7."El, short for..."
📼🌼
La campanella suonò insistentemente, riempiendo l'aria tutt'intorno con il suo squillo acuto, ridestando alla realtà i corridoi ancora deserti, i giardini e campi da gioco al di là del cortile, l'aula mensa così magicamente ancora silenziosa, le aule di lezione gremite di studenti, attenti e concentrati o distratti e mezzi addormentati, improvvisamente risvegliati alla vita a quel rumore secco e familiare, drizzando orecchie impigrite ma ora finalmente concentrate, capaci di cogliere in quel suono solo un'informazione, la più importante: l'inizio dell'atteso intervallo.
"Finalmente...!" sospirò come un cuor solo la classe di letteratura al primo piano della Hawkins High.
"Nooo!" avrebbe voluto esclamare invece una figura minuta dai ricci biondi sciolti sulle nude spalle e occhioni grandi e spalancati al primo banco.
Proprio in quel punto?
Proprio sul più bello?
Proprio ora che Emma stava per rivolgersi a Churcill dandogli la sua risposta definitiva, rivelandogli che invero ricambiava il suo amore ma non avrebbe mai potuto tradire la sua fidata amica Jane Fairfax?
"Continueremo la lettura di Jane Austin la prossima settimana, ragazzi! Rileggete i capitoli fino a questo punto nel weekend: ne parleremo lunedì prima di ricominciare!" concluse il professor Lewis chiudendo il libro tra le sue mani, seguendo con lo sguardo i primi alunni impazienti che, ordinate alla belle e meglio i libri nello zaino, già si affrettavano a grandi passi attraverso i banchi in direzione della porta per non perdersi nemmeno un secondo di quel tempo di svago tanto atteso e finalmente conquistato.
"Non dimenticate la relazione di metà semestre! Dovrete fare uno scritto, con a seguire un'esposizione orale: non dimenticate, gran parte del vostro voto finale di questa prima parte dell'anno dipenderà da questo compito e...non importa, ve lo ripeto lunedì..." la piccola Hopper vide quell'uomo sospirare, passando una mano tra i capelli brizzolati con aria sconsolata, mentre il brusio di voci non più disposte all'ascolto si impadroniva dell'aula, sovrastando quella del professore senza permettergli di terminare la frase.
Eleven sorrise in silenzio, scuotendo la testa e decidendo a sua volta di chiudere il libro ancora aperto sul suo banco, quel libro dalla carta un po' ingiallita ma ancora il profumo buono delle pagine stampate, quel libro prestatele da Joyce per la lettura del primo romanzo di letteratura inglese di quel semestre: "Emma" di Jane Austin.
"Ti piacerà un sacco, tesoro! Emma ti farà sognare!" aveva esclamato un'entusiasta mamma Byers dall'altra parte della linea una sera, facendo sorridere la ragazzina appoggiata al muro alle sue spalle con la cornetta del telefono di casa Hopper in una mano e nell'altra quel nuovo romanzo consegnatele dal capo, stretto tra le sue dita come il più prezioso dei tesori.
Hopper aveva insistito per non disturbare ulteriormente la loro grande amica:
"Posso comprartene uno nuovo, kiddo! Non è il caso che tu lo chieda a lei!"
Ma Eleven aveva insistito: sapeva che la dolce Joyce le avrebbe detto di sì, e per lei quel semplice gesto era invero più che importante.
Poter studiare il suo primo romanzo del corso di letteratura sullo stesso libro sul quale si erano posati gli occhi innamorati della donna che le aveva un anno prima insegnato a leggere, consegnandole in mano le chiavi di quel mondo fantastico, era per la piccola qualcosa di unico, irripetibile, un desiderio così puro ed innocente che lo sceriffo di Hawkins non aveva potuto fare altro che sorridere, accettando infine di accontentarla.
E ora, quel libro un po' antico in un'edizione dalla copertina rigida, ora giaceva sul suo banco immobile ed in attesa, ammirato e rimirato da quel fiorellino come il più prezioso dei doni e dei tesori.
"Grazie Joyce, davvero..."
"Di niente, tesoro! Sarà come se tornassi a lezione anche io con te...grazie a te!"
Eleven si era imposta di non leggere tutto d'un fiato quel tomo di 800 pagine la prima notte, avendo già meditato di primo acchito di accendere una torcia sotto le coperte di nascosto dal suo papà, dopo aver visto spegnersi le luci della sua camera in fondo al corridoio.
No, non voleva che quella magia si risolvesse in una sola notte, voleva dare il tempo alla sua fantasia di volare, immedesimarsi in personaggi sconosciuti, esplorare posti mai visitati, di sognare.
Ma l'unico lato negativo di quella scelta era che ora la piccola doveva attendere un fine settimana, un intero fine settimana per scoprire come l'eroina del suo racconto avrebbe deciso di agire, tradendo l'amica da sempre innamorata di quello stesso affascinante uomo o rimanendole fedele e rifiutando la proposta di quel nobile galante e misterioso la cui offerta di matrimonio rappresentava prestigio e ricchezza.
La piccola Hopper si guardò intorno, persa nei suoi pensieri, seguendo con gli occhi le schiene dei suoi compagni già in piedi intorno a lei, con gli zaini pieni di libri sulle spalle e i volti sorridenti, alcuni scherzosi, altri più assonnati, altri già a discutere di quali uscite e gite organizzare per quei due giorni di svago finalmente alle porte.
Sospirò, pensierosa, abbassando infine lo sguardo e tornando con gli occhi al suo libro, la cui copertina nera spiccava violenta contro il bianco di quel banco in prima fila: era davvero lei l'unica alla quale sapere come continuava quella storia pareva questione di vita o di morte in quel momento?
"Passo a prenderti più tardi?"
"Sì, alle 8 all'incrocio da Terry!"
"Metterai la stessa gonna di sabato scorso?"
"Ne dubito se non voglio che mia madre di rinchiuda in casa fino alla consegna del diploma..."
La ragazzina strinse le labbra, così come il libro tra le braccia sul petto, allungando l'orecchio e tentando inutilmente di decifrare le parole delle chiacchiere che riempivano ormai l'aria intorno nell'aula sempre più vuota.
Il weekend era alle porte, la prima settimana di scuola era definitivamente finita, mancavano solo gli ultimi forzi e le neomatricole della Hawkins High avrebbero finalmente riconquistato per appena due giorni la cara e dimenticata libertà.
Se questo si declinava per la piccola Hopper in due splendide mattine da spendere al sole, seguite da due pomeriggi reclusa come tutti gli altri giorni nelle solite quattro mura di tortura, certo Eleven non avrebbe potuto dire lo stesso dei suoi compagni di corso.
"C'è il compleanno di Susy! Te n'eri dimenticata?"
"Ho visto quel paio di scarpe finalmente in offerta al mall! Mi accompagni vero?"
"I miei genitori sono via questo weekend...pigiama party ed Atari 24/24h?"
La ragazzina sospirò, non dandosi per vinta e continuando a guardarsi intorno: se c'era una cosa che aveva compreso appieno in quella prima settimana di scuola era che il mondo fuori dalla sua casetta in mezzo al bosco era davvero un posto sorprendente e pieno di mille altri individui della più diversa categoria.
La piccola Hopper l'aveva imparato a sue spese. Dopo aver passato intervalli a guardarsi intorno, tentando di interpretare discorsi su quale era il giusto tono di smalto da indossare, il videogioco "più figo del momento" tra Zelda e Out Run, alla ricerca di quelle "passioni in comune" di cui il suo papà aveva parlato come base per costruire un'amicizia, Eleven aveva messo in pratica in quelle giornate tutte uguali l'unica lezione imparata in quella prima settimana di scuola che sapeva non avrebbe mai avuto bisogno di imparare sui libri: essere paziente.
"Non c'è fretta, ogni cosa ha il suo tempo!" le aveva sorriso Hopper per rassicurarla: farsi degli amici non era la missione impossibile che lei credeva non sarebbe mai riuscita a superare, non doveva stare più di tanto a pensarci.
Sarebbe arrivato il suo momento, la sua occasione di conoscere qualcuno di davvero affine a lei, magari appassionato come lei alla natura e ai libri, magari qualcuno di gentile e frequentate i suoi stessi corsi...
"Hai sentito che lezione? Cavolo non posso crederci che il professore abbia scelto proprio questo libro per questo semestre!"
Le orecchie della piccola improvvisamente si drizzarono, come messe sull'attenti da una scarica elettrica e una botta di adrenalina, la stessa che in un secondo fece vibrare più forte quel suo piccolo cuore sotto la stoffa leggera del suo leggero a quadretti: due ragazze in fondo all'aula, due ragazze che come lei non erano corse immediatamente in corridoio al suono della campanella, due ragazze che avevano ritirato tutti i libri con calma nello zaino come lei e che ora ancora discutevano ancora tra di loro di quel romanzo, di quella storia che alla piccola Eleven faceva battere così forte il cuore.
Si stupì la ragazzina, voltandosi in direzione di quelle due ragazze le quali, raccolti gli zaini da terra, si apprestavano a uscire dall'aula, passando proprio accanto a lei, accanto al suo banco vuoto in prima fila.
Sorrise Eleven, sentendo nel petto un improvviso calore, stringendo più forte tra le braccia il suo amato libro e aprendo la bocca per replicare: sì, era quello il suo momento, finalmente dopo giorni di solitudine trovava un piccolo gancio per un appiglio.
