8.Can You Keep A Secret?
📼🌼
"No, assolutamente no..." scosse debolmente la testa ricciuta il piccolo Wheeler appena il primo trillo acuto ebbe superato la barriera dei suoi sogni.
"Mmm..." arricciò il naso la piccola Hopper, avvertendo qualcosa di ruvido e all'apparenza umidiccio sfiorarle insistentemente la punta del naso leggermente all'insù.
"Ma che cazz..?" boffonchiò quello, aprendo lentamente un occhio verso la sveglia sul comodino, nera e tonda a forma di sfera come la navicella spaziale di cui rappresentava la miniatura, stringendo gli occhi in due fessure per decifrarne i numeri segnati dalle lancette rosse: 7:30.
"Di domenica mattina?! O no, non se ne parla!"
"Buongiorno Mr Darsy" sorrise quella ancora ad occhi chiusi, portando una mano lentamente fuori dalle lenzuola fin davanti al suo viso, ritrovando sotto le sue dita un pelo morbido e caldo a lei molto, molto familiare.
"Puntuale anche oggi come ogni mattina, non è vero?"
"Il mondo dovrà sopravvivere senza di me ancora per un po'..." concluse Mike richiudendo gli occhi e lasciando cadere la testa sul cuscino, girandosi nel letto della sua camera al secondo piano di casa Wheeler dal lato opposto rispetto al comodino, tirando la coperta fin sopra le sue orecchie con uno strattone della mano.
"Dimenticatevi di me per le prossime 3 ore..."
"Forza..." annuì a se stessa El, aprendo finalmente gli occhi grandi e ritrovando davanti a sé un dolce musetto dai lunghi baffi e manto maculato, due occhi verdi e spalancati in attesa di una sua reazione, insistenti e decisi come a volerglielo sussurrare:
"...è ora di alzarsi!"
La piccola prese un profondo respiro, richiudendo gli occhi per un altro secondo, combattendo l'invitante tentazione del suo cuscino di concedersi quei famosi "ancora 5 minuti", cullata dalle fusa profonde e rasserenanti di Mr Darsy e dal tepore delle sue coperte tirate fin sulle spalline a sbuffo della sua camicia da notte gialla.
Portò le mani sul viso, stropicciando gli occhi gonfi e caldi dal sonno, tendendo le gambe sotto le lenzuola del letto nella sua piccola camera e inarcando la schiena per svegliare ogni muscolo ancora indolenzito e pigro.
Sentì la punta delle sue dita raggiunte in un secondo dalla stessa sensazione ruvida e umidiccia di poco prima e riaprì immediatamente gli occhi di fronte a sé, sbattendo le lunghe ciglia un paio di volte per mettere meglio a fuoco il musetto rosso e nero del micio acquattato accanto al suo cuscino, intento con la sua piccola lingua rosa a leccare dolcemente ogni punto raggiungibile della sua pelle scoperta dalle lenzuola.
"E va bene, va bene, ho capito..." rise El passando una mano sul suo musetto, soffermandosi con le dita a solleticare la fossetta in mezzo alle sue orecchie,
"...qualcuno qui ha fame o sbaglio?"
Allargò il suo sorriso, vedendo il micio di fronte a sé allungarsi verso di lei sfiorando con il nasino rosa il suo, come ogni mattina: la sua personale sveglia pelosa quotidiana.
Sì, quello era decisamente il segnale che era giunta l'ora di scendere da quel letto.
Un vento freddo soffiava dalla finestra lasciata semiaperta, come ogni notte da quella piccolina, per permettere ai brutti pensieri di volare via la sera a Mr Darsy di entrare ogni mattina, saltando sul cornicione della finestra dal ramo più basso dell'albero del cortile.
El si strinse uno scialle bianco sulle spalle come per conservare ancora un poco di calore, scuotendo i ricci spettinati sulla fronte e voltandosi alle sue spalle verso le tende mosse leggere da quel vento, così come le foglie più sottili dei fiori ben disposti nei vasi sul davanzale.
Una luce ancora timida illuminava i contorni della sua camera nel silenzio di quella casetta nel bosco, lontana dal rumore della strada e dalle macchine, lontana da quella piccola città, lontana dal frastuono e dal caos tutt'intorno.
E dopo una settimana passata "nel mondo", El non era mai stata più felice di potersi finalmente concedere di riprendere fiato in quel suo piccolo e sperduto angolo di paradiso.
Si prese il suo tempo per scendere lentamente dal letto quella mattina, appoggiando una per volta le piante dei piedi sul freddo pavimento, lasciandosi percorrere da un brivido ed abbassando lo sguardo lungo le sue gambe sottili lasciate nude dalla corta gonna del pigiama ancora estivo, gonfiato dal vento leggero come un palloncino appeso al braccio di un bambino.
Mosse un paio di passi lungo il pavimento di legno fin di fronte alla finestra, lasciando che i ricci sfiorassero morbidi le sue guance rosee, concedendosi di salutare ognuna delle sue piccole meraviglie disposte con cura nei vasi sulla scrivania e sul davanzale accanto al letto.
Ogni bocciolo, ogni stelo, ogni petalo dai variopinti colori era degno di una carezza quella mattina, ed El non poteva credere di essersi alzata così di corsa per tutta la settimana da non aver trovato il tempo di dare il buon giorno a quei suoi amati piccoli amici che tanto in quegli anni le avevano fatto compagnia.
Chiuse gli occhi, avvicinando il viso ai petali di un mazzetto di tulipani, i suoi preferiti, ispirando più da vicino quel dolce profumo che avvolgeva la stanza impregnando la sua pelle: quei colori, quel profumo, quella luce non poteva che farla sentire leggerla, farla sentire protetta, farla sentire a casa.
E la professoressa Leen aveva ragione in fondo: tutto quel piccolo mondo vivente intorno a lei racchiuso nelle quattro pareti della sua camera era nient'altro che chimica, quella di tutti i giorni, la sua personale chimica di tutti i giorni.
El sorrise, sentendo un batuffolo morbido strusciarsi dolcemente tra le sue caviglie e riaprendo gli occhi verso il basso, ritrovando un manto maculato solleticarle appena la pelle liscia e sottile delle sue gambe nude.
"Mi tieni compagnia mentre faccio i compiti, Mr Darsy?" sussurrò accucciandosi e aprendo di fronte al suo musetto la mano riempita di croccantini, lasciandosi leccare il palmo da quel micio che negli anni era diventato il suo primo vero migliore amico.
"Ma sai che non puoi restare...appena si sveglia papà devi andare, lo sai come funziona, vero?" continuò accarezzando dolcemente il suo pelo, vedendolo allungare la lingua sui suoi baffi, restando a fissarla con sguardo attento, come se l'avesse capita, ed El in fondo sapeva che era così.
Hopper non aveva mai amato gli animali, e in particolare quei piccoli amici pelosi che lo facevano diventare tutto rosso senza poter più smettere di starnutire: El non aveva mai potuto ospitare un cucciolo in quella casetta in mezzo al bosco, ma il buongiorno di Mr Darsy e quelle coccole mattutine erano per lei diventati ormai un rituale, il modo migliore per iniziare al meglio ogni giornata, ogni mattina.
E anche quella domenica mattina, con le luci ancora timide del sole autunnale a penetrare dalle tende leggere della finestra, El prese quel batuffolo in braccio, portandolo alla scrivania e lasciandolo accoccolare sulle sue ginocchia incrociate sulla sedia.
Gli lasciò un ultimo buffetto sul musetto nero e bianco, sentendolo già respirare più profondamente scaldandole la pelle con il suo calore, allungò le gambe sotto la scrivania, portando le mani sulla sua nuca e fissando i ricci spettinati e ribelli con una matita, portando una ciocca dietro l'orecchio ed avvicinando a sé un foglio bianco e già intestato, pronto per essere riempito:
"La chimica di tutti i giorni:
la chimica dei fiori"
Si era alzata presto quella mattina per scrivere quella ricerca per il giorno seguente, mentre il resto della casa e del mondo là fuori ancora era avvolto in un silenzio profondo.
Sapeva di avere poco tempo, di averne sempre avuto meno rispetto ai suoi coetanei, e, come ogni altro giorno di ogni settimane in quegli ultimi due anni, quello non sarebbe stato molto diverso.
Doveva andare, come ogni altro pomeriggio: non c'era sabato o domenica che valesse per loro, non le era concesso mai un po' di riposo da quegli uomini cattivi.
Ed El semplicemente sospirò, appoggiando la penna sul foglio e prendendo un profondo respiro: in fondo doveva solo scrivere di quello che più le piaceva, non sarebbe stato poi così difficile ignorare gli occhi rossi che le bruciavano e quella testa pesante per la troppa stanchezza.
Allora perché, perché quella mattina per quel piccolo fiore, seduta a gambe incrociate ancora in pigiama alla sua scrivania, era così difficile restare concentrata?
I libri erano in attesa sul tavolo di fronte a sé, già aperti sulle pagine giuste, quelle già sottolineate ed etichettate la sera precedente: non avrebbe dovuto essere poi così complicato!
Eppure, ad ogni frase corrispondeva una linea netta su quanto appena buttato giù, ogni parola una cancellatura, fintanto che, già pochi minuti dopo, El lasciò cadere la penna sul foglio bianco ormai ridotto un campo santo di croci, portando le dita tra i suoi ricci esasperata.
Non ci riusciva quella mattina, non riusciva a fingere andasse tutto bene, non riusciva a ripetere a sé stessa come una litania che tutto era destinato a migliorare, che era stato solo un pesante inizio di qualcosa che poteva solo andare migliorando: no, proprio non ci riusciva in quel momento.
Pensava ai suoi coetanei, ai suoi compagni di corso, a come stavano passando loro quel primo weekend di svago e come invece lo stava passando lei, ancora una volta bloccata, mai completamente libera da quel peso enorme che portava sul cuore.
Sola.
Pensava ai giorni appena trascorsi, a quanta stanchezza e frustrazione aveva accumulato continuando a ripetere che sarebbe andato tutto bene, a quante occhiate aveva finto di ignorare ma l'avevano trapassata da parte a parte come una lama, a quante risate di scherno aveva finto non fossero rivolte a lei, a tutte quelle pause pranzo passate in un angolo in disparte, a quante volte si era sentita sul punto di scoppiare a piangere e non l'aveva fatto per lui, per non dargliela vinta.
Pensava a quel compito, così semplice ma all'apparenza così impossibile in quel momento, mentre, dietro i suoi occhiali da vista dalla montatura nera usati per studiare, la vista le si faceva già più appannata, gli occhi più gonfi e stanchi che mai.
Strinse forte i pugni di fronte alle sue labbra la piccola Hopper, come una preghiera, trattenendo il fiato e cercando di reprimere la voglia di mettersi a piangere di nuovo, anche lì, anche nel silenzio di quella sua camera, così come il giorno prima in mezzo a quel corridoio, in mezzo a quel frastuono di voci dove nonostante tutto le era arrivata decisa solo una, la sua:
"El!! El, aspetta! Non puoi andartene così, El!"
El riaprì gli occhi, deglutendo piano e rivedendo di fronte a sé quegli stessi identici occhi scuri, grandi, dolci, improvvisamente stupiti, improvvisamente spaventati e preoccupati, preoccupati per lei, di aver ferito proprio lei:
"Che cosa ho fatto...?" avrebbero potuto urlarle quegli occhi increduli di fronte a quella sua reazione all'apparenza così esagerata, e avrebbero avuto ragione, avrebbero avuto ragione di chiederselo così come ne aveva avuto di prenderla per il polso cercando di trattenerla.
"Forte!! È vero?!" lo aveva visto spalancare lo sguardo, nella più viva ed innocente curiosità, ed El avvertì un brivido a fior di pelle anche allora a quel ricordo anche in quel momento seduta alla sua scrivania così come allora, quando le sue dita leggere avevano sfiorato il suo polso, il suo numero, quel tatuaggio che sì, era vero, ma non rappresentava proprio niente di cui andare orgogliosi.
"Devo andare..." si ricordava di aver sussurrato in quel cortile, prima di alzarsi ed allontanarsi da lui ancora una volta, lasciandolo su quei gradoni più confuso e perso che mai.
"Ma...ma che ho detto?"
La piccola scosse la testa, chiudendo gli occhi per nascondere quello sguardo, per cancellare davanti a sé quegli occhi e quel bel viso pallido e ricoperto da una costellazione di dolci puntini, così dolce, così gentile, così in grado nonostante tutto di far accelerare anche in quel momento i battiti del suo piccolo cuore sotto la camicia da notte gialla.
Chissà cosa stava facendo lui in quel momento, chissà cosa aveva organizzato lui con i suoi amici per quel weekend, con il "party", così come lo aveva chiamato lui, chissà quale argomento avrebbe scelto lui per quel compito e sopratutto, chissà se avrebbe ancora mantenuto fede alla sua promessa sedendosi accanto a lei a quel banco in prima fila il giorno seguente, visto come si era comportata lei con lui poco più di 24h prima.
