12

Dopo avere effettuato il check-out, Claud recuperò le sue cose e si avviò fuori dall'albergo. Quella mattina era tornato a fare visita alla madre, promettendole che si sarebbe recato a trovarla ancora il weekend successivo. Lei gli aveva sorriso e battuto le mani tra di loro, in un piccolo applauso, entusiasta, prima che il suo sguardo si facesse vuoto e spento. Nonostante tutto, Claud si assicurò che l'immagine della sua mamma, colma di gioia all'idea di rivederlo, gli si incidesse nella mente, per accompagnarlo durante la strada di ritorno a Los Angeles.

Tuttavia, i suoi buoni propositi si spensero presto, così come il suo ritrovato buon umore, nel momento in cui si fermò davanti l'auto che aveva preso a noleggio, e che aveva lasciato per strada per evitare di pagare il supplemento per il parcheggio dell'albergo.

Qualcuno aveva pensato bene di tagliargli tutte e quattro le ruote della macchina.

Claud lasciò cadere il borsone sul marciapiede e grugnì frustato, incominciando a girare intorno alla vettura, per sincerarsi dei danni che qualche idiota gli aveva causato.

Sembrava che nessuno avesse aperto l'auto, ma il giovane stentava a credere che fosse opera di un ladro. Pareva più che lo avessero colpito in modo mirato: c'erano altre automobili posteggiate nella stessa stradina secondaria e nessuna di quelle era stata toccata. Non aveva noleggiato una macchina di lusso, ma una comune utilitaria, proprio per non dare nell'occhio – anche se a Palm Springs era più facile vedere girare limousine che vetture come la sua. A maggior ragione, quel particolare gli diede a pensare che l'accaduto fosse una qualche sorta di messaggio in codice diretto a lui.

Era ancora intento a lasciarsi fomentare dalla rabbia, stilando mentalmente tutta una serie di fantasiose o plausibili spiegazioni per quello che gli era successo – magari era stato proprio Jade a tagliargli le ruote della macchina, alla fine del suo turno di lavoro. Era stato licenziato a causa sua? Era rimasto deluso dal benservito che gli aveva dato alla fine della loro oretta di sesso? – quando si sentì picchiettare una spalla.

Si girò su se stesso e subito si irrigidì nel trovarsi faccia a faccia con un tipo dall'aspetto losco. L'uomo in questione era alto tanto quanto lui, forse addirittura superava il metro e novanta. Era snello e aveva un viso dai lineamenti marcati. Dimostrava un'età compresa tra i trenta e i quarant'anni; capelli di un nero privo di riflessi; le spalle enormi e gli occhi celati da occhiali da sole dalle lenti a specchio.

-Boka- disse Claud con un sospiro, mentre tutte le illazioni che gli avevano riempito la mente si azzeravano, lasciando spazio a un'unica risposta.
-Carino, qui- disse l'uomo, con marcato accento straniero, tirando fuori da una tasca dei propri jeans un pacchetto di sigarette e un accendino. Iniziò a fumare con ostentata lentezza e Claud si spazientì presto. La sua mente venne sopraffatta da decine di domande e sconvolta dalla paura. Aveva persino preso albergo vicino la casa di cura di Stephany... e se avessero scoperto della sua esistenza? -Vieni spesso a trovare la dolce nonnina?-

Claud si sentì mozzare il respiro. Percepì il sangue defluirgli dal viso e si maledisse per non avere indossato gli occhiali da sole prima di lasciare l'albergo. Temeva che l'altro potesse leggergli dentro, attraverso i suoi occhi colmi di terrore. Sapeva di avere tirato troppo la corda con quella gente e percepì le parole di Daniel e Jeffrey risuonargli nelle orecchie.

-Hai scelto tu-

-Sei la causa di tutti i tuoi mali-

L'aria era irrespirabile. Attraverso il sacco di iuta che gli copriva la testa, Claud percepiva l'odore stantio di muffa, urina, qualcosa di ancora più acre, in grado di fargli lacrimare gli occhi. La nausea gli tramutava i respiri in conati di vomito.

Aveva perso sensibilità alle braccia, le spalle tiravano in modo doloroso e le mani gli formicolavano, mentre le corde strette intorno ai polsi ostacolavano il naturale scorrere del sangue nelle vene.

Non aveva idea da quanto tempo si trovasse lì. Si era risvegliato da pochi minuti, tentando di rammentare quello che era successo. L'immagine di Boka, altezzoso e arrogante, fermo davanti a lui e intento a fumare una sigaretta mentre gli riduceva i nervi a fior di pelle, gli aveva riempito la mente, rammentandogli il dolore sordo, alla nuca, arrivato all'improvviso, a cui era seguito il buio, finché non si era risvegliato incapucciato e legato a una sedia.

Udì il rumore dei passi di più persone avvicinarsi a lui e Claud rabbrividì. Conosceva quella gente, aveva fatto un patto con loro, aveva mancato di mantenere fede alla sua parte degli accordi e adesso erano arrivati a chiedergli il conto. Sapeva come agivano ed era probabile che non gli restasse più molto tempo per continuare a respirare.