Sì, poteva dirlo a quelle due ragazze appassionate di quel romanzo come lei, poteva dire loro il suo parere:
"Sì, è un romanzo incredibile! Ma avete visto che colpo di scena? Certo non avrei mai immaginato che Jane fosse capace di una cosa del genere, ma cosa sceglierá secondo voi Emma?"
"...già che palle, porca puttana" sentì una delle due sussurrare, alzando gli occhi al cielo, passandole accanto quasi sfiorando con lo zaino la sua spalla e non degnandola nemmeno di uno sguardo.
Il sorriso si spense dalle labbra rosse della piccola Hopper, come una miccia che si esaurisce in un soffio di vento, lasciando tutto al buio e al freddo in un secondo, e non avrebbe saputo dire se era stato per quel gesto o per quelle parole, così strane e in parte non comprese ma che di sicuro non stavano manifestando da parte di quelle due amiche il suo stesso medesimo entusiasmo:
"..."che palle"?"
"Già, non capisco perché si ostinino a farci leggere questa roba! Cazzo, come si aspettano di vederci attenti in classe se continuano a romperci i coglioni con questi classici pieni di muffa?"
La ragazzina rimase interdetta, seguendole con lo sguardo immobile accanto al suo banco ancora per un secondo: avrebbe voluto replicare, avrebbe voluto dare voce ai suoi pensieri attraverso quelle labbra rimaste semiaperte, avrebbe voluto davvero dire la sua, difendere quel romanzo che a lei tanto stava appassionando, ma sentì in un istante, come una doccia fredda, che sarebbe stato, in fondo, davvero tutto inutile.
"No, io la penso come te: una noia mortale..." sentì una delle due concludere, scuotendo la testa ed allontanandosi a grandi passi, uscendo infine da quell'aula e lasciando la ragazzina immobile ed incredula, con la bocca ancora aperta e quel bel libro stretto tra le sue braccia.
No...decisamente no, non era stato quello il momento da lei tanto atteso e non ancora arrivato per fare amicizia.
Le veniva quasi da mettersi ad urlare, da lanciare per aria quel libro e quelle sedie intorno a lei, tanto era l'ansia e la delusione accumulata in quella prima settimana di scuola di cui quell'ultimo episodio non rappresentava niente più che la ciliegina su una grande torta.
Eleven aveva capito di amare la scuola, amava le lezioni che frequentava, tutti i corsi ai quali aveva deciso di iscriversi con l'aiuto di Hopper e che seguiva senza perdersi una parola con occhi appassionati.
Aveva imparato così tante cose in una sola settimana che sentiva che il suo piccolo cuore sarebbe potuto esplodere di gioia, ma sicuramente sì, un aspetto di quella nuova vita non aveva potuto che lasciarla parecchio delusa, un singolo neo nero in grado però di macchiare un'intera parete bianca: i suoi compagni di scuola.
Sospirò profondamente la ragazzina, lasciando che i ricci morbidi le sfiorassero le spalle lasciate nude dal suo vestito estivo: possibile che in una scuola così grande e sempre così affollata non trovasse invero nessuno, davvero nessuno di simile a lei con il quale trascorrere almeno un intervallo?
"Credi che sia possibile, voglio dire...credi davvero che non finiremmo nei guai?"
Un'ultima voce alle sue spalle la ridestò alla realtà un'altra volta, ridestando la sua attenzione in un ultimo disperato tentativo, seguendo le mattonelle al suo piedi verso quella voce e ritrovando all'ultimo banco, ancora impegnati in quelle chiacchiere fitte fitte, un gruppetto di 3 ragazzi dai jeans blu scuri attillati e t-shirt bianche sotto delle giacche di pelle nera buttate sulle spalle.
In un secondo, la piccola ebbe un improvviso deja vu, ritornando con la mente in un'altra aula, al termine di un'altra lezione sempre tra i medesimi banchi, rivedendo di fronte a sé un paio di occhi grandi e gentili, uniti ad una mano tesa stretta alla sua:
"Ciao, io sono Mike...Mike Wheeler!"
"Mike!" spalancò gli occhi Eleven, restando immobile per un secondo di fronte al suo banco in prima fila e con il libro ancora stretto tra le mani.
Come aveva potuto dimenticarsi?
Come aveva potuto scordarsi dell'unico ragazzo che a lei si era presentato in quella settimana?
La piccola Hopper l'aveva cercato nell'intervallo, il giorno dopo quel primo loro più convenzionale incontro, allungando lo sguardo per scorgere la sua chioma di ricci neri lungo il corridoio o in sala mensa, ma non scorgendolo mai da nessuna parte in mezzo alla folla di studenti della Hawkins High.
Dopo il terzo tentativo di ricerca non andato a buon fine, aveva deciso infine di desistere, di non stare più a pensarci, di non perdere altro tempo in quell'inutile ed improduttiva caccia al tesoro.
Quel ragazzo non sarebbe stato di sicuro l'unica opzione di amicizia che quell'immensa scuola scuola le avrebbe offerto da lì alla fine dell'anno, giusto?
Giusto.
Ma quella mattina, suonata la campanella dell'ultimo giorno di quella prima settimana di scuola, improvvisamente Eleven si sentì addosso una tristezza così profonda che per un attimo credette di non essersi mai sentita così sola al mondo.
"Voglio dire...sei sicuro sia una buona idea, Troy? Tuo fratello..."
"Mio fratello mi deve un favore e ci coprirà con i miei, non vi preoccupate ragazzi..." Eleven sentì uno dei tre replicare, annuendo con aria da padrone e un paio di occhiali da sole sulla testa a tirare indietro i capelli dagli occhi scuri.
"Vi dico che funzionerà, non dovete temere! C'è solo da attenersi al piano e sperare che quella stronza di Lucy e le sue amichette non aprano troppo quella fogna di bocca"
"Non credevo ti desse così fastidio averla intorno, amico!" sentì il terzo ragazzo esclamare ridendo forte e colpendo con un pugno sul braccio il ragazzo ancora seduto nel mezzo, la cui aria così convinta e decisa non riusciva a non mantenere attenta l'attenzione della piccola Eleven, dall'altra parte dell'aula ormai vuota.
In fondo perché...perché mai avrebbe dovuto essere una brutta idea?
Eleven si morse un labbro, senza smettere di osservarli curiosa da lontano: una delle prime cose che il suo papà le aveva insegnato per prepararla a quello a cui sarebbe andata incontro era che non bisognava giudicare un libro dalla copertina, non bisognava giudicare mai nessuno dalle apparenze senza prima averlo conosciuto davvero, non bisognava mai essere superficiali.
La piccola Hopper credeva di averlo capito, certo quello era un insegnamento più che giusto e più che mai importante per lei in quel momento, mentre davanti ai suoi occhi stava vedendo il suo ultimo tentativo di non passare da sola anche l'ultimo intervallo della settimana sul punto di passarle accanto, in direzione della porta d'uscita...
In fondo, che mai sarebbe potuto succedere di male?
Era forse peggio tornare a casa l'ennesima volta sconfitta, senza poter nemmeno dire di averci provato?
"Se non la sopporti così tanto perché non la lasci, Troy?" vide i ragazzi ridere divertiti, scuotendo la testa e alzandosi infine dalle sedie.
"Perché?" rise il ragazzo nel centro con un ghigno più che malizioso:
"Perché con quella fogna di bocca Lucy sa fare tante altre cose oltre che parlare, cose di gran lunga migliori, fidatevi di me..."
"...ciao!"
La ragazzina vide gli sguardi dei 3 amici voltarsi all'unisono in un secondo, e non ebbe il tempo di realizzare di averlo fatto davvero, di avere sul serio richiamato l'attenzione di quei 3 ragazzi che ora la osservavano stupiti ed interdetti che gli occhi puntati su di lei.
Deglutì, tentando di non iniziare a tremare e dandosi un contegno: sì, il dado era stato lanciato, non si tornava più indietro.
Sì, lo aveva fatto davvero.
"Wow..." sentì uno dei tre esclamare passando con gli occhi la sua intera figura in un secondo in un modo così intenso che per un secondo la piccola sentì mancarle il respiro:
"..carina!"
"Ciao" rispose attento il ragazzo nel mezzo, quello al quale i suoi amici si erano rivolti con tono così rispettoso chiamandolo Troy, con uno sguardo con il quale, la piccola ne era certa, nessun ragazzo l'aveva guardata mai in tutta la sua vita:
"Sei nuova?"
La piccola Hopper annuì, sentendosi immediatamente così in soggezione che avrebbe voluto sparire, lì ferma davanti al banco con il libro ancora stretto al petto e quel vestito improvvisamente troppo corto per lei, mentre gli occhi irriverenti di quei 3 ragazzi non smettevano di scorrere veloci sulla sua esile figura, sulle sue gambe lisce e lasciate scoperte da quella gonna che sentiva improvvisamente corta, decisamente troppo corta in quel momento.
"Come ti chiami, bambolina?"
..."Bambolina?"
La ragazzina non ricordava che nessuno l'avesse mai chiamata così: "piccola", "kiddo", "tesoro" erano i modi dolci nei quali Hopper e Joyce erano soliti chiamarla in tono amorevole e gentile, ma "bambolina" no, Eleven era sicura che nessuno l'avesse mai chiamata così.
Non era un nome così sgarbato, anzi era tutto sommato carino: forse davvero quel ragazzo era il classico libro da non dover giudicare dalla copertina?