Si morse il labbro la piccola El, volgendo lo sguardo accanto a sé a quella finestra dalla quale la luce entrava ora più decisa, fermandosi a dar libero sfogo a quei pensieri, incapace ormai di concentrarsi sul suo compito, la mente piena di quella visione, di quei ricordi e della sua presenza, del viso di quel ragazzino che per quanto lei tentasse di scacciare si ripresentava sempre lì, prepotente, decisa, così reale che pareva potesse evocarlo a sé di fronte da un momento all'altro.
Quale potere, quale potere mai aveva Mike Wheeler su di lei da mantenerla così sospesa tra l'istinto che le avrebbe urlato di fuggire e il bisogno irrazionale che sentiva dentro di averlo più vicino?
Quale magia le lanciava quel ragazzino ogni volta che le stava vicino, facendole per un secondo apparire il resto del mondo così lontano, tutti i pensieri così leggeri da poter volare via, spariti in un istante dove la cosa più importante appariva per un attimo rimanere solo più il suo sorriso?
Un secondo prima amava quelle labbra rosse e grandi aperte nella curva più dolce che ci sia, e due minuti più tardi avvertita la sensazione di dover scappare lontana da lui il più velocemente possibile.
Perché?
Perché doveva essere così bello e allo stesso tempo così difficile stargli accanto?
Perché non faceva che sentirsi strana quando lo aveva intorno, agitata e scossa da una gioia che le scaldava il petto ma le mandava allo stesso tempo la mente in confusione?
Era qualcosa da cui sarebbe stato giusto scappare, allontanarsi, qualcosa da evitare, o era invece, tutto il contrario, proprio quello che lei stava così disperatamente cercando, qualcuno di carino e gentile, un amico che finalmente la facesse sentire meno sola?
E, sopratutto, perché El continuava a rifletterci senza avere la ben che minima idea di quale risposta dare a quelle domande?
Scosse la testa, raddrizzando gli occhiali sulla punta del naso e posando le mani di fronte a sé, palmi alzati, dita ben distese, seguendo con lo sguardo il contorno delle sue vene visibili attraverso il chiaro della sua pelle, i suoi tendini tesi, più giù lungo il suo polso fino al confine della manica del golfino di lana, fino a quel numero, tracciando con le dita quel percorso e sfiorandolo appena come aveva fatto lui quella mattina, come a rievocare sulla pella l'intensità del suo vero tocco.
E anche in quel momento fu percorsa da un brivido a fior di pelle, leggero, appena percettibile ma allo stesso tempo profondo, così profondo da sentirlo scendere lento fin dentro le sue viscere, profonda come quella sensazione di calore, come quel peso che inevitabile si ripresentava ogni volta che la piccola lo restava a pensare così intensamente troppo a lungo.
Deglutì, stringendo le labbra e premendo più forte l'indice su quel nero, su quell'inchiostro, su quella macchina scura sulla sua pelle bianca, su quel neo.
011.
La sua condanna.
La sua condanna, il suo destino, il suo inizio e la sua fine.
Mai sarebbe riuscita ad essere qualcosa di diverso, mai quel senso profondo di inadeguatezza l'avrebbe potuta lasciare andare libera, fintanto che avesse avuto quel segno a fuoco scavato nella pelle ma fin dentro la sua anima.
El si morse il labbro, chiudendo gli occhi stanchi ed appoggiando la fronte a quel polso, respirando profondamente per non farsi sopraffare da quel senso di angoscia ed oppressione.
Che cosa avrebbe pensato quel ragazzo se avesse saputo la verità su quel segno, la verità su quel numero, la verità su chi era davvero lei, tutta la verità, la sua verità?
Cosa avrebbe detto quel ragazzino dagli occhi dolci, lo sguardo gentile, che l'aveva fatta ridere nei pochi momenti di leggerezza di quella settimana, che le si era avvicinato con un sorriso ogni volta che l'aveva vista sola ed in disparte, cosa avrebbe pensato di lei se avesse saputo chi era davvero, quali segreti era in grado di celare, quali orrori era in grado di evocare?
Strinse più forte gli occhi quella piccolina, ritrovando due lacrime lente solcarle le guance nel silenzio, infrangendosi su quel foglio bianco sotto di sé, pieno di cancellature e segni neri disordinati come lei avrebbe potuto disegnare in quel quel momento ogni frammento della sua vita.
Che cosa avrebbe detto quel suo primo ed unico amico se avesse saputo che lei non era solo quello che lui vedeva, che non era solo come lui l'avrebbe potuta immaginare?
Cosa avrebbe pensato Mike se avesse saputo che non era lei la vittima, ma era invece il carnefice?
Che cosa avrebbe detto Mike se avesse saputo che era lei la vera cattiva?
Nascose il viso tra le mani, lasciando sfogare tutta quella rabbia e quella tensione accumulata lungo quella prima settimana ed in grado di scuoterle le spalle sotto il suo caldo golfino di lana, sentendosi sul punto di crollare, ancora una volta, come tante volte si era sentita in bilico in quelle infinite e lunghissime giornate.
Sì, era lei la cattiva, era lei il mostro, era lei quella da evitare, quella dalla quale sarebbe stato meglio stare alla larga; era lei il lupo cattivo, lei quella diversa perché quella pericolosa, la minaccia, quella capace di far accadere cose cattive a chi si avvicinava un po' più a lei anche solo per starle vicino.
Aveva visto il viso di Mike, quando, afferratole il polso, una piccola scarica elettrica lo aveva raggiunto irradiata dalla sua pelle senza che potesse controllarlo, aveva visto quegli occhi stupiti e quella piccola espressione di sofferenza, lieve ed appena percettibile ma in grado di farla tremare.
Era per quello, era per quello che avrebbe voluto scappare, allontanarlo e urlargli di starle lontano?
Perché quel ragazzino tanto gentile non conoscesse quel vero lato di lei, quale orrore si celava, quali cose orribili sarebbe stata in grado di evocare?
Prese fiato portando una mano davanti alle labbra perché quei singhiozzi non raggiungessero le orecchie del suo papà dall'altro lato del corridoio, attraverso la casa ancora avvolta da un silenzio profondo.
No, non l'avrebbe mai superato, non c'entrava nulla il coraggio, la timidezza dietro la quale con ostinazione di nascondeva: come avrebbe mai potuto lasciarsi avvicinare da qualcuno, mostrare qualcosa di bello, se di bello lei in sé non trovava niente, se dentro di sé vedeva solo buio, tanto buio freddo come il ghiaccio e come gli occhi suoi?
Come poteva continuare a fingere di non riuscire a trovare qualcuno adatto per lei, quando era lei a non sentirsi mai adatta per nessuno?
El sobbalzzò, riaprendo improvvisamente le palpebre di fronte a sé, ancora lucide e umide di lacrime, avvertendo un movimento, una piccola pressione all'altezza del suo ombelico, ritrovando una palla di pelo della cui presenza si era dimenticata per un momento, intento a sfregare il musetto sul tessuto leggero della sua camicia da notte, scaldandola con il suo calore, quasi volesse chiederle con quegli occhietti verdi e vispi:
"...perché stai piangendo?"
Le scappò un sorriso a quel fiorellino, anche lì nella sua cameretta al termine della più terribile prima settimana di scuola che mai avrebbe potuto immaginare, pur nell'angoscia e con il cuore pesante nel petto: El sorrise tra i lacrimoni lasciati scivolare lungo la sua pelle liscia e calda perché quel piccolo gesto, quel piccolo insignificante gesto bastò in quel momento a farla tornare indietro nel tempo, indietro di mesi, stagioni passate e mattine di sole, ad una in particolare nella quale, alzatasi presto per bagnare con cura i suoi tesori variopinti sul davanzale, qualcosa di nuovo aveva catturato la sua attenzione.
Si muoveva lentamente quella mattina quell'ammasso di pelo morbido, lì seduto sul mancorrente del suo balcone, con il manto maculato della sua schiena a nasconderlo alla vista della piccola Hopper dietro le tende leggere della sua camera.
El si era ritratta spaventata ed incapace di respirare appena aveva realizzato cosa realmente le stava di fronte, quale piccola forma di vita si era spinta a lei così vicina, incurante del pericolo che lei rappresentava.
Quel micino poco più grande della sua piccola mano l'aveva fatta tremare quella mattina, rivedendo di fronte a sé un pelo così simile al suo, due occhioni grandi e verde a fissarla incuriositi facendo vibrare le vibrisse, osservando la sua espressione di sofferenza, di dolore, della più incapace convinzione di non poter portare a termine il compito assegnatole, non quella volta.
"Fallo..." aveva sentito sussurrare alle sue spalle una voce fredda come il ghiaccio, tagliente come una lama, profonda come i brividi che la sua sola vicinanza era in grado di evocarle all'interno, brividi di paura.
"Fallo, Eleven...fallo" aveva ripetuto papà mente già lei scuoteva la testa con le lacrime agli occhi: no, quello no, quello non poteva, non voleva farlo.
Quello era solo un cucciolo, un batuffolo di pelo bianco, non aveva fatto nulla per meritare quella condanna.
"Fallo, ora!" aveva sentito ripetere più forte il dottor Brenner, vicino, sempre più vicino al suo orecchio, vedendola esitare con le dita stette al margine della sedia.
"Fallo o tu lo sai cosa succederà...ti meriteresti un castigo Eleven, qualcosa che ti rimanga di lezione, non credi? Ti ho chiesto solo un piccolo favore e tu me lo rifiuti? Ti sembra questo il modo di comportarti con tuo..."
"...papà..." lo aveva supplicato inutilmente El un ultimo secondo, sentendo le lacrime colare sul suo camice da laboratorio bianco lungo fino alle ginocchia.
"Papà, ti prego...no"
"Fallo, subito" lo aveva sentito sibilare con una voce profonda e decisa:
"Fallo, Eleven o ti giuro che non ti farò uscire da quella stanza mai più quella volta, e tu sai che lo farei, lo sai..."
"No, no..." aveva pianto chiudendo gli occhi la piccola El ripensando a quel buio e a quel freddo di quella stanza in fondo al corridoio senza uscite, quello dove qualunque bambina di 8 anni come lei sarebbe morta già di paura.
"Lo faccio, lo faccio..." aveva concluso tirando sù con il naso e riaprendo gli occhi sul micio, vedendolo soffiare sentendosi minacciato un ultimo secondo, prima di sentire un secco rumore di ossa rotte nell'istante esatto nel quale, mossa di lato la testa, vide quel cuccuolo accasciarsi al lato della sua gabbietta esamine e senza vita e un rigo di sangue colare dalla sua narice sinistra.
El era rimasta pietrificata quella mattina di fronte alla sua finestra, rivedendo in quel manto maculato quel primo cucciolo che quegli uomini cattivi gli avevano chiesto di giustiziare, quel primo profondo senso di nausea, di disgusto ed oppressione, quel primo pomeriggio dove in quella stanza buia in fondo al corridoio era stata infine chiusa lo stesso, ma come un'assassina quella volta.
La piccola aveva fatto un passo indietro, sperando di non essere vista da quel micio che ancora le dava la schiena, finito per caso sul suo balcone di quella casetta in mezzo al bosco.
Cosa ci faceva lì?
Avrebbe dovuto fuggire, mettersi lontano da lei, ma quando quel piccolo micio aveva finalmente voltato il musetto dietro di sé, incrociando gli occhi verdi con i suoi, restando immobile in un secondo sospeso nel quale la piccola aveva trattenuto il respiro, El aveva ritrovato davanti a sé un cucciolo, un piccolo cucciolo di gatto era rimasto a fissarla un secondo solo, prima di avvicinarsi alla finestra ed iniziare a grattare con la zampina contro il vetro liscio.
Ed El aveva sorriso di sorpresa, aveva annuito in silenzio dicendo di sì, aveva aperto quella finestra e lasciato entrare quel primo suo amico quella mattina, così come le molte altre che da quelle erano iniziate fino a quel momento, seduta alla sua scrivania con Mr Darsy a farle le fusa accoccolato sulle sue gambe.
Alla piccola sorrise il cuore in mano in quel momento: forse sì, in fondo anche quello era stato per lei un segno profondo quella mattina, la piccola accoglienza a quella creatura che non le aveva chiesto chi lei fosse o quali orrori avesse vissuto nella sua vita, ma le aveva chiesto solo invero di amarlo e lasciarlo...vivere?
Annuì El in silenzio, chinandosi a baciare il suo pelo morbido sulla sua pancia, sfiorando con un dito la sua zampetta sulla sua camicia da notte gialla, ricordandosi, come quella mattina, che forse lasciare entrare qualcuno nella propria vita poteva davvero essere definito così: permettere all'altro di accertare se stessi così come si è, senza dar peso agli orrori e alle mosse sbagliate del passato.
Forse era davvero quello il segreto per lasciarsi andare?
Forse era davvero quello l'amore, declinabile nelle sue più infinite variabili?
Forse nemmeno a quel ragazzo ricciolo, nemmeno a Mike sarebbe interessato il suo passato pur che gli fosse concesso di vivere con lei il suo...presente?
"Kiddo, sei sveglia? Preparo la colazione!"
"Mike, svegliati! Forza tesoro, è tardi!"
"Arrivo papà, un secondo!" rispose prontamente El scattando in piedi, asciugando con un rapido gesto della mano le lacrime dagli occhi e prendendo in braccio Mr Darsy verso la finestra della sua cameretta rimasta aperta:
"A domani Mr Darsy...!"