Lo avrebbero ucciso e gettato in un canale di scolo? Sommerso da tonnellate di cemento fresco? Fatto a pezzi e murato da qualche parte? La mente di Claud era sempre più sconvolta dalla paura, ma anche dalla consapevolezza che stava per scomparire nel nulla. Era certo che nessuno si sarebbe mai preso la briga di andarlo a cercare, di domandarsi che fine avesse fatto. Avrebbe fatto meglio a schiantarsi sulla Highway 111 di propria, spontanea volontà.

Poteva almeno sperare che lo facessero fuori senza prima divertirsi ad annientarlo fisicamente e mentalmente?

-Buongiorno!- esclamò la voce di un uomo, accompagnata da quell'immancabile accento straniero, ancora più marcato rispetto a quello che caratterizzava la parlata di Boka.

Gli tolsero il cappuccio dalla testa e Claud socchiuse le palpebre, mentre i suoi occhi celesti venivano feriti dalla luce spietata che filtrava all'interno del luogo in cui si trovavano. Poco alla volte le sue pupille si restrinsero, permettendogli di tornare a vedere con chiarezza, e si trovò a guardarsi intorno, tentando di ignorare l'uomo che aveva preso posto su una sedia d'acciaio davanti a lui.

Sembrava che fossero all'interno dello scheletro di un edificio abbandonato. C'era immondizia dappertutto e non arrivavano rumori dall'esterno, come se si trovassero isolati dal mondo. Parte del tetto dell'edificio era crollato, un paio di pareti erano aperte su un paesaggio incolto, con rottami di automobili abbandonati tra l'erba alta.

-Hey, principessa, sto qua- disse l'uomo, richiamando la sua attenzione, afferrandolo per una spalla, imprimendo una certa violenza nella presa, e obbligandolo a ricambiare il suo sguardo. Claud percepì il suo odore, una miscela di nicotina e sudore, e si trovò costretto a trattenere l'ennesimo conato. -Sei un po' palliduccio- ridacchiò l'altro e infine lo lasciò andare. L'uomo si mise comodo e incrociò le braccia sul petto massiccio.

-Ciao, Red. Felice di sapere che ti preoccupi ancora per me- sussurrò Claud, tentando di mostrarsi più spavaldo di quanto si sentisse realmente. Il pugno al viso arrivò repentino e il giovane percepì la mascella scricchiolare. Si piegò in avanti, trovandosi a vomitare.

-Che schifo!- esclamò qualcun altro, per poi afferrarlo per i capelli.
-Sei proprio una femminuccia senza palle!- gli urlò Boka in un orecchio e i brividi di Claud aumentarono al pensiero che Red non fosse solo. Aveva compreso subito che i passi che aveva udito avvicinarsi a lui appartenevano a più persone, ma soltanto Red si trovava all'interno del suo campo visivo; non sapere in quanti fossero per davvero lo spaventava ancora di più.

-Lascialo andare- ordinò Red e quello che Claud pensava fosse Boka mollò la presa su i suoi capelli e si affiancò al suo capo. Si stupì, tuttavia, di riconoscere in lui Pashkà.

-Anche tu qui?- chiese con voce roca e gli diedero uno scappellotto.
-Parla quando ti viene dato il permesso- tuonò Boka e il giovane recepì il messaggio forte e chiaro, decidendo di tacere. Provocarli non sarebbe servito ad altro che aizzarli ancora di più contro di sé.

-Come vedi, principessa, per te abbiamo fatto le cose in grande- disse Red aprendo le braccia, piegando le labbra in una smorfia compiaciuta, mentre i nei che gli costellavano una guancia sembravano farsi più piccoli. -Siamo tutti qui, quelli che contano-
-Da quando Pashkà conta qualcosa per te?- si lasciò sfuggire Claud e subito Boka lo colpì con un calcio alla bocca dello stomaco, facendolo rimbalzare sui piedi di metallo della sedia.
-Lascia stare, fratello- intervenne Red, accompagnando le proprie parole con il gesto annoiato di una mano, dalle dita grassocce su cui spiccava un massiccio anello di colore argento, che indossava all'indice. -Non essere violento con la nostra principessa- continuò, ma i suoi occhi scuri si colmarono di un'emozione spaventosa.

Claud deglutì sonoramente, sul punto di vomitare di nuovo.

-Ricordi il nostro patto, principessa?- gli domandò con fare retorico. Non si aspettava una risposta da lui e fece schioccare le dita in direzione di Pashkà che, in silenzio, si limitò ad aprire la giacca di pelle che indossava. Claud scorse la fondina ascellare e il calcio della pistola che conteneva, mentre quello tirava fuori da una tasca interna dell'indumento una busta di piccole dimensioni, ma abbastanza spessa, che poi passò al suo capo.

Red l'aprì con gesti lenti, mentre Claud incentrava tutta la propria attenzione sul suo anello, cercando di scorgerne il marchio impresso nella parte superiore, tra un movimento e l'altro. Sapeva cosa raffigurava, ma in quel momento parve assumere, per lui, un'importanza quasi vitale riuscire a rivederlo.

