Parte VIII. Niente luce senza buio
Non so quante volte io abbia riscritto questa lettera, è quella che odio di più ma non possono esserci le prossime senza questa... buffo... la vita è esattamente così, non può esserci luce senza buio. All'alba della quarta era ormai tutto diventato un'abitudine: i compagni di classe che avrebbero dovuto essere stati tanto migliori di quelli passati, erano anche peggio, erano più impulsivi, insensibili e accaniti ma anche inconsapevoli, perché influenzati dall'infantilità di lui, che non si limitava a prenderti in giro come facevano gli altri... No, anzi... quella era cattiveria gratuita e sono abbastanza matura per capirlo. Stare in classe era come stare in una stanza dove tremila persone ti fissassero e aspettassero che facessi un unico passo falso per farlo notare al mondo, in qualsiasi cosa dicessi o facessi c'era qualcosa sbagliato, contrattaccare sarebbe stato inutile perché loro erano di più e perché tu non sapevi farlo. Lui era troppo forte e tu lo amavi ancora, ce ne volle di tempo prima che ti accorgesti che piuttosto che ricevere le sue attenzioni, era meglio non riceverne ma anche se te ne fossi accorta prima non sarebbe comunque cambiato niente perché, in ogni caso, non ti avrebbe dato pace. Iniziasti a soffrire di ansia sociale quando, tra un cambio di banchi e l'altro, la tua migliore amica finì alle tue spalle, l'ultima persona di cui non pensavi avresti mai dubitato fu la prima con cui successe più velocemente, era l'unica in quella stanza che riusciva a darti ancora conforto finché tra le loro risate non sentisti anche la sua. Mi ricordo che lei diceva che te la prendevi troppo, che non erano battute per cui valeva la pena rimanerci male e per un po' lo credesti anche tu ma non ne eri mai stata convinta. Il giorno in cui lei affermò di essere un'amica perfetta e tu lo negasti mentalmente, fu il giorno in cui ti rendesti conto che fosse diventata uguale agli altri. Poco tempo dopo, iniziasti a sentirti più sola che mai e iniziasti ad avere paura della scuola: ogni giorno sembrava peggiore dell'altro, il tempo sembrava ghiacciato in se stesso e nonostante ciò non saltavi mai neanche un giorno per paura che le tue paranoie iniziassero a rovinarti la vita, anche se onestamente lo stavano già facendo. Mi ricordo che pure un professore ti si mise contro: un insopportabile senza capelli che affermava di starti incentivando affinché migliorassi ma se per lui "incentivarti" significava chiederti il riassunto della volta scorsa e metterti in imbarazzo davanti ai tuoi compagni ogni santa lezione, avrebbe dovuto farsi un'esame di coscienza, come minimo.
Tu e lo studio, indipendentemente da tutto, non siete mai andati troppo d'accordo ma sono convinta che fosse così solo perché ciò che studiavi non ti interessasse, solo io sono riuscita finalmente a trovare qualcosa di decente ma tu eri ancora troppo piccola. Non mi interessa cosa dicono gli altri, non mi interessa cosa pensa la tua famiglia, non più ormai, io so perfettamente quanto ti impegnavi e nonostante qualche volta non riuscissi a parlare o a dire ciò che dovevi come volevi, io so che facevi del tuo meglio... e questo è abbastanza, per me lo è.
Lì, anche quando l'universo ti mostrava il contrario, cercavi di arrampicarti sugli specchi: le tue credenze, i tuoi valori, tutto ciò che era stabile una volta stava cedendo e non volevi, non volevi dubitare di cose di cui non avevi mai dubitato, volevi che rimanessero almeno le fondamenta per poter avere la certezza di qualcosa... tipo i tuoi genitori... Continuavi a dire di avere un rapporto perfetto con loro solo per non doverti soffermare ad ammettere che non fosse più così, e più che ammettere, era capire cosa provassi, cosa che ancora non eri in grado di fare, l'unica cosa che sapevi fare bene era provarle tutte fino a che non avresti trovato la soluzione giusta. Tra la disperazione e l'impulsività, ti ritrovasti a cercare di parlare con tua madre un'altra volta, quella che sarebbe stata l'ultima, ma quando le spiegasti tutto ciò che si fosse accumulato dall'inizio delle superiori fino ad allora, con un monologo confuso, frenetico e isterico, invece di ottenere conforto, la frustrasti solamente.
-E' normale che un professore ti chiami per riassumere le lezioni precedenti, fa solo il suo lavoro, non vado di certo a parlargli per una cosa del genere-
-I tuoi compagni sono solo stupidi, ignorali o dillo al prof, è lì per quello-
-In realtà io non ti vedo mai studiare, sei sempre lì a cazzeggiare-
-Sapessi quanto sopporto io con il lavoro... La vita è dura e difficile-
Sovraccaricare le persone non aiuta anzi non le fa vedere l'ora di allontanarsi da te, come già sembrava volessero tutti fare... o come forse facesti tu una volta che ti fosti accorta che non riuscivi più a fidarti di nessuno. Non mi stupisce che da quel momento in poi, le uniche persone con cui parlavi del tuo stato d'animo fossero quarantenni o cinquantenni a caso conosciuti sui social, non tanto perché ti piacesse la loro compagnia, anche perché volevano cose piuttosto discutibili che tu non esitavi a dare, ma più perché il tuo era un tentativo di trovare ciò che ti mancava, da un'altra parte. Gli esseri umani rimangono sempre e comunque animali, Kate... e un bambino che non sente la presenza dei genitori, per istinto, li andrà a cercare altrove.
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