29
Anni prima.
Un pallone rotolava sul vialetto d'ingresso. Un tempo doveva essere stato di colore bianco, ma in quel momento appariva usurato e sfilacciato, addirittura abbastanza sgonfio da non rimbalzare più.
Pashkà, nonostante tutto, adorava quella stupida palla. Era il primo gioco che, in vita sua, stringeva tra le sue mani di ragazzino. Poco prima lo avevano obbligato a uscire fuori di casa perché Red aveva degli ospiti importanti e lui, gli ripetevano spesso, non era un bello spettacolo da vedere.
La ferita alla testa si era ormai rimarginata del tutto: un miracolato, lo avevano definito gli amici dottori di Red, perché la scheggia che lo aveva colpito non gli aveva procurato danni cerebrali, ma lasciato soltanto quella che sarebbe diventata una brutta cicatrice, addirittura più brutta di quella che gli attraversava un sopracciglio.
Mostriciattolo, pezzente. Erano i nomignoli che gli amici di Red gli avevano affibbiato, ma Pashkà non si lamentava: da quando stava con loro aveva quasi sempre la pancia piena e dormiva in un letto vero. Le persone che abitavano quella grande casa, in cui era stato accolto pochi mesi prima, per la maggior parte erano degli uomini che gli facevano un po' paura, ma tutto gli sembrava migliore rispetto ciò che era stata la sua vita fuori di lì.
Quasi tutti detestavano occuparsi del "randagio", come lo chiamavano di tanto in tanto, tutti tranne uno.
Pashkà recuperò la palla e sollevò gli occhi verso il giovane in questione. Non era molto più grande di lui, ma di certo andava in giro vestito meglio e Red non faceva nulla per nascondere agli altri che lui era il suo preferito.
-Roan, giochi con me?- gli chiese e l'altro si girò nella sua direzione. Era seduto sul basso muretto che costeggiava la tenuta dei Dervinshi. Indossava abiti bellissimi e puliti, appariva in ordine più di tutti quelli che vivevano lì dentro, elegante, ma il suo sguardo era sempre triste. Roan non rideva mai, neppure a lui, anche se più di una volta gli aveva confidato che lo rendeva sereno trascorrere il tempo in sua compagnia, lontano dai propri doveri di famiglia.
La prima volta che Pashkà aveva attraversato il basso cancello della tenuta dei Dervinshi si era domandato come mai anche lì, come intorno a tutte le case dei ricchi, non ci fosse del filo spinato oppure cocci rotti di bottiglie di vetro. L'uomo che lo aveva trascinato dentro aveva riso, in modo davvero spaventoso: -Nessuno osa mettere piede qui dentro senza che Red voglia", gli aveva risposto e, poco dopo, Pashkà aveva anche scoperto che nessuno poteva uscire da lì, se Red non voleva.
-Ora non mi va- gli aveva risposto Roan, tornando a fissare qualcosa che sembrava trovarsi dall'altro lato della strada. Nel frattempo un uomo uscì dalla villa e Pashkà, istintivamente, si scansò per non trovarsi sulla sua traiettoria. L'altro se ne accorse e gli strappò il pallone dalle mani, per poi spingerlo, facendolo cadere per terra.
-Hey!- sbottò Roan, andando loro incontro. -Lascialo stare! Fatti i cazzi tuoi, Boka!-
-E dai, Roan, stavamo solo giocando! Vero, pezzente?- ma Pashkà non gli rispose, percependo gli occhi riempirsi di lacrime. Roan si fece avanti, ponendosi tra lui e l'uomo, puntando un dito sotto al mento dell'altro. Era più basso e molto più giovane di Boka eppure non sembrava avere paura di lui.
-Non osare chiamarlo più così- sibilò, poi afferrò Pashkà per una mano, recuperò il pallone, e fece strada verso casa.
-Tuo fratello non ha finito... Hey! Roan! Non puoi entrare! Red non ce lo vuole in casa, quel coso!- urlò Boka, riferendosi al ragazzino. -Ne vale della sua immagine!-
-Io faccio quello che cazzo voglio- ribatté Roan, stringendo a se Pashkà e Boka alzò le mani, preferendo tacere che contraddire il fratello del suo capo.
Era una cosa che pure Pashkà, che era un ragazzino ignorante, aveva capito presto, una volta trasferitosi lì: mai mettersi contro Roan. Non perché Roan fosse un tipo che reagiva in modo violento alle provocazioni – Pashkà non lo aveva mai visto coinvolto nemmeno in una rissa, da quando viveva lì, ma Red sì e Red non permetteva a nessuno di toccare Roan.
-Ti infastidisce spesso?- gli chiese il giovane, quando furono fuori dalla portata d'orecchie di Boka, e Pashkà si limitò a stringersi nelle spalle. -Se lo fa ancora, dillo a me- aggiunse e poi si fermò al centro del corridoio, fissandolo dritto negli occhi. -Io ci sarò sempre per te, Pashkà. Non devi avere paura, finché io sarò al tuo fianco, non ti accadrà mai nulla di male-
•
Pashkà aprì gli occhi e tornò nel presente, mentre quel ricordo si dissolveva. Se non era morto, anni prima, non era di certo stato merito di Red. Roan aveva convinto il fratello a raccattare quel bambino, mezzo morto, dalla strada, curarlo, accoglierlo in casa. Roan lo aveva difeso dalle botte degli altri.