"Che rompimento di cogl...." sbuffò Mike riemergendo dal suo cuscino, con gli occhi sbarrati e i ricci più incasinati ed in disordine che mai:
"È presto mamma, è ancora presto!"
"Lucas ti ha già chiamato tre volte, Mike!" sentì sua madre urlare dallo stipite della cucina con tono minaccioso:
"Dice di richiamarlo il prima possibile e gli ho detto lo avresti fatto appena fossi tornato in grado di reggerti in piedi...si può sapere Michael perché i tuoi amici sono già svegli da un pezzo a quest'ora e tu sei ancora lì a poltrire senza darmi uno straccio di risposta?"
"Questa è una cazzo di congiura.." pensò Mike lasciandosi letteralmente scivolare a terra ancora avvolto dalle lenzuola della sua trapunta di Back to the future, barcollando fino al bagno con gli occhi ancora semichiusi ed ignorando lo sguardo divertito di sua sorella, in uscita in quello stesso momento dalla sua camera già perfettamente vestita e pettinata:
"Buon giorno zombie-boy!"
"...-iorno" boffonchiò il piccolo Wheeler, arrancando fino al bagno ed aprendo con una spallata la porta, appoggiandosi con le braccia distese al lavandino come una cozza allo scoglio per non cadere tra i flutti del mare.
Alzò lo sguardo allo specchio di fronte a sé aprendo lentamente un occhio alla volta con discrezione e il ragazzo che vide ricambiare il suo stesso sguardo assonnato e poco convincente non fu certo potesse essere più assimilabile ad uno studente reduce della prima settimana di liceo o alla reincarnazione dei morti viventi del film "Zombi".
Scosse la stessa con aria sconsolata, aprendo il rubinetto e portando le mani a coppa sotto il getto fino al suo viso, lasciando che l'acqua fresca ridestasse almeno in parte i suoi sensi e le le sue residue facoltà mentali: e quello era solo l'inizio.
Quell'incubo non era che appena cominciato:
"Ma chi cazzo ha inventato le mattine, si può sapere?!"
"Buongiorno Mike! Ben alzato!" salutò giuliva Karen Wheeler pochi minuti più tardi, quando il suo piccolo bambino, o l'incarnazione del non-morto che rappresentava, ebbe fatto il suo ingresso nella cucina al piano inferiore, trascinando a peso morto i pantaloni a quadretti del pigiama e una t-shirt di una di quelle band molto care a suo figlio con le quali non perdeva occasione per riempire l'aria del piano superiore della casa.
"Dormito bene tesoro?" Mike la sentì cinguettare felice non appena si fu seduto sull'ultima sedia libera intorno al tavolo da pranzo, piazzando di fronte a sé una pila di eggos ancora fumanti, avvicinando al suo piatto una ciotolina di mirtilli e lamponi lavati di fresco:
"Finalmente sei sceso a fare colazione!"
"O sarebbe meglio dire ben tornato tra i vivi!" rise Nancy avvicinando alle labbra la sua tazza di caffè e facendosi fulminare da un'occhiata assonnata ma non per quello meno truce, vedendo il fratellino allungare una mano verso la bottiglia di sciroppo d'acero versandone una generosa quantità sulla pila di dolci nel suo piatto.
"Sei disgustoso..."
"E tu la solita stronz.." sussurrò Mike a mezza voce senza alzare lo sguardo dal suo piatto, sentendo il padre di fronte a sé sospirare pigramente dietro il suo solito giornale spiegato a coprirgli il viso:
"Le parole figliolo..."
"Non litigate, da bravi! Almeno la domenica, vi prego!" sorrise supplichevole mamma Wheeler prendendo finalmente posto in tavola accanto al seggiolone dove la piccola Holly era intenta a spalmare sciroppo d' acero sulla sua intera faccia, ammirando la sua famiglia impegnata a gustare la colazione domenicale da lei preparata con aria soddisfatta.
"Per una volta che possiamo fare colazione con calma e tutti insieme...Ted, ti prego, abbassa quel giornale, per favore...!"
"Io devo scappare mamma, non posso fermarmi di più!" esclamò Nancy afferrando al volo un ultimo lampone ed alzandosi dalla sedia con i libri già stretti al petto sopra il suo vestito a fiori:
"Mi trovo con Barb in biblioteca, abbiamo una ricerca da preparare.."
"Ma come tesoro? Così presto?" chiese stupita Karen vedendola allontanarsi verso il salotto, dopo aver lasciato un veloce bacio sulla sua guancia della sorellina uscendo dalla cucina,
"Ma sarai di ritorno per pranzo, non è vero?"
"Spero veramente di no..." si lasciò sfuggire Mike sperando di non essere sentito, addentando l'ennesimo boccone di colazione e facendo colare lo sciroppo lungo il bordo delle sue labbra rosse:
"Qualcuno qui sta cercando di dimenticarsi dell'esistenza del liceo per le prossime 24h..."
"Sei così infantile, Mike...quando ti deciderai a crescere?!" sentì Nancy urlargli dal salotto di tutta risposta, facendo tintinnare i sonagli del suo zaino già in spalle stracolmo di libri.
"Non intendo perdere il mio tempo a poltrire come te per tutto il giorno: almeno qualcuno in questa casa ha capito che è ora di diventare finalmente adulti"
"Senti Nancs, ma tu hai fatto un corso per diventare così stronza?!"
"Ragazzi, vi prego, ora basta!" sospirò spazientita Karen, passando un tovagliolo di carta sul viso della sua più piccola sopra il seggiolone e ignorando gli sguardi di fuoco tra i suoi due figli maggiori che avrebbero potuto senza dubbio trasformare la sua sala da pranzo nel peggiore dei saloon.
"Ted, ti prego Ted, dii anche tu qualcosa!"
"Figlioli non litigate..." fu il contributo di Ted Wheeler a quella discussione, sospirando dietro il suo giornale senza la ben che minima intenzione di volerlo abbassare dal viso, ignorando lo sguardo della moglie che cerco avrebbe potuto fulminarlo all'istante:
"Ted!!!"
"Chiedi scusa a tua sorella, Mike..."
"Ma ha cominciato lei!"
"Dico solo la verità: qui qualcuno non sa cosa vuol dire prendersi le proprie responsabilità..."
"E tu non sai proprio perdere occasione per renderti sempre così odiosa?"
"Ora basta!!!"
Un clacson lontano interruppe le grida nella cucina di casa Wheeler, facendo voltare lo sguardo di tutti al di là delle tende della finestra, verso la macchina rossa in attesa con il motore ancora acceso al termine del vialetto su Maple Street.
"È Barb, devo andare!" concluse Nancy correndo lungo il salotto verso la porta d'ingresso, non prima di aver lanciato al fratellino un ultimo divertito sguardo di scherno:
"Buona giornata con i tuoi amichetti, Mike! Chissà, magari arriverà anche il tuo momento di diventare finalmente un adulto..."
"Mentre non arriverà davvero mai il tuo di diventare meno una merd..." iniziò Mike nella sua direzione senza potersi trattenere, interrotto prima di terminare la frase da un forte colpo di tosse spazientito proveniente dal posto della madre intorno alla tavola:
"Intendo dire...buona giornata anche a te sorellina!"
"Mike, tua sorella non ha tutti i torti: dovresti pensare alla scuola prima che ad uscire con i tuoi amici!" sentì iniziare sua madre appena Nancy ebbe richiuso la porta di casa alle sue spalle.
Mike alzò gli occhi al cielo, chiedendo la forza di tutto il mondo per trattenersi e continuando ad inveire contro la sorella solo più nella sua mente, dove da sempre gli era consentito.
Ecco, ci mancava solo più quella bella idea di Nancs e sua madre ora più convinta che mai che gli servisse una balia a ricordargli di fare i compiti, proprio lui che era sempre stato il primo a consegnare in classe i progetti da svolgere a casa.
Mike aveva sempre amato la scuola, lui come tutto il resto del party, tanto lui quanto i suoi amici che avevo reso di tutte le materie scientifiche il loro cavallo di battaglia.
Dalla fisica alla matematica, fino ad abbracciare la loro amata biologia.
Tutte, proprio tutte, tranne lei..
"Non avevi un progetto da svolgere per lunedì? Me ne avevi parlato l'altro giorno a cena...di che materia hai detto che era?"
...tranne la chimica.
"La relazione di chimica!" saltò in piedi Mike con gli occhi spalancati ad un improvviso ricordo affiorato nella sua memoria.
Giusto, la relazione! La relazione per il corso di chimica da consegnare per il giorno seguente!
Come aveva potuto completamente dimenticarsene?
"...te ne sarai mica dimenticato, Michael?"
"Oh no! Assolutamente no!"
E invece sì...
Mike non poté fare a meno di sorridere anche in quel momento, in piedi di fronte al tavolo della cucina con gli occhi attenti e scrutatori della madre su di lui, sentendo il cuore in un secondo perdere un battito come se avesse potuto averla davvero vicina.
Nella piccola testa ricciuta del nerdino quella materia non avrebbe mai potuto delinearsi in un altro modo se non facendo rima con quella piccola figura, con quella ragazzina, con quel piccolo fiore.
E Mike allora si lasciò scappare un sorriso, abbassando velocemente lo sguardo per nascondere il suo improvviso rossore, tornando alla mente a quella merenda condivisa sui gradoni, ai suoi sorrisi uno più bello dell'altro che Mike pareva avesse perduto il conto, e poi alla sua corsa via, alla mano che aveva teso per riafferrarla e alla promessa che si era fatto quell'ultimo secondo vedendola sparire lungo il corridoio.
Se il lunedì rappresentava per tutti l'inizio di una nuova settimana identica alla precedente, per Mike avrebbe dovuto rappresentare una rinascita: no, le cose non sarebbero potuto sempre andare così, con lei che se ne andava via all'improvviso e senza motivo e lui che restava immobile fermo a fissarla andare via.
Mike doveva fare qualcosa.
A quel punto non era più importante che fosse lunedì, martedì o l'ultima campanella del venerdì: ogni occasione era ormai buona per vederla...
"Mike!"
Mike scosse la testa violentemente, risvegliandosi alla realtà del presente nella sua cucina e ritrovando davanti a sé gli occhi interrogativi della madre fissarlo come qualcuno che sta aspettando già da parecchi minuti una risposta: certo...quale era già la domanda?
"...sì, mamma?"
"Ti ho chiesto: quando farai il tuo progetto di sc.."
Ma in quel preciso istante il telefono appeso alla parete della cucina di casa Wheeler trillò, facendo alzare di scatto il viso a Mike facendo sbattere dolcemente i suoi ricci contro le guance, sospirando profondamente, mai stato più felice di essere interrotto dal trillo di quell'aggeggio infernale.
"È per me, deve essere Lucas!"
"Mike!!" protestò scocciata Karen vedendolo scattare dall'altra parte della cucina verso l'apparecchio:
"Finisci i compiti prima di uscire, è un ordine!"
"Lo farò, te lo prometto!" rispose concitato Mike, sollevando la cornetta e portandola all'orecchio senza fiato, vedendola riaprire la bocca per protestare ma non standola già più ad ascoltare:
"Casa Wheeler, sono Mike!"
"Mike, finalmente!" sentì dall'altra parte della linea un Lucas dal tono scocciato esclamare al suo orecchio:
"È la quarta volta che chiamo!"
"Lo so, lo so, scusami...mia madre mi ha avvisato, stavo per richiamare..." sospirò Mike passando una mano tra i ricci incasinati e appoggiandosi al muro alle sue spalle, colto da un improvviso sospetto:
"Aspetta...perché mi stai chiamando qui e non sui supercomm?"
"Mentre tu dormivi fino a tardi, principessa, io e Dustin abbiamo già capito cosa fare oggi pomeriggio dato che Max è da suo padre: i supercomm hanno perso potenza, Dustin dice il segnale è alterato.
È l'antenna che abbiamo istallato quest'estate, deve essersi danneggiata: non deve essere nulla di irrimediabile ma dobbiamo andare a controllare...sei dei nostri?"
"Ovviamente!" annuì Mike con troppo entusiasmo, sentendo la madre tossire violentemente alle sue spalle:
"Ehm...ovviamente intendo...oggi pomeriggio, non è vero?"
"Oggi pomeriggio?! Mike, io e Dustin stiamo per uscire praticamente di casa!" chiuse gli occhi alzando la testa Mike al tono scocciato dell'amico:
"Ti sei appena svegliato per caso? Move your ass!"
"Non è quello il problema idiota, è mia madre..." sussurrò Mike facendosi più vicino alla cornetta e lanciando un'occhiata alle sue spalle alla famiglia già intenta a spreparare il tavolo della colazione:
"Sa che devo ancora finire una ricerca di chimica per domani, mi ha praticamente beccato..." continuò Mike alzando gli occhi al cielo:
"Anche se più che finire la parola migliore da usare dovrebbe essere cominciare..."
"Sei sempre il solito Mike...e tu dille che lo faremo insieme a casa mia prima di uscire!"
"Voi non siete nel corso di chimica..." protestò Mike scuotendo la testa con tono esasperato, ma Lucas fu più veloce nella risposta:
"E questo tua madre lo sa, Mike?"
"No..."
