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Quattro mesi prima.

L'unica finestra da cui sarebbe potuta filtrare luce, all'interno della stanza, aveva la veneziana abbassata, ma alcuni raggi riuscivano lo stesso a intrufolarsi tra le strette fessure; le tende erano tirate e tingevano di sfumature purpuree quelle flebili carezze luminose, rivestendo di riflessi rossi e dorati il corpo nudo della donna placidamente addormentata tra le lenzuola sfatte del letto.

La donna in questione non dimostrava più di trent'anni, ma sulla carta d'identità la sua vera età dichiarava una decina d'anni in più; la sua pelle sembrava possedere una luminosità propria, rinvigorita nel tempo dall'uso di creme e oli di bellezza. I capelli biondi, tinti, le circondavano le spalle, celandole parte del volto e della schiena, tanto erano lunghi, lasciando completamente scoperti il sedere, le lunghe gambe e i piedi.

Claud accarezzò con gli occhi le forme sinuose del suo corpo, sentendosi un po' infastidito dal riscaldamento, che era stato impostato a una temperatura tanto alta da rendere l'aria quasi soffocante, irrespirabile, restando seduto sulla sedia dal design classico che si trovava di fianco un tavolino rotondo, in un angolo della stanza, da cui poteva godere della visione dell'intero ambiente.

Gli capitava di rado di potere intrattenersi alla fine dello svolgimento dei suoi compiti dentro la camera di una cliente: di solito, coloro che richiedevano i suoi servizi, non si lasciavano mai andare completamente, sempre timorose di poter essere scoperte; sentendosi mai realmente al sicuro nell'ospitare uno sconosciuto in casa propria. Infatti, non era raro che quegli appuntamenti si svolgessero in anonime stanze d'albergo, perciò, quella in cui si trovava, era una situazione eccezionale, che lo incuriosiva parecchio.

La cliente era senza dubbio una bella donna e non si era stupito, la sera precedente, quando l'aveva incontrata, scoprire che fosse impegnata con un uomo, con il quale - gli aveva confidato - si sarebbe sposata quell'estate.
Tuttavia, ogni tanto le piaceva concedersi dei diversivi - così gli aveva rivelato, tra una chiacchiera e l'altra. Stando al suo racconto, il futuro marito era un uomo di una certa levatura sociale, non troppo affascinante e particolarmente noioso.

Per quale motivo avesse deciso di sposarlo, a Claud non importava, né si era concesso tempo per domandarselo, anche perché gli era bastato sentirla raccontare con tanta superficialità della sua relazione con quell'uomo da essere subito saltato a conclusioni che forse sarebbero potute apparire pregiudizievoli, ma che, avrebbe scommesso, in quel caso specifico corrispondevano alla realtà.

Il suo cellulare, che aveva lasciato sul tavolino, vibrò, irrompendo con il suo molesto rumore all'interno dei suoi pensieri, strappandolo dalla contemplazione del corpo della donna. Lei mugugnò qualcosa nel sonno, girò la testa sull'altro lato del cuscino e rimase immobile.

-Sì- rispose Claud al telefono, senza neanche leggere il nome del chiamante, dopotutto, erano davvero poche le persone che possedevano quel suo numero di cellulare e immaginava già chi potesse essere colui che lo cercava a quell'ora: era da poco passata l'alba e lui stava ancora lì ad aspettare che la sua cliente si svegliasse e gli saldasse il conto, prima di andarsene, ma non aveva voluto interrompe il suo sonno, perciò era rimasto ad attendere, anche se sapeva di doversi presentare a un importante appuntamento da lì a meno di un'ora.

-Dove sei?- si sentì domandare dalla voce di un uomo, il cui marcato accento straniero rendeva le sue parole in inglese quasi cantilenanti.
-In giro- rispose Claud, con tono annoiato, sbuffando e alzandosi dalla sedia. La donna si era mossa e il giovane l'aveva sorpresa a schiudere gli occhi. Uscì dalla stanza, in corridoio, per evitare di farle udire la conversazione.

-Red ti aspetta-
-Uhm... lo so. Quando ho tempo, passo a dargli un bacetto- ribatté Claud, ridacchiando, ma dall'altro capo del telefono gli sembrò che non gradissero la sua battuta.
-Risparmiati certi commenti idioti! Non vai da nessuna parte se lui...-
-Vado dove voglio, con chi voglio, come e quando voglio- lo interruppe. -E non sono affari tuoi, Pashkà, tanto meno di Red-

Il suo interlocutore rimase in silenzio, anche se Claud poteva intuire un certo bisbigliare concitato, in sottofondo, in una lingua che lui non conosceva, ma di cui aveva acquisito la familiarità del suono negli ultimi mesi.

