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Le luci si spensero, il locale parve tirare un ultimo respiro prima di "addormentarsi". Keith chiuse le porte con una doppia mandata di chiavi e i dipendenti del Seraphim si congedarono. Erano tutti entusiasti dell'esito della serata e sembravano restii a lasciare andare quell'aria di festa che li aveva accompagnati fino a quel momento.
Jeffrey era sparito da tempo con Daniel. Alcuni serafini, rimasti a chiacchierare, poco distanti da loro, si stavano organizzando per continuare con il fare baldoria – dopotutto, era ormai l'alba del mercoledì, giorno di chiusura al Seraphim, sentivano di potersi concedere ancora un po' di divertimento. Amber era stanca e preferì tornare a casa e Keith ed Evan si proposero di accompagnarla, per poi raggiungere Isaac e Bryan a Zuma Beach, in casa loro, per concludere l'evento – vista l'ora – con una colazione tra amici.
Nessuno, a parte Amber, sembrava avere sonno. L'adrenalina li rendeva ubriachi di entusiasmo ed era tutto un "shh!" e "fate silenzio!" accompagnati da continui risolini eccitati.
Claud intercettò Ryan un istante prima che accettasse l'invito di Isaac e gli si fece vicino, lo prese per un braccio, allontanandolo dagli altri.
-Passiamo un po' di tempo insieme prima di andare a dormire?- gli chiese e l'altro si sentì arrossire a causa del tono di voce che Claud aveva usato per rivolgerglisi.
Da quando erano entrati tanto in confidenza, Ryan aveva cominciato a provare uno strano disagio nel trovarsi in compagnia dell'ex modello. Si era reso conto di guardarlo con occhi diversi: Claud era a conoscenza del suo passato, di tutte le sue bugie – beh, di quasi tutte – e nonostante tutto continuava a ronzargli intorno, anzi, si era fatto parecchio gentile con lui e quel suo atteggiamento imbarazzava Ryan, che non era abituato a vedersi trattato in un determinato modo.
Stava iniziando a provare per Claud dei sentimenti simili a quelli che lo legavano a Keith e Amber, ma ancora più profondi, perché tra di loro i segreti si stavano esaurendo.
-Non andiamo da Isaac e Bryan?- gli chiese e l'altro gli passò un braccio intorno alle spalle, sorridendo dolce contro una sua tempia.
-Mi piacerebbe stare un po' da solo con te-
Ryan annuì, salutarono gli amici e si avviarono verso la sua auto. Il giovane notò subito come Claud avesse abbandonato di colpo quell'aria distratta e festaiola che lo aveva accompagnato per tutta la serata. Mentre si muovevano nel parcheggio del Seraphim, ormai quasi del tutto deserto, l'uomo iniziò a guardarsi intorno con aria circospetta, prestando attenzione a ogni più piccolo rumore, cercando di identificare ogni luccichio e di captare ogni singolo movimento che riusciva a scorgere con la coda dell'occhio.
Si rilassò soltanto quando salirono in auto, Ryan accese il motore e non saltarono in aria. Claud trasse un respiro profondo e socchiuse gli occhi, poi parve cambiare idea all'improvviso e chiese all'amico di lasciarlo guidare al posto suo.
-Tu sai guidare?- gli chiese Ryan, stupito, e l'altro ridacchiò.
-Sì, tranquillo. Vero che prima mi facevo scorazzare da un autista e quando non ho più potuto permettermelo mi sono sempre mosso a piedi o con i mezzi, in città. Ma ho preso la patente a sedici anni. Non ho più un mezzo mio e per andare a visita da mia madre noleggio un'auto-
-Non lo sapevo... ma mi sto rendendo conto che sono tante le cose che non sapevo di te- mormorò Ryan sovrappensiero e Claud sorrise ancora con dolcezza prima di invertire i loro posti, mettere in moto e uscire dal parcheggio.
-Sai dove abito?- gli chiese Ryan e l'altro scosse la testa. -Korean Town. Devi girare...- ma non ebbe neanche il tempo di indicare l'uscita che avrebbero dovuto imboccare, che Claud era già passato oltre. -Oh, prima andiamo da te... no, aspetta, tu abiti dietro al Seraphim. Dove stiamo andando?- domandò aggrottando la fronte, ma l'altro non gli rispose.
Ryan iniziò a percepire il proprio cuore battere più velocemente, si sentì arrossire per la tensione e tenne gli occhi ben aperti guardandosi intorno, cercando di capire dove fossero diretti quando, all'improvviso, Claud parve rallentare, come se stesse cercando parcheggio lungo la strada e difatti, pochi istanti dopo, fermò l'auto accostandosi al marciapiede. Spense il motore e pose le mani in grembo, stando a testa china. Ryan guardò in ogni direzione, tentando di capire perché si fossero fermati lì, ma non vide nulla che sembrava in grado di fornirgli dei punti di riferimento. Conosceva la zona, si trovavano ancora a Beverly Hills, e non si erano allontanati di molto dal Seraphim.
