6. Hazel
9 settembre 2010
Era ormai passata una settimana dalla partenza di Frank e, dato che mi sarei sentita un po' sola al Campo Giove, ero andata insieme a Percy e alla signora O'Leary a Long Island; Reyna non era venuta in quanto, in assenza di Frank, avrebbe dovuto gestire il Campo da sola.
Viaggiammo nell'ombra e quindi il tragitto non fu tanto lungo. Arrivammo in cima alla collina Mezzosangue, affianco al pino di Talia, e vidi da lontano i nostri amici che giocavano a pallavolo: a quanto pareva, la squadra di Leo stava vincendo alla grande, dato che quest'ultimo si era messo a sparare palle di fuoco in cielo e sculettava davanti agli avversari.
Il primo che si accorse di me fu mio fratello, Nico; mi corse incontro e mi baciò sulla fronte, dopo avermi abbracciato forte. Seguirono Annabeth, che, stranamente, salutò prima me di Percy, poi Piper, Jason, Will e Calipso; l'ultimo fu Leo, che era rimasto ancora alle sue esibizioni pirotecniche. Mi accorsi che il figlio di Apollo aveva messo un braccio sulle spalle di mio fratello e lui non sembrava neanche infastidito.
'Mmh, strano...' pensai, ma non ci badai più di tanto.
Non ero mai stata in quel campo, quindi mi fecero fare un giro veloce prima di andare sulla spiaggia dei fuochi d'artificio e sdraiarci al sole pomeridiano.
"Allora, Hazel" iniziò Piper. I suoi occhi cangianti risplendevano alla luce del tramonto. "Abbiamo saputo che Frank è partito per l'Oriente."
"Già. Mi manca, sono preoccupata per lui...Cioè lo so che se la può cavare benissimo, ma da solo e in un territorio non protetto dagli dei..."
"Vuoi dire dai NOSTRI dei" mi interruppe Annabeth.
"Come scusa?" Alzai gli occhi su di lei con espressione confusa.
"Beh, ci ho pensato molto...so che sono esistite varie religioni in Asia, soprattutto politeiste. E chi ci dice che anche la loro mitologia non sia scomparsa come quella greca o romana?" continuò.
"È vero." Annuì Percy. "Ho sentito parlare di alcuni miti cinesi...e potrebbero essere veri."
Era incredibile, ma l'idea che ci potessero essere altre divinità sconosciute mi spaventava ancora di più.
"Secondo voi posso mandargli un messaggio-Iride?" mormorai, distogliendo lo sguardo.
Tutti mi fissarono in silenzio, poi Jason disse: "Credo sia meglio aspettare. Dovremmo lasciargli un po' di autonomia."
Quel 'dovremmo' suonava più come un 'dovresti', ma non riuscivo a non pensare a lui. Una missione in solitario. Solo Annabeth aveva affrontato un'impresa del genere ed era a malapena sopravvissuta prima che...beh, preferirei non parlare di quello che Aracne le aveva fatto, anche perché mi sento in colpa per non averla aiutata quando era lì, sotto il mio naso. Ecco cosa provavo anche per Frank: avevo paura di commettere lo stesso errore che avevo fatto con la figlia di Atena, di non dargli una mano nel momento del bisogno.
"Hazel?" La voce di Nico mi riportò alla realtà.
"Uh?"
"È meglio che tu vada a riposare."
"Sì...sì, forse mi farà bene riflettere con calma."
Mi alzai e mi avviai camminando lentamente verso la cabina di Ade, ma appena superate le dune sentii Piper parlare a bassa voce: "Sono preoccupata sia per Frank sia per Hazel. Non so se riescano a reggere la pressione. Insomma, un'altra profezia che annuncia la distruzione del mondo..."
"Aspetta, annuncia la distruzione delle lepri cinesi, no? Sapete, 'l'Oriente della lepre'...no?" Leo, come sempre, cercò di tirare su il morale, ma nessuno rise, nessuno sembrava tirato su, soprattutto io.
- - - - -
Per andare verso la cabina di Ade, passai davanti a una capanna che aveva il simbolo di un cinghiale e di una lancia su sfondo rosso; da lì provenivano un sacco di urla di mezzosangue divertiti, ma in particolare sentii una ragazza che gridava più forte di tutti.
Mi avvicinai alla porta ma proprio in quel momento, essa si spalancò e per poco non ci rimisi il naso; ne uscì una semidea dal fisico atletico e dai capelli lisci e castani: dalle descrizioni degli altri, riconobbi quella mezzosangue.
"Clarisse" mormorai, squadrandola.
"Ci conosciamo, pivella?" fece lei, con tono minaccioso.
"Ehm, ho solo sentito molto parlare di te" risposi. "Io mi chiamo Hazel Levesque, figlia di Plutone." Le porsi la mano, ma lei non sembrò interessata a stringermela.
"Oh, una romana! Beh, mi piacciono i romani, siete combattivi. E inoltre adorate mio padre, Ares...o Marte, come dite voi!" Si pavoneggiò.
"Beh, il mio ragazzo è figlio di Marte."
Le si accese un barlume negli occhi. "E dimmi, perché non è qui con te? Ma innanzitutto, cosa ci fa una romana al Campo Mezzosangue? A parte Grace, intendo."
