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Se c'era una cosa che Pashkà detestava in modo viscerale era quella di dovere passare ore del proprio tempo coinvolto in un appostamento.

"Sono tante le cose che odi" si ammonì sbuffando e gettò il proprio cellulare sul sedile del passeggero, interrompendo lo stupido giochino di cui stava tentando di superare un livello più rognoso degli altri, senza successo. Gettò la cicca consumata di una sigaretta fuori dal finestrino, tirò giù il sedile dal lato del guidatore e si distese; incrociò le braccia dietro la testa e iniziò a fissare il tettuccio della propria auto.

Da quando aveva iniziato a stanziare lì, i portieri dei palazzi che si affacciavano sulla strada erano arrivati a bussare contro i finestrini della sua auto almeno una ventina di volte. Li aveva rassicurati dicendo loro che: "no, non era un senzatetto"; "no, non aveva intenzione di sporcare il buon nome della loro bella strada di ricconi" e "no, non aveva cattive intenzioni".

Nel ripensare quell'ultima bugia che aveva rifilato loro, si trovò a ridere aspramente e scosse la testa.

"L'importante è che alla fine mi hanno lasciato in pace" si disse e c'era riuscito dichiarando loro di essere lì nel tentativo di farsi perdonare dal suo amore, al seguito di una lite. Sul momento l'aveva trovata una scusa alquanto ridicola, ma aveva sortito l'effetto che aveva sperato e la gente aveva iniziato a ignorarlo.

"Peccato che c'è chi mi sta ignorando troppo". Si sentiva frustrato e infastidito da quella situazione: non comprendeva perché Red si fosse ostinato tanto con quella storia, "Non può essere solo una questione di soldi. Davvero ha bisogno di arrotondare con quelli che ne prenderebbe da quell'idiota se iniziasse a prostituirsi sotto la nostra famiglia?" scosse ancora la testa, "Credevo che non volesse avere a che fare con le puttane e i froci. È una vergogna! Ma manda me qui a cercare di convincerlo a seguirci... che assurdità".

-È questo il motivo per cui il capo sono io, fratello. Tu sei troppo coglione. Non vedi oltre- gli aveva detto Red quando Pashkà aveva messo in chiaro le proprie contrarietà all'idea di trascinare Blake nella famiglia, mentre Boka se la rideva di nascosto, schernendolo.

Pashkà percepì una rabbia improvvisa scaldargli il collo, le guance, i lobi delle orecchie, esplodendogli in un martellante mal di testa. Si tirò a sedere e premette due dita sulle tempie, mentre la cicatrice che gli attraversava la parte posteriore del cranio, nascosta alla vista dai capelli, sembrava accumulare troppo sangue, pulsandogli dolorosamente.

Bussarono contro un finestrino e dovette trattenersi dall'estrarre la pistola e sparare a colui che lo aveva importunato. Tuttavia, non si trattava del solito portiere che tentava di assicurare il decoro della strada, ma proprio della fonte di tutti i problemi che lo stavano mandando fuori di testa in quel periodo: Claud Blake.

Abbassò il finestrino dal lato del passeggero, dato che il giovane si trovava sul marciapiede, e si sporse sui sedili.

-Che vuoi?- gli domandò, ma poi ci ripensò e si schiarì la gola. -Passeggiatina notturna? Sei venuto a chiedermi compagnia?- aggiunse, cercando di apparire disponibile, anche se non poté fare nulla per impedire alla solita nausea di tornare a serrargli la gola. Detestava quel gioco.
-Non puoi lasciarmi in pace per un po'?- ribatté Claud. -La gente inizia a spazientirsi! La prossima volta manderanno la polizia, non i portieri... è questo che vuoi?- gli chiese nella speranza che Pashkà decidesse di allontanarsi da lì prima dell'arrivo di Jeffrey.

L'uomo, tuttavia, sembrò non gradire quell'ammonimento. Scese dall'auto e come una furia fece il giro del mezzo, raggiungendolo. Gli si piantò davanti, a meno di un passo, la braccia rigide lungo i fianchi, le mani strette a pugno e uno sguardo inequivocabile, saturo di rabbia.

Claud deglutì e distolse gli occhi da lui e non si accorse della battaglia emotiva che si fece palese sul volto dell'altro, mentre cercava di calmarsi. Pashkà lo spinse, ponendolo con le spalle contro la vettura, bloccandogli ogni tentativo di fuga con il proprio corpo. L'ex modello si irrigidì nel percepire un ginocchio dell'altro sfiorargli l'interno coscia, trovandosi a un palmo dal suo viso.

