Arrivare alla fine
Aurora non alzò gli occhi al cielo com'era suo solito fare, rimase con lo sguardo fisso nel nulla. Perché c'è un'enorme differenza tra chi guarda qualcosa e chi guarda il vuoto.
Sentiva, percepiva la presenza di Robert dietro la porta, poteva aprirla e dirgli che le dispiaceva, che non avrebbe dovuto trattarlo così...ma sarebbe stata una gran bugiarda e nient'altro.
Poteva far finta di non aver detto quelle parole e cercare di farsi perdonare, ma aveva il forte sospetto che lui non l'avrebbe accettata di nuovo.
Aveva visto della rabbia, più una profonda delusione in fondo a quei due occhi scuri, profondi. Due buchi neri che inghiottono ogni cosa, sanno ogni cosa, catturano la luce e di certo perdonano solo quando ne hanno davvero bisogno.
Ma quel giorno Aurora aveva scorto, fra quelle complicate venature color miele delle iridi bagnate dall'alba, il silenzio di una delusione.
E si sa che è difficile perdonare, ma ancor più ardua impresa è il saper perdonare una delusione.
È facile farsi dei nemici, ma è altrettanto difficile riuscire a trovare degli amici.
Così iniziò a piangere con gli occhi rossi per le troppe lacrime cadute da quelle palpebre, la pelle più bianca del solito, quasi cadaverica e le labbra tremanti arrossate per il freddo.
La pittrice sentì quella eterna esplosione dentro di lei, il cuore che sembrava rompere le proprie fibre, il sangue che sembrava la carica dell'esplosivo.
Doveva essere salvata? Non lo sapeva.
Ma c'era una persona oltre quella porta, c'era forse la persona con il carattere più complicato al mondo eppure il più semplice degli uomini. Pianse in silenzio pensando al fatto che oltre quella porta, la telecamera del dolore stava inquadrando l'attore nell'atto più naturale possibile del pianto.
Si coprì la bocca con dita malferme, il labbro inferiore danzava.
Robert guardava tutto e niente, si sentiva un attore in grado di diventare chiunque e al tempo stesso si sentiva niente e nessuno senza il personaggio più difficile da interpretare della sua vita: l'amore ancora vivo nella delusione.
Robert quella notte pianse molte lacrime, poche di quelle finirono nel suo cuore e giù, polvere nel vento, luce nelle stelle.
C'erano quelle note ripetitive di un pianoforte che parvero respirare ed inspirare, far credere ad un epico boato per poi via via zittirsi pian piano.
Si sentivano giovani come il mattino nella loro inesperienza e vecchi come il mare nella loro conoscenza del dolore.
Avevano imparato come sorridere ad un pugno in pieno viso e piangere in un bacio saturo di amore.
In quei frangenti caddero a terra e si frantumarono, facendosi tanto, tanto male. Avevano perso l'unica persona in grado di aggiustarli e restavano lì, a terra, in mille pezzi, non più padroni del loro destino.
C'era quel silenzio che nasceva in ogni loro lacrima, ogni loro singhiozzo represso e ogni sfumatura del loro dolore che si parlava attraverso il legno così stoico nel dividerli.
Aurora sentì la sua corda del cuore tendersi fino allo sfinimento, davvero non riusciva più a sentire dolore talmente esso era presente dentro di lei.
Ed erano lì, vicinissimi, in grado di alzarsi e abbattere il loro muro per riprendere ciò che avevano iniziato, ma non sempre la rosa perfetta non possiede delle spine.
Così Rob appoggiò la nuca al legno, alla loro barriera, il pomo d'Adamo che saltava su e giù. Piansero lacrime tante quanto l'età della Terra, quasi allagarono il pavimento ai loro piedi.
Le gambe strette al petto in una posizione di patetica difesa, così vicini per ritrovarsi ma così disposti a perdersi prima di farlo.
