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Procedendo lungo la Highway 111 in direzione sud, dopo essersi lasciato alle spalle Los Angeles, Claud premette sull'acceleratore, cercando di dare all'auto, che aveva preso a noleggio, una maggiore velocità.
Era già stanco di guidare, attività che si concedeva di rado: preferiva farsi condurre da un autista oppure, perfino, viaggiare sui mezzi pubblici.
Guidare era una cosa che richiedeva concentrazione continua e Claud era un tipo che si annoiava di frequente, perciò detestava l'idea di dovere rimanere a lungo con il pensiero fisso nello stesso punto.
"Non hai alternative... se vuoi continuare a tenere gli impiccioni fuori dai tuoi casini" si disse e dovette decelerare di nuovo, dato che si stava distraendo, ma non aveva intenzione di causare un incidente. Se avesse chiesto a chiunque di accompagnarlo, anche se quello fosse stato un estraneo, si sarebbe lasciato alle spalle un testimone ed era esattamente quello che non voleva.
Era stato bravo, anche quando aveva intrecciato rapporti, prima di sparire da Los Angeles per mesi, riuscendo a nascondere a tutti dove scompariva durante le sue brevi fughe settimanali, della durata di mezza giornata, e non aveva intenzione di farsi scoprire ora che era tornato a casa.
Finalmente giunse a Palm Springs e iniziò a muoversi per i larghi viali alberati, che si snodavano tra gli immensi parchi e le ville incastonate nella natura, opere d'arte edilizia di architetti i cui nomi erano entrati nella storia, tra cui Wright, Frey; senza dimenticare la famosa casa di Sinatra, dove si poteva persino alloggiare qualche giorno, prendendola in affitto.
Palm Springs, cittadina di piccole dimensioni, era un luogo tranquillo, popolato da star di Hollywood, ricche famiglie, a due ore e mezzo di viaggio dal centro di Los Angeles.
Claud imboccò un sentiero asfaltato che si apriva sulla destra della strada, fermandosi davanti l'ingresso al coperto di una struttura, il cui prospetto, di colore bianco, era arricchito da intricati e naturali disegni di piante rampicanti, che la ricoprivano in buona parte. Ampie finestre davano sull'esterno, ma celavano ciò che accadeva al suo interno grazie al fatto che i vetri erano oscurati. Alle spalle si aprivano campi sportivi, piscine, un ampio giardino e un piccolo boschetto, anche se tutto ciò non era visibile dalla strada, a causa delle alte mura di mattoni grezzi che schermavano il luogo dalle attenzioni dei curiosi.
Claud si diresse proprio alle spalle della struttura, dopo essere passato dall'interno, avere registrato il suo ingresso alla reception e seguito una donna che lo aveva condotto in giardino. Sotto un gazebo di pietra, interamente rivestito di rose, si trovava un tavolino con quattro sedie e due panchine, circondato da cespugli di fiori. Al suo interno si muovevano una donna che indossava una divisa da infermiera, e c'erano un paio di persone anziane intente a prendere il tè.
Colei che lo aveva condotto lì aveva preso commiato da lui per avvicinarsi alla collega, aveva sussurrato qualcosa a una delle anziani ospiti della struttura, ed esortato l'altra ad accompagnarla. L'infermiera aveva rimosso il freno alla sedia a rotelle che l'anziana occupava, allontandola dal gazebo, per portarla vicino a una panchina, in giardino, che Claud aveva occupato, all'ombra di un grande albero dai rami nodosi.
Il giovane tornò ad alzarsi e dovette scrollare le spalle per rilassarsi mentre le due lo raggiungevano. Anche la seconda infermiera prese commiato da lui, tornandosene al gazebo, e Claud rimase a fissare l'anziana donna che lo guardava incuriosita.
-Ciao, mamma- salutò il giovane, sedendosi sui talloni, poggiandole una mano su un ginocchio. L'altra reclinò il capo da un lato e gli sorrise, senza dire nulla, apparendo alquanto impacciata.
Stephany Blake non aveva idea di chi fosse il bellissimo giovane che si stava praticamente prostando ai suoi piedi, ma era felice di ricevere una visita e di avere la possibilità di sfoggiare quell'avvenimento con le sue amiche del centro, vantandosi di avere incontrato un giovane tanto affascinante.
-Ciao, caro- gli disse. -Come sei bello! Come ti chiami?- gli domandò e il sorriso di Claud si incrinò appena. L'uomo tornò a sedersi sulla panchina alle sue spalle e prese una mano della donna tra le sue.
-Sono Claud, mamma, sono tuo figlio. Non ci vediamo da un po'...-
-Oh, che bello. Ho un figlio davvero bello- disse la donna compiaciuta, ma poi rivolse la propria attenzione verso un cespuglio di rose e parve dimenticarsi della presenza del giovane, come se si fosse spenta all'improvviso.