"Esatto, ti sei già dato la risposta!" concluse l'amico lasciandolo senza parole per ribattere, lì fermo, imbambolato ed ancora in pigiama appoggiato al muro della sua cucina.
"Davanti a casa mia tra 20 minuti...puntuale!"
"...puntuale!" ripeté Mike alzando lo sguardo e riattaccando la cornetta, sospirando e passando una mano sul viso con aria sconsolata.
Si sarebbe messo nei guai, poco ma sicuro: o il cazziatone di sua madre o l'ennesima sfuriata dei suoi amici a dirgli di essere diventato fuori dal mondo in quell'ultimo periodo.
Fantastico.
Forse l'idea di raggiungere Nancy e Barb a studiare in biblioteca non gli appariva improvvisamente più così male in quel momento.
Come diavolo sarebbe potuto riuscire a svolgere quel progetto entro il giorno seguente se non lo aveva nemmeno provato ad iniziare? Senza aver pensato nemmeno al tema, senza ricordarsi invero nemmeno di preciso che cosa doveva andare a fare?
Mike non ricordava quella lezione come una delle più concentrate della sua carriera scolastica: che cosa gli era chiesto di fare di preciso?
Scosse la testa, stropicciandosi gli occhi stanchi con le mani: non era da lui non sapere a memoria tutti i compiti, non era da lui aspettare fino all'ultimo per finire le consegne, ma cosa gli stava succedendo?
Forse Nancy aveva ragione: quello non era stato certo il modo migliore per iniziare quel suo nuovo percorso da matricola liceale.
"A chi puoi chiedere aiuto, Mike, se sei stato così deficiente da iscriverti all'unico corso da frequentare completamente da solo?" sbuffò Mike alzando ed abbassando le spalle, spazientito dal non sapere cosa fare: a chi poteva chiedere? A chi poteva telefonare?
A chi poteva chiedere aiuto se non...
Mike spalancò gli occhi, colto da un'improvvisa l'intuizione, battendo le mani in uno sciocco di sorpresa e facendo iniziare a battere le mani anche alla piccola Holly sorridente ancora sul seggiolone di fronte alla tavola.
Ma certo! Avrebbe dovuto chiedere a lei!
A lei, ma certo, a quel piccolo fiore, ma come aveva fatto a non pensarci?!
Le avrebbe telefonato per chiederle spiegazioni sulla consegna data per il giorno seguente, le avrebbe chiesto l'ennesima volta scusa per averla spaventata nell'intervallo e per farsi perdonare...l'avrebbe invitata a passare il pomeriggio con lui e gli altri sulla collina!
Certo non sarebbe molto interessante, forse addirittura un po' noioso per lei, ma Mike avrebbe certo potuto lasciare lavorare i suoi amici e stare con lei, gli altri certo non sarebbero stati entusiasti ma avrebbero capito, non è vero?
Mike sorrise, non potendo credere di non averci pensato prima: sì, doveva chiamarla, doveva farlo subito, prima che prendesse altri impegni, prima che fosse troppo tardi!
"Certo, subito! Subitissimo!" pensò Mike rialzando la cornetta, un sorriso più che soddisfatto sul viso, portando il telefono al suo orecchio e restando improvvisamente bloccato in un secondo:
Certo, chiamarla...ma quale era esattamente il suo numero?
"Allora? Il tuo compito, Mike?!" sentì urlare sua madre dalla cucina il piccolo Mike rimasto lì, immobile, la cornetta ancora in mano e nelle orecchie quel suono ripetitivo ed esasperante:
"Tu...tu...tu"
Che idiota: come mai avrebbe potuto chiamarla se non conosceva nulla di lei, benché meno il suo numero di telefono?
"Michael!"
"Lo farò oggi con una mia compagn...con gli altri" si corresse Mike riattaccando la cornetta e tornando verso il piano della cucina dove sua madre già in azione si apprestava ad indossare i guanti gialli lunghi fino al gomito per lavare tazze, bicchieri e piatti.
"Prometto...prometto che lo faremo! Non ti preoccupare, mamma!"
"Va bene tesoro, mi raccomando..." annuì sua madre di spalle aprendo l'acqua e insaponando il primo piatto:
"Non te ne dimenticare!"
"No, certo, certo..." boffonchiò Mike grattandosi la nuca sotto i ricci, spostando il peso da un piede all'altro con aria tentennante:
"Ehm...mamma?"
"Sì, tesoro?" sorrise Karen voltandosi indietro alle sue spalle, vedendolo fermo immobile a fissarla in attesa:
"Hai bisogno di qualcosa?"
"Mi chiedevo se..." iniziò Mike prendendo fiato con tono timido, pregando il cielo che la scintilla di curiosità vista guizzare negli occhi attenti della madre non venissero convertite in una serie infinita di domande:
"Mamma, dove posso trovare il numero di telefono di una persona se non la conosco?"
"Conosci almeno il cognome?" chiese Karen ritornando verso il lavandino, non potendo scorgere il sospiro di sollievo di suo figlio dietro di lei.
"Sì, certo, il cognome sì!"
"Cercalo sulla guida telefonica allora! La trovi nel mobile sotto la tv in sala!" rispose Karen sempre di spalle, facendo scattare le gambe di suo figlio più veloci di una molla, correndo con un sol balzo verso la porta della cucina.
Interrogatorio scampato, apparentemente.
"Grazie mamma!" urlò Mike correndo via con un sorriso vincitore sulle labbra presto, troppo presto per non sentire un secondo dopo la voce della madre raggiungerlo, facendolo pentire del suo precoce entusiasmo.
"Ehi, aspetta un minuto signorino! Chi devi chiamare?!"
Mike chiuse gli occhi, alzando il viso al cielo con un sospiro: eccolo, te pareva.
A Karen Wheeler non poteva scappare niente, mai niente sotto il suo tetto.
"Devo chiamare..." cominciò Mike voltandosi lentamente, lo sguardo chino e la fantasia galoppante cercando una scusa il più possibile plausibile in quel momento.
Che cosa si doveva mai inventare?
"Devo...devo chiamare...il signor Clarke! Sai, il professore di scienze! Ti ricordi?"
"Il signor Clarke?!" chiese Karen alzando un sopracciglio, con aria stupita:
"Perché devi andare a disturbare il signor Clarke, Mike?!".
"È per questa ricerca di scienze, devo...devo chiedergli un consiglio..." annuì con il tono più convincente possibile Mike, reggendo lo sguardo interrogativo e perplesso della madre:
"Sai...lui ci diceva sempre di non farci problemi a chiamarlo in qualsiasi momento, di tenere sempre aperta la porta della curiosità e..."
"Va bene, ho capito, chiamalo pure!" concluse Karen ritornando alle sue tazzine,
"Cerca il numero nell'elenco, e chiedigli scusa per il disturbo!"
"Certo..." annuì Mike più sollevato, fiondandosi davanti al mobiletto della tv e prendendo in mano un pesante librone dalle pagine sottili fitte di numeri in elenco.
Ma certo, l'avrebbe trovata di certo: un gioco da ragazzi!
"Hopper...Hopper...Hopper..." scorse il dito Mike chinando il viso sulle pagine e i ricci neri a sfiorare di lato le sue lunghe ciglia.
"Hopper...Hopper...Hopper...ma dove diavolo sei Hopper?!"
Ma quando Mike raggiunse nell'elenco la posizione corrispondente a quella di quel cognome tanto noto e tanto caro, il riquadro più grande che trovò in centro alla pagina fu diverso, molto diverso da quello che si era immaginato:
"Sceriffo Jim Hopper, centrale di polizia di Hawkins: 911"
"Ma no, no, no!! Non è questo che sto cercando!!"
"Tutto bebe, Mike? Trovato tutto?"
"Ehm...si mamma!" urlò di risposta Mike chiudendo di scatto il librone tra le sue mani:
"Io...io...ora deve andare!"
"Ci vediamo sta sera a cena, tesoro?"
"Sicuro!" urlò Mike di risposta salendo i gradini a due a due delle scale.
Quella non ci voleva, come avrebbe potuto contattarla ora? Hopper...Hopper...Hopper: possibile che l'unico contatto fosse quello della centrale della polizia?
Mike sospirò, lasciandosi cadere a peso morto sul letto e fissando il soffitto divenuto improvvisamente più bianco: che diamine, ma perché quella giornata non sembrava destinata che ad evolversi in peggio?
"Mike...Mike mi ricevi?" chiese la voce gracchiante di Dustin alla ricetrasmittente, tra i suoni della linea più occupata e scostante che mai.
"Mike?! Mi senti?!"
"Dustin, ti ricevo, ma la linea fa schifo oggi..." sospirò Mike allungando il braccio al pavimento ed afferrando il supercomm abbandonato sul pavimento.
"Hai chiamato tu, Will? Io non ci provo nemmeno con questo segnale..."
"L'abbiamo già avvisato, ci raggiunge dopo, ha chiesto una mano a suo fratello per sistemare le cassette per la diretta dei prossimi giorni...
Mike, hai ancora quel libro? Quello sull'energia elettrostatica?"
"Quello che mi aveva prestato il signor Clarke?" chiese Mike balzando in piedi dal letto, avvicinandosi alla libreria dove i suoi amati manuali di scienze erano riposti con cura paterna, uno dei pochi angoli della camera immuni al suo caotico disordine di quei giorni.
"Perché, Dustin?"
"Tu portalo, non si sa mai!" rispose l'amico nella linea a tratti occupata:
"Potrebbe tornarci utile!"
"Agli ordini cervellone!"
"Direttamente dalla fonte, Mike!" lo sentì rispondere con il suo solito tono allegro anche se con voce distorta e gracchiante:
"Direttamente dalla fonte di informazioni!"
"Direttamente dalla...Dustin! Cazzo, sei un genio!" esclamò Mike spalancando gli occhi e urlando quella frase dentro la ricetrasmittente con tono emozionato.
Ma certo, ecco cosa doveva fare! Se non poteva trovare il numero di El sulla rubrica lo sarebbe andato a chiedere direttamente a lui...direttamente alla fonte delle informazioni!
"Mike...ma che ho detto?!" sentì la voce dell'amico chiedere stupita dall'altra parte dell'apparecchio.
"Niente, Dustin, niente!" sorrise Mike scuotendo la testa con un enorme sorriso: se avesse potuto avere quel suo migliore amico di fronte a sé in quel momento, certo quell'inconsapevole grande aiuto certo sarebbe valso un enorme abbraccio di riconoscenza.
"Ma sappi che ti devo un favore!"
"Se lo dici tu...a tra poco!"
"A tra poco!"
"Mike, mi raccomando, puntual.."
"Dii a Lucas che arriverò un po' tardi...magari vi raggiungerò direttamente lì!"
"Mike!! Ma come, porca miseria?!"
"Devo scappare, grazie ancora amico! Passo e chiudo"
"Mike!!"
Ma Mike tirò giù l'antenna con uno scatto, lanciando il supercomm sul letto ancora sfatto alle sue spalle e sfilandosi in un secondo la tshirt del pigiama in corsa verso l'armadio.
Doveva farlo, non poteva perdere tempo, doveva muoversi: doveva trovare il modo per parlarle prima che fosse troppo tardi, di prendere contatto con lei prima che i suoi amici lo uccidessero per l'ennesimo ritardo.
Di invitare quel fiorellino ad uscire con lui prima che prendesse altri impegni per quel pomeriggio.
*
"Dottor Brenner, siamo pronti: parametri vitali nella norma, analisi del sangue eseguite, EEG senza alterazioni. Possiamo procedere come da lei richiesto, attendiamo istruzioni"
"Molto bene"
Una delle prime abilità che El aveva acquisito fin da quando era bambina era stata l'utile e mai banale capacità di capire quando doveva avere paura.
Era come un brivido profondo in grado scuotere dall'interno fin dentro le sue viscere, un leggero alito di gelo a fior di pelle capace di mettere tutti i suoi sensi sull'attenti in un solo secondo: bastava uno cenno del capo, un segno d'intesa, un prelievo di troppo o un tracciato elettrografico non perfettamente nella norma.
E poi uno sguardo, il peggiore segno: il suo.
Il ghiaccio sulla sua pelle nuda e sempre troppo sottile per sapersi difendere, indifesa pur nascondendo al di sotto una potenza esplosiva, un uragano di forza ed energia che però mai, mai avrebbe quella piccola mai potuto usare contro di lui.
Lui che sapeva plasmare quella forza, la sapeva assoggettare al suo valore, le sapeva risucchiare quell'energia svuotandola come un tronco cavo, perché sono di quello si era sempre interessato, solo quello lui era sempre stato in grado di vedere di lei: a lui non era mai importato della bambina a cui aveva insegnato a riferirsi a lui con quel termine che di familiare non aveva nulla: "papà".
A lui non era mai importato chi lei era davvero, che cosa invero provava, quali sentimenti, quali emozioni, quali sogni, ma solo di quello che lei conservava dentro, della potenza, della forza distruttiva che lei rappresentava. Da sempre.
Dell'arma letale che grazie a lui era diventata, che lui l'aveva fatta diventare, pomeriggio dopo pomeriggio, anno dopo anno.
