Capitolo 4

La situazione in queste manifestazioni è a malapena vivibile. Io e Paul, che ho incontrato mezz'ora fa, cerchiamo di soccorrere le poche persone ferite quando non dobbiamo litigare con la polizia o con i suoi simpatizzanti. 

Passo più tempo a discutere con le persone che a partecipare alla vera e propria protesta: infatti, il mio cartellone è sperduto chissà dove, ma non mi curo neanche di cercarlo. Sono troppo preoccupata per gli altri.

Sulle strade, le macchine transitano a malapena, e spesso vedo Tank o Riot litigare pesantemente con i conducenti, che premono i clacson sperando di farsi largo. Io, invece, cerco di urlare i cori espressi dalla folla, ma ogni tanto mi ritrovo a correre verso qualche persona ferita, che si accascia a terra dolorante.

Mentre bagno con dell'acqua gli occhi di un ragazzo, rossi dai lacrimogeni, lo rassicuro:-Respira, tesoro. Il peggio è passato- lui annuisce mentre si lascia pulire il viso tondo, e quando la situazione sembra sotto controllo, Paul gli porta una piccola bottiglietta d'acqua da cui poter bere. Ieri, da Target, ho scalato dal mio stipendio almeno 30 dollari in bottiglie d'acqua, che ho sistemato per bene in uno zaino capiente. Paul sì e offerto di portarlo, dato che dice di andare in palestra e di non sentire la fatica. -Grazie mille- dice il ragazzo, bevendo avidamente. -Non ti avvicinare troppo. Quelli sono degli stronzi, e ora come ora hanno paura perfino di un adolescente- lo allarma Paul, con il tono più perentorio che riesce ad assumere. Il ragazzino annuisce, ubbidiente. -Ce la fai a tornare a casa da solo, o vuoi che ti accompagni?- gli chiedo, una volta assicuratami che stia bene. -Voglio continuare la protesta… Non voglio andarmene- gli sorrido e appoggio la mia mano sul suo braccio, stringendo leggermente la stretta. -Va bene, ma stai attento. Non voglio soccorrerti di nuovo- ridacchia, ringrazia entrambi di nuovo e, dopo essersi alzato, scompare tra la folla.

-Ci sappiamo fare- mi dice Paul, sistemandosi lo zaino in spalla. Gli sorrido radiosa, pienamente d'accordo con lui, poi gli chiedo:-Sei bravo con le persone. Che lavoro fai?- lui mi guarda, inclinando la testa e facendo brillare i capelli corvini, che sotto la luce di questo tiepido sole hanno dei bellissimi riflessi platino. -Quando posso, lavoro alla mensa dei poveri, ma non ho un lavoro retribuito- annuisco, riuscendo finalmente a capire come fa a dire le cose giuste alle persone senza risultare invadente o irrispettoso. -Che fai adesso?- chiedo di nuovo, curiosa di sapere che tipo di vita stia conducendo. Quando uscivamo insieme a bere, tempo fa, non parlavamo troppo delle nostre vite private, dato che non eravamo migliori amici e non ci sentivamo a nostro agio. Ora, però, sarei felice di recuperare i rapporti con lui. -Faccio dei corsi di lingua. Ora sto studiando francese e tedesco- alzo le sopracciglia, sorpresa. -Complimenti! Quindi sai l'inglese, lo spagnolo, e ora pure il francese e il tedesco?- lui ridacchia, leggermente imbarazzato dalla mia lode. -Te invece lavori, Farley?- annuisco, rispondendo:-Sì, da Target, anche se vorrei restare qui tutto il tempo- mentre camminiamo, calpesto dei vetri, che scricchiolano armoniosamente sotto la suola pesante dei miei anfibi. Quando vedo per terra uno specchietto retrovisore, sono certa ci sia dietro lo zampino di uno Spec Ops.

A conferma della mia teoria, vediamo Tank litigare con una donna di mezza età, mentre una ragazza tatuata si tasta un ginocchio. -Che è successo?- chiede Paul, avvicinandosi alla presunta ferita. -Questa mi è venuta addosso con la macchina- ribatte la ragazza, che ha il volto contratto dal dolore. -Andavo pianissimo, e tu ti sei buttata in mezzo alla strada!- si giustifica la donna, che dal tono sembra tutto tranne che innocente. -Lei stava aanche andando "pianissimo", ma per farle fermare la macchina mi è toccato distruggere lo specchietto retrovisore- aggiunge Tank, infastidito. La sua voce, che avevo sentito solo mentre scherzava, adesso è cupa e rude, e fa paura perfino a me. -Danno che mi ripagherà subito- dice la donna, con i nervi a fior di pelle. -Certo. Cerchi pure il mio nome nell'elenco: mi chiamo Alpha Dickhead- risponde Tank, tornando il solito uomo sarcastico. -Tutto questo è ridicolo! Sono già in ritardo per il lavoro, e in più, dopo avermi distrutto la macchina, devo perfino rimanere zitta e sorbirmi questi discorsi, fatti da uno che non si fa vedere neanche in faccia?!- Tank le prende un braccio, facendola indietreggiare e facendola appoggiare contro la portiera della sua macchina. La borsa che la donna porta a tracolla sbatte rumorosamente contro la carrozzeria, e ho paura che Tank si sia infuriato. La donna sbianca dal terrore, e non la biasimo.

