cena sul lago

Beatrice non riusciva proprio a crederci. Stava facendo la doccia a casa di Wolf Vinters! Doveva proprio essere impazzita. Eppure l'acqua calda e il sapone profumato erano così drammaticamente reali, e la piacevole sensazione che le attraversava ogni muscolo, ogni articolazione, ogni pensiero era così intensa da non poter essere un sogno.

Stava proprio facendo la doccia a casa del suo insegnante. Ogni cosa lì era ipertecnologica; il box per esempio aveva i comandi vocali, i getti idromassaggio, e una valanga di altri optional. Beatrice ordinò di interrompere il getto d'acqua e di azionare l'aria calda per asciugare i capelli; mentre la doccia ubbidiva, si massaggiò da capo a piedi con un olio idratante all'argan che aveva trovato nell'armadietto dei cosmetici. Sul momento non ci aveva fatto caso, ma c'erano parecchi oggetti un po' troppo femminili in giro, per il bagno di un single incallito. Eppure nel resto della casa non c'era nulla che facesse sospettare la presenza di una compagna nella vita di Wolf. Forse aveva spesso ospiti...? Beatrice arrossì al pensiero che magari Wolf era uno di quelli che collezionava conquiste. Per qualche strano meccanismo mentale la cosa anziché offenderla la fece sentire lusingata.

Poi cercò di tornare con i piedi per terra e si disse che Wolf Vinters l'aveva soltanto invitata a cena. Non la stava corteggiando, probabilmente la vedeva come una buffa adolescente con la quale chiacchierare un po'. Il rossore diminuì.

Improvvisamente qualcuno bussò. "Beatrice," disse la voce di Wolf attraverso la porta, "il mio robot tuttofare ti ha lavato, asciugato e stirato e vestiti. Te li lascio qui, sul tavolino. Io ti aspetto in salotto, puoi uscire tranquilla fra un minuto."

Beatrice sorrise e scosse il capo. Che gentiluomo! Non sarebbe stato lì ad aspettare di vederla uscire nuda per prendere i vestiti. Un vero signore. Comunque, per sicurezza, uscì in fretta, afferrò il fagotto, e balzò di nuovo in bagno richiudendo la porta dietro di sé. I vestiti profumavano ed erano stirati perfettamente; solo un robot poteva farlo in quel modo. Indossarli ancora tiepidi fu un piacere inaspettato, qualcosa che coinvolse ogni fibra del suo corpo. Beatrice sorrise, non pensava di essere così sensibile agli stimoli fisici. Forse era un po' ubriaca, ma dopotutto aveva bevuto solo una birra... forse era semplicemente eccitata, e prestava ad ogni cosa più attenzione del solito. Prima di uscire prese dallo zaino una piccola boccetta di profumo e se ne spruzzò appena un poco alla base del collo.

Vinters leggeva in salotto. In sottofondo c'era una musica strana, che aveva sonorità classiche ma ritmi pop. Lui alzò lo sguardo dal libro e vedendola sorrise. "Perfetta," disse.

"Perfetta non lo so, affamata di sicuro!"

Wolf appoggiò il libro. "Andiamo allora!" disse alzandosi, "sto morendo di fame anch'io."

"Cosa leggevi?" chiese Beatrice mentre lo seguiva attraverso il giardino.

"Conosci Carver?"

"Uh... l'ho sentito nominare."

"Dovresti leggere Cattedrale."

Beatrice rise. "Ma ho appena iniziato quell'altro libro che mi hai detto di leggere, quello di Abbey... Abb..."

"Abbott."

"Si, lui."

"Che te ne pare?"

"È... strano."

"Ti piacerà."

Beatrice sospirò. "Non sono una che legge molto."

"Hai tempo per imparare! Davanti a te hai tutto il tempo che vuoi."

Wolf si avviò lungo la strada.

"Non prendiamo la moto?"

"No, andiamo qui vicino; e passeggiare è uno dei piaceri della vita."

"Io non..."

"Non sei una che cammina molto. Bene, un'altra cosa da imparare."

Beatrice rise, e senza pensarci allungò il passo, prendendo Wolf a braccetto. "Non stai prendendo un po' troppo sul serio il tuo ruolo di insegnante? Devi farmi passare l'esame di tecnologia, non insegnarmi a vivere!"

