morte di un pomeriggio di mezza estate
Il cellulare di Beatrice vibrò nello zaino appena un attimo prima che lei si assopisse, cullata dal movimento regolare del bus che scendeva a passo lento dalle Green Hills.
"Ancora viva?" era Sarah.
Beatrice sorrise. "Un po' frullata ma viva. Che fai?"
"Cazzeggio. Com'è andata a lezione?"
Già, com'era andata? Bene, da un certo punto di vista, ora aveva le idee più chiare; ma aveva anche un sacco di roba da fare prima di settembre e questo la spaventava. Decise di rispondere in maniera vaga. "Bene, dai... il tipo è bravo."
Sarah la incalzava, assetata di pettegolezzi. "Che tipo è?"
Beatrice temeva quella domanda. Altra risposta vaga in arrivo. "Forte, ne sa."
Ma la verità era che la inquietava e la affascinava al tempo stesso. Aveva parlato per due ore e lei era stata semplicemente lì ad ascoltarlo, incantata. Sentiva la conoscenza sgocciolare dentro di lei come se la potesse distillare direttamente dalle sue parole. Aveva capito più cose in due ore con quel tipo strano che in un anno di lezioni di quella stronza della professoressa Jadesson, a scuola.
"Bea raccontala tutta."
Beatrice alzò lo sguardo, esasperata. "Non c'è niente da raccontare, è bravo e basta. È vecchio, contenta?"
"Mh, ok."
"Ecco."
"Senti, ci sei stasera al Red Baron? Vengono anche Tom e Pat."
Beatrice sospirò. Tanto non avrebbe studiato comunque. "Va bene. Mi faccio la doccia più lunga del mondo e poi vengo da te. Ceniamo là?"
"Yep. A dopo!"
Beatrice entrò in casa e lanciò lo zaino nel solito angolo, borbottò un saluto diretto alla madre in salotto e si infilò direttamente in bagno. Poco dopo, mentre si preparava per la doccia, sentì bussare alla porta.
"Che c'è, mamma?"
"Com'è andata a lezione?"
"Bene."
"L'insegnante è bravo? Me ne hanno parlato tanto bene..."
"Lui è a posto. Chiamalo se vuoi la sua versione." Poi, per tagliare corto, aprì l'acqua e il rumore scoraggiò ulteriori tentativi di proseguire la conversazione. Pian piano la stanchezza della giornata scivolò via, e tutto improvvisamente sembrò lontanissimo; sua madre, la professoressa Jadesson, l'Edison Institute, il misterioso insegnante di tecnologia... sarebbe rimasta sotto la doccia per sempre, se non avesse avuto paura delle urla di Sarah.
Mentre si asciugava i capelli le tornò in mente una cosa strana, alla quale prima non aveva fatto caso. Tom e Pat? Quei due non si potevano vedere, perché uscivano insieme? Perché uscivano con lei e Sarah? Di solito era Tom il loro compagno di scorribande notturne, che c'entrava Pat? Appoggiò il phon e prese il cellulare. "Hai detto Pat?"
La risposta arrivò mentre si stava rivestendo. "Si perché?"
"Lui e Tom si odiano."
"Non si odiano, vengono solo da quartieri molto diversi. Me l'ha chiesto lui di uscire, comunque."
Beatrice appoggiò il cellulare, poco convinta. Pat le piaceva, era sicuro di sé e veniva da un quartiere di lusso. Era l'esatto contrario di Tom, che arrivava direttamente dall'East End e si portava appresso quell'aria spaesata di chi è sempre fuori posto. Ma Sarah lo adorava...
Uscendo dal bagno, non poté evitare il confronto con sua madre. Lo affrontò a testa bassa.
"Beatrice!"
"Mamma?"
"Esci?"
"Vado da Sarah, mi aiuta a ripassare."
April Britt inclinò la testa di lato. "Devo crederti?"
Beatrice rispose con un'alzata di spalle. "Hai parlato con il prof?"
"Si, poco fa."
"E..."
"È contento."
"Bene."
"Ma tu non dormire sugli allori, sarà un'estate pesante."
"Ok, ma adesso devo andare." Provò a sgattaiolare di lato, ma sua madre si mise di nuovo in mezzo.