Eleven aprì la bocca per replicare, sentendo il piccolo cuore battere più forte, non di coraggio ma di paura, le gambe bruciargli per l'intensità di quegli sguardi e la voglia di correre via il più lontano possibile.
Dire il suo nome era il primo passo per cominciare e la piccola inspiró profondamente per prendere coraggio, stendendo la mano di fronte a sé già pronta a porgerla a quel tizio.
In fondo si erano salutati e le aveva solo chiesto il suo nome!
Forse le cose non erano destinate ad andare così male in fondo...
"Io sono..."
"Troy!" sentì una voce esclamare al di là della porta aperta dell'aula, facendo voltare i tre amici e la piccolina all'unisono in quella direzione.
Eleven si sentì in cuore fare una capriola in una sensazione tutt'altro che piacevole, quando al di là di quella porta, piantata in mezzo nel corridoio, vide la stessa ragazza che il primo giorno aveva incontrato nell'atrio davanti alla bacheca degli orari, lì in mezzo alle altre due ragazze dall'aria sprezzante e strafottente con le solite gomme da masticare rosa tra i denti.
"Fantastico...decisamente fantastico..."
"Che cazzo state facendo, ragazzi?" sentì quella esclamare con occhi di fuoco, i pugni stretti puntati sui fianchi lasciati scoperti dai jeans a vita decisamente bassa.
"Arriviamo Lucy, non ti agitare!" rispose con un cenno della mano il ragazzo nel mezzo in direzione della ragazza in attesa nel corridoio, dopo aver rivolto alla piccola un ultimo sguardo così intenso che fece tremare il suo piccolo cuore innocente e colorare di rosso più vivo le sue gote.
"Non importa, avremo occasioni di presentarci come si deve, da soli..." lo sentì sussurrare al suo orecchio dopo essersi avvicinato ad un palmo del suo viso, mozzandole il respiro e innondando le sue narici di un forte odore di colonia.
"Una bambolina come te non dovrebbe starsene tutta sola in questo modo, sai? Il mondo è pieno di lupi cattivi, sai? Lupi cattivi come...come me"
Eleven lo sentì continuare con un soffio, così piano da essere appena percepibile ad un passo dal suo orecchio, facendole spalancare di più lo sguardo, bloccata come da una doccia gelata sul posto.
Non riusciva a muoversi, non riusciva a respirare, sentiva solo il cuore batterle forte, anzi martellarle fino a scoppiare nel petto, mentre lì paralizzata in piedi di fronte a quei tizi sentiva il banco accanto a sé già tremare leggermente scosso dalla sua mente bloccata dallo sgomento.
"Trattieniti, Eleven...trattieniti"
"Ma non ti preoccupare, bambolina, oggi è il tuo giorno fortunato..." lo sentì ancora sussurrare, facendosi più vicino e sfiorando con le labbra i ricci dietro il suo orecchio, facendole percepire un brivido lungo ed intenso lungo la spina dorsale.
"Trattieniti, Eleven.. i poteri no, non qui! Non puoi!"
"...oggi non ti mordo, non ancora" concluse Troy con un ultimo soffio, allontanandosi infine da lei con aria maliziosa ed un sorriso irriverente, facendola finalmente tornare a respirare, dopo secondi di interminabile apnea.
La piccola Hopper era certa di essere diventata rossa almeno quanto i quadretti del suo vestito in quell'aula ormai deserta, e quando sentì il banco di fronte a sé finalmente smettere di tremare e i tre amici lanciarle un ultimo sguardo intenso da mandarle in fiamme la pelle, credette che mai in vita sua avesse tirato un più lungo e sincero sospiro di sollievo.
"A presto, bambolina"
I tre amici fecero finalmente un passo indietro, volgendosi verso la porta in direzione di quelle tre amiche in attesa a braccia incrociate nel corridoio, ed Eleven li seguì con lo sguardo, riprendendo fiato e cercando di regolarizzare almeno in parte il ritmo impazzito di quel suo povero cuore, vedendo gli occhi azzurri della ragazza nel mezzo fissarla con un odio ed un disprezzo che mai aveva creduto di meritare: che cosa aveva fatto lei in fondo di male?
Lei in fondo aveva solo tentato di fare amicizia!
"Chi è quella?" sentì la ragazza di nome Lucy chiedere a quel ragazzo nel mezzo appena lo ebbe avuto più vicino, facendo scoppiare di fronte al suo viso una grossa bolla di gomma da masticare rosa e lasciando che la mano di quel tizio corresse indisturbata sulla sua vita nuda lasciata scoperta da un top decisamente troppo, troppo corto.
"Nessuno, assolutamente nessuno" vide Troy sorridere con aria indifferente, tirandola di più a sé con aria da padrone,
"Andiamo"
La piccola rimase ad osservarli allontanarsi lungo il corridoio ancora un secondo, vedendoli sparire inghiottiti dalla folla di studenti nel rumore caotico dell'intervallo, e si concedette ancora un momento per riprendere fiato immobile senza osare muovere un passo, ripetendosi che quella non era stata decisamente, totalmente una buona idea.
Tanto valeva passare tutti gli intervalli da sola piuttosto che in compagnia di quei tre tizi i cui sguardi ancora sentiva bruciarle addosso riempiendole la schiena di brividi.
"No Eleven no: decisamente alcuni libri restano decisamente così come appaiono dalla copertina"
Afferrò lo zaino bianco ai suoi piedi la ragazzina, portandolo sulle spalle e uscendo a grandi passi da quell'aula ormai svuotata, sentendo le guance bruciarle dalla rabbia e gli occhi più lucidi di lacrime di umiliazione.
"Che inizio davvero deludente, Eleven! Ma quanto mi dispiace...di questo passo resterai davvero da sola qui fino alla fine dell'anno...
Forse avevo ragione davvero io, non credi, mia cara? La fuori da lì non saresti durata più di 10 minuti: tu non sei fatta per il mondo, tu sei diversa, tu sei quella strana, tu non sei fatta per stare con le persone normali..."
"Esci dalla mia testa, papà..." scosse la testa la piccola, chiudendo gli occhi per un secondo lungo quel corridoio affollato, seguendo con lo sguardo basso ai suoi piedi le sue converse bianche spiccare sul pavimento dalle mattonelle rosse, in direzione delle porte a vetri, in direzione del cortile interno dell'istituto.
Aveva bisogno di aria, aveva bisogno di luce, aveva bisogno di vedere il cielo.
"Tu non sai niente di me, non hai mai saputo niente di niente di me! Non sono più il tuo esperimento, non sono più solo il tuo numero!" scosse la testa stringendo i denti e aprendo con un colpo secco le maniglie orizzontali delle porte d'uscita verso il cortile, sentendosi immediatamente scaldare la pelle dal sole settembrino che ancora brillava nel cielo azzurro in quei ultimi giorni di fine estate, sentendo il suo cuore ancora tremante e il fiato corto a quei mesti e orribili pensieri.
"Io ce la sto facendo, ce la sto facendo anche senza di te! Ti sbagli, ti sbagli di grosso! Io non ho bisogno di te, non ho mai avuto bisogno di te...."
"Ma davvero? Ma non farmi ridere, Eleven, sappiamo entrambi qual è la verità..." sentì ribattere con tono divertito quella glaciale voce nella sua testa, facendola tremare di paura anche in quel momento, lontana dai suoi occhi azzurri freddi come la morte e capaci di bloccarle il respiro anche solo con il ricordo,
"Ma guardati, non lo vedi? Sei così debole da non riuscire ad ammetterlo? Sei sola, Eleven, sola...sola perché sei diversa, non sei fatta per queste persone. Il tuo posto dovrebbe essere qui, con me...solo qui ti sei sentita pienamente te stessa, solo qui potresti realizzare davvero tutto il tuo infinito ed immenso potenziale...qui, qui con noi, qui con me..."
"Esci dalla mia testa!!" la ragazzina si bloccò urlando in mezzo al cortile, i pugni stretti alle sue tempie e lacrime calde schizzate impazzite dalle sue palpebre chiuse.
Non le importava se ci fossero altri ragazzi intorno, non le importava di essere presa ancora più per pazza, mentre tutto quello che avrebbe desiderato in quel momento sarebbe stato di mettere a tacere quell'odiosa e familiare voce nella sua testa.
"Lasciami stare, lasciami stare ti prego, papà!" ripeté nella mente la piccola portando le mani alla bocca e singhiozzando forte.
Non avrebbe mai potuto ammetterlo ma nel suo cuore regnava in quel momento soltanto la paura, la più profonda e viscerale forma di paura.
E se fosse invece tutto vero?
Se quell'uomo avesse da sempre avuto ragione su di lei?
Se fosse stato lui invero l'unico a dirle da sempre solo la verità?
"Non sei per questo mondo, non sei normale, non sei..."
La piccola non riusciva a pensare ad altro: era stata solo un sciocca ad averci creduto, un'illusa ad averci sperato, lei così come tutte le persone che avevano creduto in lei e che stava deludendo in quel momento per l'ennesima volta, senza poterci fare nulla.
Camminò lentamente fino al fondo del cortile, con la testa bassa e l'umore nero, ritrovandosi infine di fronte ai gradoni degli spalti deserti davanti al campo di atletica, lasciando cadere a terra lo zaino neanche lontanamente pesante quando i suoi pensieri che la stavano schiacciando fino a terra.
Eleven non si era mai sentita così profondamente piccola e sola.
