7. Li

3 settembre 2010

Pranzammo vicino al tempio e poi tornammo al cimitero di Confucio per non essere visti durante il decollo, anche se mio cugino diceva che c'era una cosiddetta 'Foschia' che ci nascondeva dallo sguardo dei mortali. Bah, oramai non mi stupivo più di certe stranezze.
Appena giungemmo alle statue di animali di pietra percepii la stessa sensazione che avevo sentito al tempio: un brivido mi percorse la schiena e provai un senso di beatitudine immensa, come se scivolassi via dal mio corpo, in trance. Frank mi riportò alla realtà.
"Li, mi preoccupi... Stavi diventando una tigre" disse, guardandomi da capo a piedi.
Non me n'ero accorto, ma già l'ultima volta mi stavo trasformando in un drago, non riuscivo a controllarlo.
Mio cugino divenne un'enorme aquila, io salii sulla sua schiena e decollammo verso il cielo. Presi la bussola e la mappa magiche e lo guidai verso la rotta.

Dopo due ore, scorgemmo lo skyline di Shanghai: era una metropoli meravigliosa, ricca di edifici e palazzi di forme diverse.
"E adesso?" chiesi.
"La cartina cosa dice?"
"Che mancano 500 metri e siamo arrivati."
"Impossibile! La città è lontana almeno un chilometro, finiremmo in mezzo all'oceano!" esclamò.
Proprio in quel momento, giunse dal basso una sorta di proiettile che mi mancò di pochi centimetri.
"Woo! Cos'era quello?!" gridai spaventato e guardandomi intorno.
Ne arrivò un altro, ma stavolta dall'alto. Poi vidi davanti a me una figura bianca e grigia che si avvicinava in volo; mi girai e me ne trovai un'altra dietro.
"Li, diventa un volatile, ORA!" ordinò mio cugino. "Siamo circondati."
Mi trasformai in una fenice, l'uccello che mi veniva meglio, e mi accorsi che Frank ritornò solo in parte ragazzo: aveva ancora le ali da aquila sulla schiena - sembrava una specie di strano angelo -. Prese il suo arco da non so dove e scoccò due frecce contro le creature, le quali le schivarono facilmente.
Alla fine le riconobbi: erano tipo delle gru, e io adoro le gru, ma quelle sembravano volerci ammazzare.
Giunsero altri proiettili e mi accorsi che erano palle di fuoco grandi quanto quelle da biliardo: le stavano tirando due fenici blu e rosa, che volavano una sotto e una sopra di noi.
Frank scagliò frecce all'impazzata, ma quei volatili sembravano immuni.
Ci raggiunsero, erano a pochi metri di distanza, ero pronto a morire...ma non ci uccisero, anzi diventarono anche loro come mio cugino: quattro ragazzi asiatici con ali da angelo bianche oppure blu e rosa.
"Chi siete? Da dove venite?" chiese un ragazzo-gru.
Frank aprì bocca ma ne uscirono parole in ciò che riconobbi essere inglese, e l'altro gli rispose nella stessa lingua. Bene, ero io che stavo impazzendo o cosa?
Dialogarono in questo modo per un po', poi i ragazzi-fenice mi presero per la coda - sì, ero ancora un uccello, altrimenti sarei precipitato - e nonostante mi divincolassi, essi mi tennero stretto e volarono per 500 metri, fino al punto segnato sulla mappa.

A quel punto, scendemmo in picchiata e per un attimo pensai che i ragazzi-uccello volessero spiaccicarci sul pelo dell'acqua, ma poi d'un tratto l'oceano scomparve, come se avessero tolto un mantello dell'invisibilità, e ci ritrovammo sopra una specie di villaggio affacciato sul mare.
Verso l'entroterra c'era una collina con un salice piangente in cima affiancata da un tempio molto grande, in centro c'era un insieme di altri piccoli templi e accanto una sorta di arena. Dietro il grosso tempio si trovavano un capanno marrone, dei campi arati e degli edifici bianchi a tetto piatto; dietro l'arena erano posizionati bassi tavolini con delle stuoie attorno e, quasi sulla spiaggia, si estendeva un prato rettangolare con un gong di lato. Vicino alla riva scorsi delle canoe di bambù e animali di varie specie.

