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-Buongiorno!- esclamò Jeffrey entrando nell'ufficio di Daniel, ma, non appena ebbe varcato la soglia della stanza, si pentì di non avere bussato prima di spalancare la porta. Era una novità, ma si sentì in imbarazzo nel sorprendere il suo più fido assistente in lacrime, nonostante quello stesse evidentemente cercando di nascondergli lo sfacelo del proprio viso.

-Passo più tardi?- gli domandò, facendo saettare lo sguardo per la stanza. Jeffrey non sopportava gli uomini che si lasciavano andare alla commozione con tanta facilità: trovava che piangere fosse una manifestazione spropositata di debolezza, una cosa in grado di mettere in difficoltà le persone che ti erano vicino e quello, dal suo punto di vista, non era una cosa carina da fare.

-No... no- balbettò Daniel, iniziando a controllare tra le carte che teneva sopra la scrivania. -Tieni... ecco. Ti ho preparato il programma per Londra... sicuro che tu non voglia andare... alle altre tappe?- gli chiese, asciugandosi le guance con un fazzoletto e tirando su col naso. Gli porse un fascicolo, badando bene a non sollevare lo sguardo dalla propria mano stretta intorno al sottile plico di fogli.

Jeffrey si passò un pollice sul labbro inferiore, indeciso se domandare all'altro cosa lo avesse sconvolto tanto. Non avevano più avuto alcun tipo di conversazione che esulasse dal lavoro da quando avevano discusso di Claud. Non sapeva se i due avevano continuato a frequentarsi oppure no, se Daniel stava piangendo dopo avere ricevuto il ben servito dall'ex modello o no. Le sue erano solo ipotesi.

-Preferisco evitare le altre tappe. A Londra devo recarmi per motivi personali...- disse, ma s'interruppe rendendosi conto che non poteva permettersi di dire a Daniel, con tanta leggerezza, del perché di quella sua decisione, soprattutto perché avrebbe finito per rivelargli fatti privati quando lui restava impassibile davanti alle sue lacrime. Gli sembrava indelicato. Trasse un profondo respiro, prese le carte che il giovane gli porgeva, e si sedette. -Stai bene?- gli domandò.

Daniel si strinse nelle spalle e gli rivolse uno sguardo di sottecchi.

-Non vuoi dirmi perché stai piangendo?- insistette Jeffrey. -Sai... anche Keith è un tipo che si commuove con facilità, ma sono lo stesso suo amico. So di avere fama di non essere un tipo che si fa commuovere dalle lacrime altrui, ma se hai un problema...-
-Che ti... importa?- chiese Daniel in un sussurro e Jeffrey aggrottò la fronte.
-Non sei obbligato a dirmi perché. Non voglio impicciarmi delle cose tue-
-Non sarebbe la prima volta- disse l'altro, parlando tanto velocemente da rendere le sue parole quasi incomprensibili.

Jeffrey si lasciò sfuggire un'esclamazione di stupore.

-Scusami se mi sono preoccupato per te- ribatté, alzando le mani in segno di resa. Fece per prendere commiato dall'altro, ma Daniel si tirò in piedi e allungò una mano verso di lui.
-Scusa- mormorò e Jeffrey tornò a rivolgersi nella sua direzione proprio mentre il giovane si mordeva un labbro. L'uomo percepì un brivido corrergli lungo la schiena, si sentì impallidire e nella sua mente rimbalzò l'immagine di qualcuno che aveva cercato con tutte le proprie forze di dimenticare, negli ultimi mesi: Theo.

Improvvisamente si sentì debole e triste, ma cercò di dissimulare le proprie emozioni e di non fare trapelare lo sgomento da cui era stato colto al ricordo ancora fresco della sua ennesima delusione d'amore.

-Non volevo dirti... nulla... per non farti arrabbiare- continuò Daniel, strappandolo dai suoi pensieri, e Jeffrey si sforzò di prestargli attenzione. -Penso che Claud... sia sconvolto... penso che stia male, non so-
-È lui che ti ha ridotto così?- domandò l'uomo assumendo un'espressione impenetrabile. Daniel si limitò ad annuire.
-Te l'ho detto... era arrabbiato... proprio sconvolto. Sì, è il termine giusto.... ecco. Non ce l'aveva con me-

-Credo che tu stia prendendo un abbaglio- sibilò l'altro. -Dovresti smetterla di cercare il buono in tutti, a prescindere. Dicono che il mondo è bello perché vario: non sono tutti buoni. I cattivi esistono davvero-

Daniel aprì la bocca per ribattere e, proprio in quell'istante, il telefono posto sulla sua scrivania squillò, interrompendoli. Il giovane tentò di ricomporsi e sbuffò prima di portarsi la cornetta a un orecchio.

-Ufficio di Jeffrey Major... come posso esserle utile?- rispose, ma era ancora abbastanza scosso e la frase venne fuori più altalenante del solito. Dall'altra parte non compresero una sola parola di quello che aveva detto e, dopo avergli chiesto più volte di ripetersi, finirono per chiudere la conversazione infastiditi dalla sua balbuzie. Daniel si sentì ardere di imbarazzo al pensiero che quel suo ennesimo fallimento si fosse svolto proprio sotto gli occhi vigili di Jeffrey. Deglutì sonoramente e tornò a prendere posto, scusandosi con lui per avergli fatto perdere quella telefonata.

