23

"Traditore" era una parola che Claud aveva cominciato a ripetersi spesso, in quei giorni.

Gli bastava trovarsi protagonista di una gentilezza da parte di Jeffrey, Keith o Amber, per sentirsi in colpa al pensiero che sarebbe potuto accadere loro qualcosa a causa sua, mentre continuava a tacere sulla situazione che li vedeva coinvolti a loro insaputa.

Nel frattempo, Claud cercava di mettere le cose al loro "posto": fece di tutto per dimostrarsi più affettuoso con Jeffrey; andava a trovare sua madre quasi tutti i giorni, anche se aveva deciso di lasciarla a Palm Springs, sotto suggerimento delle persone che se ne prendevano cura e che credevano non le avrebbe fatto bene venire sradicata di colpo da quella che era diventata, da anni, la sua casa.

Smise di comportarsi in modo molesto con Ryan e Daniel e cercò di mostrarsi tranquillo persino con Keith, tanto che pure Evan iniziò a rivolgergli la parola, di tanto in tanto, senza riempire le sue frasi soltanto con minacce.

Con Daniel fu abbastanza facile farsi "perdonare". Certo, temeva di avere esagerato rivelando a Jeffrey dei sentimenti che il giovane nutriva per lui, ma Daniel non sapeva che i gesti del suo amante erano diventati più romantici e gentili per "colpa" sua.

Quel giorno Daniel giunse al Seraphim poco prima dell'apertura, per portare dei documenti a Keith in vista dell'anniversario del locale. Il giovane sembrò trascinarsi dietro, al suo ingresso, una ventata d'aria fresca. I presenti si voltarono a guardarlo, sorrideva, pareva che con lui fosse entrata la primavera. Era evidentemente felice e tutti se ne accorsero. Claud gli andò subito incontro, intercettandolo prima che iniziasse a salire la scala che conduceva al piano superiore, dove si trovava l'ufficio di Keith.

-Ma guarda qui che delizioso bocconcino!- esclamò e l'altro aggrottò la fronte, senza, tuttavia, perdere il proprio buonumore.
-Ciao... Claud-
-Uhm... sei proprio delizioso, stasera. Non vuoi svelarmi il tuo segreto?- gli domandò e l'altro reclinò il capo da un lato.
-Lo sai... il mio... segreto- sussurrò Daniel. L'ex modello annuì e iniziò a rigirarsi una ciocca di capelli tra le dita, con aria assente.

-Novità in Paradiso?- gli chiese, impedendogli ancora una volta di superarlo per recarsi di sopra. Daniel sospirò e si batté la cartellina che stringeva in una mano su un fianco.
-Non... è un... Paradiso. Più... un Purgatorio. Ma va... bene così-
-Sul serio?- lo incalzò Claud, poco soddisfatto da quella risposta. -Jeffrey non ti ha ancora detto che ti ama?-

Daniel sgranò gli occhi, arrossì e si guardò intorno, notando subito l'atteggiamento ambiguo di Amber e un paio di serafini che si trovavano al bar. Stavano in silenzio, con gli occhi bassi, la prima a pulire con ostentata devozione il bancone, gli altri due a trafficare con i propri cellulari. Tuttavia la tensione muscolare che li teneva rigidi non mentiva: stavano origliando la loro conversazione. Il giovane sospirò, ma lasciò correre.

Già da un po' aveva notato il silenzio improvviso che accompagnava i suoi passi nel momento in cui metteva piede in agenzia. Gli sguardi in tralice, le chiacchiere sussurrate nel tentativo di non farsi udire da lui. Persino al Seraphim, dove aveva iniziato a recarsi più spesso in quel periodo per organizzare la festa del primo anniversario del locale insieme a Keith, gli sguardi di coloro che vi lavoravano si erano fatti curiosi e lunghi nei suoi confronti.

"Probabilmente si domandano se davvero sono l'amante di Jeffrey. E, soprattutto, come abbia potuto Jeffrey accontentarsi di uno come me dopo essere stato innamorato di Keith e Theo, dopo avere avuto per amanti bellezze come Claud". Nonostate tutto, quei pensieri non lo intristivano affatto; era così felice della piega che aveva preso la sua vita sentimentale, da fargli sembrare che niente fosse capace di guastargli l'umore.

Alla fine, rise.

-Certo... no!- disse, rispondendo alla domanda di Claud dopo averlo lasciato tanto a lungo in sospeso da far credere all'altro di essere stato ignorato. -Non... mi ama... credo. Non so. Sono felice... quindi okay-
-E ti sta davvero bene?- chiese Claud, stupito e il sorriso di Daniel si allargò.
-Finché lui... vuole, il mio... amore basta... per tutti e due- sussurrò il giovane, mentre la sua espressione si faceva più dolce. Poi, finalmente, lasciando l'altro stupito, riuscì a superarlo e a recarsi al piano di sopra.