"E tu lo stai per tradire. Lo stai costringendo a tornare da Red e, come se non bastasse..." pensò e sollevò lo sguardo, fissando Claud, che subito chinò il capo, puntando gli occhi sul pavimento, "Stai per trascinare all'Inferno pure lui".
Si sentiva combattuto, ma sapeva di non avere alternative. Era stato chiaro con Red, era contrario a tutta quella storia, ma prima ancora che il suo capo fosse costretto a lasciare gli States, era stato lui stesso a proporsi al posto di Boka. Sperava di limitare i danni che quel bastardo avrebbe potuto fare. Pashkà, a differenza di Boka, teneva a Roan e sapeva che, anche lontano dalla supervisione di Red, non sarebbe mai stato in grado di torcere un capello al fratello del suo capo.
"Magari... è questo: con Blake al suo fianco, Roan sarà più felice di tornare?" si domandò. Deglutì sonoramente prima di spingersi a tornare a parlare.
-Baciami- disse, percependo l'acido tornare a serrargli la gola.
Quell'unica parola si propogò all'interno della stanza come una calda carezza. L'assenza di luce, l'intimità del momento, suscitarono in Claud un brivido profondo, anche se non avrebbe saputo definire se ciò che aveva provato fosse piacevole o meno. Di certo gli aveva scaturito un'intensa emozione, ma così carica di contrastanti vibrazioni da non riuscire a comprenderla fino in fondo.
-Adesso non mi va- rispose e iniziò a rigirarsi una ciocca di capelli tra le dita, assumendo quel suo solito atteggiamento strafottente, che lasciava intendere quanto ogni cosa potesse assumere un valore maggiore rispetto quello che stava accadendo.
Almeno, questo era ciò che voleva dare a intendere, mentre nella sua mente cercava ancora di scoprire quale forma avessero assunto i suoi pensieri.
Non aveva alcuna intenzione di baciare Pashkà, lo disgustava l'ipotesi di sfiorare le sue labbra, e in quel momento comprese che era l'alcol a sfalsare le sue emozioni. Fissò la bottiglia che reggeva in una mano e la posò sul bancone della cucina, allontanandola da sé.
Tuttavia, i maldestri tentativi di seduzione di Pashkà iniziavano a incuriosirlo: "Magari potrei sfruttarli a mio vantaggio" si disse, sforzandosi di ricacciare indietro la paura.
Comportarsi come uno stronzo menefreghista era un modo, buono come un altro, che il giovane utilizzava spesso per mantenere le distanze da chi gli era fisicamente vicino, per far sì che non si creasse nessuna tensione anche a livello emotivo. Tuttavia ebbe la spiacevole sensazione che quella volta i suoi intenti stessero fallendo miseramente, proprio per via del fatto che non si trovava a suo agio a flirtare con lui, e l'altro lo fissò in un modo che lasciava intendere che no, non aveva alcuna intenzione di farsi abbindolare dalla sua ostentata indifferenza.
Forse aveva intuito le sue reali intenzioni?
-Sto solo accettando la tua proposta di poco fa- ribatté Pashkà e Claud sospirò, per poi incrociare le braccia sul petto. Prese posto su uno degli sgabelli che si trovavano a ridosso del tavolino da colazione, continuando a porre una certa distanza dal suo ospite, che invece sedeva ancora sul divano.
La luce della luna, accompagnata da quelle artificiali che appesantivano il cielo notturno di Los Angeles di colori rossastri, filtrava dalle ampie finestre che si aprivano nella parete alle spalle della zona riservata al salotto, illuminando il profilo del suo giovane ospite, riempiendo i suoi capelli di infiniti riflessi oro, rame, rossi. Nell'insieme della sua persona Pashkà appariva affascinante, ma restava un mostro da cui Claud sapeva di dovere scappare, in qualche modo.
-È passato troppo tempo. Ormai è scaduta- ribatté l'ex modello, stringendosi nelle spalle, continuando a mostrarsi indifferente, come se quella piccola discussione non suscitasse in lui alcuna emozione, tentando di applicare con l'altro la stessa tattica che ogni tanto aveva usato in passato, mostrandosi restio a lasciarsi andare, nella speranza che fosse l'oggetto delle sue attenzioni a compiere il primo passo.
Non era esattamente quello il caso e in quel momento si pentì di averlo invitato in casa sua, soprattutto quando sapeva che Jeffrey sarebbe potuto arrivare da un momento all'altro.
Aveva lottato tanto per tenere l'amico lontano da tutto quello, eppure, in quel preciso istante, comprese di avere commesso un errore madornale e un nuovo pensiero gli riempì la mente, facendolo raggelare di paura.