"Procediamo da protocollo signore?" lesse il labiale El al di là del vetro, la schiena dritta appoggiata allo schienale di quella sedia di metallo, le mani ben aperte di fronte a sé sul tavolo freddo come l'aria che riempiva quella stanza dalle pareti ricoperte di piastrelle bianche, illuminate dalla luce al neon verde.
Di fronte a sé un vetro grande come una parete, in parte oscurato ma non abbastanza perché la piccola non potesse intravedere i contorni delle figure al di là di esso, una decina di computer, telecamere puntate verso di lei, camici bianchi in piedi o seduti a fissarla, paia di occhi impietosi e inumani, con taccuini e cronometri in mano pronti a riportare su quelle carte i risultati di quelle ultime loro personali scommesse professionali.
Nessuno di quelle figure pareva cattivo o crudele visto attraverso quel vetro, nessuno sarebbe stato condannabile visto da lì.
Nessuno, nemmeno uno di loro.
Ma allo stesso modo nessuno, nessuno pareva ogni volta essersi accorto di chi realmente avevano di fronte, seduta a quella sedia fredda al di là del vetro, con le flebo attaccate nelle braccia e monitor lampeggianti a stringerle l'avambraccio ad intervalli regolari o a segnalare con un bip ritmato e costante il suo battito cardiaco.
"No, prima voglio parlare con lei"
El riaprì gli occhi lentamente, sbattendo le lunghe ciglia scure in quel silenzio assordante, nella stanza insonorizzata e lontana dal mondo dove ogni ora era uguale all'altra, ogni giorno, ogni mese, ogni anno, da quando aveva memoria.
El non avrebbe potuto dire lo stesso di quegli uomini al di là del vetro con indosso i loro camici bianchi: lei invece sembrava accorgersene, pareva vedere cosa era seduto su quella sedia, appoggiata a quel tavolo.
Cosa o meglio...chi.
El lo sapeva, lo vedeva riflesso ogni pomeriggio in quello stesso vetro parzialmente oscurato, lì di fronte ai suoi.
El sapeva che quello che tutti stavano fissando al di là di quel vetro era...lei.
Solo e soltanto lei.
Semplicemente lei.
O meglio, una parte, solo una parte di lei, quel numero: 011
El aveva visto quel numero crescere in quegli anni sulla sua pelle, diventare insieme a lei più grande alla schiera di un neo, una macchia, qualcosa che però invero non era nato con lei, qualcosa che le era stato imposto, fin dal principio, fin da prima che lei ne conservasse il ricordo.
Aveva visto il suo viso cambiare, da quello di una bambina i cui piedini non arrivavano a toccare terra, con la testa costantemente rasata e le guance scavate per il poco sonno e i troppi incubi, fino a quello, molti anni dopo, della ragazza che ora ricambiava il suo sguardo di fronte al vetro, ricci lunghi fino alle spalle a contornare il suo viso meno emaciato, gambe esili abbastanza lunghe ora per arrivare a terra, coperte dalla stessa vestaglia bianca di sempre, la sua divisa da laboratorio, il suo vestito da esperimento.
La sua umiliazione di numero.
El deglutì, vedendo l'alta ombra uscire dalla stanza al di là del vetro, già sapendo dove sarebbe presto arrivata, sentendo il suo cuore immediatamente congelato da quella sensazione, dal freddo, dall'angoscia, dalla paura.
Sì, era quello, era quello il momento di avere paura.
"Buongiorno Eleven" lo sentì sussurrare alle sue spalle, non osando muoversi né voltarsi indietro e restando semplicemente immobile respirare, aspettando che fosse lui a rendersi a lei visibile.
Sì, El aveva visto cambiare tante cose in quegli anni, tante ne aveva imparate, tante le avrebbe volute dimenticare.
Ma no, qualcosa non era e non sarebbe mai cambiato.
Papà sarebbe rimasto per sempre l'unica cosa al mondo di cui El non avrebbe mai smesso di avere paura.
"Come ti senti oggi?" chiese quella voce tagliente ma all'apparenza gentile, avvicinandosi di più a lei e portandosi accanto al freddo tavolo con un sorriso.
"Stanca dalla prima settimana di scuola? Le tue analisi erano eccellenti e hanno molto rallegrato, tutti noi. Sarai felice con noi nel sapere che queste nuove tue occupazioni non hanno in nessun modo interagito con il nostro lavoro..."
El strinse le labbra in modo appena impercettibile, volgendo lo sguardo cautamente nella sua direzione, senza eseguire movimenti bruschi, senza strattoni, senza un rumore, come un leprotto rimasto immobile e paralizzato di fronte ad un lupo cattivo.
Perché era quello ciò che lui rappresentava per lei da sempre, fin da quando era piccola, fin da quando aveva la forza di ricordare.
Quell'uomo dagli occhi di ghiaccio era sempre stato il lupo cattivo di tutte le sue peggiori storie.
"Il tuo tracciato cerebrale è perfetto, i tuoi valori pressori i migliori che abbiamo mai registrato, ed è davvero sorprendente se considerata la mole di stress alla quale ti stai sottoponendo, Eleven, lo sappiamo bene: tutti quei corsi, quelle lezioni, quei compiti da svolgere..." continuò papà portando una sedia più vicina al tavolo e sedendosi senza smettere di fissarla con occhi gentili che chiunque avrebbe potuto scambiare per dolci.
"Tutti quei pensieri, tutte quelle inutili e noiose perdite di tempo...è lodevole Eleven, è davvero lodevole come tu abbia reagito al meglio a tutto questo..." la piccola lo sentì continuare, avvertendo brividi freddi come spilli penetrarle nella pelle, scendere in basso fino alle sue viscere, scendere da quell'unico spiraglio, da quel contatto silenzioso attraverso il quale non poteva ogni volta che lasciarlo entrare, attraverso quello sguardo che lei ricambiava senza riuscire a staccare gli occhi dai suoi, come ipnotizzati, annullando la rabbia e la frustrazione che l'avrebbero invece portata ad urlare.
Perché era quello ciò che lui sapeva fare da sempre al meglio con lei: lui sapeva assoggettare la sua mente così come la sua volontà.
"Il tuo corpo ci sta parlando Eleven, ci sta dicendo che è il momento, ci sta dicendo che è pronto..." continuò l'uomo dai capelli bianchi come la neve, appoggiando i gomiti al tavolo e facendole trattenere il fiato.
Cosa, cosa quegli occhi freddi avevano di così magnetico da impedirle quasi di rompere quel contatto con un battito di ciglia?
"È il momento Eleven, è il momento di farlo: sei pronta, sei potente abbastanza ora..." continuò il dottor Brenner con un sorriso di incoraggiamento, pronunciando quelle parole lentamente, già sapendo quale effetto avrebbero in quella piccola potuto evocare.
"È il momento che ci ritorni, Eleven...è il momento che ritorni là"
"No!" era quasi sicura di aver urlato El, ma le sue labbra rosse non si erano mosse di un millimetro dalla sua posizione.
"No!" credevano di aver stillato le sue gambe correndo via da quella stanza.
"Ti prego, no..." avrebbe voluto supplicare il suo cuore, stretto improvvisamente nel petto come per proteggersi rannicchiato in un angolo da una minaccia cattiva.
Ma El non si mosse, non disse niente, non rispose a quelle semplici parole.
Un battito di ciglia più forte, le labbra più schiuse di un centimetro, il suo povero cuore improvvisamente a mille nel petto dalla paura.
No, là no.
Non poteva tornare là, no, ne aveva troppo paura.
Non voleva, non voleva ritrovarsi di nuovo immersa in quel buio intorno a sé, freddo e scuro come la pece, tossico come veleno, capace di uccidere ogni luce, ogni speranza, ogni spiraglio di gioia.
Quel posto dove sola aveva camminato per chilometri, con le bende sugli occhi e le orecchie tappate lontane dal mondo.
Lì, dove gli incubi diventano reali, lì dove finiva ogni cosa reale, dove ogni colore veniva annullato, lì dove i pensieri e le paure urlavano più forti, uniche emozioni in grado di restare reali.
Il vuoto.
"No...ti prego, no..."
"Sì..." annuì Brenner con un sorriso, scorgendo una lacrima silenziosa colare piccola e leggera lungo la guancia di quella piccolina immobilizzata dalla paura di fronte a sé.
La sua bambina, il lavoro di una vita, il suo esperimento, il suo numero.
"No..." urlava quella lacrima,
"Sì" ripeté ancora papà facendosi a lei più vicina, vedendo gli occhi di lei più grandi e lucidi seguirlo senza essere in grado di separarsi dai suoi.
"Voglio che li trovi..." continuò con tono improvvisamente serio e i muscoli del collo in tensione,
"Voglio che li spii, voglio che li sorvegli, ogni giorno, ogni notte...sempre. È così importante il tuo lavoro, Eleven, tu sei per noi così fondamentale" la piccola lo vide annuire con aria incoraggiante e occhi intensi come quel freddo intorno a loro.
"Loro sono i cattivi Eleven, ricordatelo...loro sono i cattivi che ci minacciano, loro sono i mostri da sconfiggere...ti ricordi Eleven? Ti ricordi di cosa abbiamo parlato?" proseguì papà, con tono di nuovo serio e profondo.
"Sono potenti, sono forti anche loro, ma non come noi, non come noi, Eleven, e sai perché? Perché loro non hanno quello che abbiamo noi, loro non hanno te..."
El si sentì gelare il sangue a quelle parole, i suoi nervi tesi, i muscoli tirati, ogni senso attivato come di fronte al più grande dei pericoli.
"E tu lo sai, lo sai perché siamo più forti con te, Eleven?" lo vide sorridere con un ghigno di prepotenza e fierezza, senza dolcezza, senza amore, senza compassione o misericordia alcuna.
Era quella, era quella l'unica forma d'affetto che le era stata concessa per anni ed anni di freddo e di buio?
"Sai mantenere un segreto?" sussurrò infine il lupo cattivo dei suoi incubi, riducendo i suoi occhi di ghiaccio a due fessure e sibilando con un ghigno verso di lei facendosi più vicino, non attendendo una risposta o un segno di consenso che lei non avrebbe saputo dare in quel momento, lì bloccata in tutti i suoi sensi di fronte a lui:
"Tu sei l'arma che loro non immaginano noi possiamo avere"
*
"Salve! Sono Mike, Mike Wheeler!"
La segretaria alzò un sopracciglio con aria interdetta, ancora prima di aver sollevato lo sguardo dalle scartoffie che affollavano la sua scrivania accanto alla porta d'ingresso della centrale della polizia, mettendo a fuoco, attraverso le grandi lenti dei suoi occhiali dalla montatura chiara, un sottile ed alta figura con zaino in spalla, calzoncini corti e un groviglio di riccioli neri sulla fronte.
Mike deglutì, non sapendo al meglio come interpretare quell'attimo di silenzio che seguì quella sua semplice e scarna presentazione, lasciando che quella, dall'altro lato della scrivania, continuasse a fissarlo con aria perplessa, senza osare aggiungere altro.
Non era mai stato ad una centrale di polizia, ma sicuro ne aveva viste molte in tutti quei film polizieschi tanto cari a suo padre, quando, rimasto l'unico ancora sveglio sul divano in mezzo ai suoi famigliari già russanti, quei film era da sempre così noiosi da non riuscire nemmeno nell'intento di addormentarsi.
E la centrale della polizia di Hawkins non si presentava molto diversa da come se la era immaginato: un grande stanza quadrata piena di scrivanie disposte accuratamente per lasciare stretti corridoi di passaggio, l'aria intrisa di fumo di sigaretta dai pasaceneri ricolmi e il trillo costante dei mille telefoni a rompere i pochi istanti di silenzio che raramente si andavano a creare.
Era forse fin troppo tranquillo rispetto a come ne avrebbe descritta una da bambino, senza poliziotti in divisa a scortare detenuti in manette o chiamate di emergenza da far scattare sull'attenti tutte le unità, ma Mike sapeva che non sarebbe mai stato possibile assistere a quel tipo di scene in quella piccola centrale: la sua città di periferia era da sempre il classico posto dove non succedeva mai nulla di interessante.
"Si...?" sentì infine chiedere la signora dall'altra parte del tavolo, lasciando cadere la penna sui fogli sotto di sé e sistemando gli occhiali sul naso per osservarlo meglio, sempre con sguardo perplesso e a tratti scocciato, come se quel piccolo ragazzino di fronte a sé rappresentasse solo l'ennesima perdita di tempo di tutta la giornata.
"Hai bisogno di qualcosa?"
"Sono Mike Wheeler!" rispose Mike automaticamente, senza starci a riflettere, sentendo le mani stette alle bretelle del suo zaino in spalle farsi più sudate sulla sua camicia a maniche corte gialla.
Deglutì, vedendo la segretaria alzare anche l'altro sopracciglio con aria ora definitivamente scocciata ma anche compassionevole: Flo di ragazzini impiastri come lui ne aveva visti già tanti nei suoi quasi 40 anni di servizio.
"Questo lo hai già detto.." annuì con aria materna incrociando le mani sulla scrivania, vedendo il ragazzino farsi più pallido sotto quella coltre di lentiggini a puntinare il suo viso:
"Come posso aiutarti, caro? Hai perso qualcosa? Un cane, un gatto? Qualcuno ti ha rubato la bici?"