-Il tuo patto con Red...- iniziò a dire Pashkà, tornando a parlare con lui, in inglese.
-Appunto- lo interruppe di nuovo Claud. -Il mio patto con Red. Non me ne frega nulla se sei il suo schiavetto tuttofare, non ti devo spiegazioni. Non rispondo a lui di niente, figurati se ho tempo da perdere con te-
-Quindi... te ne vai. Sei deciso- si limitò a dire l'altro, dopo un attimo di esitazione.

La porta della camera da letto venne aperta e Claud rivolse uno sguardo di sottecchi in direzione della donna, mentre quella gli andava incontro: aveva avvolto un lenzuolo intorno al corpo e si stava toccando i capelli, forse con l'intenzione di rimetterli in ordine; arricciò le labbra e gli rivolse uno sguardo imbarazzato, ma anche malizioso.

-Salutami Boka- disse Pashkà e mise giù, infastidito dal fatto che l'altro non aveva più risposto. Claud sapeva che le ultime parole pronunciate dall'uomo celavano una minaccia, ma preferì ignorarlo, e percepì le mani della cliente scivolare sul suo petto, coperto da una camicia bianca. Allontanò il cellulare dall'orecchio destro, mentre guardava le dita della donna far scivolare il primo bottone fuori dalla sua asola, intrufolandosi poi sotto il tessuto sottile dell'indumento.

-Ho un volo tra meno di quattro ore-
-Abbiamo tempo- sussurrò lei in un suo orecchio, aggrappandosi a lui, circondandogli una gamba con una delle proprie, e gli baciò un lato del collo. Claud sorrise e scosse la testa, ripose il cellulare in una tasca dei pantaloni e si voltò nel suo abbraccio.
-Il saldo, cara- disse, allungandole una mano sotto il mento. Lei mise il broncio, ma lo lasciò andare. Gli volse le spalle e iniziò ad ancheggiare in direzione del bagno. Nel frattempo sciolse il nodo del lenzuolo, lasciandolo scivolare sul pavimento.

-Vado a farmi una doccia- disse, accarezzandosi i capelli con fare sensuale, voltandosi appena a guardarlo, in un chiaro invito. Il sorriso di Claud si allargò. Quella era proprio la cosa che più gli piaceva: riuscire a resistere agli attacchi di seduzione delle proprie clienti. Non gli piacevano le donne e intrattenersi con loro, in cambio di soldi, lo faceva sentire sempre in pieno possesso della situazione. Non c'era mai una distrazione, un guizzo, un sussulto. Nessuna di loro possedeva il potere di sedurlo davvero, di incatenarlo a sé.

Trovava stupido anche il fatto che esistesse ancora qualcuno capace di credere alle storielle in cui la puttana finiva per innamorarsi del proprio ruffiano. Claud sapeva bene che non avrebbe mai potuto sviluppare alcun sentimento romantico nei confronti delle donne che lo pagavano per soddisfare i propri desideri sessuali e non solo perché era gay, poiché era certo che, se si fosse trattato di uomini, anche in quel caso non avrebbe potuto fare altro che provare disgusto, per loro. Magari un "guizzo" si sarebbe anche potuto presentare, durante il sesso, ma nulla avrebbe mai potuto fargli cambiare idea su coloro che usavano i propri soldi per comprare una persona.

Le sue clienti erano tutte donne affascinanti, ricche, bellissime, audaci. Non gli facevano mai mancare nulla, ma restavano persone che si approfittavano della sua situazione per soddisfare i propri capricci.

Per quanto potessero risultare gentili e carine nei suoi confronti, a nessuna di loro era mai importato alcunché di lui e della sua storia, del perché si trovasse a battere il marciapiede, né come fosse arrivato fin lì.

E proprio perché lui detestava l'amore, la facilità con cui si insinuava tra le corde del cuore, sconvolgendo ogni piano, ogni ragione, sapeva che, a nessuno che praticava quel mestiere, sarebbe mai venuto in mente di rivolgere un sentimento tanto delicato e importante nei confronti di uno qualsiasi dei propri sfruttatori, maschi o femmine che fossero; almeno che, la persona in questione, non avesse sviluppato dei seri problemi mentali, una debolezza, una qualche sindrome dal nome strano.

"Non c'è umanità in tutto questo. È solo sesso. Crudo. Volgare" pensò, mentre la pelle della donna si ricopriva di brividi e la sua espressione si faceva infastidita: probabilmente aveva capito che, con il suo spettacolino, non era riuscita a sortire l'effetto sperato e stava incominciando a sentire un po' di freddo, nonostante il riscaldamento.