"Perché si sta comportando così?" si chiese in preda al panico, guardandosi intorno, ma era una serata tranquilla di un qualsiasi giorno infransettimale, e anche se aprile li aveva pure lasciati e il caldo aveva iniziato a farsi già insopportabile durante le ore di punta del giorno, la città sembrava ancora non essersi risvegliata del tutto. Oppure era Claud a sentirsi tanto confuso e spaventato da non riuscire più a godere delle piccolezze del quotidiano? Lui che amava il mare, il sole, il caldo californiano, la bella stagione – di cui, in quei giorni, si manifestavano già tutti i pregi – eppure non riusciva a trovare gioia in tutto quello, anzi, un freddo, che nulla aveva a che vedere con il clima, gli gelava il petto, penetrando fin dentro le ossa.

Pashkà gli posò entrambe le mani sulle spalle, con fare impacciato e gli sorrise non proprio felice.

-Se stai cercando un po' di compagnia, puoi condividere il tuo tempo con me- gli disse e Claud aggrottò la fronte, percependo l'orecchio, in cui l'uomo gli aveva sussurrato quelle parole, bruciargli per la tensione.
-Non credevo che gradissi la compagnia degli uomini- mormorò, sollevando lo sguardo su di lui. Pashkà si umettò le labbra, contrasse la propria espressione per un attimo; sembrava impegnato in una lotta emotiva di proporzioni epiche.
-Sono tante le cose che non sai di me- ribatté, scendendo ad accarezzargli a il petto.

Claud rabbrividì. Se non fosse stato certo che l'altro era armato e che avrebbe potuto rispondere alle sue parole con un colpo di pistola, avrebbe di sicuro già posto fine a quello scambio di battute ambigue, zittendolo con una delle sue solite frecciatine da stronzo.

-Quindi... adesso che ti piacciono gli uomini, perché non mi baci?- lo provocò, nella speranza che fosse Pashkà a porre fine a quel loro giochetto. L'uomo ritrasse subito le mani dal corpo dell'altro, reagendo come se si fosse scottato, e le nascose dentro le tasche dei jeans che indossava, allontanandosi di un passo.

Claud tirò un sospiro di sollievo e si guardò intorno, notando che la strada era meno deserta di quanto gli fosse apparsa poco prima, quando la propria attenzione era del tutto rivolta al suo stalker. C'erano diversi passanti, un portiere presiedeva l'uscio di un palazzo a pochi passi da loro.

"E se qualcuno ci avesse sentito?" si domandò in preda al panico, ripensando con accuratezza tutto quello che si erano detti fino a un istante prima. Tuttavia, Pashkà grugnì frustato e tornò sui propri passi, afferrandolo per il collo della maglia che il giovane indossava, strattonandolo verso di sé.

Claud batté i denti, non aspettandosi una reazione di quel tipo, e gli afferrò con fare istintivo i polsi, nel disperato tentativo di scrollarselo di dosso.

-Che diavolo ti prende?- tuonò e l'altro lo strattonò abbastanza da sformargli il collo della maglia.
-Sono stanco di perdere tempo con te- sibilò Pashkà, a un palmo dal suo viso, e Claud si sentì impallidire, mentre il sangue pareva gelarglisi nelle vene.

Con la coda dell'occhio notò un movimento alla propria sinistra, qualcuno che si avvicinava a loro, e la voce di una donna che inveiva contro qualcun altro, esortandolo a intervenire per separare "quei due".

"Troppe persone. Troppe persone!" si ripeté il giovane, in preda al panico, mentre l'altro schiacciava il bacino contro il suo e Claud rabbrividì nel percepire la pistola dell'uomo attraverso i vestiti che la celavano alla vista.

-Tutto bene, signori?- chiesero e Pashkà allentò la presa su di lui per voltarsi in direzione di colui che aveva parlato. Claud lo afferrò per le spalle e lo abbracciò, impedendogli di muoversi.
-Continuiamo questa discussione in casa mia, per favore... non fare del male a questa gente- sussurrò con voce rotta, trattenendo a stento le lacrime, spaventato dalla possibilità che qualcun altro potesse rimetterci la vita per colpa sua.

-Un litigio tra innamorati- disse Pashkà ad alta voce, dandogli una pacca su una spalla e sciogliendo il loro abbraccio. Lo prese per mano e si allontanarono da lì, dirigendosi verso il palazzo in cui si trovava l'appartamento di Claud. Il giovane non ebbe il coraggio di sollevare lo sguardo da terra, timoroso di lasciare trapelare la propria paura attraverso l'espressione del viso, con il rischio che qualcun altro finisse per sentirsi in dovere di porsi tra di loro.

Seguì Pashkà con fare docile fin dentro l'ascensore, dove l'uomo, finalmente, si decise a lasciare andare la sua mano e incrociò le braccia sul petto. Claud sollevò lo sguardo da terra, guardandolo di sbieco. Pashkà stava rigido al suo fianco, i lineamenti del volto contratti, la muscolatura di spalle e braccia visibilmente tesa. Una vena pulsava sulla sua guancia sinistra e il suo sguardo era rivolto verso un punto imprecisato dinanzi a sé.

