Capitolo 20
I miei passi sono veloci ma non completamente sicuri. Penso di aver imboccato la via giusta, ma non so se ho mai notato quel parchetto all'angolo dell'incrocio, o se in realtà la mia memoria mi sta facendo brutti scherzi...
Mi sembra che la strada sia quella della scorsa notte... Anche se non mi ricordavo di tutti questi edifici; quando, per la prima volta, ho percorso quelle strade con Riot, mi sembrava di essere isolata dal mondo, intenta a guardare i suoi bellissimi occhi verdi, e invece adesso mi sento investita da esso con prepotenza.
Mmh, forse ho davvero sbagliato strada...
Ah no, ecco il ponte che si affaccia sullo stagno delle rane!
Le sento gracidare debolmente mentre aumento il passo e raggiungo la zona isolata che circonda la piccola casa a vetri. Appena intravedo la porta di casa sua, che sembra quasi chiamarmi, con la piccola luce accesa sopra al portone in mezzo all'oscurità, mi fiondo sotto la piccola veranda, cercando di far passare il minor tempo possibile per evitare di far raffreddare troppo la cena, ben custodita tra le mie mani. Senza neanche aver bisogno di bussare o suonare un campanello, sento la serratura scattare repentinamente, e quando incrocio lo sguardo di Riot, ogni mio sprizzo di gioia si annebbia leggermente:-Vieni- dice bruscamente, per poi chiudere la porta dietro le mie spalle.
-Che ci fai qui?- domanda, preoccupato ma anche nervoso. Ha i capelli legati e il corpo coperto da un paio di pantaloni larghi e una maglietta bianca, gli occhi protetti da degli occhiali da vista squadrati. -Ho pensato che ti potesse far piacere qualcosa da mettere sotto i denti, a quest'ora. In più, è da un po' che non ci sentiamo...- prende la mia felpa, che nel frattempo mi ero tolta, e la appoggia all'attaccapanni con nervosismo. -E doveva rimanere così per ancora qualche giorno, almeno- borbotta con disapprovazione. Appoggio la cena sulla penisola della sua cucina, e mi giro per guardarlo con un enorme punto di domanda sulla fronte. -Farley, sei una ragazza bellissima, in tutti i sensi. Però non ti allargare troppo...- ancora confusa, domando con tono sarcastico:-Non posso portarti la cena?- e lui scuote la testa debolmente. Ho capito che c'è qualcosa che non va, ma non ho ancora capito che c'entro io.
-Non devi far sapere al mondo che è successo qualcosa tra noi- mi rimprovera come una bambina immatura, facendomi sentire colpevole di qualcosa che non ho mai fatto. Non volevo farlo sapere a nessuno, e se non fosse stato per Tank, sarebbe rimasto così. In più,l'ha solamente detto a due miei amici, che per lo più fanno parte di Anonymous e sanno cosa fare. Eppure, sembra che io abbia postato una foto su tutti i miei social media dove io e lui ci baciamo, o che abbia urlato ai quattro venti che sono felicemente fidanzata con uno Spec Ops. Leggermente frustrata, chiedo spiegazioni: -Quindi che dovrei fare? Far finta di nulla anche se mi importa? È solo dello stupido pollo...- lui mi viene incontro, prendendomi i polsi con le mani, freddissime, e cercando i miei occhi. Entrambi siamo arrabbiati, ma entrambi stiamo cercando di calmarci per poter parlare e evitare nel miglior modo possibile di litigare. -Non voglio che tu ti illuda, e anche se dici che non è così, sembra il contrario. Io devo monitorare i miei movimenti e i movimenti di chi mi sta intorno costantemente, perché se per te queste proteste sono un modo per sfogare il tuo dolore e dissenso, per me sono molto, molto di più- deglutisce e si prepara al piatto forte. -I tuoi amichetti, per colpa di quel coglione, sanno già quello che non dovrebbero sapere, e in più adesso sei venuta a casa mia. Qualcuno potrebbe avervi sentiti, potrebbe avervi tracciati, potrebbe averti seguito... Però tu affronti tutto con leggerezza- ciò che deglutisce sembra piombo, da tanto è terrorizzato all'idea che Anonymous possa rischiare di essere scoperto. Ma pensa davvero che sia così stupida? Mi sarò girata almeno venti volte per cercare di capire se qualcuno mi stava seguendo, mentre venivo qui. Okay, l'ho fatto perché avevo paura di essere derubata in quelle strade deserte e male illuminate, ma ho pur sempre controllato. E non avevo nessuno alle calcagna, a quanto pare. E poi, cosa avrebbero potuto fare? Questa casetta è stracolma di telecamere e sensori, e di sicuro Riot si sarebbe accorto di possibili minacce, dato che si è accorto del mio arrivo inaspettato.