*
"AIDS, non c'è cura"
Le televisioni e le emittenti radiofoniche del paese non trasmettevano altro quella sera, rimbalzando di testata in testata quelle poche semplici parole, riportate a caratteri cubitali dai titoli in rilievo di tutti i canali, ripetute dagli annunciatori in tono grave e solenne o direttamente pronunciate da lui, dalle sue labbra, da quella viva voce vibrante che aveva infiammato i paesi e riempito gli stadi, da quella voce fiera che aveva emozionato generazioni, fatto saltare e battere le mani davanti agli stessi palchi ma in parti diverse parti del mondo, da quella voce che mai, mai nessuno avrebbe potuto immaginare sentire ora tremare, non di emozione, non di commozione quella volta, ma di sincera e vera paura.
"È inutile girarci intorno ed addolcire la pillola, sono stanco di mentire ed è ora di dire le cose come stanno, una volta per tutta: è vero, non posso più nasconderlo...sto per morire"
I cuori di milioni di fan in diretta satellitare in giro per tutto il globo in quel preciso istante smisero di battere, tutti, all'unisono, in un unico, profondo e accalorato grido di sgomento e disperazione.
"No, non può essere..."
Come un fulmine inaspettato che squarcia in un istante l'azzurro del cielo.
"No, non è vero, non può essere vero..."
Come una verità nascosta che finalmente svelata ha la capacità di schiacciare a terra lasciandoti impotente.
"Oh mio dio..." tremò il piccolo cuore da rock star del minore di casa Wheeler, davanti alla tv accesa del salotto sintonizzata su quel notiziario dove le immagini ritraevano l'idolo di sempre, quello suo e del suo migliore amico, il primo ed il più grande, con due occhiaie nere sotto i consueti RayBan dalla montatura argentata e sottile, più nere e profonde che mai.
Per poco non fece cadere a terra la pila di piatti che aveva in mano il piccolo Mike quella sera, scuotendo la testa incredulo e precipitandosi verso quella televisione, afferrando il telecomando tra i cuscini ed alzando il volume al massimo, non badando minimamente alle proteste di suo padre dalla cucina o di Nancy già sui libri dal piano superiore.
"Sono malato, da tempo ormai, ed è giunto il momento di uscire allo scoperto, di rendere la notizia pubblica, nel rispetto di tutti quei fans che in questi anni non ci hanno fatto mai mancare il loro calore ed il loro supporto.."
Tutti gli elementi di quella band che aveva rubato il suo cuore da ragazzino molti molti anni prima ora erano tutti lì, seri e concentrati, non più sorridenti, non più con le braccia al cielo come a ringraziare il pubblico dopo l'ennesimo concerto marchiato "Sold Out", né con abiti eccentrici e sgargianti come nelle ultime interviste televisive, registrare ogni volta scrupolosamente da lui e da Will per poterle vedere e rivedere su vhs fino ad impararle a memoria.
La solita sigaretta non brillava tra le labbra di Roger quella sera mentre, seduto in mezzo ad un Brian per una volta seduto composto e a John che aveva perso per una sera il suo solito sorriso, Freddie continuava a leggere commosso quel discorso preparato, scritto su fogli bianchi che ora stringeva tra le sue mani tremanti di fronte alle telecamere dagli studi della BBC.
"In diretta da Londra, il leader dei Queen ai nostri microfoni in esclusiva" recitava la scritta in sovraimpressione, e per un attimo Mike si sentì davvero piccolo come non mai di fronte a quella leggenda, di fronte all'eroe dei suoi sogni di bambino, paragonabile solo a Obi One Kenobi o a Gandalf il Grigio, l'idolo che ora con le i soliti baffetti neri tremanti di emozione annunciava quella sera a tutto il mondo la verità che nessun ragazzino mai vorrebbe essere costretto ad accettare: anche gli eroi possono morire.
"Grazie ragazzi, grazie da tutti noi di cuore, non avremmo mai parole sufficienti per esprimervi tutta la nostra gratitudine. I medici non mi hanno guarito, ma il vostro calore mi ha salvato ogni giorno, per anni.
Grazie ragazzi, grazie a tutti di cuore"
"Puoi abbassare quella tv, ragazz..."
"Non ora, papà!"
"Michael! Non rivolgerti a tuo padre in quel mod...!"
"Silenzio! Per favore!" esclamò esasperato Mike con le lacrime agli occhi, portando le mani giunte sulle labbra con voce rotta almeno quanto la sua, voltandosi alle sue spalle verso i suoi genitori per un secondo, solo per un secondo, ma sufficiente per incontrare gli occhi improvvisamente comprensivi di sua madre di fronte alla tv.
"Abbassa quando finisce il servizio, Mike...Holly già sta dormendo..."
"Sì, scusate..." sussurrò Mike passando velocemente il palmo di una mano sugli occhi stroppicciandoli appena, non sottraendosi per una volta ad un bacio rubato da Karen Wheeler tra i suoi capelli ricci:
"Mi dispiace, tesoro..."
"Sappiamo che la notizia vi sconvolge e ci dispiace doverlo dire ora così, ma dopo il Live Aid di quest'estate la situazione è diventata chiara agli occhi di tutti, agli occhi di tutti noi e anche ai vostri: non so per quanto tempo la mia voce reggerà ancora, perciò è giunto il momento di prendere una decisione.
Questo è un momento difficile, immensamente difficile per tutti noi e sì, siamo certi anche per voi, ma questa, ragazzi, non è la fine: questa non è ancora la fine dei Queen"
In quel preciso istante, i telefoni di casa Wheeler trillarono contemporaneamente, riempiendo la casa di un suono martellante ed acuto:
"È per me!" urlò Mike senza fermarsi un secondo a pensarci di più, allungandosi con un balzo sulla cornetta sul tavolino accanto al divano, senza alcun minimo dubbio su quale voce avrebbe trovato dall'altra parte della linea.
In quel momento non avrebbe potuto essere altra se non la sua.
"Will! Will mi senti?"
"Mike...porca puttana"
Mike sospirò, scuotendo la testa alla voce del suo migliore amico, rotta ed sconvolta almeno quanto la sua, mentre sullo schermo ora comparivano in rilievo date e luoghi del nuovo ultimo tour mondiale annunciato dalla band prima dell'addio definitivo dal grande pubblico.
"Io non..."
"Lo so amico, lo so..." sentì Will sussurrare mentre le note di "Who want to live forever?" risuonavano debolmente dalla tv appartenente lontana, come se il tempo si fosse lì congelato, bloccato, sospeso.
E i due migliori amici si erano lasciati ritrasportare insieme dai ricordi e da quella nostalgia indietro nel tempo fino a lì, lì in quella camera da letto della piccola casa Byers in un pomeriggio di inizio estate, il pomeriggio dove Jonathan con occhio fiero e spirito emozionato aveva infilato le grandi cuffie sulle orecchie del fratellino di 8 anni e del suo migliori amico, premendo "play" su suo walkman dove la cassetta registrata non mai avrebbe potuto rendere giustizia della sua voce graffiata ed acuta di quel cantante che stava facendo in quei mesi ballare le radio di tutto il mondo per la prima volta sulle note di "Keep yourself alive".
Per Will e Mike non era mai stato più facile capirsi, parlarsi, comunicare le loro emozioni se non attraverso la musica, attraverso quei bassi sparati dritti in pancia, quelle parole che potevano caricare quei due cuori sognatori come due piccole molle, come le voci di quei cantanti rock che da sempre facevano spalancare all'unisono gli occhi di quei due ragazzini che avevano reso la musica colonna portante della loro adolescenza, della loro crescita, della loro intera vita.
Bowie, Led Zeppelin, Gun 'n Roses, Daire Straits, The Who, non c'era album che i due amici non avessero ascoltato e riascoltato fino a consumare quei nastri registrati dai cd originali di Jonathan, gelosamente conservati nel mobiletto della sua camera accanto al letto.
E tra tutti quei nomi, quelle voci e quelle note, una band aveva sempre avuto la meglio, superando ogni altra e facendoli emozionare da sempre come nessun'altra mai.
La chitarra di Brian, la batteria di Roger, il basso di John e poi una voce, la sua, quella di Freddie: i Queen.
"È una tragedia..." sospirò Will per l'ennesima volta quel venerdì mattina, lasciando cadere lo zaino ai suoi piedi e sedendosi sconsolato sui gradoni del cortile della Hawkins High, seguito a ruota dagli amici intenti a godersi gli ultimi raggi di sole estivo in quel breve tempo dell'intervallo.
Mike annuì, appoggiando i gomiti alle ginocchia piegate di fronte a sé e passando le dita tra i ricci con aria sconsolata, indosso la stessa tshirt da 3 giorni a quella parte, la stessa identica stampa, ma di colori diversi, raffigurante due leoni rampanti e un'aquila in volo nel mezzo, la stessa del suo migliore amico del resto, con una sola scritta troneggiante sul petto a caratteri dorati: Queen.
"...una tragedia vera!"
"Vi prego, vi supplico...ora basta!" esclamò esasperato Lucas a quelle parole, alzandosi di scatto dalle gambe di Max usate come appoggio alle sue spalle e volgendo gli occhi al cielo,
"Non vi sento parlare d'altro da 3 giorni! Posso capire tutto ma adesso basta! Dustin! Digli anche tu qualcosa, ti prego!"