"No, no, mi scusi...io..." riprese Mike abbassando lo sguardo e scuotendo la testa, colto da un improvviso dubbio di non essere invero nel posto giusto in quel momento, di essersi accorto troppo tardi che quella fosse nient'altro che una colossale cazzata: ma cosa gli era saltato in mente?
"Io..." balbettò prendendo un profondo respiro e chiudendo infine gli occhi e sollevando il viso di fronte a sé, riaprendoli lentamente sulla donna che lo scrutava con lo stesso sguardo che avrebbe potuto usare per un micino sperduto ed abbandonato:
"Sei arrivato fino a qui Mike, non fare il codardo! Coraggio!"
"Io, mi chiedevo..."
"Parla, ragazzo..."
"Intendevo dire, vorrei.."
"Non ho tutto il giorno..."
"Vorrei parlare con il capo della polizia Hopper per favore!"
Mike pronunciò quell'ultima frase in un soffio, accorgendosi solo dopo di averla detta davvero, quando vide davanti al suo naso le sopracciglia di Flo farsi, se possibile, ancora più arcuate ed alte sulla fronte, quasi a toccare l'attaccatura dei suoi capelli grigi perfettamente cotonati.
"Il capo della polizia? Tu vorresti parlare con il capo Hopper, ragazzo?!"
"Il capo Hopper, sì!" chiarì Mike annuendo con aria convinta, grato che la segretaria avesse capito quel sussurro, senza costringere a ripeterlo.
Era praticamente fatta a quel punto...non è vero?
"È...è possibile, non è vero?"
"Temo di non poterti aiutare..." scosse la testa Flo con sguardo compassionevole e una smorfia sulle labbra di disapprovazione:
"Il capo Hopper non può ricevere tutti quelli che chiedono di lui, credo tu possa capirlo, vero Mike?" continuò facendosi a lui più vicina lungo il tavolo della scrivania,
"Ma se vuoi raccontare a me cosa ti è successo magari io o qualche altro possiamo aiutarti..."
"No, io..." alzò gli occhi al cielo Mike, scuotendo la testa con una smorfia scocciata,
"A me non è successo niente, davvero! Non ho perso il gatto e nessuno mi ha rubato la bici! Devo solo parlare con Hopper, devo chiedergli una cosa importante! È un'urgenza!"
"Spiacente ragazzo, non è possibile" concluse Flo con una smorfia di disapprovazione, riabbassando lo sguardo sulle sue scartoffie e lasciandolo in piedi immobile di fronte alla scrivania.
"Lo sceriffo oggi non riceve, specie senza una buona motivazione"
"La prego, io...io devo chiedergli una cosa importante!" insistette Mike per nulla intenzionato a lasciarsi abbattere così facilmente:
"Non ci metterei molto, glielo garantisco!"
"Non posso aiutarti.."
"Lo sceriffo è qui, oggi?"
Flo sospirò, portando le mani sul viso e sfilandosi con un gesto gli occhiali dal naso, passando le dita sugli occhi prendendo un profondo respiro prima di rialzarli su di lui, vedendo quel ragazzino ricciolo cercare con lo sguardo dietro la scrivania l'ufficio dello sceriffo riconoscibile dalla stella apposta sulla parte esterna della porta.
"È in centrale?"
"Il capo non è qui in centrale in questo momento, come sempre. Non lo è mai di pomeriggio"
"Mai?!" fu la volta di Mike di alzare le sopracciglia con aria perplessa, osservando la segretaria continuare a fissarlo con aria di sufficienza:
"Nessun pomeriggio? Mai?! E dove va?!"
Flo sospirò per l'ennesima volta dall'inizio di quel colloquio nella caotica centrale della polizia quella domenica pomeriggio, scuotendo la testa e facendosi più vicina, sporgendosi verso il ragazzino dagli occhi vispi ed in attesa di una risposta soddisfacente dall'altra parte della scrivania:
"Sai mantenere un segreto, caro?" Mike la sentì sussurrare nella sua direzione, sentendo il respiro fare una piccola capriola e una viva curiosità impossessarsi in un secondo del suo piccolo ed impavido cuore:
"Un segreto? Certo!"
"Avvicinati, avvicinati, Mike..." sussurrò Flo decisa a liberarsi di quel ragazzino il più velocemente possibile, una volta per tutte.
Vide il ricciolino avvicinarsi sporgendo l'orecchio con occhi attenti un sorriso, un entusiasmo innocente che sparì in un secondo quando le parole iniziarono ad uscire dalla bocca di Flo, a tratti derisorie.
"Non so dove il capo vada tutti i pomeriggi, nessuno lo sa...e anche se lo sapessi, credi che lo potrei venire a dire a te, ragazzo?"
Mike rimase interdetto, tirandosi indietro con sguardo deluso ed il suo piccolo orgoglio più ammaccato che mai nel petto:
"No, suppongo di no..."
"Esatto, bravo: si vedeva che eri uno intelligente" concluse Flo riinforcando gli occhiali sul naso e la penna in mano, piegandosi in basso nuovamente sui fogli bianchi a ricoprire la scrivania:
"Vai via caro, non possiamo aiutarti qui: esci e vai a divertiti con i tuoi amici, avrai di sicuro di meglio da fare che passare in queste quattro mura una così bella giornata di sole!"
"Ma io..." tentò ancora Mike, vedendola bloccarlo con una mano senza sollevare la testa:
"Ho detto fuori ragazzino, fuori"
Mike annuì, stringendo le labbra e più forti le mani sopra le bretelle del suo zaino, esitando ancora un secondo di più prima di fare dietro front, allontanandosi infine da quella scrivania e uscendo dalla porta d'ingresso accanto a lui sentendo la segretaria emettere un ultimo profondo sospiro.
Scosse la testa, passando una mano tra i suoi ricci e scendendo pigramente le scale della centrale della polizia di Hawkins, sentendosi più stupido ed ingenuo che mai in quel momento.
Era stato tutto assolutamente inutile.
Solo una gigantesca perdita di tempo.
Eppure non gli era sembrata davvero una così brutta idea, aveva pensato sul serio potesse funzionare!
"Direttamente dalla fonte d'informazioni": chi meglio del capo Hopper, del presunto papà adottivo di quel fiorellino poteva aiutarlo a trovarla, a sapere il suo numero, a mettersi con lei in contatto?
Doveva essere facile, logico, un gioco da ragazzi, ma invece quel brillante piano era appena precipitato un secondo prima davanti a quella scrivania: Hopper non era in centrale, non lo era nessun pomeriggio, mai.
Era una cosa parecchio strana per lo sceriffo di una piccola città...o no?
"Mike, Mike! Mi ricevi?!" fu risvegliato il piccolo Wheeler dai suoi pensieri dalla voce gracchiante del suo migliore amico alla ricetrasmittente alle sue spalle, nella tasca esterna del suo zaino,
"Ma dove cazzo dei finito, Mike! MIKE!!!"
Il ricciolino alzò gli occhi al cielo, salendo in sella alla sua bici parcheggiata poco lontano ed affrettandosi ad estrarre il supercomm con una mano.
Ecco l'unica cosa che aveva ottenuto dal suo brillante piano, ecco quale era stata la sua conquista: far imbestialire per l'ennesima volta i suoi amici per il suo ritardo, e per di più a ragione, come tutte le altre volte.
"Mike!"
"Ci sono Lucas, ti ricevo!" urlò Mike nella linea disturbata, cominciando a pedalare reggendo il manubrio con una mano e nell'altra la fedele ricetrasmittente dorata:
"Sto arrivando!"
"Mike, porca puttana, ma dove diavolo sei?!" sentì a scatti la voce dell'amico strillare con rabbia ed esasperazione:
"Dovevi essere qui già mezz'ora fa! Perfino Will ha già finito e ci sta raggiungendo! Tu, di grazia, dove diamine sei finito?!"
"Arrivo ragazzi, scusate!" sospirò Mike evitando una buca nell'asfalto, rischiando di perdere l'equilibrio ma iniziando a pedalare più forte:
"Sono stato trattenuto da...mia madre! 5 minuti e sono lì, ve lo assicuro!"
*
"Sei sempre il solito, Mike!" chiuse la conversazione esasperato Lucas di fronte al giardino di casa sua, guardando Dustin con aria scocciata, visibilmente in disapprovazione.
"Che c'è?!" allargò le braccia vedendo gli occhi azzurri dell'amico in procinto di dire qualcosa.
L'aria era calda quel pomeriggio di inizio settembre regalando ai cittadini dell'Indiana una delle ultime meravigliose giornate di sole.
Le strade verso le periferia erano pieni di passanti a piedi o in bicicletta, passeggini, ragazzi sugli skate e bambini con pattini a rotelle ai piedi: nessun viso non poteva apparire più che sorridente, rilassato, desideroso di approfittare di quegli ultimi scorci estivi per una passeggiata nel verde.
Ma a quanto pareva un bel clima soleggiato e senza nuvole non era quel pomeriggio sufficiente a mettere di buon umore tutti gli animi inquieti tra le strade di quella piccola città.
"Parla!"
"Non dovresti essere così duro con lui..." sussurrò Dustin con un sospiro, portando più comodo sulle spalle il suo zaino ricolmo di patatine e succhi per la merenda, sorridendo con aria di chi già la sapeva lunga, davvero molto lunga.
"...anzi, tu più di tutti forse dovresti capirlo!"
"Capirlo?! Io?!" allargò le braccia il ragazzo dalla pelle color cioccolato con la sua fascetta militare già stretta sulla fronte a proteggere gli occhi dal sudore,
"Io non sono mai in ritardo, è Mike che è esasperante!"
"Non intendo dire questo, idiota..." sospirò Dustin scuotendo la testa con aria sconsolata,
"Cavolo, a volte voi ragazzi sapete essere così ottusi..."
"E allora quale sarebbe il punto, Dustin?" incalzò Lucas con aria scocciata, vedendo l'amico tentennare prima di rispondere:
"Sputa il rospo!"
"Intendo dire, tu dovresti capirlo più di tutti noi!" ricominciò Dustin con occhi seri, il solito berretto suo ricci a proteggerlo dal sole:
"Tu più di tutti dovresti ricordare cosa vuol dire avere la testa nel pallone, tu più di tutti dovresti ricordare come ci si sente in questo genere di situazioni..."
"Che cosa?!" sbottò Lucas alzando le braccia al cielo, gli occhi spalancati di incredulità e stupore:
"Con questo cosa vorresti dire?!"
"Voglio dire...anche tu hai avuto la testa un po' nel pallone i primi periodi, quando Max ha iniziato ad uscire con noi intendo..." cominciò a spiegare Dustin abbassando lo sguardo sul manubrio della sua bici:
"Sai, credo sia normale...prima a te, ora a Mike..."
"Credi sia colpa sua? È colpa di quella ragazza se Mike è ridotto così?!" chiese Lucas fissandolo negli occhi ed indicando con una mano il supercomm legato al tubo metallico del suo manubrio:
"È per colpa sua che Mike si è così riincretinito?"
"Non è questione di colpa! Dio mio, a volte sei così stupido..."
"È questa la tua idea Dustin, cerchi di difenderlo?"
"Non sto difendendo nessuno! Dico solo che anche tu eri così!"
"Con Max era diverso.." concluse Lucas scuotendo la testa e vedendo Dustin alzare un sopracciglio con aria divertita:
"Oh no che non lo era!"
"E invece ti dico di sì!"
"Era la stessa identica cosa..."
"E invece!" urlò più forte Lucas facendolo tacere:
"Max era una a posto, una figa, era una...normale! Questa ragazza non mi piace, non lo so...non mi fido di lei..."
"Avevi ammesso anche tu che era carina!"
"Sì, ma non è questo il punto! Will e Max dicono che è strana, Mike dovrebbe fare più attenzione con lei!"
"Sono tutti stupidi pregiudizi!"
"Sarà, ma se è in grado di rendere Mike così certo è una dal quale farlo stare davvero alla larga" concluse Lucas con l'aria di uno che non ammette repliche, alzando un braccio ed agitandolo in segno di saluto verso la figura in lontananza di Will, in avvicinamento sulla sua bici all'imboccatura di Deaborn Street.
Dustin scosse la testa, guardandolo dal basso della visiera larga del suo cappello con aria sconsolata, decidendo di non insistere, già sapendo quanto sarebbe stato solo dannatamente più inutile:
A volte i suoi migliori amici di tutta la vita sapevano comportarsi solo come dei bambini ottusi.
*
Calata la notte, con il buio ad avvolgere tutti intorno nel suo nero e quieto manto, indossate le cuffie sulle orecchie per isolarsi dal resto della casa, riposto con cura il vestito a fiori sull'appendino dell'armadio dalle ante bianche, gettato in terra lo zaino macchiato di erba di prato, chiusa con la mente la porta della camera, due ragazzini, ai sue estremi opposti della città, si apprestavano a vivere una invero non molto diversa conclusione di giornata.
"Mannaggia a me, al corso di chimica e alla Hawkins High per intero!"
"È finita, Eleven...anche per oggi, sei a casa..."
"Di sto passo starai in piedi tutta la notte, deficiente di un Wheeler..."
"Papà si sta facendo la doccia, hai un po' di tempo: non è che potresti...?"
