20 • Where you at? •

Andiamo, un altro passo.
Magari questa è la volta buona.
Magari questa è la volta che non dovrò più fingere perché sarò morto davvero.
Jooheon non era ancora arrivato - si, lo stava aspettando - e Minhyuk sapeva dentro di sé di avere una tremenda paura di morire, paura di cosa ci sarebbe stato ad attenderlo dall'altro lato. Aveva raccontato varie volte di aver tentato il suicidio, ma prima di quel momento non aveva mai saputo davvero cosa si provasse a essere in punto di morte.
E se Jooheon non fosse venuto?
Sarebbe stata la cosa migliore. Sarebbe stato a significare che aveva capito il suo errore, che non si sarebbe più fidato di qualcuno del genere.
Meglio così, Honey, ti meriti di meglio.
Deglutì guardando la foresta dinanzi a sé, una disordinata distesa di verde scuro e ombre che riempivano i vuoti tra i folti arbusti che popolavano il crepaccio sul quale si trovava. In fondo al burrone serpeggiava un fiumiciattolo che doveva essere profondo appena un paio di metri, una profondità che non avrebbe permesso neppure al più abile nuotatore di salvarsi dopo essere saltato da quel ponticciolo che contava un altezza di almeno cinquanta metri. Era tutto perfettamente calcolato, quel posto era frequentato pochissimo poiché il territorio circostante era completamente adibito ad area industriale. Si guardò intorno mentre l'ansia corrodeva mentalmente la sua lucidità e asfissiava la sua mente: c'era silenzio, se non per il lieve rumore delle fabbriche poco lontane che creava un cupo sottofondo all'armoniosa quiete della natura. Fissò tristemente i suoi occhi verso la boscaglia che costeggiava il torrente sotto di lui, e risalì con lo sguardo lungo le pendici rocciose e quasi verticali della voragine, sulle quali si arrampicavano le radici di arbusti spogli dal fusto ricurvo e i rami sottili e ossuti, che arricchivano l'atmosfera di uno scenario piuttosto lugubre per quanto erano ritorti e deformi. Si soffermò, infine, sul catrame vecchio e ormai troppo friabile dove poggiava i piedi, voltò la testa all'indietro verso il largo ponte che mai era stato ultimato del tutto: ai bordi della strada asfaltata vigevano ancora zolle di terra ricoperte da uno strato consistente di erbacce e, inoltre, non era mai stata posta alcuna protezione ai bordi se non dei muriccioli di pietra alti si e no mezzo metro. Un auto sfrecciò davanti a sé, ignorandolo.
Sospirò rendendosi per la prima volta conto di quanto fosse teso, avvertiva i polmoni irrigidirsi ogni volta che l'aria penetrava all'interno. Riportò l'attenzione sul crepaccio e guardò in basso fino ad accusare un capogiro, così distolse lo sguardo e compì quell'ultimo passo avanti che gli permise di salire sul piccolo muretto. Si limitò a respirare chiudendo gli occhi e sentendo le vertigini che si impossessavano completamente di lui, le ombre tremanti che aleggiavano dietro le sue palpebre abbassate, l'equilibrio che lo tradiva rendendolo sempre più irrequieto.
Sembrava stesse per cadere da un momento all'altro.
Sembrava stesse per dire involontariamente addio alla sua vita.

Poi sentì il suo nome.
Quella voce, quella che non avrebbe mai confuso con nessun'altra, quella che l'aveva tante volte consolato, quella che l'ultima volta che l'aveva sentita aveva detto soltanto "Mi hai mentito".
Aveva mentito, si.
E aveva continuato a farlo, anche adesso.
Non era la morte che stava cercando, voleva soltanto che Jooheon tornasse da lui.
Non era la morte che stava cercando, anche se ormai sembrava l'unica cosa che avrebbe trovato e la proposta era diventata più allettante di quanto non avesse mai pensato.