"Effettivamente..." iniziò cauto l'amico dagli occhi azzurri, grattandosi i ricci biondi e fitti sotto il suo solito berretto a visiera larga sulla testa,
"...effettivamente ragazzi, mi dispiace davvero molto ma..."
"...ma tanto non ha senso continuare a parlarne!" concluse Lucas riprendendo la parola e voltandosi verso Mike con capo chino ai suoi piedi, i ricci neri ed incasinati a coprirgli gli occhi e Will seduto accanto a lui, le braccia stese alle sue spalle come appoggio.
Mike scosse la testa, senza alzare lo sguardo dai suoi piedi: non si era aspettato che gli amici potessero capire il loro sgomento, era del tutto illogico e privo di alcun minimo senso per loro.
Come potevano capire i suoi amici quel senso di smarrimento, quasi di abbandono ed impotenza alla notizia che uno dei suoi modelli, uno dei suoi idoli più amati ed ammirati era destinato a sparire dalle scene di lì a pochi mesi infrangendo per sempre il sogno suo e del suo migliore amico?
"Voglio dire: continuare a parlarne aiuterà a mantenerlo in vita?!"
"Sei proprio uno stronzo, Sinclair..."
"Sto dicendo solo la verità, Byers! Voglio dire, ma guardatevi!" ribattè secco Lucas voltandosi indietro verso di loro ed indicando i due amici con indosso la stessa tshirt con identica stampa su sfondo nero.
Mike alzò incuriosito la testa.
"Indossate la stessa t-shirt da 3 giorni, manco faceste parte di una setta!"
"È la stessa stampa ma su colori diversi..." mormorò di tutta risposta Mike facendo ricadere pigramente la testa verso il basso e cogliendo uno sbuffo esasperato dell'amico a sé di fronte,
"...e non ti agitare Lucas, dovrò aspettare la lavatrice del lunedì per ricominciare il giro"
"Okay, ora state iniziando a diventare ridicoli!" si aggiunse alla conversazione Max ridendo nella loro direzione con la chioma rossa scossa dal vento leggero.
"Ridicoli? Ridicoli??" ribattè Will alzando gli occhi al cielo e congiungendo le mani al petto come a chiedere perdono al cielo.
"Ma vi rendete conto che morirò senza averli sentiti suonare nemmeno una volta dal vivo?!"
"Tecnicamente non sarai tu a morire ma lui..." sussurró Lucas fulminato in un secondo dal suo migliore amico.
"...non è come sentirli registrati in cd?" azzardò Dustin con un sorriso e ritrovando due sguardi truci in un secondo ad incenerirlo sul posto.
"Ti prego, fa che non l'abbia detto davvero..."
"Non hanno annunciato nuove date per l'ultimo tour?"
"Ci vogliono minimo 16 anni per entrare ad un loro concerto..." mormorò Mike stringendo le labbra e battendo tra di loro le gambe lunghe e sottili per l'impazienza,
"...e non passerà molto tempo prima che sia tutto sold out"
"Jonathan non vi può accompagnare? Voglio dire...lui li ha già visti, no?" suggerì Max alzando le spalle, ma Will scosse la testa:
"Ci ho già provato, ma è stato inutile. Ha già speso un mucchio di soldi per assistere al Live Aid quest'estate a Philadelphia e "quest'anno niente concerti"!" disse Will imitando la voce del fratello ed alzando le braccia al cielo.
"Deve risparmiare per il viaggio di quest'estate post diploma con Nancy...per la miseria Mike, mannaggia a tua sorella!"
Mike annuì, passando una mano tra i capelli ed allontanandoli dagli occhi, alzando infine definitivamente lo sguardo dai suoi piedi e lasciando che l'azzurro del cielo e quella luce intensa lo accecassero riducendo le palpebre a due fessure.
Sì, lui e Will avevano sognato fin da quel pomeriggio di 8 anni prima di assistere ad un concerto dei loro idoli dal vivo: per un vero amante della musica i cd e nastri registrati non avrebbero mai avuto niente a che fare con l'adrenalina che scorreva libera quando ci si ritrovava sotto ad un palco.
Aveva tentato di chiedere a Nancy di accompagnarlo, ma era stato tanto che lei non gli fosse scoppiata a ridere in faccia: no, sua sorella ad un concerto rock era decisamente un binomio che non avrebbe mai visto realizzarsi nella sua intera vita.
"Ragazzi, non è la fine del mondo..." allargò le braccia Max scuotendo la testa,
"...è solo un cantante!"
"Vorrai dire IL cantante!" la corresse Will appoggiando i gomiti sullo scalino alle sue spalle e chiudendo gli occhi come ad assaporare quel nome:
"Freddie Mercury..." ripeté solenne come si fosse trattato di una formula magica in grado di evocarlo proprio lì davanti a loro su quel gradini,
"Solo la più grande leggenda della storia della musica, solo una mente geniale e una voce extra terrestre intrappolata in un umano...porca puttana sì! Avrei potuto perfino diventare gay anch'io per lui!"
"Io credo che ora voi due stiate decisamente esagerando..." alzò gli occhi al cielo e le sopracciglia sulla fronte la rossa, come a non poter credere a quello che aveva appena udito con le sue orecchie.
"Vi prego, parliamo d'altro..."
"Mike! Ma ci stai sentendo?" si sentì scuotere il piccolo Wheeler per un braccio, tornando con lo sguardo verso i suoi amici e ritrovando gli occhi di tutti puntati su di lui:
"...mmm?"
"Ma ci sei? Questa settimana sei stato più di là che di qua!" chiese Dustin alzando un sopracciglio vedendo l'amico ricciuto farsi più dritto, tentando di ritrovare la concertazione, ma era tutto inutile.
Avevano ragione i suoi amici, non poteva dar loro torto quella volta: quella settimana era stata strana per lui, caotica e ricca di emozioni come mai prima di allora: l'emozione del primo giorno di scuola, l'adrenalina di cominciare quella nuova avventura con i suoi amici...e poi quella notizia, quella triste notizia che nessuno avrebbe mai potuto comprendere appieno quanto era stata catastrofica per il suo cuore da quindicenne innamorato della musica.
Quella settimana era stato come se avesse camminato tutto il tempo ad un metro da terra, come su una nuvola incapace di ricadere al suolo, e non per la gioia o la felicità, ma semplicemente perché non si era sentito mai pienamente al suo posto in ogni situazione ed in ogni istante, come se il suo inconscio gli stesse suggerendo di aver dimenticato qualcosa di importante, un elemento fondamentale messo da parte che come un piccolo tarlo ora mordicchiava fastidiosamente i lati del suo cervello.
Cosa di importante aveva lasciato da parte il piccolo Mike in quelle caotiche giornate di pura follia?
"Negli ultimi tre giorni a piagnucolare sulla notizia del vostro cantante come due femminucce.." iniziò Lucas alzando le mani al cielo ed ignorando la smorfia di disapprovazione di Will e lo sguardo di Mike nuovamente perso di fronte a sé attraverso il cortile,
"...e i primi giorni di lezione appresso a quella ragazza, quella carina sì! Quella per la quale sei arrivato così presto alla lezione di chimica l'altra volta, quella a cui hai fatto cadere i libri il primo giorno davanti agli armadietti...Miseria, Mike: come hai detto che si chiamava...?"
"..El!!" esclamò Mike all'improvviso saltando in piedi con lo sguardo puntato di fronte a sé al di là del cortile, verso gli spalti di fronte al campo di atletica, in direzione di una piccola e minuta figura in lontananza, china su se stessa con le gambe a penzoloni nel vuoto e un leggero vestito a quadretti rossi la cui gonna svolazzava leggera mossa dal vento.
"El?!" esclamò Max alzando lo sguardo al suo amico in piedi alle sue spalle, comprendo il viso per guardare nella sua direzione senza farsi accecare dal sole,
"Ma che nome è? Ma non hai detto che si chiamava Eleon...?"
"El!" esclamò più forte Mike senza potersi trattenere dal sorridere, allungando una mano allo zaino ai suoi piedi e portandoselo sulle spalle in un secondo, balzando giù dai gradini in un solo salto e iniziando a correre come un pazzo in direzione di quella piccola figura, sentendo distrattamente i suoi migliori amici alle sue spalle iniziare a protestare gridando miserie dietro di lui:
"Ma dove vai Mike! Torna qui!"
"L'abbiamo perso ragazzi...è uscito di testa!"
"Ma che diamine gli sta prendendo in questi giorni? Tu capisci qualcosa?!"
"Ah, io no di certo..."
"Mike!!!"
Ma Mike correva con un sorriso a trentadue denti e ricci mossi leggeri sulla fronte pallida dalla corsa, ignorando quei commenti che certo un tempo lo avrebbero fatto fermare e fare dietro-front, ma che in quel momento non avevano la forza nemmeno per afferrare un lembo della tshirt nera di quella band scossa dal vento.
Sentiva come se sue gambe si stessero muovendo da sole in direzione del suo polo magnetico, come se la nuvola sul quale si era sentito intrappolato tutta la settimana si fosse finalmente diramata, facendolo ricadere sulla terra certo un po' dolorante al suolo, ma con un improvviso ed innato nuovo calore nel petto.
Come aveva potuto dimenticarsi di quel fiorellino per tutti quei giorni senza tentare di ricercarla nuovamente lungo i corridoi? Quanto era stato distratto da tutto il resto per non inseguire la gonna dei suoi vestiti leggeri o cercare il suo profumo dolce di fiori tra le aule e la confusione della sala mensa?