Udì un tonfo e Boka entrò nel suo campo visivo, mentre frapponeva tra il suo capo e lui un banco singolo, di quelli che si potevano trovare nelle scuole, e Claud riportò la propria attenzione sull'uomo che gli sedeva di fronte. Red aveva tirato fuori dalla busta delle fotografie e le sparpagliò sulla superficie del banco.

Il giovane si sentì mancare mentre davanti ai suoi occhi si palesavano scatti che ritraevano non soltanto lui, sorpreso durante la routine di tutti i suoi giorni, da quando aveva fatto rientro a Los Angeles, ma anche i volti di tutti quelli che conosceva oppure a cui era legato alla lontana per un motivo o un altro.

C'erano proprio tutti: sua madre, Jeffrey, Daniel, Keith, Ryan, Amber, Evan. I buttafuori del Seraphim, alcuni suoi colleghi e molti dei clienti abituali del locale. La maggior parte dei modelli che lavoravano per l'agenzia di Jeffrey e che lui conosceva di vista, ai quali aveva chiesto informazioni sul conto dell'uomo prima di sparire dalla circolazione. Persino le infermiere che si prendevano cura di sua madre, passando per i portieri del palazzo in cui viveva, fino ad arrivare a Jade. Non lo avevano mollato un secondo da quando aveva fatto rientro a Los Angeles, in tutti i suoi spostamenti per e da Palm Springs.

Claud percepì il sangue gelarsi nelle vene all'idea che uno qualsiasi di quei volti, di quelle persone, si trovasse nel mirino di quella gente per colpa sua.

-Avevamo un patto- ripeté Red, indicando con il cenno di una mano tutte quelle fotografie.
-Mi dispiace... ho provato a cercarlo...- tentò di giustificarsi Claud, anche se non era vero.
-Sì. Ho visto- aggiunse Red, ma gli occhi del giovane si riempirono di lacrime di rabbia e non vide quale foto l'altro aveva appena prelevato dal mucchio. -Tu potevi battere nel nostro quartiere, con qualche mancia per i ragazzi, senza problemi. Frocio come sei, e pure puttana, sicuro conosci tutti quelli come te, a Los Angeles. Me ne interessa uno solo...-
-Tuo fratello-

-Non interrompermi!- urlò Red, battendo una mano sul banco, con violenza. Claud trasalì.

-Sì. Il mio fratellino. Quello vero. Non come questi cani privi di intelligenza che mi seguono e non capiscono un cazzo!- tuonò riferendosi ai suoi uomini. -Quella puttanella ha mancato di portare a termine il suo compito, per farsi sbattere da un americano come te. Mio fratello! Che si fa sbattere da un uomo!- urlò ancora Red e Claud notò le espressioni di Pashkà e Boka farsi disgustate.

-Mi dispiace... non è così facile come sembra. Los Angeles è una grande città. Ci sono tanti omosessuali, non li conosco tutti. Non ho trovato nessun Roan Dervinshi- tentò di giustificarsi, anche se immaginava che quelle parole non stessero facendo altro che stringere ancora di più il cappio intorno al suo collo. Lo avevano pedinato ogni istante, nonostante lui non se ne fosse reso conto: era ovvio che sapessero che Claud non si era curato minimamente di cercare quel tizio.

-Ha cambiato nome. Per non farsi trovare da me!- tuonò Red e batté la foto che aveva isolato dalle altre sul banco, coprendola con il palmo di una mano. Claud chiuse gli occhi: se il caso lo aveva messo sullo stesso cammino di quel povero disgraziato che era riuscito a fuggire via da quella gente, lui non voleva saperlo, non voleva riconoscerlo e aiutare loro a ritrovarlo, anche se aveva mentito a New York, pur di tenersi fuori dai loro traffici, ma cercando di tenerseli buoni mentre racimolava soldi, prostituendosi. 

-Frequenta il tuo locale di merda. Ogni volta che ho mandato qualcuno, l'hanno visto. Pure con te. Ma nessuno dei miei uomini mette piede in quel covo di froci... se non per mettergli una bomba dentro e farlo saltare in aria!- esclamò, concludendo la sua agghiacciante affermazione con una risata sguaiata, a cui fecero eco quelle meno allegre degli altri due.

Red ritirò la mano, scoprendo la foto, e Claud si sentì mancare nel riconoscere il volto del giovane che era stato immortalato nello scatto.

-Roan- disse l'uomo, indicando la fotografia con lo stesso dito che calzava l'anello su cui era impresso lo stemma della bandiera albanese.
-Non lo conosco...- mormorò Claud, senza fiato, ricacciando indietro l'acido che gli era salito in gola, di nuovo. -L'ho incontrato- si affrettò ad aggiungere, perché sapeva di non poterlo negare. -Ma non avevo idea che fosse lui-

Red annuì e raccolse le foto, riordinandole con estrema attenzione.

-Adesso lo sai e potrai onorare il tuo patto con me. Devi convincerlo a tornare a casa- disse, porgendo la busta di nuovo a Pashkà. -Altrimenti sarai costretto a spiegare ai tuoi amichetti per quale motivo il loro bel locale rischia di fare... boom!-

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