"Bea, ci tengo che tu rimanga alla Edison. Sei una ragazza intelligente e ti meriti un bel futuro. Per favore..."
"Ci proverò."
"Ci proverai? Se tuo padre fosse qui..."
"Non c'è perché tu l'hai fatto scappare. Con la sua assistente. Ora posso uscire?"
April si fece da parte, come se fosse stata spinta via. Si appoggiò alla parete e si limitò a fissare la figlia che attraversava di gran carriera il corridoio, prendeva lo zaino e si fermava un attimo sulla porta.
A Beatrice dispiaceva di aver detto quella cosa, ma non ce l'aveva fatta a tenersela dentro. Si voltò. Non riusciva a perdere un'occasione per rinfacciare alla madre... che cosa poi? Che suo padre era uno stronzo? Forse lo era, ma per qualche ragione nella sua testa tutte le colpe ricadevano su April. La guardò, e nei suoi occhi vide lo sguardo con il quale si osserva un estraneo. Si chiuse la porta alle spalle e scese le scale di corsa, ignorando l'ascensore; aveva bisogno di muoversi.
Prese lo scooter dal garage e sfrecciò su per la rampa a tutta velocità. Pian piano il vento in faccia le asciugò le lacrime che stavano appena spuntando, e la corsa anestetizzò i sensi di colpa e l'angoscia. Non doveva fare molta strada; Sarah abitava pochi isolati più in là, ma fece il giro più lungo, per essere sicura di non arrivare senza essere di nuovo padrona di sé stessa.
Parcheggiò poco distante dal portone. Fece uno squillo a Sarah, ma lei le rispose quasi subito con un messaggio, "sali che mi sto ancora preparando." Così legò il casco allo scooter e dopo essersi buttata in spalla lo zaino si avviò verso il portone. La targa sul muro che recitava "dottor Voss, psicoterapeuta - 23° piano" le ricordò che mestiere facesse il padre dell'amica, e per un attimo accarezzò l'idea di farsi dare un'occhiata. Ma poi scacciò quel pensiero con un sorriso, non era mica matta. Poteva benissimo gestirseli da sola, i suoi problemi. Spinse la porta ed entrò, poi prese l'ascensore fino all'attico.
Ad accoglierla c'era la madre di Sarah. Non era la sua vera madre, ma la nuova compagna del padre. Era una bella donna, bionda, con un accento strano. Non aveva mai capito da dove venisse esattamente, ma le piaceva; era sempre gentile e sorridente, sembrava non avere un problema al mondo. "Buonasera signora Voss."
"Ciao, Bea. Sarah è in camera. Vuoi qualcosa da bere?"
"Ehm... no grazie. Vado di là... dobbiamo uscire e sono sicura che Sarah ha bisogno di un po' di spinta."
La signora Voss sorrise, facendo segno di sì con la testa. "È praticamente appena uscita dalla doccia. Dai, vai a darle una svegliata."
La camera di Sarah era immersa nella solita semioscurità spezzata solo dalla luce dei monitor e da una piccola lampada a forma di Pukka sul comodino.
"Dio, Sarah, ma come fai a stare sempre al buio?"
"Ciao Bea," rispose una voce da dietro una pila di computer, "arrivo subito."
Beatrice sospirò e si buttò sul letto, rassegnata. "È sempre così, con te, noi corriamo e tu..." si interruppe vedendo l'amica apparire con una scheda madre in mano. "...tu sei ancora in mutande! Cosa aspetti a vestirti?"
Sarah raccolse i corti capelli neri in una coda alla bell'e meglio. "Ci metto un attimo. Scusa, ma stavo lavorando a una cosa..."
"Maledetta nerd!"
Sarah rise, scivolando dentro a un vestito leggero di cotone nero. Si sciolse i capelli e si piazzò davanti allo specchio sul comodino per mettersi appena un filo di trucco. "Pronta!" disse infine, trionfante. Beatrice la guardava estasiata.
"Sarah ma come cazzo fai? Io ci metto un'ora a prepararmi e tu... brutta stronza, tu in cinque minuti diventi uno schianto! Ti odio, lo sai?"
Sarah le strizzò l'occhio, porgendole la mano. "Ti offrirò la prima birra, per farmi perdonare. Dai, tirati su e andiamo!"
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