E poi sentì urlare.
Quella stessa voce che stava aspettando.
Si girò istintivamente.
Le gambe tremarono.
Il suo corpo si sbilanciò terribilmente.
Riuscì comunque a sorridere.
Sorrise tranquillo, come se nessun trauma lo turbasse in quel momento.
Sorrise al ragazzo che correva disperatamente verso di lui.
E all'improvviso Jooheon scomparve,
trascinato fuori dal suo raggio visivo.
Udì solo il suono prolungato di un clacson,
spaventato, spaventoso,
poi un tonfo sordo,
raccapricciante.
E cadde.







































Fu lo stridìo di freni di un'automobile a fargli riaprire bruscamente gli occhi e accapponare la pelle.
La testa pulsava e una voce dentro di sé urlava qualcosa di sconnesso che lo stava distruggendo.
Qualcosa era andato storto.
Era caduto dal lato sbagliato.
Strisciò con le ginocchia doloranti sull'asfalto graffiante senza curarsi del sottile tessuto dei jeans che si lacerava nei punti in cui raschiava contro la strada.
Si trascinò con tutte le sue forze oltre quella vettura un po' trasandata che gli ostacolava la vista, per quegli ultimi due metri che aveva bisogno di oltrepassare per... per raggiungere... per arrivare a...
Cosa?
Non voleva crederci.

L'ansia era esplosa nelle sue vene tutta d'un tratto come se avesse sentito d'istinto che la serenità che aveva popolato la sua vita negli ultimi mesi si era infranta. Il filo che li univa si era definitivamente spezzato. I suoi occhi faticavano a mantenere la concentrazione visiva, cosicché la tanto angelica immagine del ragazzo dinanzi a sé cominciò ad apparire sfocata, i contorni di quella che aveva pensato essere la perfezione divennero indistinti al punto da confondere ancora una volta le sue convinzioni. La perfezione poteva sbiadire?
Il dolore alle tempie divenne più forte, come la sua voce d'altronde. «Jooheonie. Jooheonie. Jooheon-ah!»
Strillava, la voce strideva contro la nebbia fitta e ruvida, fendeva l'aria gelida, con l'unico risultato di rendere l'atmosfera ancora più glaciale.
Stringeva con le mani le spalle del minore, scuoteva il suo corpo molle, che non reagiva più ad alcun tocco.
Minhyuk si guardò intorno terrorizzato: un'ombra nera strisciava dietro di sé. La vedeva. La sentiva. Era l'ombra dei suoi scheletri nell'armadio, che ormai in quell'armadio non ci stavano più. Sgusciava lentamente circondandolo, bloccandogli ogni via di fuga, intrappolandolo in quel cerchio di fiamme che neppure quell'angelo poteva domare. Si sentiva bruciare dall'interno, come se l'ombra avesse appiccato il fuoco dell'Inferno nel suo cuore. Le propaggini del buio che lo avvolgeva sibilavano crudeli coprendo i suoi occhi, catturandolo del tutto nell'oblio.

«Non dirò più bugie... Te lo
prometto Heonie... Ora
svegliati, dai, torna da me...»

Il valore di ciò che si ha lo si capisce soltanto dopo averlo perso, è vero.

Ma io non volevo perderti, non ero pronto.

«Torna nel tuo posto, torna da me, ti proteggerò per sempre d'ora in poi...»

Probabilmente se tu fossi ancora qui a tenermi la mano sarebbe più facile cadere ancora nella menzogna.

Però la tua mano non sta stringendo la mia e le tue dita sono talmente fredde da mettere i brividi.

Tu non ci sei, e qualsiasi parola esca dalla mia bocca mi provoca un nodo alla gola.

«Lo giuro, nessuno potrà più farti male se tornerai da me. Lo giuro... io non ti farò più del male.»

Vorrei poter guardare le tue iridi scure ma raggianti di quella gioia pura, però le tue palpebre restano chiuse, nonostante i miei polmoni urlino il tuo nome.

È stato quando hai deciso di amarmi che ti sei condannato e adesso io condanno me stesso a rimpiangerti per l'eternità.

Mi condanno a piangere per l'unica persona diversa che io abbia mai incrociato durante la mia vita, quella persona che, come tutte le altre, mi è sfuggita di mano...

Allora non eri poi tanto speciale Jooheon? O forse sono io a non aver capito cosa sia l'amore?

Dove sei adesso che ho bisogno di risposte? Adesso che ho bisogno di te...

Dove sei adesso che mi sto pentendo di quello che ho fatto?

Dove sei adesso che odio le mie bugie?

Dove sei adesso che non riesco a dimenticarti?

Non vuoi tornare indietro?

Non mi ami abbastanza da perdonarmi?

Sto... impazzendo?



Perché sto parlando così...?











Cosa pretendo ancora da quel ragazzo?























Non sono ancora stanco di prendermi in giro?






































Jooheon è morto.

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