-Rischi la prigione. Sei una complice, e ci sei anche parecchio dentro- mi siedo riluttante su una delle sedie che circondano le penisola, ripensando alle sue parole e sentendo le sue mani sui miei polsi, anche se li hanno lasciati da qualche secondo. -Volevo solo essere premurosa...- balbetto, e lui sospira. -Secondo te non lo so? Farley, non fare il passo più lungo della gamba. Mantieni le distanze che cerco di delineare, perché se succedesse qualcosa a te o ai tuoi amici, sarebbe tutta colpa mia, e non me lo perdonerei mai. Per non parlare poi dei danni che subirebbe Anonymous, come conseguenza- era solo una stupida cena, cazzo! Ma alla fine, perché ho voluto farlo? Se lui pensa solo a queste cose, e non mette neanche in considerazione il rischio che ho voluto correre pur di vederlo, significa che non vede i sacrifici che faccio per alimentare la nostra relazione. O qualunque cosa ci sia tra noi. -Faccio il passo più lungo della gamba per cercare di farti capire cosa voglio da te, cosa voglio da noi. Scusa per questa cazzata che ho fatto, ma volevo passare una serata tranquilla con te senza dover pensare a nulla- lui scuote la testa, sull'orlo dell'esasperazione. -Io non posso non pensarci. È il mio lavoro, la mia vita, la mia famiglia e la mia passione, perciò devo sempre pensare ad Anonymous. E significa anche questo, ovvero mettere in pausa le relazioni che ho con le persone. Secondo te come mi sento, a vivere da solo senza poter neanche chiamare i miei genitori? Senza poter sentire le voci dei miei parenti? Apprezzo il tuo sforzo, ma non è così facile- mi alzo, innervosita quanto lui, e faccio per andare verso l'ingresso, ma vengo bloccata dal suo braccio potente, che non mi fa neanche lasciare la sedia su cui rimango seduta.
Le lacrime mi punzecchiano gli occhi, perché sono una stupida e alla fine, anche se non voglio sperarci, ci spero sempre più degli altri. -Dove credi di andare?-mi chiede con voce pacata. -A casa. Se ti creo così tanti problemi, meglio rimandare a quando non dovrai salvare il mondo- l'altra mano mi prende il mento, e i nostri occhi, due furiosi e due sull'orlo di un pianto di rabbia, si incrociano. -Farley- mi chiama Riot. -Non so il tuo cazzo di nome, non posso essere felice per quello che abbiamo fatto, e tu parli di ingiustizie...- mi lamento come la bambina che lui pensa che sia, ma se lui ha voluto sfogarsi, anche io voglio esercitare questo diritto. -Lo so, e sono mortificato. Potessi, ti porterei fino in capo al mondo, ma potrei farlo solo se avessi un mantello dell'invisibilità...- mi asciugo una lacrima ribelle e sorrido leggermente, più calma di qualche secondo fa, dato che la furia è scomparsa dai suoi occhi, e forse ha capito che quello che ho fatto non è stato solamente per farmi beccare da qualche stupido poliziotto.
Però, quello che ha detto mi fa riflettere, e mi fa ancora male.
-Posso farti una domanda? Una sola- chiedo infine a Riot, consapevole che la sua risposta potrà farmi restare in questa casa o potrà farmi dimenticare tutto quello che riguarda questo Spec Ops. -Cosa sono per te?- lui sospira, stringendo al tempo stesso la presa del suo braccio intorno alla mia vita, che si sente piccola piccola cinta da questa forza. Riot ride debolmente, quasi divertito da questa domanda, fuori luogo con il litigio che voleva iniziare. -Se fossi un ragazzo normale, che fa un lavoretto part-time, o che va al college, tu a quest'ora saresti diventata la mia ragazza. Saremmo usciti a cena insieme, avremmo passeggiato per le strade dopo aver cenato insieme, ci saremmo baciati nella macchina usata che i miei genitori mi avrebbero dato in prestito. Però non lo sono, e in fondo ci conosciamo da davvero poco tempo...- mi guarda le labbra, e io non so davvero che pensare. È vero, è successo tutto alla velocità della luce, ma è vero anche che non voglio perdere tempo dietro alla prassi, a ciò che le persone fanno di solito. Perché, dati i tempi così fuori di testa, non voglio essere sparata da un poliziotto prima di aver fatto tutto ciò che desidero fare. E nella mia lista, tra le tante cose c'è anche il fatidico "primo passo". -So che te ne vuoi andare dopo la sfuriata che ho fatto, lo so. Ma preferisci andartene e odiarmi, o restare e capire perché sono stato così odioso?- espiro con violenza dal naso, per fargli capire che anche io ero incazzata, dieci secondi fa. -Sai già la risposta, sbruffone. Ma prima devi dirmi cosa sono io per te, perché non voglio essere presa per il culo per troppo tempo- il suo sorriso si allarga, e maledico quelle labbra rosee per distrarmi da una questione così importante. -Posso dirtelo in un altro contesto? Magari di fronte a una cenetta come si deve, con le candele e tutto il resto. Anche se non sono un ragazzo normale, vorrei provare ad esserlo per te, ogni tanto. Quando posso- anche io sorrido, finalmente sciolta dal calore che le sue parole dolci provocano. -Mi chiamo Jackson, per la cronaca. Adesso che sai il mio nome, puoi restare?- il mio sorriso si allarga ancora un pochino, e anche se ho sempre il groppo in gola, mi placo e mi sistemo sulla sedia, sospirando e osservando cautamente Riot, per capire quale sarà la sua prossima mossa. Perché mi ha convinto a rimanere stasera, ma non a continuare il giochetto che avevamo iniziato.
Scusate la lunga assenza e il capitolo corto, ma è indispensabile per farmi tornare nel giusto ritmo delle cose. Ho avuto un po' di problemi, e in più volevo terminare l'estate nella maniera appropriata; ma ora sono qui, sono ritornata e sono pronta a continuare questa storia! Per quanto riguarda gli aggiornamenti, aspettatevene 1/2 a settimana, dato che devo ancora organizzarvi e non voglio illudervi. Vi adoro!
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