-Ma si ascolta, mente parla? Quella ragazza stava per essere investita dalla sua auto. Lei voleva tirare dritto, ed è fortunata ad aver beccato me. Sono molto clemente. Perciò adesso lei, signora, si ficca lo specchietto su per il culo, sale in macchina e mi fa la cortesia di levarsi dal cazzo- la ragazza accorre e cerca di calmare Tank, ma io e Paul rimaniamo immobili, dato che non ci dispiacerebbe affatto se quella donna imparasse un po' di rispetto. Le maniere sono un po' burbere, ma sono sicura che siano efficaci. -Se non è d'accordo me lo dica- Tank poi si gira verso la ragazza, che si sistema i capelli biondi dietro le orecchie, non sapendo che fare per calmare lo Spec Ops. La signora borbotta qualcosa di incomprensibile mentre rientra in macchina e riparte, lasciando lentamente la zona.

-Come stai, Martha?- chiede Tank alla ragazza, che annuisce per rassicurarci:-Sono sicura che mi verranno dei lividi, ma nulla di che. Grazie- quando lei sorride a Tank, lui lascia la presa, e la domanda mi viene logica:-Vi conoscete?- Martha mi guarda e arrossisce leggermente sugli zigomi. -Non è la prima volta che mi capita di litigare con qualcuno, e non è la prima volta che mi tocca chiedere aiuto a Tank- risponde la ragazza, che ha una postura dritta e fiera, nonostante il colpo incassato dall’auto. -Ti cacci sempre nei guai- commenta Tank, pulendosi l’avambraccio da della terra. 

-Allora, voi che avete fatto, oltre a guardarmi litigare?- ci chiede Tank. Paul, leggermente cauto dato che ha paura di un altro scatto di Tank, anche se adesso sembra tranquillissimo, risponde:-Abbiamo soccorso tre feriti- io decido di continuare la frase, dato che non è completa:-E abbiamo litigato con due poliziotti- Tank si gira verso di me con energia, curioso di saperne di più. -Avevano “chiesto” ad un ragazzo nero di essere perquisito. Io ho voluto chiedere il motivo, ma quelli non mi hanno risposto. Se non ci fosse stato Paul a riprendere il tutto, forse non ce la saremmo svignata con così tanta facilità- lo Spec Ops ridacchia tenendosi il giubbotto con le grandi mani. -Ben fatto, piccoletti. La prossima volta tiragli anche un cazzotto, al poliziotto che voleva perquisire il ragazzo. Sei forte e hai il viso quasi completamente coperto, gli farai abbastanza male da farlo pisciare addosso dalla paura- mi dice, rendendomi ancor più felice del mio piccolo contributo. 

-Ho sentito che stasera vogliono rimanere in strada, i protestanti- ci confida Martha, che finora era rimasta ferma a guardarci parlare. Tank annuisce, poi però alza le spalle:-Detto tra noi, non so se sia una buona idea. La polizia si sta inasprendo, e anche se oggi abbiamo la fortuna di essere tutti in campo, noi Spec Ops, ho paura che un fronte possa rimanere scoperto- gli tiro una gomitata sul braccio. -Parli come un generale. “Tutti in campo”? Chi?- Tank fa volteggiare una mano in aria, che poi appoggia pesantemente sulla mia spalla, ancora dolorante da ieri. -Rimani qui dopo il coprifuoco e li conoscerai- la conversazione finisce qui, ma la mia curiosità aumenta. Se voglio aiutare Anonymous, devo anche conoscere chi ne fa parte. So che è abbastanza rischioso restare fuori casa dopo il coprifuoco delle 19, ma so anche che è quello che voglio fare, dato che ho chiesto disperatamente a Riot di entrare a far parte del loro gruppo di azione. -Paul, mi accompagneresti a casa?- chiedo al mio amico, il quale annuisce, confuso. Poi, però, una lampadina si illumina nel suo cervello prodigioso, e lui mi chiede, allarmato:-Sei sicura?- faccio un sorriso a trentadue denti e annuisco.

Chiudo la porta di casa e dico a Paul di mettersi comodo, anche se il divanetto del mio soggiorno è pieno di vestiti buttati a casaccio e rifiuti. Lui mi sorride e dice:-Ti aiuto a prendere la roba. In cambio, posso andare in bagno?- annuisco e gli indico il mio piccolo bagno mentre vado in camera. Frugando tra i vestiti invernali, tiro fuori una felpa grigia, comoda e larga abbastanza per nascondere le mie forme alla polizia. In più, il cappuccio è leggermente grande, e combinato alla mia bandana nera penso di risultare irriconoscibile, al buio.

Cercando tra gli scatoloni che mio padre mi aveva aiutata a fare, quando mi sono trasferita qui, ripesco gli indumenti che usavo quando, da piccola, andavo a fare sci con i miei genitori in Colorado, piccola vacanza che ci concedevamo ogni anno, per Natale. Fortunatamente, trovo il mio amato passamontagna blu, che lancio a Paul appena lo vedo sbucare dalla porta di camera mia. -Sei il più riconoscibile tra i due- lui scuote la testa e me lo passa:-Farley, io non resto stasera. La mia famiglia mi aspetta a casa, e in più non penso di avere il tuo stesso coraggio- lo guardo negli occhi scuri, cercando di capire se ha paura per la sua vita o se è preoccupato per la sua famiglia. Faccio un mezzo sorriso e mi lego i capelli in una coda bassa, per poi infilarmi il passamontagna, che è un po’ rotto e lascia scoperto anche metà della fronte. -Va bene. Domani ci sarai?- lui annuisce sommessamente e poi dice, con tono premuroso:-Anche tu, vero?- come per chiedermi di non fare stronzate, stanotte. Non posso promettergli nulla, ma mento rispondendogli:-Ovviamente. Non succederà nulla di che- e finisco di prendere le altre cose in silenzio, un po’ pentita di quello che ho detto. Sono sicura che stasera succederà di tutto, ma sono piuttosto sicura anche del fatto che non mi verrà torto neanche un capello.

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