"Se Jeffrey arrivasse adesso... Pashkà lo ucciderebbe?" si chiese in preda al terrore e si trovò a scuotere la testa, "Non posso" si disse, rendendosi conto che quello non poteva diventare uno dei suoi soliti giochetti, e Dervishi, di certo, non lo avrebbe mai perdonato se si fosse azzardato a sfiorare suo "fratello": sapeva che l'uomo non avrebbe mai accettato una relazione di quel tipo per uno dei suoi uomini, anche se era stato Pashkà a dare il via a quello strano corteggiamento.
"Non posso" si ripeté, consapevole che non sarebbe stato in grado di ricambiare le avances dell'altro, reali o finte che fossero, neanche ponendosi lo scopo di ribaltare la situazione, di porlo in suo pugno ricattandolo con l'intenzione di svelare a Dervinshi della piega che aveva preso il loro rapporto, "È pure possibile che Pashkà si stia comportando così istigato dal suo capo e io potrei finire per complicare ancora di più la mia situazione e quella di Ryan".
Nonostante quello che si ripeteva per darsi forza e sostenere lo sguardo diretto dell'altro – che restava immobile, in paziente attesa, seduto poco distante da lui – anche un soffio era in grado di suscitare brividi devastanti, soprattutto quando ci si trova con la pelle – il cuore – scoperta e umida – vulnerabile.
Ed era esattamente quello il caso di Claud: "Non ci sono in gioco solo io. Devo proteggere Ryan e gli altri. Non posso permettermi di rischiare e sbagliare ancora".
Pashkà si alzò dal divano, andandogli incontro, fermandosi tra le sue gambe, stanco di aspettare una risposta, decidendo di agire, e gli poggiò le mani sulle ginocchia. Era contento di vedere che i suoi tentativi sembravano stare dando dei frutti, ma la nausea non si era dissolta e l'uomo voleva porre fine a quella storia prima di vomitare.
-Allora ti bacerò io- sussurrò sulle sue labbra e Claud si irrigidì e corse con una mano a rigirarsi una ciocca dei suoi riccioli biondi tra le dita, assumendo un atteggiamento ostile. Il suo sgradito ospite si intromise in quel suo tic nervoso e iniziò ad accompagnare i movimenti della sua mano, lasciandosi scorrere i sottili fili serici dei capelli contro il palmo.
-E se mi rifiutassi? Se ti dicessi che non mi va?- gli chiese, con il panico a serrargli la gola, percependo una paura sempre più profonda, mano a mano che quella situazione sembrava farsi oltremodo pericolosa. "Se cedessi, Dervishi mi ammazzerebbe... anzi no. È probabile che sia proprio questo il suo scopo: in ogni caso, qualsiasi scelta farò, è probabile che abbia già deciso e io sono un uomo morto che conta i suoi ultimi respiri".
-Saresti un bugiardo- fu la risposta che ricevette.
Claud spalancò appena gli occhi, ma tentò disperatamente di non fare trapelare in nessun altro modo le proprie emozioni: come poteva davvero credere che avesse intenzione di baciarlo? Pashkà pensava sul serio di essere riuscito a sedurlo in così poco tempo e dopo averlo minacciato di morte innumerevoli volte?
Tuttavia, si era già scoperto fin troppo e quella situazione lo mandava fuori di testa; non voleva che l'altro prendesse potere su quel loro giochetto.
-È te che non voglio baciare- disse, accompagnando quelle sue parole con un sorrisino sadico, anche se dentro di sé sapeva che stava mentendo; si sentiva morire anche solo perché sapeva di stare dando corda al suo ipotetico assassino.
Pashkà fece scorrere le mani sulle sue cosce, sulla stoffa dei pantaloni di pelle che indossava, morbida sotto le mani, sino ad arrivare al suo inguine. Indulgiò qualche secondo e poi salì verso l'alto, accarezzandogli i fianchi, il petto, fino a quando non si trovò sulle sue spalle. Deglutì sonoramente, ricacciando indietro l'acido, di nuovo, e si protese verso di lui; gli sfiorò le labbra con le proprie... esattamente ciò che Claud aveva tentato di evitare, ma da cui, alla fine, non era riuscito a scappare.
-Bugiardo- ripeté Pashkà, disgustato e sul procinto di vomitare. Si scostò da lui in modo brusco e corse via verso l'uscita dell'appartamento, scomparendo in un battito di ciglia.
"Crede davvero di avermi conquistato", pensò Claud, frastornato e senza fiato per l'inaspettata messa in scena dell'altro, e prese in considerazione l'ipotesi di inseguirlo fuori da lì.
"Perché dovrei?" si domandò e il fatto che non fosse in grado di rispondersi lo infastidiva, "Lo sai perché" si lasciò sfuggire tra i pensieri e sussultò, cercando di ricacciare indietro quell'agghiacciante ipotesi: "Non posso! Non posso fingere fino a questo punto... capirebbe subito che mento nel disperato tentativo di salvarmi la vita, di tenermelo buono. Però... Ryan ha bisogno di me".
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