Wolf alzò le spalle. "Che vuoi farci. Sei un'allieva interessante, e insegnarti qualsiasi cosa è un piacere."

Qualsiasi cosa? Questo meritava un approfondimento. "Per esempio cosa?"

"Passeggiare, leggere, e per stasera aggiungeremo il buon cibo. Non voglio strapazzarti."

Beatrice si augurò che arrivasse anche il momento delle strapazzate prima o poi. "Bene... allora che posto è quello dove stiamo andando?"

"Sorpresa."

"Ma io odio le sorprese!"

Wolf sorrise e le lanciò un'occhiata eloquente. "Si vede che non hai incontrato mai nessuno che fosse bravo a farle."

"Tu invece sei bravo, vero? Sei bravo a fare tutto, professore?"

"Mh... si, probabilmente si."

"Ma senti!"

"Giudicherai tu, siamo quasi arrivati."

Attraversarono un grande cancello sorvegliato da due vigilantes in armatura potenziata della Delta Security, ed entrarono nello Steamridge Park, il grande giardino pubblico delle Green Hills. Era una distesa verde punteggiata da macchie di alberi e di cespugli, sulla quale spiccavano grandi aiuole fiorite, come macchie di colore su una tela ancora da finire. I vialetti di ghiaia bianca si snodavano fra leggeri pendii e basse siepi e alberi ombrosi ormai appena sfiorati dagli ultimi raggi di sole che ne incendiavano le cime. La brezza dall'entroterra era fresca e pulita, e portava con sé un miscuglio di odori, profumo di valli ombrose e prati lontani.

Al centro del parco c'era un lago, e affacciato sul lago un piccolo chalet con un grande terrazzo sull'acqua coperto da un pergolato tutto verde di edera americana, il cui riflesso tremolava nelle increspature causate dal vento sulla superficie dell'acqua; era come se il laghetto rabbrividisse sfiorato da quella brezza frizzante e maliziosa.

"Wow," disse Beatrice. "Quell'arco era una macchina del tempo o cosa? Qui siamo..."

Wolf rise. "Non siamo in un'altra epoca, solo in un altro posto. Virginia ha creato questo quartiere ispirandosi alla vecchia Europa, convinta che fosse il posto migliore dove far vivere le menti più dotate della città."

"Credo che qui sia costoso anche respirare."

"Credevo che i soldi non ti interessassero."

"Beh, no, ma... wow. Wow! Mi interessano le cose strafighe che puoi farci!"

"Strafighe..." Wolf ridacchiò, "suppongo che sia un aggettivo appropriato... o quantomeno rende bene il concetto."

Gli unici robot in giro per il parco erano giardinieri e spazzini. Allo chalet tutto il personale era umano.

"Vorremmo cenare," disse Wolf al cameriere che venne ad accoglierli.

"Buonasera signor Vinters," rispose lui, "signorina," aggiunse rivolto a Beatrice, "prego, da questa parte."

Il cameriere li accompagnò a un tavolo sulla terrazza, proprio accanto alla balconata, un po' scostato dagli altri. In un attimo arrivarono due bicchieri di vino italiano, frizzante e color dell'alba, e i menù. Beatrice si stupì vedendo che la lista era molto breve.

"Hanno pochissime cose qui."

"Un'ampia scelta non implica una migliore qualità. Anzi, spesso è vero il contrario. Ogni piatto che trovi in quel menù è un piccolo capolavoro che ha richiesto giorni e giorni di studio e che va preparato con devozione e maestria."

"Non ci sono i prezzi!"

"Sono solo nel mio menù," disse Wolf ridendo.

"Cos...? Perché?"

"Perché tu sei mia ospite e non devi preoccuparti né di soldi, né di altro."

"Er... ok. Capisco." In realtà non capiva, ma la cosa la faceva comunque sentire coccolata, quindi decise di accettare senza discutere.

Scelse gli spaghetti alle vongole e chiuse il menù. Dato che Wolf stava ancora studiando il suo, ne approfittò per guardarsi intorno. Con il sole ormai scomparso a occidente, la sera sulla terrazza era rischiarata solo dalle lanterne appese ai pali che sostenevano il pergolato. Niente luce elettrica allo chalet fuori dal tempo.

