37
La villa, circondata da alte mura di cemento e palme rigogliose, si trovava da qualche parte a Beverly Hills, non lontana dal punto in cui sorgeva il Seraphim.
Era stata scelta proprio per quel motivo: era comodo il fatto che fosse tanto vicina al locale, esattamente in mezzo tra il Korean Town e Hollywood. Rendeva persino facile imboccare l'uscita in direzione del Topanga State Park. Palm Springs si trovava al punto opposto, ma a Red non importava.
Aveva già deciso che non avrebbe mosso un dito contro Stephany Blake: era soltanto una vecchia donna, malata, che aveva avuto la disgrazia di avere un figlio sessualmente deviato. E il Kanun*, di cui portava il credo nel sangue, gli impediva di fare del male a una donna.
Tuttavia, minacciare Blake e Roan con le persone che gli erano più vicine, semplicemente restando chiuso in casa, gli suscitava un profondo senso di sadico piacere. Red era un uomo di parola, altrimenti gli sarebbe piaciuto passare subito ai fatti e accanirsi su quel nido putrido di pervertiti.
Fissava il paesaggio che si apriva fuori dalla finestra della grande stanza che aveva scelto come ufficio. Era tornato negli States soltanto la notte prima, dopo che gli avevano riferito che la pressione delle forze dell'ordine su di loro si era un po' allentata. Tuttavia, da bravo leader, aveva cercato di non abbassare la guardia: sapeva che i blitz della polizia newyorkese erano l'ultimo dei suoi problemi.
Avrebbe dovuto fare esplodere l'ennesimo buco in cui aveva ammassato un paio di chimici e alcuni dei suoi uomini? Red non si demoralizzava, faceva sempre quello che reputava necessario, consapevole di avere le capacità di una fenice, in grado di rinascere dalle proprie ceneri, sempre. Ne aveva persino tatuata una, di fenice, enorme, su tutta l'ampiezza delle spalle.
Tuttavia, le azione invasive e subdole dell'F.B.I. iniziavano a impensierirlo.
Qualcuno bussò alla porta e l'uomo rivolse un breve cenno del capo in direzione di colui che si trovava al suo fianco e che considerava il suo braccio della morte: Boka.
Lo vide ricevere il suo silenzioso messaggio, ricambiandolo con una rigidità quasi impercettibile dei muscoli del viso e ubbidirgli come un bravo cagnolino, andando ad aprire. Red si girò, trovandosi faccia a faccia con tre uomini, tra cui Pashkà. Ignorò volutamente quest'ultimo, offeso con lui per come aveva fallito nello svolgere i compiti che gli aveva assegnato e, nonostante lo avesse sempre rassicurato facendogli credere di essere il suo braccio destro, lo sminuì apertamente con gli altri, cedendo la parola a loro, per primi.
-L'F.B.I. di New York sta a Los Angeles. Hanno visto l'agente Turner a Hollywood, con l'agente Wong- disse uno di loro, incrociando le braccia sul petto e il suo compare annuì, prima di prendere la parola a sua volta.
-Alcuni dei ragazzi di New York sono spariti. Non rispondono più ai nostri tentativi di contatto, abbiamo mandato...-
-I nostri ragazzi?- lo interruppe Red, superando il tavolo che si frapponeva tra lui e gli altri quattro, coperto da un lenzuolo bianco carico di polvere.
L'ultimo uomo che aveva parlato annuì e distolse lo sguardo.
Red trasse un respiro profondo e chiuse gli occhi per qualche secondo. Si rigirò il grosso anello che indossava a un mignolo, sul quale era impresso lo stemma della bandiera albanese. Era simbolo del potere della famiglia Dervinshi e lui lo sfoggiava con orgoglio ormai da diversi anni, dopo essere succeduto al padre – quest'ultimo troppo intento a marcire in una prigione di massima sicurezza a Tropoja, per poter continuare a prendersi cura della famiglia.
Sapeva di essere un capo migliore di suo padre, sotto ogni punto di vista: Red aveva salvato la famiglia immigrando negli Stati Uniti, aveva assicurato loro un futuro migliore. Era riuscito anche in ciò in cui suo padre aveva fallito in modo schiacciante: Roan.
A New York aveva fatto sì che suo fratello diventasse il suo braccio destro, ponendolo a capo della filiera di smistamento della merce verso i vari punti di spaccio del loro quartiere.
-Quindi... sono morti?- domandò continuando a mantenere gli occhi chiusi, interrompendo i propri pensieri: "Un problema per volta", si disse.
-Non... non lo sappiamo- ammise l'uomo e Red spalancò gli occhi; gli si avvicinò con passo lento e lo fissò con estrema attenzione prima di tornare a parlare.
-Mi stai dicendo che potrebbero essere finiti nelle mani dell'F.B.I.?- sibilò e l'altro scosse la testa, ma si fermò perché non aveva alcuna risposta da fornire al suo capo e sapeva che mentirgli non era mai una scelta vincente.
Red pose entrambi le mani sulle sue guance e, con un movimento deciso, gli spezzò l'osso del collo. L'aveva fatto così tante volte in passato che trovava persino facile utilizzare quella tecnica. Aprì le mani e lo osservò cadere sul pavimento, privo di vita, senza battere ciglia.