Ecco cosa il suo cervello gli stava urlando impazzito, ecco cosa di era dimenticato di fare!
"El!!" urlò di nuovo Mike alzando un braccio in segno di saluto e stringendo la bretella del suo zaino dell'altra mano, vedendola sollevare lentamente la testa guardandosi attorno per capire da dove provenisse quel rumore, con uno sguardo confuso che a Mike fece sorridere ancora di più.
Era da sola, di nuovo, come quella volta in classe, e il cuore da paladino di Mike si gonfiò in un secondo di orgoglio e senso di responsabilità: come poteva un così bel fiore passare l'intervallo tutta sola in quel modo? Era compito suo offrire la sua compagnia alla sua dama, così come quel posto in prima fila che si era offerto di condividere il secondo giorno di lezione.
Non era mai stato bello per nessuno trascorrere così tanto tempo da soli, non era vero?
"El..!" ripeté l'ultima volta Mike rallentando la sua corsa quando le fu più vicino, vedendola infine volgere su di lui due occhi rossi ma attenti, leggermente incuriositi ed a piccoli tratti confusi che non poterono non farlo sorridere immediatamente ancora un po' di più, lì chino con le braccia stese sulle ginocchia e il busto in avanti per riprendere fiato da quella folle corsa, sentendosi più stupido che mai ma anche così immensamente felice.
Chissà se anche lei era così felice di rivederlo...
"El?!" esclamò la ragazzina nella sua mente, sorridendo spontaneamente di fronte a quel ragazzo con i ricci neri scompigliati per la corsa, le guance più rosse e sulle labbra quel solito sorriso grande e dolce che per l'ennesima volta fece perdere un battito al suo piccolo cuore:
"El? E chi è El...?"
*
"...ciao El!" sussurrò Mike in un soffio, quando ebbe recuperato abbastanza fiato per pronunciare quella semplice frase, pentendosi immediatamente di quella folle corsa e di non averne conservato abbastanza per poter sopportare i battiti più frenetici e incalzanti del suo cuore.
Quel fiorellino era, come ogni altra volta, vestita di sole, con quel vestitino estivo a quadretti rossi e bianchi che gli ricordava, per molti versi, il grembiule da cucina preferito di sua madre.
Quel dettaglio non poté per quel motivo non farlo sorridere più forte colto alla sprovvista da quel pensiero, ammirando i riccioli schiariti naturalmente e la pelle liscia delle sue spalle nude abbronzate, suggerendo al piccolo Wheeler che quella ragazzina non portasse solo in giro il sole con il suo sorriso, ma che amasse invero averlo intorno e vicino quel sole, come un piccolo bocciolo cresciuto grazie a quei raggi di nutrimento e protezione.
Ma sul viso di quella bambina, l'occhio attento del piccolo Wheeler vide qualcosa di diverso quella mattina, qualcosa di inatteso che non aveva calcolato: erano diversi quegli occhi, diversi da come li ricordava, con una punta di rossore in più e una di vita in meno, quasi stanchi, quasi sfiniti, invero sì, niente affatto così luminosi come ne conservava il ricordo, timidi, certo, ma felici.
"Ciao...!" la sentì rispondere osservandolo fisso, senza allontanare lo sguardo dal suo viso con aria curiosa ed interrogativa,
"Ciao...Mike!"
"Ciao!" ripeté Mike colto improvvisamente da un'ondata di nuovo calore che velocemente si impadronì del suo petto, scaldando la sua pelle già accaldata e imporporando le sue guance pallide.
"Posso...posso sedermi qui?" continuò spostando lo sguardo sugli spalti vuoti accanto a lei nel cortile grande e semideserto, indicando con un rapido gesto della mano il resto della tribuna libera accanto a lei,
"Sai, ero con gli altri dall'altra parte del cortile e...e ho vista che eri qui da sola e non c'era nessuno, e così ho pensato di avvicinarmi perché...ecco, eri da sola ed è l'intervallo...e non è mai bello per nessuno trascorrere l'intervallo da soli!"
"Questo ragazzo è un angelo, non ci sono più dubbi" fu la prima informazione che passò in un attimo nella mente della ragazzina, confusa ed emozionata come mai prima, mentre, schiudendo le labbra dallo stupore e dalla sorpresa, un rossore nuovo e incontrollabile si impadroniva in un secondo ora anche del suo di viso, incuriosito ed in attesa.
L'aveva vista dall'altra parte del cortile ed era corso da lei perché...perché l'aveva vista da sola?
Sul serio?
Sul serio quel ricciolino poteva aver avuto un pensiero così carino nei suoi confronti?
Sul serio si era appena fatto mezzo cortile di corsa solo per...per arrivare da lei?
Sul serio era quel ragazzo la compagnia che El aveva aspettato tutta quella settimana, la persona a lei affine con la quale avvicinarsi e fare amicizia per non essere più sempre da sola?
"Ecco, ci risiamo, non ti risponde di nuovo...Mike, tu decisamente non ci sai fare in questo genere di cose..." scosse la testa sconsolata la vocina nella mente di Mike, mentre il piccolo nerdino deglutiva silenziosamente, pregando di non aver fatto l'ennesima gaff rendendosi ridicolo ancora una volta.
Perché era sempre così difficile con lei?
Perché davanti a quella bambolina vestita di sole anche le frasi più banali sembravano inutili e prive di senso?
Perché davanti a lei la sua lingua sembrava ogni volta impastata a tal punto da non riuscire ad articolare insieme più di 4 parole?
"Posso...posso sedermi qui vicino a te, El?" ripeté tentennando Mike, con uno sguardo timido e a tratti supplichevole, pregando il cielo di non essere caduto inesorabilmente nell'ennesimo sbaglio:
"Dii di sì, dii di sì...questa volta dimmi di sì!!"
"...certo" il piccolo Wheeler sentì infine sciogliersi la tensione dopo un secondo di attesa, vedendo quel fiorellino schiudere due labbra rosse di fronte a sé in un sorriso dolce, luminoso e gentile quanto il suo, seppur con una punta di tentennamento in più.
"...ma io non chiamo così, Mike"
"Certo, scusami!" sorrise il piccolo Mike scuotendo i ricci dalla fronte e lasciando cadere lo zaino accanto al suo sui gradoni, prendendo posto accanto a lei ed avvertendo le sue narici invase in un secondo di quell'intenso e ormai familiare profumo di fiori:
"Scusami, è che...mi è venuto naturale chiamarti così...è come mi chiamano anche gli altri da quando sono piccolo! Cioè non El, ovviamente no, voglio dire...Mike!"
Eleven alzò un sopracciglio verso di lui, seduto accanto a lei con il viso più rosso e un sorriso imbarazzato, e Mike prese fiato, supplicando la sua mente confusa di concentrarsi, il suo respiro di non andare in iperventilazione, intimando il suo cuore a mille nel petto, non solo più per la corsa, di concedergli almeno una piccola tregua:
"Ce la puoi fare Mike, forza! Solo una parola davanti all'altra..."
"...come?"
"Quello che volevo dire è che..." riprese Mike con un sospiro, affrettandosi a dare spiegazione a quel suo tono interrogativo:
"Io sono Mike, ma il mio nome vero non è quello: i miei amici mi chiamano Mike, short for Michael! È tipo un diminutivo sai, per fare più in fretta, per non dover pronunciare il nome completo, sai..." Mike la vide con la coda dell'occhio addolcire lo sguardo, ancora a tratti confuso e perplesso, ma di certo ora più incuriosito:
"Mike...short for Michael?"
"E allo stesso modo..." prese un bel respiro il piccolo Wheeler, decidendosi a voltarsi finalmente verso di lei e guardarla dritto in viso con un sorriso più coraggioso, incrociando i suoi occhioni dove vide appena riaccesa una luce di gioia ed allegria:
"...allo stesso modo tu puoi essere solo...El! Short for..."
"...Eleven" concluse la piccola nella sua mente, mentre un sorriso grande come il mondo si impadroniva del suo viso, più luminoso e felice di quelli che Mike aveva mai visto dipingersi sul suo incarnato liscio, un sorriso così grande che fece tirare il fiato al piccolo nerdino sorridendo a sua volta, mentre concludeva quella frase un po' sconnessa ed incasinata con quel nome, l'altro nome, quello che a lui era stato dato come quello vero, quella ufficiale, quello definitivo, quello che invero già a lui pareva il più bello di tutto il suo mondo:
"...Eleonoir...short for Eleonoir".
Rimasero un secondo in silenzio a fissarsi, come se per un istante quel semplice e silenzioso accordo tra di loro, quell'improvvisato ma dolce patto fosse stato in grado di isolarli dal resto del mondo e della folla in quel cortile, come se lo sfondo dell'edificio scolastico e le sagome intorno non fossero che un contorno, un contorno a quel loro primo sguardo d'intesa, quel primo contatto di due occhioni grandi e scuri allo stesso modo, quel primo sguardo in grado di identificarli, di dare loro un nome l'uno per l'altra, due nomi solo loro, come un segreto: Mike ed El.
"...solo se ti va ovviamente! Voglio dire...solo se ti piace!"
"Mi piace!" rispose immediatamente El, annuendo decisa senza smettere di sorridere ai suoi occhioni dolci e scuri.
"Mi piace, Mike!"
Ed era vero: davvero la piccola Hopper non poteva che non amare quel suo nuovo e semplice diminutivo.