-Il portafogli è nella mia borsa. Quella che avevo ieri sera- Claud annuì e sparì in camera da letto, tornando pochi istanti dopo con la borsa della donna. La consegnò a lei che, nel frattempo, era tornata a indossare il lenzuolo come se fosse un lungo abito da sera. Prese l'accessorio per i manici, con espressione furiosa e un po' mortificata. Tirò fuori il portafogli e alcune delle banconote che conteneva, per poi porgergliele con un gesto stizzito. Claud sorrise e reclinò il capo da un lato, intascò i soldi e iniziò a rigirarsi una ciocca dei suoi ricci e biondi capelli tra le dita di una mano.

-Grazie. È stato un piacere- disse con tono volutamente allusivo. La donna arrossì e aggrottò la fronte, per poi voltargli di nuovo le spalle e procedere a passo marziale in direzione del bagno.

Uscito per strada, dopo avere lasciato l'appartamento della sua ultima cliente, Claud prese in considerazione l'ipotesi di non presentarsi all'appuntamento con Red. Non aveva particolare voglia di incontrarlo, sicuro com'era che avrebbe fatto di tutto per fargli perdere il volo per Los Angeles. Senza contare che era quasi certo di come Pashkà non avesse mancato di informare nei minimi dettagli l'uomo su quanto si erano detti per telefono, quindi era persino probabile che l'umore di Red si fosse, nel frattempo, fatto abbastanza teso proprio a causa sua.

Si guardò intorno e si strinse nella giacca di pelle che indossava, davvero troppo sottile per isolarlo dal clima freddo e umido dell'inverno newyorkese, dato che sotto, tra l'altro, indossava ancora soltanto quell'insignificante camicia.

"È il rischio che si corre nel dovere scegliere un abbigliamento inequivocabile e adatto a mettere in mostra la merce" pensò e simulò un conato di vomito al pensiero che, la merce in questione, era proprio il suo corpo.

Una squadra di vigili del fuoco aveva da pochi giorni rimosso l'albero di Natale che, come da tradizione, era stato montato al Rockefeller Center. Si era abituato a passare da lì quasi ogni giorno, anche se i suoi appuntamenti lo conducevano dalle parti più disparate della Grande Mela e, spesso, aveva dovuto modificare i propri itinerari per passare da lì di proposito, ma guardare quella meraviglia di luci lo aveva aiutato a percepire di meno il gelo che gli aveva attanagliato il petto e che, era ormai certo, veniva costantemente stimolato dalla lontananza da casa e dalle persone a cui teneva.

Era solo, si sentiva tale in modo profondo. Non era una questione fisica: si era trovato circondato da persone poco piacevoli, che lo avevano aiutato a muoversi in quel mondo in cambio di qualche favore, ma sentiva la mancanza della sua famiglia, degli amici - anche se nessuno di loro, credeva, lo considerasse tale e tutti, per di più, avevano infiniti motivi per disprezzarlo ed essere contenti della sua lontananza da casa.

Rabbrividì, ma si impose di restare ancora lì, fermo, in contemplazione dell'ampio spazio lasciato dall'albero di Natale. Il suo sguardo si svuotò di ogni emozione, mentre i suoi occhi azzurri parevano perdere la loro naturale luminosità e si facevano cupi, carichi di una rabbia profonda.

"Chissà se Keith sta ancora con quel coglione" si chiese e tornò a torturarsi una ciocca di capelli, mentre nella sua mente prendevano vita tutta una serie di immagini che lo fecero rabbrividire. Sapeva che la situazione in cui si trovava era colpa sua, ma non gli dispiaceva neanche fino in fondo: si era nascosto agli occhi della ribalta soltanto per accumulare denaro, il più velocemente possibile, dopo che era rimasto praticamente al verde, a seguito del piano che aveva messo in piedi qualche mese prima, per aiutare un amico.

A Claud non piaceva faticare troppo, né aveva tempo da perdere: aveva scelto la strada che gli era sembrata più facile e, nei mesi che si era lasciato alle spalle, era riuscito a guadagnare abbastanza da rimettersi in carreggiata. Era pronto per tornare a casa.

Temeva soltanto una cosa: che Keith avesse finito per legarsi in modo ancora più intenso e insano con l'uomo che frequentava, Evan, e che impediva a lui di arrivare al suo cuore.

"È ancora l'unico sfizio che non mi sono tolto. Chissà che si prova a stare con qualcuno per davvero... Keith è quello giusto. Quello con cui voglio capirlo... dovrei chiedere a Ryan se è riuscito a concludere qualcosa, mentre sono stato via" pensò e sollevò un sopracciglio, mentre si allontanava dalla piazza e scendeva nella metropolitana. Decise di non presentarsi all'appuntamento con Red - non aveva alcuna voglia di litigare con lui - e si avviò in direzione del piccolo appartamento che aveva preso in affitto nel Queens, per raccattare le sue cose e recarsi in aeroporto.

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