascorsa all'interno di un hotel sperduto tra le pianure della regione di Monland e con un'incredibile voglia di scappare via da quella situazione.

Tra una sosta e l'altra, i due erano arrivati a Kristenville dopo un estenuante viaggio fatto di facce serie e musi lunghi.
Steven s'era buttato esausto sul letto, sperando che quello, al suo risveglio, fosse stato solo un incubo.

Il mattino seguente, quando le nuvole rosate e soffici decoravano il cielo, la pecora nera s'era svegliata e preparata per il grande giorno che di grande aveva solo la sua rottura di coglioni.

Dopo una rapida rinfrescata e un po' di caffè, s'era rimesso in cammino con il genitore, che durante tutto il viaggio verso la nuova scuola non gli aveva rivolto neppure una parola.

Steven era perfettamente pettinato e profumato, con un completo elegante consigliato dalla madre ed utilizzato al matrimonio del cugino Paul, un vero schifo.

Non gli importava se Mark Devis fosse offeso dai suoi comportamenti, era troppo tardi per lamentarsi o piagnucolare come aveva sempre fatto.

Non appena le stradine solcate dalla Range Rover si addentravano man mano dentro un fitto bosco, Steven sorrideva ironico dicendo:

«Mi stai portando in un convento?»

«Steven, la tua ironia é squallida.
Per fortuna che un corpo docenti come si deve ti sta aspettando dietro quelle mura» solo in quel momento era possibile scorgere fra gli alberi i tetti dell'imponente struttura.

Devis cercava di guardarsi intorno per cogliere ogni singolo particolare di quella che sarebbe stata la sua nuova scuola o meglio, il suo carcere.

Un edificio antico ma ben ristrutturato dopo alcuni minuti,  sembrava sovrastare l'intera vettura.

«Su, fai presto Steven, siamo in ritardo! Prendi le tue cose senza perdere ulteriore tempo! » aveva annuito e con velocità era entrato nel Winterville Institute.

Anche l'interno della scuola pareva richiamare lo stile dell'antica struttura, facendo rimanere affascinato il giovane che non faceva altro che guardarsi intorno.

Il legno e il marmo erano i padroni dell'arredamento, facendo risultare il tutto di grande prestigio.

Le scale erano maestose e perfettamente decorate come le stesse pareti, probabilmente dipinte da qualche noto pittore.

Sconvolto da quella realtà mai assaporata prima di allora, credeva che la possibilità di trovare all'interno di una scuola privata del Monland dei laboratori di quel calibro, fosse un'idea surreale.

In giro non c'era nessuno e ciò aveva permesso a Steven di osservare nei minimi particolari quegli infiniti corridoi, perfettamente puliti e lucidati.

«Ma dove cazzo sono finito? » aveva detto fra sé e sé, chiedendosi anche quanto denaro Mark stesse spendendo per pagargli gli studi.

«Eccola la presidenza!» bussando gentilmente alla porta, padre e figlio era pronti ad incontrare il preside che aspettava impazientemente il loro arrivo.

«Buongiorno» aveva sorriso l'uomo elegantemente vestito dietro una scrivania.

Mark aveva risposto gentilmente ricambiando il saluto e accomodandosi dinanzi al preside.

«Io sono Andrew James Hopps, il dirigente scolastico di questa scuola.
Lei deve essere Mark Devis?»

«Esattamente, e lui è mio figlio Steven» quest'ultimo senza indugi, aveva stretto la mano di Hopps che gli aveva sorriso cordialmente.

Egli era un uomo di mezza età, di media statura e dal fisico non più atletico come un tempo.
Aveva i capelli brizzolati e due occhi color nocciola dalle particolari sfumature.

«So già perfettamente perché vi trovate qui, dunque non perdo altro tempo.
Caro Steven qui noi ci teniamo alla tua disciplina e vogliamo inoltre che tu raggiunga senza intoppi il diploma.
Sembri un bravo ragazzo ed è un vero peccato che tu non possa essere un adolescente normale, come tutti gli altri.
So i tuoi problemi con l'alcool e so per certo che c'è la farai a superare le tue insicurezze» Devis stringeva i pugni dal nervosismo.

Suo padre non aveva dimenticato nessun dettaglio della sua vita, rivelandone anche di spiacevoli.
Voleva urlargli contro ma s'era trattenuto tutto quel tempo, quindi sarebbe stato da stupidi inveire contro di lui in quel momento.

«Ti mostro i laboratori e i dormitori, ecco le chiavi della tua stanza»

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