-Forse... dovresti sostituirmi- mormorò tenendosi impegnato nel sistemare la propria scrivania: necessitava di una scusa per impedirsi di sollevare lo sguardo e scoprire come l'altro stava reagendo a quell'episodio. 
"Claud e questo. Oggi è una giornata orribile" pensò Daniel con un sospiro, dispiaciuto più per l'immagine poco piacevole che aveva restituito di sé a Jeffrey, che per il resto.

"Ha ragione Claud" si disse, "Sarà per questo ch'è stato tanto duro con me, voleva soltanto aprirmi gli occhi davanti la realtà".

-Daniel- disse Jeffrey, ma l'altro si ostinò a portare avanti il proprio lavoro, tentando di ignorarlo. "Quanto potrai durare facendo finta di non sentirlo? Sei balbuziente e stupido, mica sordo" si rimproverò e le sue mani tremarono. -Daniel- ripeté Jeffrey e l'altro pose fine ai propri movimenti concitati, reclinando il capo da un lato, ma senza ricambiare il suo sguardo. -Chi era al telefono?-

-Non me l'hanno detto-
-Succede spesso?- gli domandò e il giovane si irrigidì. "Adesso mi licenzia" pensò in preda al panico. Deglutì più volte tentando di riequilibrare la propria salivazione, che sembrava essersi azzerata, e si azzardò a guardarlo di sottecchi. Jeffrey appariva tranquillo, addirittura meno cupo rispetto a come gli era parso prima della telefonata.
-Ogni... tanto. Di solito passo le... chiamate in reception- rispose in un sussurro e l'altro annuì.
-Il tuo lavoro qui dentro, per me, è prezioso, ma se ti mette in difficoltà, posso far passare tutte le telefonate che arrivano da fuori direttamente ai ragazzi della reception-

Daniel sospirò, ma annuì; dopotutto, sembrava che, anche quella volta, Jeffrey non lo avrebbe lasciato senza un lavoro.

-Per quanto riguarda Claud, invece- continuò l'uomo. -Non sono nessuno per impedirti di frequentarlo, ma stai attento, per favore-
-Claud... Noi non... ci frequentiamo. Ma penso che... soffre. Ha solo bisogno di... pace-
Jeffrey ridacchiò senza entusiasmo e alzò gli occhi al soffitto, per poi riportarli sull'altro.
-Claud è uno stronzo. Se fosse rimasto latitante allora sì, che avremmo avuto un po' di pace-

-Sei... ingiusto- disse Daniel, parlando senza riflettere. Si morse subito la punta della lingua per il timore di essere stato indiscreto, ma l'altro gli rivolse uno sguardo incuriosito e il giovane si impose di continuare con quanto stava dicendo. -Claud è arrabbiato. E solo. Non so perché, però... penso che agisce così perché sta male... tanto. Io pure... quando sto male... reagisco male-

Jeffrey scosse la testa e tornò ad alzarsi. Recuperò il fascicoletto e scrollò le spalle prima di rispondergli.

-Non dovresti interpretare Claud attraverso quelle che sono le tue reazioni, i tuoi modi di pensare. Non so cosa ti abbia fatto credere, ma lui è diverso da noi. Tutto, per lui, è un gioco, anche i sentimenti, te lo posso assicurare-
-L'altro giorno...- tentò di dire Daniel, ma Jeffrey sollevò una mano, facendogli segno di tacere.
-L'altro giorno stavo per commettere il tuo stesso errore-
-Dovresti dargli una... possibilità- sussurrò Daniel, mentre l'altro scuoteva la testa e usciva dal suo ufficio.

Jeffrey si allontanò dall'agenzia una mezz'ora dopo la conclusione di quella discussione con Daniel. Era rimasto basito nello scoprire l'altro tanto dolce e testardo, così ostinato nel vedere del buono in chiunque, anche in uno come Claud; a modo suo, anche Daniel era un abile manipolatore, tuttavia, Jeffrey non era sicuro che il giovane fosse consapevole di possedere un tale potere. Era troppo ingenuo per rendersene conto.

Fino a quel momento aveva sempre creduto che a ogni cosa ci fosse un limite e che tanta, manifesta ingenuità non potesse essere altro che sintomo di stupidità. Daniel era diverso. Era così ostinato nel difendere Claud che Jeffrey non poté fare a meno di domandarsene il perché.

"È innamorato di lui? Magari si frequentavano da prima che Claud tornasse a L.A." si disse, mentre si trovava comodamente seduto su uno dei sedili posteriore della sua limousine. Si pizzicò le labbra con due dita e rabbrividì, ripensando al modo in cui Daniel, in un momento di agitazione, si era morso il labbro inferiore, proprio come sempre faceva Theo quando veniva travolto da una forte emozione o si sentiva in imbarazzo.

