un tè in un pomeriggio di pioggia

La pioggia cominciò a cadere all'improvviso. Beatrice l'osservò attraverso il finestrino sul quale le gocce si rincorrevano inghiottendosi a vicenda quando si incontravano. Era seduta al posto del passeggero, Wolf guidava, mentre lei con la testa inclinata di lato a strada studiava la variopinta umanità che fluiva sui marciapiedi, un fiume inarrestabile di esistenze così diverse da potersi sfiorare senza influenzarsi, senza attrarsi, senza conoscersi.

Era così difficile conoscere davvero qualcuno. Forse l'unica persona che Beatrice poteva dire di conoscere era Sarah, e perfino lei a volte la sorprendeva. Con Wolf era diverso; con lui sembrava che tutto fosse naturale, era come se lo conoscesse da sempre anche se sapeva pochissimo di lui. Il fatto era che lui faceva sempre quello che lei si aspettava, riusciva sempre a indovinare cosa le avrebbe fatto piacere o cosa desiderava davvero. Forse tirava a indovinare, o forse no. Si voltò a guardarlo.

Wolf era concentrato sulla strada, ma le lanciò un'occhiata come se si fosse accorto che lei lo stava guardando. Imbarazzata, Beatrice si voltò di nuovo, giusto in tempo per nascondere un sorriso.

La pioggia cadeva, grigia, disegnando arabeschi cangianti di riflessi iridati sull'asfalto; scivolava giù dalle tende dei negozi, dalle tettoie, dai gazebo dei bar, creando impalpabili veli di gocce che spezzavano la luce; ruscellava lungo le strade portando con sé qualche cartaccia, qualche cicca di sigaretta, qualche foglia morta, per poi scomparire inghiottita dai tombini e abbandonare la luce cinerina del cielo che l'aveva generata. Un giorno sarebbe tornata pioggia, ma molta strada doveva fare prima di allora; eppure, in quella ciclicità Beatrice trovò un conforto inaspettato.

"Nulla è per sempre," disse, senza rendersi conto di star pensando ad alta voce.

"Né le cose buone, né quelle cattive," disse Wolf, come se quell'affermazione fosse stata fatta nel bel mezzo di un lungo discorso.

Beatrice si voltò di nuovo verso di lui. Nonostante non lo desse a vedere, la sua attenzione doveva essere tutta per lei. Ebbe la sensazione che qualsiasi cosa avesse fatto o detto per Wolf sarebbe stata importante. "Ma tu mi stai sempre a sentire?" gli chiese.

"Sempre," rispose lui, annuendo.

Beatrice sorrise. Non era abituata a tutta quell'attenzione, quel genere di attenzione soprattutto; di solito con lei i ragazzi si limitavano alla scollatura, ed era in effetti una cosa abbastanza noiosa oltre che decisamente imbarazzante. Non che Wolf non apprezzasse, tutt'altro; gliel'aveva fatto capire chiaramente. Ma semplicemente non era concentrato su quell'aspetto, sembrava più preso da... non avrebbe neanche saputo dire da cosa. Da tutta lei, probabilmente.

Stavano attraversando una zona della città che conosceva pochissimo. Era sempre la City, ma quella parte che confinava con i Corporates, la downtown; avevano seguito grossomodo il percorso della linea uno della metropolitana. I palazzi lì erano altissimi, eppure sembravano dei nani in confronto ai colossi delle Corporazioni che svettavano a nordovest.

Wolf sistemò l'auto nel parcheggio sotterraneo del Cockrell Center, un enorme centro commerciale di vetro azzurro le cui fiancate, percorse da saette al neon, ricordavano un cielo in tempesta. "Siamo arrivati," disse sorridendo, poi scese e girò attorno alla macchina per aiutare Beatrice a scendere. Lei lo prese a braccetto e si lasciò condurre verso gli ascensori. Le persone che incontravano erano vestite alla grande, e molte avevano un robot domestico al seguito carico di pacchetti.

L'ascensore dalle pareti a specchio li portò su, fino all'ultimo piano. Fu un viaggio lungo, che fecero per la maggior parte del tempo da soli. C'erano un sacco di ascensori nel palazzo, e la gente preferiva quelli grandi, veloci, al centro dei piani. La fantasia di Beatrice si scatenò. Ovunque si voltasse vedeva l'immagine sua e di Wolf riflessa all'infinito; si chiese come sarebbe stato guardare sé stessa in faccia mentre godeva, se lui l'avesse presa lì, in un angolo della cabina. Improvvisamente capì che stava arrossendo, ma non riuscì a cambiare il corso dei propri pensieri.

Wolf le lanciò un'occhiata eloquente, e quello fu uno dei momenti in cui comunicavano senza bisogno di parole; Beatrice capì subito che lui stava pensando la stessa cosa alla quale aveva pensato lei e si mise a ridere. Wolf sorrise e le cinse la vita con un braccio, attirandola a sé; le passò una mano fra i capelli guardandola negli occhi, e infine le baciò la fronte. "Arrossisci come il cielo all'alba," le disse, "mi fai impazzire."