Non appena Wolf chiuse il menù il cameriere apparve accanto al tavolo e si rivolse prima a Beatrice. "Signorina?"

"Spaghetti alle vongole, per cortesia."

"Anche per me," disse Wolf; "e una bottiglia di Verdicchio dei Castelli di Jesi."

"Abbiamo sia il duemilasessantasei che il duemilasessasette, entrambe ottime annate," disse il cameriere.

"Sessantasei andrà benissimo."

"Molto bene," concluse il cameriere allontanandosi.

"Che cos'è un Verd... coso?" chiese Beatrice.

Wolf rise. "Un vino italiano. Inutile che te lo descriva. Fra un istante lo assaggerai."

"C'è qualcosa a questo mondo di cui non ti intendi?"

Wolf alzò le spalle. "Sembro così esperto in tutto?"

"Secondo me fai di tutto per sembrarlo."

"Uuh, la tigre tira fuori gli artigli!"

"Credi di essere l'unico psicologo a questo tavolo?"

"Tu sei una ragazza piena di sorprese, Beatrice."

Un altro complimento mai sentito. Di solito passava per quella noiosa. "Senti, posso chiederti una cosa?"

"Naturale."

"Come mai hai scelto proprio quella moto?"

Wolf fece una faccia stupita. "Perché questa domanda? È una bella moto, che c'è di strano?"

"Non so... pensavo che piacesse solo a... ehm..."

Wolf sogghignò; ecco di nuovo la volpe in agguato. "Solo ai ricconi esibizionisti con problemi di autostima?"

"Io non..."

"Tranquilla," fece lui con un gesto vago della mano, "quella gente non piace nemmeno a me. No, la scelta della moto per quanto mi riguarda è stata dettata da motivi che non c'entrano nulla con l'esibizionismo gratuito."

"Ovvero?"

"Davvero ti interessa?"

Beatrice annuì. C'era qualcosa di lui che non la interessava?

"Il vero motivo è che se posso cerco di muovermi il più velocemente possibile, ma al tempo stesso anche di danneggiare il meno possibile l'ambiente."

"Cosa?"

"È molto semplice, Bea. Primo, la moto a sospensione è elettrica e quindi non inquina."

"Uh... non ci avevo pensato."

"Secondo, non ha pneumatici né freni meccanici e quindi non produce polveri sottili."

"Wow... non avevo pensato nemmeno a questo. Ma come funziona esattamente?"

"Un giorno veicoli come quello diventeranno obbligatori a Revolution City; funzionano grazie a campi magnetici che interagiscono con l'asfalto della città. Virginia l'ha fatto modificare apposta in quasi tutte le strade. Dovrebbero aver finito di sistemare tutto per il duemilasettanta."

"Virginia... non è strano essere governati da una macchina? Tu non ci pensi mai? È... boh, se ci penso mi fa impressione."

"Bea, Virginia è più di una macchina. Non possiamo sapere cosa le passi precisamente per la testa, ma finora si è comportata bene."

"Tu hai fede nella tecnologia, Wolf?"

"Assoluta. Tu no, vero?"

"No... mi spaventa."

"Più la conoscerai, meno ti farà paura; funziona così per tutto."

La cena arrivò in tavola con discrezione. Beatrice assaggiò subito il vino che il cameriere aveva provveduto a versare nei bicchieri dopo averlo fatto assaggiare a Wolf.

"Wow! È... fresco. Sa di... mmm..."

"Sa d'Italia."

Beatrice sorrise. "Sei mai stato in Italia?"

"Diverse volte."

"Per..."

"Lavoro."

"Nulla di romantico, quindi." L'affermazione aveva un tono che implicava una domanda, ma Beatrice si rese conto di averla formulata inconsciamente in quel modo. Si stupì di sé stessa. Stava... guardò Wolf, poi guardò il vino, poi di nuovo Wolf. Ci stava provando con lui?

"Nella mia vita non c'è molto di romantico," rispose Wolf.

In quel momento Beatrice seppe che a quel tavolo erano in corso due conversazioni, una fatta di parole e una fatta di tutto il resto; e improvvisamente si sentì spaventata e felice.

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