Claud rimase a fissarla per un po', godendosi quell'incontro. Sua madre non era mai stata una donna del tutto sana di mente e la sua psiche aveva ceduto in modo definitivo quando aveva perso il marito, qualche anno prima. Nonostante tutto, Claud adorava sua madre e lei era sempre in grado di suscitargli un sorriso, di farlo sentire orgoglioso e amato, anche se non ricordava chi lui fosse. Gli bastava uno sguardo, un sorriso da parte della donna, un complimento, e ciò lo rendeva felice; trovava sempre la forza di accontentarsi di quello che la madre era in grado di dargli.
-Come stai?- le domandò, cercando di attirare la sua attenzione e Stephany si volse verso di lui, reclinando il capo da un lato. Aveva i suoi stessi occhi celesti, il cui colore si era un po' sbiadito negli anni; capelli ricci, lunghi, di un candido bianco. Nonostante le apparenze, non aveva ancora toccato i settant'anni, ma la malattia si era abbattuta su di lei rendendola canuta, esile e fragile.
-Bene- disse e tornò a fissare il cespuglio di rose, ritirando la mano da quelle del figlio.
Claud trasse un profondo respiro, cercando di non spegnere il proprio sorriso. Stare tanto a lungo lontano da casa, proprio come aveva immaginato, aveva avuto le sue conseguenze e il fatto che sua madre apparisse più distaccata da lui era una delle peggiori.
Erano anni che la donna aveva difficoltà a ricordarsi chi lui fosse, ed era stato così anche quando Claud si recava ogni settimana in visita da lei. Stephany aveva la stessa ingenuità di una bambina, aveva dimenticato il suo amato marito, quella che era stata la sua vita prima di venire ricoverata al centro, e si relazionava agli altri con un entusiasmo colmo di ingenuità, ma sempre tenendosi a debita distanza da tutti coloro che le ronzavano intorno, classificandoli come degli estranei, facendo riferimento a tutte le raccomandazioni che aveva assimilato in passato e che erano diventate parti istintive del suo agire: era felice di ricevere visite da un bel giovanotto, ma si teneva alla larga dal riporre fiducia in lui.
-Ti trattano bene, sì?- le domandò Claud, ma lei non gli rispose. "Con quello che mi costa questo posto... ma per lei... va bene" pensò, iniziando a fissare anche lui il cespuglio. Si alzò dalla panchina, si avvicinò ai fiori e cercò di comprendere la direzione dello sguardo di sua madre, trovando presto quello che aveva attirato la sua attenzione. Raccolse la rosa, si accertò che non ci fossero spine, e gliela porse, tornado a sedersi sui talloni, di fianco la sua sedia.
-Che bella!- esclamò lei portandosi il fiore vicino al viso, aspirandone il profumo con espressione deliziata.
-Tu lo sei di più- sussurrò il giovane, accarezzandole una guancia con dolcezza. Si tirò in piedi e le diede un bacio sulla fronte. -Questa volta, te lo prometto, tornerò presto a trovarti-
Richiamò l'infermiera e salutò la madre, convocato dalla direttrice della struttura. Venne accolto nell'ufficio della donna, per un incontro privato, anche se Claud ipotizzava già per quale motivo fosse stato chiamato lì.
-Signor Blake, mi rincresce dovere affrontare con lei questo argomento; fino a oggi non abbiamo avuto motivi di dissapori, ma sono mesi che...-
-Sì- la interruppe Claud, uscendo da una tasca interna del giaccone una busta. La porse alla direttrice, accompagnando quel gesto con un sorriso ammaliante. -Mi dispiace avere saltato la retta dello scorso mese e di avere avuto poca costanza con i pagamenti degli ultimi cinque, in generale. D'ora in avanti non ci saranno più ritardi. Le verso in anticipo, oggi, anche quella del mese corrente- aggiunse e l'altra cambiò immediatamente espressione, rifugiandosi dietro un compiaciuto sorriso professionale.
•
Rientrato a Los Angeles, Claud ricevette l'ennesima chiamata al cellulare che aveva utilizzato mentre viveva a New York. Da quando, una settimana prima, aveva saltato la telefonata di Boka, si era premurato di ricaricare l'apparecchio di frequente, per poi portarlo sempre con sé. Tuttavia, spesso riceveva chiamate da numeri anonimi e lui rifiutava a prescindere quei tentativi di contatto. Immaginava di conoscere coloro che lo stavano cercando con tanta insistenza e credeva persino che fosse questione di tempo, prima che si facessero vivi in modo più incisivo.
"Finirà che manderà Pashkà a cercarmi" si disse e scosse la testa, mentre saliva di corsa i tre gradini che introducevano al Seraphim. Tom ed Eric, i due buttafuori, lo fermarono subito, impedendogli di entrare.
-Guarda un po' chi si vede- disse Tom e Claud alzò gli occhi al cielo.
-Dai, ragazzi! Voglio solo bere un bicchierino!- esclamò Claud con voce implorante, ma gli altri due non si fecero abbindolare.
-Ma anche no. Oggi c'è un evento privato...- iniziò col dire Eric, ma proprio in quel momento giunse un estraneo, chiedendo di potere entrare e i due si fecero da parte, per permetterglielo.