Beatrice sospirò. Quell'uomo usava le parole come armi micidiali, non c'era scampo. Non desiderava altro che essere sua e sentirsi dire quelle cose mentre lui era dentro di lei. Appoggiò la testa sul suo petto e ascoltò il suo cuore impazzito che confessava molto più di quello che Wolf ammetteva a parole. Nessun cuore può andare così veloce se non è innamorato.

La campanella che annunciò l'arrivo al piano le sembrò crudele. Le porte si aprirono su una caffetteria hi-tech, pareti bianche, tavoli bianchi, finiture nere. Anche gli androidi che servivano ai tavoli erano bianchi e neri. Spiccavano le scritte blu sui pannelli che sovrastavano il bancone, e la coloratissima folla di avventori che sembrava muoversi a caso da un tavolo all'altro, da un barman all'altro. Un androide venne loro incontro emergendo dalla calca e li salutò con la sua voce sintetica.

"Benvenuti all'hi-tea, signori. Da questa parte, prego."

Seguirono il robot fino a un tavolo in disparte, vicino alla parete a vetri. Wolf fece sedere Beatrice e prese posto di fronte a lei. Il tavolo si illuminò e apparvero i menù, mentre il cameriere rimaneva in attesa, immobile.

"Qui si beve il tè," spiegò Wolf. "In questo posto puoi trovare tè provenienti da tutte le parti del mondo, puri o miscelati secondo le ricette della casa. Scegli con calma."

Beatrice osservò la lista, la maggior parte dei nomi che leggeva non avevano senso per lei. Scelse un tè che le suonava vagamente familiare, o semplicemente simpatico. "Che cos'è il... Ceylon Orange Pekoe?"

"Un tè nero. Credo ti piacerà. Ne prendiamo due," aggiunse rivolto al cameriere. Il robot annuì e si allontanò con la sua buffa andatura dinoccolata.

Beatrice guardò fuori dalla vetrata. Da lì si dominava tutta la City, e si intravedevano di lato le sagome scure dei palazzi delle Corporazioni. "Wow," disse, "confessa, sei un feticista delle skyline."

Wolf rise. "Colpito e affondato! Si, sono affascinato dai grandi spazi. Mi piacciono i posti dai quali puoi dominare l'orizzonte, ammirare la straordinaria varietà del paesaggio. Guarda laggiù. Quelle sagome ondulate sono le Green Hills, le riconosci perché sono poco illuminate. Beh, lo sono rispetto alla City, che è un vero e proprio..."

"...albero di natale," intervenne Beatrice.

Wolf si passò una mano fra i capelli. "Beh, si. Suppongo si possa dire anche così. Io avrei detto un quadro, anzi, un arazzo di luce. Ma è un po' troppo pacchiano per essere un arazzo, non è vero?"

Beatrice alzò le spalle. "Una volta mi piaceva, ma ora che ho conosciuto la discrezione delle Green Hills mi sembra... eccessivo, ecco tutto."

"Intrecciamo tubi al neon e innalziamo schermi pubblicitari per tenere lontane le tenebre," disse Wolf, facendosi serio, "ma le tenebre sono dentro di noi." Guardò fuori. "Questa città sta pagando un prezzo molto alto per la propria spensierata felicità."

Beatrice inclinò la testa. "Cosa vuoi dire?"

Wolf indicò le torri a nordest. "Le corporazioni, Beatrice. Virginia crede di governare la città, ma in realtà sono loro le vere padrone di tutto e di tutti. Decidono cosa ci piace, cosa dobbiamo mangiare, che libri dobbiamo leggere, come ci dobbiamo curare. È una tirannia invisibile proprio perché è sotto gli occhi di tutti. Letteralmente."

Beatrice fece girare le rotelle più in fretta che poté. "Intendi... voglio dire, ti riferisci alla pubblicità, giusto?"

Wolf annuì.

"È... inquietante."

"Ma se ci pensi è vero. Cos'è l'ultima cosa che hai comprato?"

Beatrice arrossì. Per un attimo ebbe la tentazione di mentire, ma dopotutto perché perdere l'occasione di essere sincera e sfacciata al tempo stesso? "Un... hem, un reggiseno. Nero. Mi... sta d'incanto." Sorrise maliziosamente.

Wolf arrossì. "Non ne dubito. Er... quello che volevo dire è..."

Bea lo guardò soddisfatta. "Si, è di marca. È un reggiseno Black Pearl. E si, l'ho visto in una pubblicità."

Wolf deglutì. "Capisci cosa... cosa intendo dire."

"Lo capisco, e lo trovo decisamente inquietante." Sospirò. "Però è un bel reggiseno! O almeno credo, mi piacerebbe sapere cosa ne pensi tu. Ce l'ho addosso ora... ne possiamo parlare più tardi."

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