"No, decisamente no. Questa è l'ultima volta che mi faccio fregare da Lucas e dagli altri: cosa aveva detto mamma? Non uscire prima di aver finito i compiti...e tu perché, Mike, non perdi occasione per fare di testa tua?!"
"Papà ha detto che devi esercitarti, che devi esercitarti a ritornarci, El...a ritornare lì..."
"Ma da dove comincio? Che cazzo devo scrivere su questo dannato foglio, holy shit!"
"No non se ne parla! No, non qui, non ora...sei stanca El, ma non ti vedi? Hai ancora davvero voglia di starci a provare?"
"Fossi riuscito almeno a parlarle, a mettermi in contatto con lei per domani, ma no! Ovviamente no! Oggi non te ne doveva andare una giusta, vero Mike?!"
"Ma..."
"Sei il solito idiota..."
"Io voglio vederlo..."
"Domani non si ricorderà nemmeno del tuo nome, deficiente...ma cosa stavi a credere che potesse andare in modo diverso?!"
"Voglio vederlo ora"
Mike alzò la testa al soffitto della sua camera, chiudendo gli occhi e lasciando che i ricci gli ricadessero ai lati degli zigomi leggeri, solo in parte arricciati dalle corse in bici di quel pomeriggio.
Davanti a sé, sulla sua scrivania in mezzo ai libri aperti più o meno alla rinfusa, un foglio bianco ancora immacolato, l'ultimo drago da sconfiggere di quella giornata.
Come volevasi dimostrare, era arrivato all'ultimo minuto prima della consegna, le 8 di sera passate e nemmeno lontanamente l'idea di dove cominciare.
Sbuffò, scuotendo la testa e mordendosi un labbro, lasciando che la musica proveniente dalle grandi cuffie collegate al suo mangianastri posto su una pila di libri lo confortasse a dovere, unica gioia di quella giornata iniziata male e proseguita anche peggio.
Mike "sfigato" Wheeler: avrebbe potuto suggerire a Troy e ad i suoi amici un nome diverso con il quale variare al posto del solito ormai scontato "frogface".
El sospirò, dalla parte opposta della città ma con il suo stesso identico umore addosso, lanciando uno sguardo alla porta della sua camera nella casetta in mezzo al bosco, allungando l'orecchio e avvertendo da lontano il familiare suono della doccia provenire dal bagno in fondo al corridoio.
Sì, aveva tempo, aveva ancora tempo.
Chinò lo sguardo sconsolato sulla sua scrivania il piccolo Wheeler, si alzò infine dal materasso la piccola Hopper, camminando lentamente attraverso la sua camera immersa nel buio fino alla sua scrivania, accendendo con un gesto della mano la piccola lampada e sorridendo appena, ritrovando davanti ai suoi occhi i fogli bianchi a scritte dritte e precise di quella ricerca completata quella mattina prima di uscire per dirigersi come tutti i pomeriggi al dipartimento dell'energia di Hawkins.
El sorrise, senza sapere nemmeno lei il perché, afferrando quei fogli e posandoli nella sua cartella per non dimenticarli, non potendo evitare nella stanchezza e nella più viva sincerità, di tornare con la mente a lui, come mille altre volte le era capitato da quella mattina nel corso di quella lunga giornata e che in quel momento, invero, non aveva più voglia di impedirsi inutilmente di fare.
Chissà che argomento aveva scelto lui per la sua ricerca, chissà come era bella la sua scrittura, chiara e pulita su quel foglio bianco così come El la immaginava sorridendo da sola in quella camera.
Chissà come sarebbe stato bello vederlo, anche solo per un secondo, anche solo per un istante...
"In fondo potrei..."
"No, El! Non ci pensare! Non lo puoi fare!"
"Ma papà mi ha detto di esercitarmi!"
"Sì, ma certo non con sconosciuti frequentati la tua stessa scuola! Ma ti senti?!"
"Lui non mi vedrebbe mai, non sospetterebbe mai di nulla...
"È fuori discussione, non se ne parla!"
"Ma in fondo potrei..."
"Eleven basta! Finiscila! Non lo farai, deciso"
"...non decidi tu"
El scosse la testa, colta da un improvviso brivido lungo la spina dorsale a quel pensiero, portando le dita sulle labbra rosse e mordecchiandole con aria pensierosa: perché sentiva questo bisogno di vederlo, dopo essersi limitata a pensarlo per la gran parte di quel weekend, perché ora quella tentazione era così forte, perché era così forte da andare contro le regole, da volerlo fare a tutti, tutti i costi?
"Solo per un momento: vai e torni, come se nulla fosse...Solo un paio di minuti...Magari non sarà nemmeno a casa a quest'ora..."
El annuì decisa, stringendo le labbra come per prendere coraggio, girando su se stessa verso la porta della camera ed uscendo silenziosamente nel corridoio fino al salotto, in punta di piede, staccando con la mente la spina dalla presa nel muro e facendo lievitare la sua TV quadrata a tubo catodico a mezzo metro dal pavimento fin di fronte alla parete di fronte al letto della sua camera.
Con un rapido gesto della testa, El girò la manopola dell'apparecchio che immediatamente si accese di fronte a sé, scorrendo con gesti rapidi della testa i canali uno dopo l'altro finché non avvertì tutte le voci dei presentatori e della pubblicità cessarsi di colpo sostituite da un fastidioso ma costante rumore bianco di sottofondo.
Non aveva più bisogno di coprire gli occhi con una benda da anni, e non aveva bisogno nemmeno di una foto o un oggetto per trovarlo, quella volta perché quel ragazzino dai ricci neri occupava la sua mente così intensamente quella sera che pareva potesse avere il potere di evocarlo.
Chiuse gli occhi la piccola El, ispirando profondamente e avvertendo il familiare calore di una goccia di sangue che lentamente iniziò a colare dalla sua narice sinistra al primo respiro.
Sapeva dove cercarlo, sapeva dove trovarlo, dove avrebbe potuto vederlo: Mike Wheeler, il suo chiodo fisso di quella uggiosa domenica sera di settembre.
Due secondi dopo la piccola riaprì gli occhi: intorno a lei nero, buio, silenzio.
Il vuoto.
El aveva sempre odiato quel posto, che "posto" poi non avrebbe potuto chiamare, quella dimensione, quello spazio solo suo dentro la sua testa, quel mondo di buio, freddo, paura, morte.
Il posto dove tutti gli incubi si facevano reali ogni volta.
El aveva sempre avuto paura di quel posto, paura del vuoto e paura di lui, lui che le aveva insegnato come raggiungerlo, che l'aveva intrappolata lì per pomeriggi interi senza trovare il modo per tornare, lui che in quello spazio speciale le aveva detto di cercare, osservare, scrutare e spiare persone, luoghi, conversazioni in quel posto che di nero e silenzio era intriso fino in fondo.
El lo aveva sempre odiato, ma quella sera era diverso, quella sera non aveva spie russe o capi politici da ricercare, quella sera decideva lei chi vedere, lei chi pensare.
E l'oggetto della sua ricerca era d'un tratto già lì, di fronte a lei.
La camera era buia, ma non perché lo fosse davvero, lo era solo il mondo freddo e vuoto intorno a lei: vedeva solo un grande letto che da lontano pareva coperto da una trapunta blu, sfatto, disordinato, caotico come, in fondo, lo avrebbe lei immaginato.
Un lampada accanto al comodino, una bizzarra palla nera con lancette e numeri che la fece sorridere, senza sapere il motivo, mentre El camminava piano a pelo dell'acqua in quel mare nero sotto i suoi piedi.
E poi, di spalle, seduto ad una scrivania con una felpa con il cappuccio tirato sui ricci neri come quel vuoto e due grandi cuffie sulle orecchie c'era lui, Mike, il premio al fondo della sua caccia al tesoro.
El trattenne il fiato, come se avesse potuto accorgersi del suo respiro, anche se sapeva che no, mai avrebbe potuto né vederla né sentirla da laggiù.
Ma invece lei no, lei lo sentiva, lo vedeva, e con quel viso concentrato e, con i ricci neri sulla pelle ancora più pallida a quella luce, lui era meraviglioso.
Mike muoveva la testa piano, a piccoli scatti regolari, a ritmo con una musica leggera che El sentiva lontano in sottofondo, facendo scorgere leggera la penna sul foglio bianco sotto di sé che la ragazzina avrebbe potuto giurare fosse la relazione del loro compito di chimica.
Sorrise la piccola Hopper di fronte a quel ragazzino, facendosi più vicina intorno a quella scrivania, a quel ragazzo che sedeva lì esattamente come lei lo avrebbe immaginato: con le cuffie nelle orecchie da grande amante della musica e ancora sul compito, da perfetto ritardatario.
El prese un respiro, facendo attenzione a non sfiorare nessuna parte di quella visione con nessuna parte di sé o del suo vestito, già sapendo che avrebbe rappresentato la fine di tutto, avvicinandosi di più per osservarlo più da vicino: la pelle pallida dove i puntini scuri delle sue guance spiccavano ancora ed ancora di più, le labbra rosse strette in un'espressione concentrata, gli occhi semichiusi verso il basso, verso quel foglio e qualche ciocca che ribelle si spingeva al di sotto del cappuccio nero tirato fin sulla fronte.
E poi quella musica, quella dolce e ritmata musica.
Continuò ad osservarlo la piccola Hopper, senza osare staccare gli occhi da lui come se avesse potuto vederlo sparire perdendone il contatto, sentendo il suo cuore immediatamente più leggero, immediatamente più calore nel petto, come non ne aveva sentito per tutto l'arco di quella interminabile giornata.
"Che potere, che potere hai su di me?" si chiese anche in quel momento la piccola El, facendosi a lui accanto ed allungando un orecchio fino ad un centimetro da lui, ad un passo dalle cuffie sulle sue orecchie per poter captare quel suono, quella dolce musica che proveniva da quella casetta sulla scrivania del ragazzo dei suoi sogni, per permettere al suo piccolo cuore di prendere il ritmo con quella melodia, il ritmo con il suo respiro, il ritmo con il suo piccolo cuore.
Ooh, each morning I get up I die a little
Can barely stand on my feet
(Take a look at yourself) Take a look in the mirror and cry (and cry)
Lord, what you're doing to me (yeah yeah)
Era una canzone orecchiabile, un suono ritmato e una voce profonda a cantare quelle dolci parole, ed El sorrise, sentendo crescere il calore da quel silenzioso contatto e l'adrenalina da quella vicinanza.
Chissà cosa sarebbe successo se lo avesse sfiorato, chissà cosa sarebbe successo se lo avesse chiamato per nome lì: "Mike...", unito ad un sorriso, uno bello come quello che lui sempre era in grado di regalargli, anche ora che tutto quello che El avrebbe voluto sarebbe stato potersi sedere a lui vicino, come quella mattina sugli spalti.
E quella volta El non sarebbe scappata, no, quella volta glielo avrebbe detto, glielo avrebbe urlato correndo lei verso di lui quella volta:
"È tutto il giorno che ti penso, ora finalmente ti ho trovato"
I have spent all my years in believing you
But I just can't get no relief, Lord!
Vide Mike alzare la testa e per un attimo ebbe paura di non averlo solo pensato, di averlo davvero sussurrato, ma durò meno di un secondo, vedendolo invece chiudere gli occhi con un'espressione felice sul viso, mentre la musica cresceva, cresceva a ritmo con le sue dita a tamburellare sulla scrivania:
Somebody (somebody)
ooh somebody (somebody)
Can anybody find me....
"...somebody to love?" El lo sentì sussurrare, muovendo appena le labbra con un sorriso spontaneo e meraviglioso, che fece anch'essa sorridere lì nel buio, mai stata a lui così vicino, ad un passo dal suo viso, ad un passo dai suoi occhi grandi, ad un passo dalle sue labbra rosse.
Mai avrebbe potuto stargli così vicino nella vita vera, eppure era tutto quello che il piccolo cuore a mille nel suo petto le avrebbe potuto urlare di volere, mentre, lì nel buio del suo mondo vuoto, quella volta El sentiva che non avrebbe voluto mai andarsene.
Fece un passo indietro la ragazzina, vedendolo tornare con lo sguardo sui libri mentre la musica diminuiva di intensità, facendosi più lenta e la batteria più leggera, fino al successivo ritornello.
Si guardò intorno in quella stanza rappresentata a metà, sicuramente più spoglia di come avrebbe potuto essere nella realtà, volgendosi di spalle e camminando indietro verso il suo letto poco lontano, sfatto e con le coperte in disordine come El mai avrebbe immaginato di poter lasciare il suo al mattino.
"Chissà cosa direbbe papà se ci provassi anche io?" pensò El fermandosi di fronte al materasso ai piedi del letto, vedendo la superficie ingombra di libri, una strana scatola metallica dorata con un'antenna di cui ne ignorava la funzione, magliette stirate e altre meno ed un cuscino con al di sopra la stampa di una grande navicella spaziale.
El si morse il labbro, lanciando un ultimo sguardo alla figura piegata sulla scrivania alle sue spalle, trattenendo il respiro e sedendosi infine su quel materasso, appoggiandosi delicatamente e non perdendo il contatto con lui, con le sue spalle, con il cappuccio sul suo viso mosso leggero dalla musica alle sue orecchie.