Jeffrey scosse la testa e tentò di riportare la propria attenzione su ciò che più gli premeva in quell'istante.

"Oppure... non stanno insieme e Daniel è così ostinato così come lo sarebbe con chiunque altro. Magari va dicendo in giro cose meravigliose anche di me" suppose e si batté una mano sul petto, all'altezza del cuore, lì dove, fino a qualche mese prima, aveva tenuto, in una tasca interna, l'astuccio delle sigarette. "Avrei dovuto scegliere un periodo meno incasinato, per smettere di fumare" si rimproverò. Sospirò e chiuse gli occhi, reclinando il capo e poggiando la nuca contro il poggiatesta.

Nonostante tutto, l'insistenza con cui Daniel continuava a difendere Claud, giustificandolo con il fatto che "anche lui era un essere umano, poteva sbagliare e forse non agiva con cattive intenzioni", non solo aveva iniziato a farlo dubitare delle proprie convinzioni, ma lo aveva spinto a prendersi mezza giornata libera, con l'intenzione di affrontare quel problema di petto.

Da quando Claud era tornato in città, Jeffrey si era accorto che il suo ex amico stava facendo di tutto per evitarlo e lui aveva già ipotizzato un paio di risposte al perché di quel suo strano comportamento.

"Non ci sono grandi alternative. Le cose sono due: o sono riuscito a farmi odiare tanto da fargli preferire di starmi alla larga, oppure sta escogitando qualcosa e non vuole che io lo scopra e interferisca in alcun modo" si disse mentre scendeva dalla limousine che lo aveva condotto davanti l'ingresso del grattacielo in cui si trovava l'appartamento di Claud.

Rabbrividì: stava calando la sera e con lei la temperatura. L'aria iniziava a farsi fresca in modo fastidioso.

Trasse un profondo respiro ed entrò nell'edificio. Salutò il portiere e lo implorò di non avvisare il signor Blake del suo arrivo, poiché aveva intenzione di trasformare quella visita in una "sorpresa".

Il portiere non sembrò molto convinto, ma si limitò a farsi gli affari propri – requisito fondamentale per poter lavorare in un luogo come quello – e si mosse per prenotargli un ascensore, infine tornò alla propria postazione senza aggiungere altro.

Per tutto il tragitto in ascensore, Jeffrey trattenne il fiato e quando, tra un pensiero e l'altro, si concedeva un secondo per rendersene conto, tentava di inspirare ed espirare profondamente, finendo per produrre dei respiri tremuli e spezzati.

Si sentiva nervoso all'idea di quell'incontro, ma gli dava fastidio pensare che Claud avesse in serbo per lui qualche tiro mancino, soprattutto dopo che si era spinto tanto oltre da colpire persino uno come Daniel.

"Come si fa a fare piangere uno che crede agli unicorni e vede tutto rosa? Ci vuole una cattiveria fuori dal comune" e mentre fomentava la propria ira con quelle considerazioni, le porte dell'ascensore si aprirono e Jeffrey si trovò nell'ingresso dell'appartamento di Claud. Girò l'angolo e non si stupì di scoprire l'ambiente quasi al buio, a eccezioni delle luci accese sopra il bancone della colazione. Le pesanti tende di colore scuro erano tirate e la stanza era troppo grande perché le tre lampadine della cucina fossero sufficienti a rischiararla a sufficienza.

Tuttavia, quella situazione, appunto, non lo stupiva: conosceva Claud da abbastanza tempo per sapere quanto adorasse restare al buio in casa propria.

"Forse per evitare di trovarsi costretto a guardarsi allo specchio. Sicuro rabbrividirebbe nel vedere la sua stessa immagine. Un po' come Dorian Gray" si disse e udì la porta di una stanza aprirsi e la luce che ne venne fuori si riversò nel corridoio che si trovava alla sinistra della zona giorno. Vide la sagoma di un uomo andargli incontro e riconobbe subito la silhouette di Claud, avvolto in un lungo accappatoio bianco, a piedi nudi, i capelli umidi, intento a frizionarli con un asciugamano.

Stava canticchiando un motivetto a mezza voce, entrò nel soggiorno, si diresse nella zona cucina, aprì il frigorifero e ne tirò fuori un barattolo di gelato. Gli era passato davanti e sembrava non essersi accorto di lui.

Jeffrey lo osservò con attenzione, mentre le tre luci sul bancone gli illuminavano il volto in modo un po' spettrale. Lo vide recuperare due cucchiaini e ripercorrere parte dei propri passi a ritroso, fermandosi proprio davanti a lui.

-Mi è rimasto solo vaniglia. Spero che tu te lo faccia andare bene, anche se, se non ricordo male, di solito preferisci i gusti alla frutta- disse e Jeffrey sussultò.
-Sai perché sono qui?- gli chiese, furioso.
-No, ma sono certo che tu stia per dirmelo- gli rispose l'altro, per poi voltargli le spalle e procedere a tentoni fino a che non raggiunse il divano. Prese posto e batté una mano sulla seduta, al suo fianco, invitando il suo ospite a raggiungerlo, iniziando a mangiare il gelato.

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