Forse giorni fa Aurora lo avrebbe rincorso e assillato, gli avrebbe raccontato tutti i suoi segreti, fatto delle domande, ma in quella notte si sarebbe fermata a riprendere fiato e avrebbe fatto a pugni con i suoi stessi sogni pur di svegliarsi.
La vita è vera, per questo è una fiaba.
Entrambi sapevano che potevano essere tutti o nessuno allontanandosi per l'ennesima volta, ma preferivano scoprire i loro ruoli da soli e ad ogni costo.
La pittrice sentì quasi la testa muoversi da sola e farle guardare la maniglia, ma senza opporsi non aprì la porta e continuò a tingere i suoi occhi di rosso, un rosso pianto.
Robert si portò il polso destro sulla rispettiva tempia, facendo tintinnare i denti tra di loro talmente il tremore aveva preso possesso del suo corpo.
I suoi occhi erano un brutto spettacolo, lui era lo spettatore del suo dolore.
Chiuse gli occhi per scatenare una cascata impetuosa di emozioni, sentendo le guance bruciare e le lacrime staccargli la pelle.
La sua voce uscì graffiante e quasi un silenzioso urlo disperato quando iniziò a canticchiare, sussurrando una canzone imparata a memoria per ricordarsi che il dolore tutto prende e niente restituisce.
Cantava triste, a scatti, fermandosi quando le parole erano di troppo impatto anche per lui.
E Aurora riuscì a sentirlo cantare, chiudendo gli occhi mentre altre lacrime infinite uscivano a ritmo delle sue parole. Nonostante tutto si lasciò rapire dalla sua voce, ancora grata di poterla sentire un'ultima volta. In quelle parole trovò il rammarico e dispiacere di non essere riuscita a fare di più e magari Robert la stava in qualche smielato modo incolpando, non importava.
Robert pianse cantando su quelle note, e continuò così per tante ore. Il suo cuore sempre più simile ad un ricordo.
Stavano seduti a guardare faccia a faccia il silenzio, e lo vedevano girare.
Si erano mai chiesti da dove proveniva tutta quella sofferenza? No, ma nel silenzio più rumoroso nessuno è in grado di distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato.
Il dolore non è vero dolore finché non lo si è affrontato.
E quella sfera bianca e luminosa in cielo illuminava la stessa città, ogni notte, magari sentendosi stufa di dare speranza ai pessimisti.
Quel cerchio caldo e abbagliante irradiava la stessa terra, ogni giorno, magari sentendosi stufo di dare la vista ai ciechi. Così Robert ed Aurora si sentivano prigionieri di un infinito troppo limitato per i loro spazi, loro dovevano evolversi per avere la possibilità di cambiare.
Fin troppe persone hanno detto che finché c'è vita c'è speranza, bene io dico che finché c'è amore c'è dolore! Un'amore importante come saper vivere, la speranza di provare ancora dolore per imparare come si fa a sperare laddove c'è vita.
Era un urlo troppo forte da poter gridare.
Volevano tornare all'inizio, ma prima, dovevano arrivare alla fine.
*non odiatemi, sono solo brava in quello che faccio. Adesso vi voglio carichi e sorridenti perché se questa storia è così imponente un motivo alla fine ci sarà e ve lo dirò tra molte, molte settimane. Solo godiamoci questi momenti insieme. Adesso passiamo alle domande: come vi siete sentiti? Cosa avreste fatto al posto di Auro? Vi piace come ha cantato il mio amico di vecchia data (😏)? Ditemi in quali "temi" sono più brava (drammatici, felici, romantici ecc.) e in base alla risposta secondo voi cosa significa (tipo se sono brava a scrivere cose tristi sono una persona che conosce il dolore e bla,bla,bla) non abbiate paura ad essere ripetivi, ma rispondete che così mi rendete felice. Commentate e votate altrimenti vi crucio...*
Qua da Shinimal è tutto
Al prossimo capitolo.
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