Capitolo 7

Da piccola, quando facevamo lunghi viaggi in macchina, soprattutto di sera, mi addormentavo spesso sui sedili posteriori. Ho sempre amato andare in auto, e la guida dolce di mio padre stimolava particolarmente il sonno. Mi addormentavo dopo pochi minuti, e quando mi risvegliavo, mi trovavo come per magia nel mio letto, con le coperte fin sotto il mento e la testa posizionata perfettamente al centro del cuscino.
Non è mai passato neanche per l'anticamera del cervello che fosse merito dei miei genitori, che una volta tornati a casa mi prendevano in braccio e mi stendevano sul lettino.

Anche ora, quando mi sveglio, mi ritrovo con la testa appoggiata su un cuscino, ma quando lo tasto, mi rendo conto che è il bracciolo del divanetto di casa mia. Faccio un grugnito dolorante mentre mi tiro su, sedendomi sul divano, e appena apro gli occhi, li richiudo subito velocemente. Il forte mal di testa che mi sono accorta di avere aumenta con la luce del lampadario del mio soggiorno, perciò abbasso la testa. Quando finalmente riesco ad osservare il tavolino, sempre in disordine, vedo il mio passamontagna, e di fianco a esso vedo una sciarpa macchiata di sangue. Quella di Riot.

Deglutisco mentre cerco di capire dove è finito; probabilmente, mi ha riportato a casa lui, perciò mi guardo intorno fregandomene del mal di testa. Eppure non lo trovo da nessuna parte. Mi schiarisco la voce e lo chiamo, però non sento nessuna risposta. Mi alzo lentamente, ma quando il dolore alla gamba si acuisce improvvisamente in una fitta di dolore, mi accascio pesantemente sul divano. Spero che, nonostante la mia enorme gaffe, Martha sia riuscita a prendere il cellulare a quel colonnello, e che gli Spec Ops stiano proteggendo i cittadini senza mettersi in pericolo.

Sobbalzo dalla paura quando vedo spalancarsi la porta di casa mia, ma mi rilasso appena capisco che colui che è appena entrato in casa è Riot. -Sei sveglia- mi dice, e io sorrido debolmente mentre rispondo:-Grazie per avermi portata a casa- lui richiude la porta, e fa una sosta in cucina, cercando qualcosa. -Dove sono i bicchieri?- mi chiede, e io allungo un braccio, incapace di compiere altri movimenti. -Nella lavastoviglie, di fianco al forno- ne riempie uno d’acqua, poi mi raggiunge davanti al divano. Mentre prendo il bicchiere, colmo d’acqua di rubinetto, lo guardo aprire una busta, e tirare fuori degli antidolorifici. -Ti vedo in difficoltà- dico scherzando mentre gli tolgo dalle mani la confezione, che non riesce ad aprire. -È colpa dei guanti- ribatte scontroso, togliendoseli. Ha le mani grandi ma dalle dita magre e lunghe: le nocche sono piene di tagli e screpolature, mentre le unghie sono mangiate e circondate da pellicine tagliate male. Come avevo già visto, ha una carnagione olivastra, e noto che il mignolo destro è storto, forse causato da una vecchia frattura. Mentre lo guardo scrocchiarsi le dita, mi chiedo che tratti abbia il suo viso. -Puoi anche toglierti il casco- gli suggerisco, curiosa da morire. -Dove tieni il computer?- mi chiede, sapendo già che ne ho uno. In fondo, avranno hackerato anche quello. -Sulla scrivania, in camera mia- annuisce e poi mi rassicura, dicendo:-Torno fra un attimo- sbuffo e mi appoggio allo schienale del divano. Mi guardo intorno, trovando le mie chiavi e il mio cellulare sulla piccola penisola che collega la cucina al soggiorno, poi decido di alzarmi, aiutandomi appoggiando le mani al tavolino. La mia gamba mi fa un male cane, ma fortunatamente non zoppico, perciò arrivo al bagno relativamente in fretta. Mi richiudo la porta alle spalle e cerco di calmare il mio povero cuore, che oggi ha subito molti traumi: questo giorno sembra fatto di 40 ore, e non so a cosa pensare per rilassarmi.
Mi guardo allo specchio, sporco come sempre, e rido di fronte alle mie condizioni: i miei capelli castani sono racchiusi in migliaia di nodi, scompigliati e trasandati, mentre il mio viso è sporco di cenere, terra e gli occhi sono di una tonalità di rosso molto gradevole. La ciliegina sulla torta è il mio naso, che ha sanguinato un bel po', dato che ho una colata di sangue secco che scorre fino al mento. 

Mi lavo il viso con cura, poi mi pettino i capelli e li racchiudo in una treccia; sorrido come una bambina che ha vinto il peluche preferito al luna park mentre comincio a sentire l'effetto dell'antidolorifico. 

Uscita dal bagno, decido di andare in camera mia, e mi appoggio allo stipite della porta guardando Riot, che sembra a suo agio in una casa che non ha mai visitato: le sue dita lunghe scorrono troppo veloci sulla tastiera del mio piccolo computer, al quale ha attaccato una pennina USB nera. Mi siedo vicino a lui, ai piedi del materasso del mio letto, e cerco di capire cosa stia facendo, anche se non sono brava con i computer. A malapena so fare un PowerPoint, figuriamoci trovare il GPS di un cellulare.

Però, almeno, riesco a capire che Riot si sta mettendo in contatto con qualcuno, mandando messaggi corti e precisi. -È Tank?- chiedo, ma lui scuote la testa, dicendo:-Athena- mugolo una specie di risposta e mi sdraio sul materasso, mentre provo a non pensare a ciò che ho fatto oggi.

Ho aiutato un sacco di persone, ho litigato con decine di poliziotti. Ne ho perfino picchiato uno!

Okay, picchiato per modo di dire.

Per non parlare poi delle le persone che ho conosciuto: Scorpion, un diligente ma severo Spec Ops, e Martha, una ragazza tatuata che sa il fatto suo.

Mi sento montare dentro una carica di energia.

Nella mia vita monotona fatta di tragitti casa-lavoro e delle uscite il sabato sera, partecipare così attivamente a una protesta, che si sta trasformando in rivolta, mi fa sentire… diversa. Risveglia in me desideri che pensavo di non avere, ideali troppo nobili per una comunissima ragazza di Washington.

-Sono riusciti a prendere il cellulare?- chiedo a Riot mentre sono intenta a fissare il soffitto della mia camera. -Certo. La rete si sta infittendo, piano piano. Domattina riporteremo il telefono dove doveva rimanere, e nasconderemo tutte le prove. Il colonnello è finito al pronto soccorso dopo una bomba carta esplosa a una cinquantina di centimetri da lui, perciò non si accorgerà della perdita- mi informa Riot, per poi togliere la pennina USB dal computer e spegnerlo. -Adesso, però, pensiamo a te- mi dice, e io mi alzo di scatto, perplessa e con un fastidioso rossore alle guance.




Capitolo un po' più corto rispetto agli altri, ma indispensabile per prepararvi al prossimo, che mi piace davvero, davvero troppo.😏

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top