Claud si trovò addosso lo sguardo trionfale di Amber, che lo fissava da lontano, soddisfatta, con i gomiti poggiati sul bancone.

Il giovane incrociò le braccia sul petto e sollevò il mento, assumendo un'espressione di sfida.

-Ne uscirà con il cuore a pezzi- disse e l'altra scosse la testa, preparandosi al lavoro che l'attendeva nel notare il primo cliente entrare nel locale.
-Un amore tanto grande... io credo che, alla fine, non si possa fare a meno di ricambiarlo- disse, prima di voltargli le spalle, ma Claud non la stava già ascoltando più: aveva riconosciuto l'uomo che aveva varcato la soglia del Seraphim e un brivido gelido gli corse lungo la schiena, lasciandolo senza fiato.

-Buonasera- disse uno dei suoi colleghi, andandogli incontro, ma Claud affrettò il passo e afferrò il giovane per una spalla.
-Lascia stare, Will, ci penso io. È mio un affezionato cliente- disse, ma parlò tanto velocemente che a stento l'altro lo comprese e gli rivolse un'occhiataccia.

Pashkà rivolse un cenno del capo in direzione di Will e porse un braccio a Claud, che il serafino si costrinse a stringere, muovendosi in direzione dei salottini, prendendo posto in uno di quelli che si trovavano più in fondo alla sala. Camminare a braccetto con Pashkà rese Claud rigido. Percepiva con chiarezza il cuore battergli a un ritmo impossibile; non riusciva a respirare e si accorse di avere mantenuto gli occhi spalancati per un tempo indefinito, senza mai battere le palpebre, con il terrore che all'altro sarebbe bastata la frazione di un secondo, che lui chiudesse gli occhi per un solo istante, per uccidere tutti quelli che si trovavano lì.

Deglutì sonoramente e si sedette al suo fianco su un divanetto. Pashkà gli passò un braccio intorno alle spalle e fece sì che le loro gambe aderissero alla perfezione per un intero lato. Si chinò su di lui e gli baciò i capelli.

-Tranquillo. Respira. Sono solo passato a vedere come stai- sussurrò in un suo orecchio e Claud rabbrividì. Si impose di riappropriarsi della propria calma e tentò persino di stamparsi in viso un bel sorriso, prima di scostarsi un po' da lui.
-Non esagerare con le effusioni. Qui certe cose non sono permesse- mormorò, anche se il suo stesso tono di voce gli apparve meno sicuro di quanto le sue parole volevano dimostrare che fosse.

-Meglio per me- ribatté Pashkà. -E quindi? Come funziona?-
Claud si schiarì la gola e si umettò le labbra. Rivolse un breve sguardo intorno a sé, ma sembrava che nessuno si fosse accorto della stranezza di quell'incontro. Pashkà gli afferrò il mento, con una delicatezza inaspettata, costringendolo a ricambiare il suo sguardo. -Allora?- soffiò sulle sue labbra e il giovane si trovò a rabbrividire ancora nel percepire il suo odore: era diverso dal solito.

-Non è permesso mettere le mani addosso ai ragazzi... in nessun senso. Niente baci né carezze troppo intime. Noi teniamo compagnia ai clienti. Possiamo parlare di tutto ciò che il cliente desidera, bere con loro. Accompagnarli a eventi fuori di qui. Ma ogni altra cosa non è tollerata-
-E c'è davvero gente che vi paga per guardarvi tutti vestiti?- domandò Pashkà, incredulo.

Claud si concesse qualche secondo per riordinare le idee. Era strano avere l'uomo lì, con lui, soprattutto perché davvero, fino a pochi minuti prima, aveva creduto di essere fuori dal suo controllo stando dentro al locale. Invece Pashkà aveva messo da parte il proprio disgusto per il loro ambiente ed era entrato, spacciandosi per un cliente.

Non aveva nulla di estremamente diverso dal solito: i suoi capelli erano sempre scompigliati, la barba incolta, lo sguardo severo. Una cicatrice gli apriva in due il sopracciglio destro. Indossava una t-shirt a maniche corte, che lasciava in bella vista i tatuaggi che gli ricoprivano la pelle di entrambe le braccia, e degli anonimi jeans. Aveva iniziato a fare caldo a Los Angeles, anche la sera, ma soltanto da un paio di giorni e, mentre i losagelini andavano in giro portandosi dietro ancora almeno una giacca, Pashkà era già in tenuta estiva, nonostante mancassero più di due mesi all'inizio della bella stagione.

-Ci sono tante persone sole. A volte, quello di cui si ha bisogno, è soltanto qualcuno che sia disposto ad ascoltare. Se poi è di bella presenza, intelligente e ti tiene compagnia in un posto raffinato come questo, il successo è assicurato-
-Mah- fece Pashkà lasciandolo andare e aprì le braccia sullo schienale del divanetto, finendo per accarezzare con le dita una spalla del giovane. Claud trasalì e si girò per accettarsi che la mano che lo stava accarezzando attraverso i vestiti fosse proprio la sua. -Questo lo posso fare, sì?- gli domandò e il giovane tornò a guardarlo in viso.