"Il motivo è lo stesso per entrambe le domande: lui è dovuto partire all'improvviso per l'Asia" risposi, con un pizzico di risentimento nella voce.
"Perché?" domandò.
Non sapevo il motivo, ma sentivo che potevo fidarmi di Clarisse, che fosse dura all'esterno ma dolce all'interno - tipo una crostata alla marmellata, per capirci -.
"Vieni, parliamo nella cabina di Ade" risposi.
Ci dirigemmo alla Casa numero 13: era tutta nera come la pece, aveva due colonne ai lati della porta con appese delle torce di fuoco greco e sopra lo stipite c'era il bassorilievo di un teschio. Dentro si trovavano solo una brandina con il copriletto grigio e una scrivania con una piccola lampada: tutto ciò di cui Nico aveva bisogno, dato che era l'unico che viveva nella capanna.
Ci sedemmo sul letto e le raccontai ciò che era successo, profezia compresa.
"Oh, no! Un'ALTRA guerra no!" esclamò quando finii, premendosi due dita sulle meningi.
"Già. Ora, il nemico, ancora sconosciuto, attaccherà prima l'Oriente e poi prenderà possesso di tutto il mondo!"
"Ora capisco la tua preoccupazione, Levesque. Zhang è proprio lì, dove dovrebbe iniziare questa battaglia."
"Come fai a...?"
"Fidati, anch'io ne ho passate tante." Fece vagare lo sguardo altrove.
Non feci altre domande.
"Vabbè...ora ti faccio riposare. Ciao, Hazel." - Clarisse che mi chiama PER NOME?? UN APPLAUSO, GENTE -.
Uscì con fare malinconico. Dopotutto era sopravvissuta a ben due grandi guerre e aveva tutta la mia comprensione per sentirsi debole e impotente, in qualche modo.
Ma ormai avevo le palpebre pesanti, quindi mi sdraiai e mi addormentai. Naturalmente feci un sogno molto strano.
Ero in una foresta. Davanti a me intravidi camminare lentamente un orso, una tigre bianca, una tartaruga nera, un dragone azzurro e uno giallo. All'improvviso, i due dragoni e la tartaruga scomparvero, mentre la tigre si trasformò in un ragazzo mingherlino con un'arma tipo una lunga ascia, e l'orso diventò...
"Frank!" tentai di gridare, ma la mia voce era ovattata, come se fossi dietro a una parete di vetro.
"Ehi, Hazel."
Mi svegliai di soprassalto e cercai di mettere a fuoco il viso che si stagliava sopra di me.
"Leo, che ci fai qui?" Aggrottai la fronte.
"Ti voglio portare in un posto." Mi alzai e lui mi trascinò via.
Arrivammo davanti a una cabina bianca, ma che al riflesso dell'alba sembrava di madreperla, con sfumature lilla, azzurre, verdi e dorate cangianti. Ne uscì un ragazzo con la testa rasata.
"Ciao, Butch!"
Lui si girò. "Wei, Valdez!"
Ci presentammo: era figlio di Iride, dea dell'arcobaleno - ecco spiegato lo strano effetto di colori della capanna -. Poi Leo gli disse qualcosa nell'orecchio, Butch annuì serio e ci fece entrare. Anche dentro le pareti erano come madreperla, c'erano otto letti a castello, ognuno occupato da un semidio o da vestiti e piccoli oggetti. In fondo alla stanza si trovava una fontana larga almeno tre metri formata da una vasca e quattro ragazze di pietra con delle anfore tra le braccia, da cui fuoriusciva l'acqua.
"È un'eccezione, ma potete farlo" disse il figlio della dea dell'arcobaleno.
Leo tirò fuori una dracma d'oro.
"Cosa? Un messaggio-Iride?!" esclamai strabuzzando gli occhi.
"È per il tuo bene, Hazel" rispose malinconicamente il figlio di Efesto. "E poi non sei l'unica a cui manca Frank."
Loro due infatti - e stranamente - avevano man mano stretto amicizia e ormai erano diventati quasi inseparabili.
Gettò la moneta nell'acqua, la quale brillò e ci mostrò l'immagine di un posto sconosciuto: a prima vista sembrava un'arena, ma non ebbi neanche il tempo di realizzare che sentii delle urla in una lingua straniera provenire dal messaggio. Feci vagare lo sguardo nella scena e scorsi dei ragazzi asiatici che indicavano nella nostra direzione farneticando parole apparentemente senza senso. La mia attenzione fu catturata dall'unica figura che non sembrava sorpresa della visione: riconobbi Frank, arco alla mano abbassato lungo il fianco e occhi vuoti e sorpresi verso di noi.
Lo fissai senza dire una parola e fu lui che, ormai affievolite le grida dei ragazzi intorno, mormorò: "Hazel, Leo, siete proprio voi?"
Avevo le lacrime agli occhi. Anche Frank. - mi voltai- E anche Leo. Eravamo lì, paralizzati a fissarci, senza sapere da dove cominciare a raccontare - anche se non era passato molto tempo dall'ultima volta che ci eravamo visti, ma a me sembrava un secolo -. Io e il figlio di Marte dicemmo insieme "Mi manchi" prima che la fontana interrompesse la comunicazione.
"No, no, no, no, no!" gridai.
"Il tempo è finito, mi dispiace" disse Butch. "E non posso farvi un altro favore del genere."
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