-Scopri che fine hanno fatto- disse, scandendo ogni singola parola a un palmo dal viso dell'altro uomo. Quello annuì e uscì dalla stanza.
Red si volse in direzione di Pashkà rivolgendogli un ampio sorriso. Allargò le braccia e lo invitò ad avvicinarsi a lui, lo abbracciò e, infine, gli batté una pacca su una spalla.
-Fratello, carissimo- disse e Pashkà s'irrigidì. -Come stanno Roan e la principessa?- gli chiese, dandogli le spalle, avvicinandosi al tavolo dove, in precedenza, aveva lasciato una scatola di sigari. Ne prese uno mentre attendeva che l'altro gli rispondesse, ma stava già perdendo la pazienza nel dover aspettare che si decidesse a parlargli.
-Sono spariti- sbottò Pashkà con poco interesse e Red trasalì. Tornò a girarsi verso di lui mentre sputacchiava un po' di tabacco.
-Hai ucciso mio fratello?- tuonò e l'altro scosse la testa.
-Non li ho toccati. Ho fatto come hai voluto tu. Blake credo che non sia cascato nella mia trappola. È stato fin da subito troppo sospettoso: sa che mi fanno schifo i froci-
-Dove sono?- lo incalzò Red, avvicinandosi a lui, e Pashkà si limitò a stringersi nelle spalle. Chiuse gli occhi e attese, ma si accorse soltanto dopo diversi secondi che respirava ancora. Riaprì gli occhi e percepì vagamente il pugno arrivare a colpirlo alla mandibola inferiore.
Il dolore fu fugace: era troppo abituato a ricevere punizioni di quel tipo, fin da quando era entrato a fare parte della famiglia, per avere ancora tempo da perdere in un qualsiasi tipo di reazione. Subiva e basta, senza battere ciglia, dopotutto, tutto quello che viveva non era altro che parte della sua quotidianità.
-Una marea di coglioni! Bastardi!- tuonò Red e poi lo afferrò per i capelli, nel punto in cui sapeva si celava la sua cicatrice. -Pulisci questo schifo!- gli urlò a un palmo dal viso, indicandogli l'uomo ai loro piedi, e poi lo lasciò andare. Pashkà percepì una rabbia cocente riempirgli il petto, mentre la testa iniziava a pulsargli dolorosamente, tanto che presto la ragione venne oscurata da un'emicrania tanto martellante da rendergli ogni cosa intorno ovattata e distante.
-Forse è scappato di nuovo- disse Boka, appoggiandosi contro il bordo del tavolo, impassibile, nascondendo la propria ilarità nell'osservare Pashkà che, a fatica, cercava di spostare il corpo privo di vita fuori dalla stanza.
-Lui!- tuonò Red, ma poi tentò di riacquisire un po' di calma e accese il sigaro, abbassando il tono di voce. -Lui tornerà da me. Io sono diverso da mio padre-
-Perché insistere tanto?- chiese Boka con ostentato menefreghismo. -Non è una perdita di tempo? Con tutto il casino dell'F.B.I. ...-
Red rimase in silenzio per qualche secondo, concentrandosi sul proprio sigaro.
-Ha il mio sangue- disse dopo un po'. -È la mia famiglia, deve stare con me. Deve scegliere di tornare: io l'ho guarito. Mi deve tutto. Sono il suo dio- aggiunse, ridacchiando compiaciuto. Boka sollevò un sopracciglio con evidente scetticismo, mentre Pashkà continuava a fingere difficoltà nell'adempiere il proprio compito, con l'intenzione di continuare ad ascoltare quella conversazione.
-Non sembra che abbia fatto granché effetto. Gli hai tagliato il cazzo, ma quello lì se la fa ancora con i froci- ribatté Boka, che non sopportava l'idea di riavere uno come Roan in famiglia, con il rischio che infettasse tutti gli altri, macchiandone l'onore.
-Non può più fare sesso. Gliel'ho pure fatto ricostruire, ma è tipo finto- disse Red, accompagnando quelle sue parole con una grassa risata. Boka reclinò il capo da un lato e si decise a non contraddire il suo capo, lasciandolo nella sua ignoranza riguardo gli aspetti sessuali della vita di due uomini: non voleva che fraintendesse il motivo per cui possedeva informazioni tanto dettagliate riguardo il modo in cui i pervertiti si sollazzavano a letto.
Boka viveva con una fame di sapere incontenibile: ogni cosa che scopriva lo aiutava ad amplire la propria conoscenza e la conoscenza è potere, superiorità. Gli piaceva la sua vita, qualcuno lo aveva definito sociopatico, più di una volta, proprio per quel motivo, ma a lui non interessava. Se sapeva, poteva anche sperimentare i modi più precisi con cui fare del male alla sua vittima di turno. Al pensiero di ciò si trovò a sorridere e decise di provocare un po' Red.
-Il Seraphim è un locale per froci- disse.