Sorrise El, così tanto che non le sembrava di aver sorriso così da un secolo, portando le gambe nude sotto il vestito a fiori incrociate sul materasso, regolarizzando il respiro e restando semplicemente a fissarlo, solo a guardarlo, lì da lontano, seduta sul letto della sua stessa camera dove mai lui avrebbe potuto vederla, dove mai avrebbe potuto immaginarla.
Chissà se si sarebbe spaventato se l'avesse saputa lì? Si sarebbe forse arrabbiato? L'avrebbe cacciata via da quel letto, da quella camera, o si sarebbe forse invece avvicinato, con il solito sguardo gentile che El aveva imparato ad attribuirgli ogni volta?
El non lo sapeva, ma restava a fissarlo, sentendo il cuore gonfio di qualcosa, non avrebbe saputo dire di cosa la piccolina, solo pieno di un sentimento così forte da impedirle di smettere di sorridere e alle gambe di tremare.
Era forse perché, quel ragazzo, in così poco tempo, era diventato l'unico contatto con quel mondo completamente nuovo per lei che non avrebbe invero voluto allontanare?
Abbassò per un secondo lo sguardo la piccola El, allungando le mani come appoggio di fianco a sé e incontrando un contorno morbido, sfiorando involontariamente il suo cuscino e restando ad osservarlo per un interminabile istante.
Poteva scorgere qualche ricciolo nero su quella superficie bianca, un incavo centrale, il peso del suo viso nel centro del lenzuolo e non seppe cosa le passò per la testa nel secondo in cui decise di farlo, semplicemente sorridendo, senza starci troppo a pensare.
Abbassò il viso lentamente su quel cuscino, premendolo a sé e respirandone dentro quel profumo, quell'odore, il suo, sfregando dolcemente il naso contro il tessuto, come avesse potuto essere il vero suo viso, sentendo il cuore tremare quando le narici furono invase in un istante di quel familiare odore, già conosciuto, già sentito ma ora più vivo ed intenso tra le pieghe di quel tessuto contro il suo viso.
Era il primo contatto così intimo con qualcuno che El sentiva che avrebbe potuto molto facilmente scoppiare a piangere di gioia ed emozione in quel momento.
Quanto avrebbe dato quel fiorellino per poter respirare davvero quell'odore direttamente dai suoi ricci, non solo su quel cuscino...
Chissà se un giorno glielo avrebbe mai permesso...
Chissà se anche lui avrebbe fatto piacere, chissà se anche lui l'aveva pensata almeno per un attimo quel giorno...
Chissà se...
"Mike!"
"Kiddo!"
Mike ed El alzarono il viso di scatto, come punti sul vivo nel bel mezzo di qualcosa di proibito, sentendo da lontano le urla di richiamo dei rispettivi genitori al di là della porta e di quella dimensione di vuoto.
"Mike! Puoi venire un attimo qui?"
"Kiddo! Puoi cominciare ad apparecchiare il tavolo per cena?"
"Arrivo mamma!" sentì Mike urlare di risposta, tirando via le cuffie dalle orecchie con una mano e il cappuccio giù dalla fronte con l'altra, tirando indietro la sedia dalla scrivania e alzandosi in piedi, camminando lentamente verso di lei con lo sguardo al pavimento.
El trattenne il fiato, immobile con il cuscino ancora tra le sue mani, vedendolo arrivare ad un passo da lei portando lo sguardo a sé di fronte e passando la mano tra i ricci con aria pensierosa per un attimo, solo per un attimo, prima di vederlo voltarsi di spalle verso destra, di fianco al letto, spalancando quella che doveva senza dubbio essere la porta di quella camera.
El si concedette di tornare a respirare, rimasta immobile con le labbra semiaperte senza osare muoversi di un centimetro, senza osare respirare, ma quando la piccola lo vide voltarsi già sulla porta per un attimo alle sue spalle, verso quel letto e verso di lei, fissando lo sguardo dritto nei suoi occhi, El per un attimo si scordò nuovamente cosa volesse dire respirare.
Per un attimo, in quel secondo di silenzio nel vuoto divenuto quella sera un tutt'uno con la realtà, la piccola desiderò per la prima volta in vita sua che lui potesse davvero vederla lì di fronte a sé.
"Mike..."
"Mike!"
"Arrivo!!" lo vide voltarsi con un sospiro, scuotendo la testa e uscendo infine dalla camera, lasciandola senza fiato e rossa in viso, alzandosi da quel letto come se su quelle lenzuola fosse avvenuto quella sera non un semplice scambio di sguardi ma qualcos'altro, altro da far impazzire in quel modo il suo piccolo cuore.
Era ora di andare, era ora di tornare.
Quella visita invisibile era finita.
Ma El sentiva irrazionalmente quella sera che in quella camera ci sarebbe tornata davvero molto presto.
Mike scese lentamente le scale corrugando la fronte e sentendo il suo cuore ancora scosso da quel brivido, da quella sensazione di calore irrazionale ed immotivata, la stessa che aveva percepito pochi secondi prima di uscire dalla sua stanza, come fosse stato osservato da qualcosa di apparentemente invisibile nella sua camera deserta e semi illuminata.
"Ti senti bebe, tesoro?" domandò premurosa Karen vedendolo entrare pensieroso in cucina, la fronte corrucciata,
"Pare tu abbia appena visto un fantasma!"
"Bene, bene..." annuì incerto Mike, allungando automaticamente le braccia di fronte a sé e prendendo da quelle della madre la pila di indumenti puliti e stirati di fresco.
"Metti tutto nei cassetti prima di andare a dormire, ma prima finisci il tuo compito!"
"Sì mamma..."
"Buonanotte tesoro!"
"Buonanotte..."
Mike sospirò, risalendo lentamente le scale con la pila di vestiti in braccio e fermandosi ad ogni gradino un secondo a pensare, a calmare il suo respiro e a riflettere su quella lunga,infinita giornata.
Quella non era stata certo una domenica da ricordare.
Dopo il fallimento del suo piano alla centrale della polizia, aveva dovuto subire anche il cazziatone da parte del suo migliore amico, con Dustin a guardarlo di lato con sguardo comprensivo ma senza aggiungere una parola e Will a braccia incrociate ad osservarlo come fosse stato affetto da una malattia rara.
Mike era rimasto in silenzio, senza osare replicare, sguardo basso e pugni in tasca, sapendo che, in fondo, i suoi amici avevano come sempre ragione.
Come potevano capirlo se lui non parlava, se non spiegava, se non raccontava?
Ma in fondo l'avrebbero allora capito se avesse detto tutta la verità?
Mike non poteva dire dove era stato, i suoi amici gli sarebbero scoppiati a ridere in faccia, gli avrebbero detto che era pazzo, e forse pazzo Mike lo era davvero, ma di un paio di occhioni grandi e scuri, belli come due fiori.
Si trattenne un secondo sul pianerottolo del piano superiore, allungando lo sguardo verso la cameretta di Holly dove la sorellina già dormiva tranquilla con il suo respiro leggero e sorrise, allungando una mano e socchiudendo la porta perché i rumori della casa ancora sveglia non la disturbassero in quel suo riposo.
Non ricordava quasi più come era facile vivere alla sua età, quando si hanno 5 anni e il problema principale è quale cartone scegliere di guardare alla tv.
Da piccolo Mike non si era mai interrogato su quelle cose, quelle domande non avevano mai sfiorato la sua immaginazione, eppure, molti anni dopo, ora urlavano nella sua testa con la forza di chi non vuole lasciarsi coprire e mettere a tacere.
Perché continuava a pensare a quella ragazza?
Perché si sentiva così vuoto, euforico e triste allo stesso tempo se ripensava al loro ultimo incontro, così pieno di irrazionale speranza se immaginava che tra poche ore avrebbe forse potuto averla di nuovo accanto a sé?
"Sì, ci vediamo domani...sì, anche tu mi sei mancato..."
Mike girò il viso verso l'altra porta semiaperta sul corridoio, la cui luce dall'interno illuminava una striscia chiara e lunga sul pavimento di fronte a lui.
La voce appena sussurrata di Nancy appariva chiara nel silenzio delle stanze, il tono dolce, quasi melenso, tipico di quelle famose telefonate che Mike aveva imparato a conoscere e da cui tenersi alla larga.
"Sì, anche tu...tu di più"
Sì, non vi era dubbi: Mike già sapeva con chi sua sorella stava parlando.
"Buonanotte, ti amo...a domani"
In circostanze normali Mike avrebbe fatto una smorfia di disgusto a quelle parole, giudicate da lui e da Will così zuccherose e disgustose se pronunciate dai loro due fratelli da far rabbrividire il loro cuore da nerdini allergici al romanticismo; eppure, quella sera, Mike non fu colto da quel comune sentore di disgustoso, ma piuttosto da una più comune e semplice puntura di...gelosia?
Era mai possibile? Possibile che potesse diventare geloso improvvisamente di tutto quello zucchero, di tutto quel miele, mentre nella testa sentiva come un mantra il ritornello di quella canzone?
"Can anybody find me...
somebody to love?"
E quanto, quanto Mike avrebbe voluto avere qualcuno vicino da amare sul serio quella sera.
Ma non qualcuno qualsiasi ma...Qualcuno.
Scosse i ricci neri dagli occhi il piccolo Wheeler, lasciandosi cadere sul materasso sconsolato, dopo aver appoggiato la pila di vestiti sulla scrivania accanto a quel foglio scritto per metà il cui titolo troneggiava nel centro a caratteri maiuscoli:
"La chimica nascosta dei fiori"
Sì, aveva scelto quell'argomento per la sua ricerca.
Lo aveva scelto pensando a lei.
Poteva immaginare il suo viso stupito, sperava colpito ed ammirato il giorno successivo, seduti vicini a quel primo banco dove Mike sperava si ricordasse di avergli permesso di poter stare.
Chissà, magari gli avrebbe sorriso: Mike avrebbe fatto qualsiasi cosa per rivedere quel suo bel sorriso.
"Mike, mi ricevi? Mike! Ci sei?"
Allungò il braccio il ricciolino lungo il materasso, afferrando il supercomm dorato e sollevando l'antenna, sentendo la voce del suo migliore amico ora pulita e cristallina come un tempo squillare dall'altra parte della linea:
"Will ti ricevo, forte e chiaro! Il segnale è perfetto!"
"Molto bene! Era un check up di prova: con Lucas e Dustin è anche perfetto e tutte le linee ora sono libere dalle interferenze. Tutto merito di Dustin: cavolo, ci sa fare davvero con queste cose!"
"Il campus di quest'estate gli è servito a qualcosa almeno!" abbozzò un sorriso Mike con tono triste, tirando tra le dita un ricciolo fin sopra il suo occhio con aria pensierosa.
Will sospiró dall'altra parte della linea: certo non poteva vederlo in quel momento, ai due capi opposti della città, ma certo il tono del suo migliore amico era invero da solo già più che eloquente:
"Mike...che succede?"
"Che succede?! Niente Will, non succede niente..." rispose in automatico Mike alzandosi dal letto ed iniziando a camminare inquieto lungo il pavimento della sua camera.
"Gli amici non mentono, Mike! Guarda che lo sento!" ribattè l'amico dagli occhi verdi dall'altra parte della linea:
"Sei stato nei tuoi pensieri tutto il giorno, e non credo c'entri solo la discussione con Lucas...amico, dimmi: che c'è che non va?"
"Niente, davvero, non ho niente..." sbuffò Mike passando una mano sugli occhi, mentre nella sua mente una vocina martellante avrebbe già potuto urlare il centro preciso di tutti i suoi pensieri:
"El, El, El, El, El!!!"
Come poteva dire cosa non andava se non se lo sapeva spiegare neppure lui?
"Niente di importante..."
Quella non sarebbe valsa come una bugia...non era vero?
"Se lo dici tu.." rispose insoddisfatto l'amico dall'altra parte della linea,
"...ma ricorda che per qualsiasi cosa io ci sono, Mike! Keep your self alive!"
Mike sorrise a quelle parole, a quel chiaro riferimento ad una delle loro canzoni, una delle loro preferite di quella band che aveva riempito le loro discussioni in quest'ultima settimana.
Aveva ragione Will, non doveva abbattersi, doveva tenersi sù, doveva reagire, doveva....
Mike improvvisamente spalancó gli occhi, colto da una improvvisa, assolutamente geniale intuizione: ma certo, ma che idea stupenda!
Come aveva fatto a non pensarci prima?
Era geniale, assolutamente geniale!
Quello sì che l'avrebbe di certo fatta sorridere!
"Cazzo Will, sei grande!"
"Ehm...sì, lo so Mike, grazie ma..." sentì il tono confuso del suo migliore amico abbozzare dopo un secondo di silenzio,
"...ma che ho detto?"
"Non importa, non importa Will, ti spiego tutto dopo..." scosse la testa Mike con un sorriso grande come il mondo sulle labbra, come quello di chi ha appena trovato un'idea, un'intuizione pulce di una nuova speranza:
"Solo...ti serve ancora una mano con la trasmissione, amico?"
📼🌼
Cosa avrà in mente il nostro nerdino innamorato? Qualcuno vuole provare ad indovinare?🙊
Spero che un giorno ripenseremo a questo capitolo come "l'inizio di tutto"💫
Ari
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