-Chi è? Il testimone dello sposo?- domandò Claud, sarcastico, e Tom borbottò qualcosa di incomprensibile. -Persino Clark si fa capire meglio te- lo punzecchiò e l'altro aggrottò la fronte, infastidito, incrociando le braccia sul petto e assumendo un atteggianento ostile.
-Anche se ci fosse un addio al celibato, non sarebbe affare tuo- ribatté Eric, ma vennero interrotti ancora una volta.
-Chi non muore si rivede-
Claud si girò verso colui che aveva parlato. Era un giovane dai lineamenti piacevoli, i capelli castani e gli occhi dello stesso colore. Aveva l'aspetto del tipico ragazzo della porta accanto, ma una sensualità fuori dal comune. Indossava la divisa dei serafini: un completo bianco, della stessa tinta degli accessori, e una t-shirt a girocollo, di un grigio chiarissimo.
-Guarda qui che angioletto!- lo canzonò Claud, rigirandosi una ciocca dei propri capelli tra le dita di una mano.
-Ciao, Claud- disse Ryan e rimase fermo, con un'espressione indecifrabile dipinta in viso.
L'ex modello compì un passo in direzione dell'altro, fermandosi a pochi centimetri di distanza da lui, tanto vicino al suo viso da sfiorargli la punta del naso con la propria, senza più essere in grado di vedere con chiarezza i lineamenti del suo volto.
-Sei uno schianto. Io e te dovremmo incontrarci, qualche volta, magari a casa mia... Oppure, sei più tipo da albergo?- gli soffiò sulle labbra e Ryan sorrise.
-Sono più un tipo da...- poggiò una mano sul suo petto, allontanandolo da sé. -... fottiti, Blake-
-Potrebbe essere un'idea... se tu acconsentissi a farmi compagnia-
-Hai presente la fine del mondo? Ecco, potresti mettermi in agenda per dopo oppure nell'era del mai-
-Dai... non sarai ancora arrabbiato perché ti ho mollato mentre cercavamo di fare sì che Keith ed Evan si lasciassero!- sussurrò Claud stando attento dal non farsi sentire dai buttafuori. Ryan impallidì e ritrasse la mano che aveva continuato a tenere poggiata sul suo petto.
-Mi hai lasciato nei casini. Tu eri sparito... e loro avevano bisogno di un cattivo-
-Non ti eri di certo comportato da angioletto-
-Mi sono solo fatto fuorviare da te- ribatté Ryan e Claud gli cinse la vita, tornando ad azzerare la distanza che li separava.
-No. Hai solo fatto di me la scusa dietro la quale nasconderti. Non ti ho mai promesso nulla, non ti ho mai minacciato, hai fatto tutto ciò che volevi...-
-Mi hai usato- sibilò Ryan e si sentì affiancare da qualcuno. Alzando gli occhi, trovò Tom al proprio fianco, con un'espressione che dava a intendere che fosse pronto a intervenire. Ryan si schiarì la gola e diede una pacca su un braccio di Claud e l'altro lo lasciò andare immediatamente. -Tutto okay. Posso cavarmela da solo. È solo Claud, Tom. Stanno arrivando altri clienti. Occupatevi di loro, io torno subito- disse e il buttafuori, seppure visibilmente contrariato, decise di lasciare il serafino da solo, allontanandosi dai due per tenere sotto controllo il gruppetto di clienti che si stava avvicinando al locale.
-È solo Claud?- gli fece eco il biondo, inarcando un sopracciglio.
-Sei solo un idiota. Un sacco di casini e clamore e zero sostanza...-
Claud lo afferrò per la nuca e soffocò le sue parole con un bacio. Ryan spalancò gli occhi stupito, tentò di respingerlo, ma gli bastò sentire la sua lingua scivolargli tra le labbra per cedere. Si trovò a ricambiare il suo assalto, ma presto si rese conto di quello che stava facendo e interruppe il bacio, per poi dargli un sonoro ceffone.
Claud si massaggiò la guancia offesa, mentre un ghigno divertito gli illuminava lo sguardo.
-Come siamo diventati battaglieri- disse e Ryan tremò di rabbia, stringendo in un pugno la mano con cui lo aveva schiaffeggiato.
-Sono stanco di essere trattato come un giocattolino...- iniziò col dire, in preda a una furia accecante, ma poi si interruppe di colpo, fissando un punto imprecisato alle spalle dell'altro. Claud aggrottò la fronte e si girò per cercare di capire cosa era riuscito ad attirare l'attenzione del serafino e per quale motivo fosse tanto impallidito.
Individuò subito la fonte dello shock dell'altro e si sentì raggelare, poi il sangue parve iniziare a scorrergli nelle vene come se fosse lava bollente, scaldando ogni più piccolo punto del suo corpo, serrandogli il cuore in gola, mentre sulla soglia del Seraphim, intento a fissarli, stava il suo Keith.
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