-E allora?-
-Blake è frocio-
-Lo so. Ma volevo che tuo fratello...- disse, riferendosi a Pashkà, ma continuando a parlare con lui. -... lo convincesse a seguirci, dopo averlo sedotto. Non potevamo rischiare di nuovo la fortuna e rapirlo con gli occhi dell'F.B.I. addosso. Doveva seguirci di sua spontanea volontà, poi lo avremmo potuto fare sparire per sempre-
-Potevamo attendere che facessero un altro errore come quello a Palm Springs e approfittarne, invece di tentare di conquistarci dei deviati-
Pashkà trasalì e sollevò lo sguardo su di loro, sicuro che Red avrebbe fatto pagare all'altro quell'incredibile mancanza di rispetto, ma si sbagliava: il loro capo parve rimanere impassibile e Boka sogghignò soddisfatto.
-Uhm... a me divertiva di più l'idea di umiliare Pashkà. Ma tu, Boka, che stai cercando di dirmi?- lo incalzò Red, iniziando a perdere la pazienza e gettando il sigaro sul pavimento, per poi schiacciarlo con forza sotto la suola di una scarpa.
-Che forse Roan non fa sesso, ma magari tu non sei riuscito a guarirlo per davvero-
Red allungò una mano afferrandolo per il collo, piantandogli le unghie nella carne. Pashkà lasciò andare l'uomo senza vita e si fermò a fissarli, notando la pistola di Boka puntata alla pancia del loro capo.
-Non oggi, Boka- sussurrò Red, ritirando la mano e l'altro fece una piccola smorfia. -Mi servi. Sarebbe bello vedere chi tra noi due ne uscirebbe vincitore, anche se io non ho dubbi a riguardo- disse, osservando l'uomo rifoderare la pistola. -Forse hai ragione- ammise dopo un po', tornado a volgergli le spalle, superando il tavolo e riprendendo a fissare il paesaggio oltre la finestra che si apriva sul giardino della villa.
Boka rivolse un cenno in direzione di Pashkà e quello riprese con il suo lavoro. Non aveva più scuse per rimandare e arrancare, perciò pose l'uomo fuori dalla stanza, lasciandolo momentaneamente nel corridoio, e tornò sui propri passi per richiudere la porta.
-Se hai ragione, sto solo perdendo tempo- udì dire a Red e socchiuse piano la porta, lasciando aperto uno spiraglio impercettibile alla vista, continuando a origliare. -È l'unico parente di sangue che mi è rimasto... ma devo pensare che non sia più così. Ho fallito, questa volta. Roan è morto e il sangue va sempre pagato con il sangue*. Non ho nulla a che spartire con questo Ryan Doyle. Ma il debito di sangue va pagato. Voglio che sia tu a occupartene, Boka-
-E Blake?- gli chiese l'uomo, ma Pashkà non stava già ascoltando più. Si liberò del cadavere e prima che fu sera aveva già lasciato la villa, dopo essersi assicurato che Boka, invece, fosse ancora al suo interno, intento a studiare un piano d'azione.
Pashkà sapeva di non avere più tempo: non aveva importanza se Roan non era più lui, se davvero Red non era stato in grado di "guarirlo", se restava un deviato anche vivendo da Ryan. Di tutto quello non gli importava.
Red lo aveva sempre trattato come una bestia da macello, senza alcun rispetto per lui né per nessun altro membro della famiglia. La fedeltà dei Dervinshi era frutto di paura e orrore, non c'era onore per nessuno di loro, all'infuori di Boka e Red.
E Roan lo aveva salvato. Pashkà odiava la propria vita, ma respirava perché Roan lo aveva voluto, perché lo aveva strappato dalla miseria e dalla morte. A Tropoja non avrebbe mai potuto sperare in qualcosa di migliore che sopravvivere e Roan lo aveva aiutato a fare sì che lui ricevesse il meglio da quell'orribile destino che gli era stato marchiato addosso fin dalla nascita.
Aveva un patto d'onore da rispettare, sapeva che ciò lo avrebbe portato al tradimento e che il tradimento lo avrebbe potuto condurre alla fine della sua stessa vita, ma non poteva restare con le mani in mano. Aveva tentato di spaventare Roan con ogni mezzo a propria disposizione, nel vano tentativo di esortarlo a scappare ancora, così come sempre aveva fatto in passato, ma aveva fallito. Roan non era scappato.
Sapeva di avere i minuti contati, il fiato di Boka sul collo, un mal di testa pazzesco e la paura di non riuscire a ripagare il proprio debito, di non arrivare in tempo.
Tuttavia, aveva un vantaggio: Red non sospettava nulla.
----------------------------------------------------------
*Codice di comportamento che regolava la vita sociale, individuale e familiare della popolazione albanese. Venne introdotto intorno al XV secolo, poi contrastato da Re Zog e dalla dittatura comunista, tornato in vigore, seppur non più in forma di legge, intorno agli anni Novanta. Molti aspetti del codice sono andati perduti nel tempo, altri sono rimasti radicati nella mentalità soprattutto dei popoli del Nord.
Tuttavia, ad oggi, purtroppo, viene spesso utilizzato per giustificare i propri atti criminali, che nulla hanno a che vedere con il Kanun originario.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top