-Non so se ci hanno seguiti- disse Claud e Ryan sussultò. Il significato delle sue parole gli arrivò in un secondo momento e il suo cuore cominciò a battere ancora più velocemente. Fissò il profilo dell'uomo al suo fianco, blandamente illuminato dai primi raggi di sole del mattino, che sembravano avvolgere la sua figura di riflessi sanguigni, rosati e oro, dandogli l'aspetto di un dio decaduto. Ryan batté le palpebre, sentendosi stupito dai propri pensieri e sollevò lo sguardo oltre Claud, sentendosi impallidire.
Vide la Stazione di Polizia sul lato opposto della strada e il respiro gli venne meno.
-Claud...- mormorò, ma si trovò a deglutire sonoramente, nel tentativo di riattivare la salivazione che, nel frattempo, sembrava essersi azzerata.
-Jeffrey ha ragione-
-Jeffrey?-
-Non possiamo più sperare che loro, alla fine, ci lascino in pace-
-Ma... hai detto che...-
-Li conosci bene, Ryan- disse Claud, sganciando la cintura di sicurezza e voltandosi verso di lui. -Ci siamo illusi, mi sono illuso che potessero rispettare i patti. Ma Pashkà ha incominciato a comportarsi in modo strano e...-
-In modo strano, in che senso?-
Claud rimase in silenzio per qualche secondo, riflettendo sulle parole che avrebbe dovuto dire per convincere l'altro a compiere quel passo con lui. Comprendeva le sue paure, in parte erano anche quelle che Claud stesso recepriva come proprie. Anche la prostituzione era un reato, anche lui sarebbe potuto finire dietro le sbarre e diventare nel giro di poco tempo la bambola sessuale di criminali.
"Sempre che Dervinshi non mi tolga di mezzo prima" pensò.
-La verità è che questo non è un gioco. Ho cercato di gestirlo come faccio di solito, pensando di riuscire a risolvere tutto da me, perché è quello che ho sempre fatto fin da quando ero un ragazzino. Il gioco mi ha sempre aiutato a... non soccombere. Affrontavo cose orribili: invece di andare a scuola, uscire con gli amici e divertirmi in modo innocente, io mi facevo scopare in cambio di soldi. Non sempre ero tanto fortunato da trovare clienti... "umani". Giocare mi aiutava a restare a galla-
Ryan percepì gli occhi riempirsi di lacrime; sganciò la cintura di sicurezza e si sporse sul sedile, avvicinandosi a lui.
-Io e te siamo uguali- sussurrò e Claud, suo malgrado, si trovò a sorridere con tristezza.
-Già- disse. -Storie diverse, ma... hai ragione. Siamo uguali: ci siamo trovati invischiati in situazioni che ci facevano paura. Abbiamo reagito in modo diverso, io giocando e tu scappando, ma con l'intenzione, entrambi, di porre fine alla paura- continuò Claud e Ryan si strinse ancora di più a lui, percependo un freddo improvviso penetrargli fin dentro le ossa. Sentiva il bisogno spasmodico di calore e temeva che nulla sarebbe stato in grado di soddisfarlo.
-Questa storia è più grande di noi... Roan- sussurrò Claud e Ryan chiuse gli occhi, percependoli bruciare sotto le palpebre. -Non so più... Non ho idea di come andrà a finire- continuò girandosi verso di lui e l'altro si scostò appena dal suo corpo, aprendo gli occhi e trovandosi a un palmo dal suo viso. -Ma comunque andrà, posso prometterti che non ti lascerò mai solo-
Ryan sentì una lacrima fuggire al proprio autocontrollo, scivolargli su una guancia fino ad arrivargli a bagnargli il mento. Si asciugò il viso con il palmo di una mano e tirò su col naso; scrollò la testa e tentò di darsi un contegno, ricambiando l'espressione seriosa dell'altro con un sorriso.
-Ti devo un bacio- disse e Claud sgranchì le spalle, tentando di rendere i muscoli meno rigidi, e sospirò. Ryan gli si fece ancora più vicino, azzerando la breve distanza che li separava, trovandosi a sfiorargli le labbra con le proprie.
-Dopo non mi schiaffeggerai di nuovo, vero?- gli domandò l'ex modello e l'altro si trovò a ridacchiare, entrando in contatto con la sua pelle. L'ilarità si azzerò di colpo mentre deglutiva, trovandosi a respirare con spaventosa chiarezza il suo profumo. Premette le labbra contro le sue e Claud fece scivolare le braccia intorno al suo corpo, ricambiando con estrema lentezza il suo bacio.