"Come ho potuto convincermi a stringere un patto con loro? Come ho potuto essere così stupido e superficiale da immischiarmi con degli assassini, per fare soldi?"

Le porte dell'ascensore si aprirono e Pashkà ebbe un attimo di esitazione nel trovarsi all'interno dell'appartamento, completamente al buio. Claud si mosse con facilità nell'oscurità dell'ambiente  e si limitò ad aprire le tende e ad alzare le veneziane, lasciando che la luce artificiale che illuminava la città a giorno, anche di notte, rischiarasse la stanza.

-Perché sei qui?- si azzardò a chiedergli Claud e l'altro sbuffò, andandosi a sedere sul divano.
-Mi hai invitato tu a salire- ribatté Pashkà con fare sprezzante.
-Intendo dire: perché ti sei appostato sotto casa mia? Abbiamo un patto e ho intenzione di onorarlo...-
-Cazzate- lo interruppe il suo sgradito ospite. -Ti ho seguito pure alla casa del tuo amico, dove si è nascosto Roan. Ti ho visto uscire da lì che sembravi pronto a farci la guerra-

Claud deglutì sonoramente e si affrettò a raggiungere l'angolo della cucina. Aprì il mobile vicino al frigorifero e ne tirò fuori una bottiglia di vino. Rimosse il tappo e bevve una lunga sorsata, nella speranza che l'alcol lo aiutasse a dimenticare la situazione in cui si trovava. Ovviamente ubriacarsi non lo avrebbe aiutato a cancellare i suoi guai e questo lo sapeva, ma sperava altresì di potersi aggrappare all'illusione di riuscire a perdere la memoria, magari, dimenticando gli ultimi nove mesi della propria vita finendo in coma etilico.

-Non offri nulla al tuo ospite?- grugnì Pashkà, sporgendosi in avanti, finendo per nascondere la testa tra le ginocchia, piegandosi così tanto da percepire il calcio della pistola conficcarsi nel basso ventre. Gli veniva da vomitare. Se ripensava a quello che aveva rischiato poco prima, per strada, percepiva l'acido salirgli in gola.

Aveva ragione Claud: non gli piacevano gli uomini. Lo disgustava l'idea di due uomini che avevano rapporti così solo come era giusto che fosse tra un uomo e una donna.

Era quello il motivo per cui la nausea non lo riusciva ad abbandonare. Era arrivata come un pugno allo stomaco, il giorno prima che Red e gli altri lasciassero gli States, facendo sì che a New York e Los Angeles restassero solo gli uomini della famiglia che da soli erano in grado di arrangiarsi, ma che, se fossero finiti dietro le sbarre, non averli più a portata di mano tra le sue file di adepti non avrebbe causato problemi a Red.

Pashkà era consapevole di essere una pedina priva di valore per Red. Lo chiamava "fratello", così come faceva anche con gli altri della famiglia, ma non considerava nessuno per davvero come tale. Neanche Boka, per quanto fosse prezioso e spietato e apprezzato dal loro capo. Per Red ognuno di loro era sacrificabile e, paradossalmente, era esattamente quella sua crudeltà, quella sua totale mancanza di valore per la vita umana altrui ad averlo reso il capo a cui tutti loro erano devoti. Era il primo a sporcarsi le mani, il primo ad agire anche contro la propria famiglia, pur di salvarne l'onore.

Così come aveva fatto saltare in aria il loro covo a New York, prima di lasciare gli States, durante la retata della polizia, senza curarsi di chi, tra i suoi uomini, era rimasto indietro.

-Di randagi ne raccolgo dalla strada a decine- ripeteva spesso, riferendosi a tutti loro. -La famiglia deve essere tutelata e protetta anche dalle teste di cazzo che si muovono al suo interno. Se un braccio diventa infetto, lo si taglia, non si aspetta che l'infenzione arrivi al resto del corpo-

"Un randagio... come me" si disse Pashkà, trattenendo a stento l'ennesimo conato di vomito al pensiero di dovere sedurre Claud Blake. Red lo aveva raccattato dalla strada, tra gli orrori e la fame di Tropoja, una mattina di diversi anni prima, dopo lo scoppio di alcune bombe indirizzate alla sede dello Shish*. Gli aveva salvato la vita, ma a che prezzo se non poteva neanche essere libero di essere se stesso? Di avere un pensiero proprio, di dire "no" senza aspettarsi di rimando un colpo di pistola in fronte?

"Roan..." sussurrò nella propria mente, piano, con un pizzico di tristezza, ma represse subito quella vocina che, dentro la testa, da troppo tempo ormai, gli sussurrava insidiosa: "Scappa".

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* Prende ispirazione da fatti realmente accaduti.

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