"El", semplice è pulito, piccolo e dolce, proprio come lei.
Quel nome era perfetto per entrambi i suoi due nomi, perfetto collante delle due parti più distanti del suo cuore: Eleonoir e Eleven, due facce della stessa medaglia, le due più dolorose.
Il non poter ammettere chi davvero si è, il doversi nascondere per essere accettata, ma anche la libertà, la speranza di una nuova vita, di una nuova possibilità.
Quel piccolo nome che incastrava finalmente quei due tasselli in bilico, offertole come un fiore dal timido ragazzino dal viso ricoperto di lentiggini che ora le sorrideva sinceramente felice dell'entusiasmo della sua voce.
"Mi piace...mi piace molto!"
"Forte! Andata! D'accordo, El!" annuì deciso a sua volta Mike, allungando una mano verso lo zaino ai suoi piedi e aprendone la zip.
"Non è bello passare l'intervallo da soli e ancora di più..non è mai bello fare merenda da soli!" lo vide El continuare sorridente, i ricci neri scompigliati scossi dal vento sulla sua fronte pallida:
"Tu che hai oggi?" chiese Mike senza pensarci, estraendo dallo zaino un pacchettino preparato dalle amorevoli mani di Karen Wheeler, facendo cadere lo sguardo sulla mela rossa nelle mani di El giusto un secondo dopo aver posto quella domanda.
"...è...una mela?" si trattenne dallo scoppiare ridere la ragazzina, vedendolo abbassare lo sguardo sorridendo imbarazzato ancora più rosso tra lentiggini: ma quel ragazzo era veramente una gaff ambulante?
"Sì, ovvio, scusa...pensavo..." boffonchiò Mike srotolando la carta del suo pacchettino ed estraendone un panino dalla crosta morbida e l'aspetto invitante.
El sorrise, mordendosi il labbro per non ridere, ma sentendo dentro di sé crescere lentamente una sempre più viva e vera semplice serenità.
Come era facile sorridere quando era vicina a quel ragazzino, come era semplice ritrovarsi spontaneamente a ridere in una presenza, non solo per quanto era in fondo buffo, un po' imbranato e di certo divertente, ma perché, se El avesse mai dovuto immaginare il suo potere o se avesse dovuto affidargliene uno, come lei aveva da sempre il suo, la piccola non avrebbe avuto dubbi su quale scegliere per quel piccolo nerdino.
Quel ragazzo di nome Mike era certo una di quelle persone con le quali era impossibile non sentirsi a suo agio.
"E tu, Mike?"
"Oh! Io ho un panino!" rispose Mike annuendo a sé stesso e sollevando con mano ferma la fetta superiore della sua merenda, con lo stesso occhio attento che avrebbe potuto caratterizzare un medico durante un'operazione chirurgica:
"Un panino al burro d'arachidi!"
"Burro d'arachidi?" chiese El stupita, alzando un sopracciglio con aria curiosa verso le sue dita sottili intorno a quel panino,
"Sì, burro d'arachidi!" ripeté Mike sorridendo e ritornando con gli occhi al suo viso contornato da morbidi ricci,
"Non lo conosci?" chiese stupido ma risoluto il ragazzino, porgendo verso di lei il contenuto del suo pacchettino:
"Vuoi assaggiare?"
La piccola Hopper scosse la testa, sorridendo riconoscente ma stringendo più forte tra le sue dita la mela rossa, portandola alle sue labbra e dando il primo morso, non prima di aver chiesto semplicemente con voce gentile,
"...è buono il burro d'arachidi, Mike?"
"Oh sì! È buono, è molto buono!" rispose Mike sorridendo e addentando il suo panino, masticando piano in silenzio insieme a lei,
"Sai, io in realtà preferisco la marmellata di fragole che fa la mamma, quella si che è buona...è la mia preferita! Ma Nancy è scesa in cucina prima di me questa mattina e deve averlo preso lei prima di me..."
"Chi è Nancy?" chiese El con tono curioso dando un altro morso al rosso della sua mela, sentendo il cuore perdere un battito in un secondo all'improvvisa consapevolezza che in un istante si impossessò di lei, scaldandola con il suo calore: era questo quello a cui si riferiva il suo papà?
Era questa la semplicità alla quale si era riferito, quel semplice "e poi si parla" che tanto l'aveva spaventata?
La piccola Hopper sorrise, guardando quel ragazzino sorridere a sua volta con la bocca ancora piena alzando lo sguardo di fronte a sé a quella semplice domanda, come se fosse stata banale ma allo stesso tempo attesa, come se avesse dovuto aspettarsela posta da quei due occhioni curiosi al suo fianco.
Sì, El ne era sicura, era proprio così: quella era la semplicità, quella era la naturalezza alla quale si era riferito il suo papà, ed era stato così immediato, così spontaneo nel senso più vero del termine.
Sì, ne era sicura: quello doveva essere quel "fare amicizia".
"Oh...Nancy è mia sorella!" rispose semplicemente Mike con un sorriso tenero che alla piccola fece ridere il cuore: conosceva il significato di quei due semplici nomi, "fratello" e "sorella", pur essendo sempre rimasta sempre sola al mondo, non potendo capire cosa volesse dire davvero avere accanto qualcuno così amico e vicino fino a quel punto, ma avendone invero sentito parlare spesso in tanti di quei libri che aveva divorato in quel paio di anni di fantasia.
Come Haensel e Greetel, come Jane ed Elizabeth: quanto sarebbe potuto essere meraviglioso avere qualcuno accanto così intimo e fedele, legato a sé da un legale di sangue indissolubile per la vita?
"Sai, siamo in 3: io, Nancy e la piccola Holly. Io sono quello in mezzo, Nancy è la maggiore, frequenta anche lei qui, ultimo anno!"
"Ti assomiglia?" chiese la piccola con le labbra sporche di succo di mela, facendo Mike sorridere ancora di più per quella semplice domanda.
Aveva letto tutte le volte che quei parenti erano considerati tra di loro simili, spesso uguali, a volte perfino tra loro irriconoscibili e in un istante alla ragazzina venne quasi da spalancare gli occhi affascinata da quella visione, immaginando di fronte a sé quanto dovesse essere meravigliosa quella versione al femminile della sua personale riincarnazione di Biancaneve.
Cavolo quanto le sarebbe piaciuto vederla un giorno...
"Beh...non saprei...credo di sì!" alzò le spalle Mike dando un altro morso al suo panino, non sapendo bene come rispondere a quella semplice domanda all'apparenza così banale.
Era un dialogo un po' strano quello che si stava andando ad instaurare tra i due, un botta e risposta non con le convenzionali frasi di circostanza "tutto bene?", "sì, grazie!", ma con vere affermazioni e vere domande, come se realmente quella ragazza fosse interessata a quello che lui le stava dicendo!
Poteva apparire banale, ma non lo era mai stato davvero, e l'unica cosa di cui Mike era certo era che quella non fosse davvero una così brutta sensazione.
"...forte!"
"Non so...mamma dice di sì! Dice che io e Nancy assomigliamo entrambi a lei, mentre Holly..."
"Quindi...è carina?" esclamò El senza pensarci, come se l'associazione fosse invero più che ovvia, sentendosi un secondo dopo avvampare, accorgendosi della sottile conseguenza che quelle semplici parole erano in grado di svelare davanti ai suoi occhi: gli assomigliava, quindi non poteva...che essere anche lei carina come lui!
Era così scontato che anche sua sorella fosse carina...perché lui lo era per lei così tanto?
"Beh...non so...credo di sì..." alzò un sopracciglio Mike aggrottando la fronte, sentendosi un po' stupido a continuare a parlare di sua sorella in quel modo, non capendo al 100% il collegamento esposto così chiaramente di fronte ai suoi occhi.
Abbassò lo sguardo ai suoi piedi, dopo aver dato un ultimo morso al suo panino, sfregando tra di loro le mani per lasciar cadere a terra le briciole, non accorgendosi del rossore sulle guance di quella bambolina e l'imbarazzo che avrebbe potuto urlare in quel momento dalle sue labbra.
Rimasero un secondo in silenzio, lasciando che i suoni lontani provenienti dal cortile li raggiungessero per un istante nel loro piccolo angolo di mondo, godendo della vicinanza silenziosa l'uno dell'altra anche lì, seduti così sugli spalti con i piedi a penzoloni con le converse bianche a fendere il vuoto sotto di loro, sentendosi estranei ma invero stranamente vicini, tanto da riuscire a stare bene anche così, immersi in un secondo di silenzio con i loro due piccoli cuori a battere più lentamente tranquilli nel petto.
El allungò lo sguardo di fronte a sé, masticando gli ultimi bocconi di quella mela che non era mai stata così dolce, scorgendo da lontano alcuni alunni della Hawkins High intenti come loro a trascorrere quegli ultimi minuti di libertà al sole.
Non li invidiava più, non avrebbe più voluto essere lì al posto loro: non si sentiva più quella invisibile e sola in una stanza affollata, quella guardata da lontano e considerata "la strana" solo perché da sola.
Ora la piccola sentiva nel suo cuore di non essere più lei quella sola, di poter dire di aver trovato anche lei qualcuno a cui donare quel nome: amico.
Ed era una piacevole, davvero piacevole sensazione quella che sentiva impadronirsi dei suoi sensi, sollevandola come per le spalle ad un metro dal suolo, facendola volteggiare, facendola sedere su una nuvola, facendole tendere le labbra in un sorriso così grande che non sapeva per quanto tempo i suoi muscoli avrebbero ancora retto senza iniziare a protestare.