Si chiese se quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbe baciato un uomo con la volontà di farlo, se ci sarebbe stato un domani per loro e come sarebbe stato. Tuttavia, torturarsi con quelle domande sapeva che non sarebbe servito a nulla e di certo non avrebbe trovato neanche un valido motivo, tra le risposte che avrebbe potuto tentare di darsi, per cambiare idea ancora una volta e scappare da lì prima di mettere piede nella Stazione di Polizia.
-Di corsa, senza guardarci indietro- sussurrò sulle sue labbra, ponendo fine al loro bacio.
-Se ci hanno seguiti...- disse Ryan e Claud scosse la testa.
-Pensa: avrebbero già agito. Magari questa volta siamo fortunati- lo interruppe e gli strinse una mano, strattonandolo verso di sé, facendogli spazio al suo fianco, sul sedile del guidatore. Erano così vicini e stretti che i loro respiri finirono per confondersi ancora. I loro cuori sembravano battere all'unisono, mentre il sangue scorreva veloce nelle vene, alimentato da una paura profonda.
Claud aprì la portiera dell'auto e scese di corsa, trascinando con sé Ryan. Attraversarono la strada e salirono i cinque gradini che introducevano alla Stazione di Polizia. Spalancarono la porta e si fermarono al centro della stanza con il fiato corto.
Erano vivi. Nessuno gli aveva sparato. Avevano superato il primo ostacolo.
•
-Ricominciate da capo-
Claud si lasciò andare contro lo schienale della sedia che occupava, accompagnando quel gesto con un sospiro di frustrazione. Intercettò lo sguardo di Ryan, seduto al suo fianco, i gomiti sul tavolo dalla superficie di metallo, la testa tra le mani e un'espressione spossata. Erano ore che si trovavano chiusi dentro quella stanza di piccole dimensioni.
Era, in parte, diversa da quella che, di solito, si vedeva nei film, anche se condivideva l'aspetto lugubre, il colore improponibile delle pareti, una telecamera di sorveglianza e uno scarno mobilio, ma non c'era l'onnipresente vetro oscurato. Un'altra cosa che differenziava quella stanza interrogatori era, senza ombra di dubbio, l'odore. Una cosa che non si può percepire tramite lo schermo della TV, per quanto la scenografia possa risultare specchio della realtà; nessun florido budget sarebbe stato in grado di trasmettere via mediatica l'olezzo di sudore, muffa e marciume che pareva impregnare ogni cosa, riempiendo le narici e impedendo loro di percepire qualsiasi altro odore.
Da ore si trovavano chiusi lì dentro, per ore avevano raccontato per filo e per segno i motivi che li avevano spinti ad auto-denunciarsi. In un primo momento a Claud era persino parso strano che non li avessero divisi, che avessero deciso di ascoltarli insieme, ma dopo i primi venti minuti di interrogatorio aveva iniziato a sentirsi tanto tartassato da non avere avuto più testa per nulla. Rispondeva in automatico, con la costante sensazione di stare lì a ripetersi come un disco rotto.
-Vi abbiamo detto tutto...- bofonchiò Ryan, sfinito, poggiando la fronte contro la superficie del tavolo, sentendosi quasi sollevato nel percepire il gelo del metallo in contrasto con il calore del proprio corpo, reso bollente dalla tensione e dalla stanchezza. Si sentiva come se fosse stato catturato da uno stato di dormiveglia, la testa confusa, le percezioni alterate.
Da quanto dormiva? Oppure era ancora sveglio? Stava vivendo un sogno? Se non era un sogno forse avrebbe dovuto domandarsi se fosse saggio toccare qualcosa lì dentro: era probabile che la puzza che continuava a percepire fosse sintomo di sporcizia e lui stava per essere infettato da qualcosa di sconosciuto, che si era sedimentato sulla superficie del tavolo da tempo immemore.
Bussarono alla porta e i due giovani volsero in simultanea lo sguardo in quella direzione, attratti dalla prima cosa fuori dallo schema che li aveva tenuti prigionieri fino a quel momento: i due poliziotti che si trovavano con loro, le domande, le pressioni, le risposte che avevano dato; il silenzio che proveniva da fuori e la puzza che riempiva la stanza.
Aprirono la porta e una donna di circa quarant'anni, dai tratti severi e i lunghi capelli biondi legati in una coda alta, si stagliò sulla soglia, vestita con un completo giacca e pantalone dall'aria austera, accompagnata da un uomo che sembrava appena più giovane di Ryan e Claud. Anche lui sfoggiava un completo simile a quello della collega e un'espressione impenetrabile che, in un primo momento, portarono l'ex modello, anche a causa della stanchezza, a pensare di vedere entrambi per la prima volta in vita sua.
Ma poi Claud si sentì come riemergere dallo stato confusionario in cui era finito nelle ultime ore e sgranò gli occhi, riconoscendo uno dei nuovi arrivati: Jade; dopotutto, raramente dimenticava il volto di un amante con cui aveva condiviso dei momenti piacevoli.
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