Atterrammo sulla collina e i quattro ragazzi fecero scomparire le ali; uno di loro esclamò:"Benvenuti al Campo Pan Gu!" e chissà perché lo ripeté in inglese.
"Vieni con noi" ordinò un altro, prendendomi per le braccia, in quanto ero chiaramente tornato umano.
Mi dimenai con forza.
"No! Frank, Aiutami! Cosa vogliono farmi?!" strillai come una checca.
Ma lui non rispose, anzi mi guardò, immobile e con le sopracciglia aggrottate.
Mi trascinarono via e mi portarono all'interno del gigantesco tempio sulla sinistra: era grande tre volte tanto quello di Confucio a Qufu, aveva i muri esterni bianchi e le tegole del doppio tetto stile pagoda dorate e rosse; le pareti interne erano fatte di specchi con preghiere in cinese tradizionale incise sopra, il pavimento era in marmo lucido; al centro c'era una sorta di altare circolare con dell'acqua sopra che assomigliava ad una bacinella profonda non più di cinque centimetri.
Non c'era nessuno dentro, e i nostri passi riecheggiavano nel silenzio. Poi, all'improvviso, di nuovo quella sensazione, il brivido...diventava sempre più forte, a tal punto che mi bloccai, premendomi le tempie per il mal di testa, che era venuto per lo sforzo di trattenermi all'istinto di diventare un animale.
"Non reprimerlo, liberalo" consigliò una voce alle mie spalle, che suonava anziana e saggia.
Sentii dei lenti passi e il dolore si intensificò. Non resistetti all'impulso di voltarmi; rimasi a bocca aperta e non mi trattenni più, trasformandomi in un panda minore.
"C-C-C..." balbettai.
L'uomo che prima aveva parlato si avvicinò e mi prese in braccio: la sua stretta era solida ma delicata, come se stesse tenendo un neonato e non volesse farlo cadere.
"Tranquillo, Zhang Li, capisco la tua agitazione, la tua confusione, ma ora rilassati" sussurrò.
Divenni meno teso e mi afflosciai fra le sue mani.
"CONFUCIO!" gridò un'altra voce anziana ma, al contrario, infuriata. "Non è divertente. Non puoi invertire lo ying e lo yang del tao che si trova sul mio comodino!"
"Suvvia, Lao Tse, l'ho fatto per guadagnare tempo: è arrivato!" Ridacchiò il vecchio che mi teneva stretto.
Il secondo uomo si avvicinò e, appena si accorse di me, la sua espressione infuriata si addolcì.
"Torna in te, Zhang Li. Voglio vedere com'è fatto realmente l'ultimo discendente!" esclamò con un sorriso raggiante.
Tornai umano senza soffermarmi sull'appellativo che mi aveva affibbiato. Wow, avevo davanti a me i più grandi personaggi della storia cinese, e mondiale naturalmente.
L'uomo che mi aveva preso in braccio era Confucio, il vero Confucio, quello che aveva più di 2500 anni: aveva barba e baffi neri, lunghi e a punta, e indossava un changshan, cioè una specie di accappatoio di seta, grigio.
Il secondo anziano era Lao Tse, anche lui quello vero: era più vecchio di Confucio, aveva barba e baffi bianchi e portava un changshan azzurro.
Il primo fondò il confucianesimo, il secondo fondò il taoismo, due dottrine filosofiche, che si possono anche definire religioni, molto diffuse in Asia: erano due sconosciuti insomma.
Comunque, mi fissarono per qualche minuto, osservandomi con occhio critico e girandomi attorno, con un sorriso che oserei definire ebete stampato in faccia, e dopo qualche minuto esclamarono all'unisono: "Perfetto!"

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