"Dove vuole arrivare? Perché si sta comportando così?" si domandò, ma poi vide Pashkà sorridere e fu agghiacciante constare che era la prima volta in assoluto che lo vedeva sorridere. Senza contare quanto gli risultò terrificante intravedere un'espressione di quel tipo sul suo viso. Claud strinse le mani con forza, conficcandosi le unghie nei palmi, e seguì lo sguardo dell'altro, che fissava un punto imprecisato al centro della sala.

-Ryan- mormorò l'ex modello, individuando subito il collega, a pochi passi da loro, pallido come un cencio, intento a fissarli come se fossero la reincarnazione di una coppia di demoni. Pashkà si sporse verso Claud, gli diede un bacio su una guancia, e si alzò dal divanetto. Mise le mani nelle tasche dei jeans e iniziò a muoversi con estrema lentezza in direzione dell'uscita. Quando si fermò al fianco di Ryan, Claud scattò in piedi e l'altro gli rivolse uno sguardo in tralice, mentre accostava le labbra a un orecchio del serafino.

-Ti trovo bene, Roan- sussurrò nella loro lingua madre e Ryan tremò con una tale violenza che il collega temette stesse per svenire da un momento all'altro, ma Pashkà non aggiunse altro e proseguì verso l'uscita, lasciando a Claud l'arduo compito di continuare quella discussione.

Tuttavia, di tutte le reazioni che il giovane aveva preventivato – urla, svenimenti, fughe, scenate e accuse di vario tipo – non se ne manifestò nemmeno una. Ryan abbassò lo sguardo al pavimento, gli volse le spalle, dirigendosi negli spogliatoi, ma ostentando movimenti tranquilli e misurati che misero maggiormente in allarme l'altro. A un passo dalla porta che introduceva nella stanza, infatti, il giovane iniziò a correre e Claud si affrettò a raggiungerlo.

Fuori dalla portata d'occhi di colleghi e amici, Claud afferrò l'altro per un braccio e Ryan si lasciò andare a una delle tante reazioni che il giovane aveva sospettato potesse manifestare, infatti urlò, respingendolo con forza. Claud percepì un certo trambusto provenire dall'esterno e si mosse velocemente per chiudere l'ingresso degli spogliatoi a chiave, per impedire ad altri di entrare.

Quando tornò a girarsi verso Ryan lo trovò sul pavimento, la testa tra le mani, sopraffatto da un pianto disperato.

-Hey, hey...- mormorò Claud, avvicinandoglisi protendendo le mani nella sua direzione, con i palmi aperti e bene in vista.
-Non ti avvicinare!- urlò Ryan, in preda al panico. -Stammi lontano! Non mi toccare!-
-Se continui così, arriveranno presto a sfondare la porta, credendo che ti sto facendo del male...-

A quelle parole, Ryan sollevò lo sguardo su di lui. Era stravolto e sembrava che la ragione avesse ceduto il passo al vuoto assoluto: era così spaventato che i suoi occhi apparivano privi di vita. Annuì in modo convulso e iniziò a strapparsi i capelli. Claud lo afferrò per le spalle e lo scrollò un po', cercando di aiutarlo a tornare in sé.

-Sì, sì...- balbettò Ryan, battendo i denti, e l'altro smise di scuoterlo, timoroso che finisse per mordersi la lingua. -Fammi del male... ammazzami. Ti prego ammazzami! Io non ho il coraggio...- e si sollevò sulle ginocchia, stringendogli le braccia con forza, mentre gli occhi tornavano a riempirglisi di lacrime. -Ti prego, Claud, ammazzami, ma... non permettergli di portarmi via vivo. Non importa... non so perché era qui con te. Non dirò niente, lo giuro, ma tu ammazzami e...-
-Ryan!- lo interruppe Claud, urlando per farsi udire e proprio in quel momento iniziarono a bussare alla porta, e la voce di Keith giunse fino a loro, intimandogli di aprire.

-Non lo dire a nessuno...! A nessuno! ... nessuno!- lo implorò Ryan, conficcandogli le dita nella carne, fino a fargli male.
Claud si sentì travolgere dal senso di colpa al pensiero di avere riportato Red e i suoi uomini nella vita di Ryan, soltanto perché aveva preferito imboccare la strada che, mesi prima, gli era sembrata più veloce, quella che lo avrebbe aiutato a racimolare denaro in minor tempo.

"E a che prezzo... mio Dio, cosa ho fatto..." pensò con profondo rammarico, mentre l'altro continuava a fissarlo con i suoi occhi scuri, colmi di terrore.

Claud deglutì, ignorò il bussare di Keith che si era fatto più insistente, e con delicatezza abbracciò Ryan, mentre un singhiozzo sfuggiva dalle labbra del giovane.

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