"Scusami se non ti ho più cercato in questi giorni..." fu Mike il primo ad interrompere quel silenzio tra di loro, un paio di minuti dopo, vedendola ridestarsi e tornare con lo sguardo su di lui, incriciando quegli occhioni che non si erano separati dalla sua figura nemmeno un secondo.
"Non ti ho più vista più in giro o ti avrei salutato!" sorrise Mike vedendola annuire sorridendo a sua volta,
"Ricorda che l'invito è sempre valido per sederti con me e con gli altri in mensa per pranzo uno di questi giorni!"
"...gli altri?" chiese timidamente El, portando una ciocca di ricci scossi dal vento dietro un orecchio,
"Sì, gli altri, il resto del party! Sarebbero i miei amici...quelli laggiù!" aggiunse Mike allungando un braccio e puntando con il dito al di là delle porte d'uscita, invitandola a seguirlo con lo sguardo in direzione di quei ragazzi seduti sui gradini che li fissavano da lontano con aria palesemente basita.
El deglutì, tornando con lo sguardo a lui con aria poco convinta,
"Mmm..."
"Lo so, lo so...possono non sembrare i più amichevoli visti da qui..." sorrise Mike annuendo lentamente, comprensivo:
"..ma ti assicuro che sono fantastici! Ti piacerebbero davvero! Dovresti provare ad uscire con noi questo weekend, sono certo ti troveresti bene...davvero!" continuò Mike, vedendola irrigidirsi impercettibilmente al suo fianco e decidendo di non insistere oltre.
"Non correre Wheeler...non correre troppo, di nuovo!"
"Altre persone con cui fare amicizia...?" si sentì gelare in un secondo El, non osando annuire per accettare ma nemmeno alzarsi in piedi e fuggire, come aveva fatto qualche giorno prima al termine della lezione di chimica: non voleva perdere l'occasione di restare ancora lì accanto a quel suo nuovo primo amico, non poteva non accorgersi di avere di fronte una persona amica finalmente in grado di farla sentire a suo agio davvero, completamente serena come mai si era sentita per tutta la settimana, uno sconosciuto del quale avrebbe voluto continuare a scoprire ogni singolo dettaglio attraverso quelle semplici domande poste senza alcun minimo imbarazzo.
Ma no, forse no: non si sentiva ancora completamente pronta ad allargare quel giro di boa spingendosi al largo senza salvagente fino a quel punto, con nuovi ragazzi, nuove persone e nuove possibili delusioni.
O forse...forse avrebbe dovuto invece semplicemente fidarsi, aggrapparsi al suo salvagente e farsi trascinare via al largo aggrappata a lui, a quel salvagente che ormai portava con sé un nome, il suo?
"Puoi fidarti di me, El...davvero!" vide sorridere quel ragazzo con aria incoraggiante, come se le avesse letto nel pensiero in quel momento.
El sorrise timidamente, vedendolo allargare gli occhi in un secondo, come colto da un'improvvisa intuizione:
"Sono un bravo ragazzo, puoi starne certa! Un "Good Old-Fashioned Lover Boy", come la loro canzone!" sorrise più forte Mike indicando la sua adorata maglia nera con leoni rampanti e un'aquila in volo nel mezzo, con uno sguardo d'intesa che El non colse minimamente, restando a fissarlo con aria stupita e vedendo il suo sorriso entusiasta spegnersi in parte un istante dopo.
"Sì, sai...come la canzone, la loro...non la conosci?" chiese Mike stupido, indicando più debolmente il nome della sua band del cuore sul suo petto, non scorgendo però nessun cambiamento nella sua espressione, sempre più confusa mentre con occhi spalancati quella ragazzina scorreva lungo la maglietta nera di cui non ne riconosceva nemmeno un centimetro.
"Loro sono...i Queen..." sussurrò sconfitto Mike con aria sconsolata ma non del tutto arresa,
"Sono sicuro che hai già letto il loro nome da qualche parte...magari conosci qualche loro canzone e non sai che è loro! No...? ...El?"
Ma la piccola scosse la testa con aria dispiaciuta, non provando nemmeno più a fingere in quel momento:
"No..."
"No..." ripeté con un sospiro Mike abbassando il capo:
"Ma dove cazzo sei vissuta fino ad ora El, si può sapere?!"
"Ora penserà che sei fuori dal mondo, El, complimenti..." strinse le labbra la piccola Hopper, scuotendo piano la testa, non potendo però trattenersi dal sorridere sentendo la voce nella sua testa chiamarla così, El: quel nome davvero non avrebbe potuto piacerle di più.
"Chi cazzo non ha mai sentito parlare dei Queen?! Ma stiamo scherzando?!" si trattenne dall'esclamare Mike, decidendo di omettere per il momento il fatto di aver trascorso gli ultimi 3 giorni a discutere con i suoi migliori amici dell'annunciata imminente precoce dipartita del leader della band il cui nome non pareva evocare alcune emozione in quella bambolina a sé di fronte.
"È inammissibile!"
"Ti crederà un'aliena..."
"Devi fare qualcosa, Mike..."
"Comincerà a dire anche lui che sei una strana..."
"Bene...allora ci penso io!"
El rialzò su di lui lo sguardo incuriosita a quelle semplici parole, ritrovando il suo solito contagioso sorriso nuovamente al suo posto sulle sue labbra rosse, vedendolo girare con lo sguardo intorno a loro lungo gli spalti, fino a posarsi sul suo libro ancora fermo sulla tribuna accanto a lei:
"Posso?" lo vide sorridere chiedendole il permesso,
"Certo..." annuì El più sollevata nel vederlo nuovamente sorridente come se nulla fosse appena successo: davvero non si era arrabbiato o offeso e non la riteneva davvero...strana?
"Facciamo così..." iniziò Mike aprendo il libro dalla copertina rigida alla prima pagina e prendendo la matita usata da lei come segnalibro in mano, facendo attenzione a non perdere il segno:
"Ti segno qui la frequenza della stazione radio della scuola: si chiama Radio Shack e trasmette le dirette il mio amico Will tutte le mattine, dalle 7:00 fino all'orario d'inizio delle lezioni. Mette dei pezzi forti, credo potrebbero piacerti!" sorrise Mike con gli occhi di El addosso, allungandosi verso di lui e vedendolo segnare con tratti leggeri una serie di numeri puntati sul margine alto della prima pagina insieme ad un nome che la piccola lesse un secondo dopo con occhi grandi e incuriositi:
"Radio Shack" 99:11
"Ecco fatto! Seguila da lunedì, vedrai che ti piacerà! Devi solo sintonizzare la frequenza sulla tua radio!" concluse Mike con aria soddisfatta, appoggiando il libro richiuso con la matita al suo posto sulle mani di El pronte ad accoglierlo, vedendolo ridere prendendola scherzosamente in giro:
"Almeno una radio saprai che cos'è, non è vero, El?"
La piccola Hopper arrossì, abbassando per un secondo lo sguardo ai suoi piedi, sorridendo felice senza saperne veramente il motivo, anche se invero no, ad essere sincera non aveva mai provato ad usare una radio, ma non ebbe cuore di dirlo al suo nuovo amico in quel momento.
Si disse di rinunciare a capire per quale motivo si sentisse così irrazionalmente felice in quel momento, lì seduta sugli spalti accanto a quel ragazzino che la faceva involontariamente sentire una piccola aliena fuori dal mondo, ma arrendendosi semplicemente al fatto che sì, probabilmente era così: con quel ragazzino riccio e dagli occhi gentili intorno lei non avrebbe mai potuto fare altro che continuare a sorridere.
"D'accordo!"
"Lunedì all'ora di chimica ti interrogherò, signorina Hopper! Le conviene non farsi beccare impreparata!" rise Mike passando una mano distrattamente tra i capelli, non potendo accorgersi del veloce battito che il povero cuore di quella bambina perse a quel semplice gesto, i suoi occhioni a cuoricino persi verso quel ragazzo che improvvisamente ricordava perché avesse occupato la maggior parte dei pensieri di quella settimana.
Quanto avrebbe potuto durare ancora quell'intervallo? Avrebbe mai potuto immaginare di fermarsi a riflettere sulla possibilità di far tornare indietro le lancette di tutti gli orologi per altri 10 minuti?
Era davvero la prima volta che la piccola Hopper si trovava a non desiderare di sentire l'acuto suono della campanella nelle orecchie, segno che quella tortura era finalmente finita.
"Wow...questi sì che sono progressi El, sii fiera di te!"
"Fossi in te avrei più paura del mio test che della relazione da consegnare per la professoressa Leen!"
"Mike! Mike!!" El sentì urlare un paio di voci urlare dall'altra parte del cortile, voltandosi di scatto verso i ragazzi ormai in piedi sui gradini che agitavano le braccia nella loro direzione con aria insistente.
"Che c'è?!" sentì rispondere il ragazzo accanto a sé sempre gridando, con un tono invero diverso, molto diverso rispetto a quello dolce che gli aveva sentito usare fino a quel momento nei suoi confronti.
La piccola restò a guardarlo per un secondo, confusa: era sempre la stessa persona quella che ora si rivolgeva ai ragazzi dall'altra parte del cortile come se fossero stati la peggiore delle scocciature?
"Muoviti! Faremo tardi!"
"Ci vediamo in aula!"
"Arriverai in ritardo per colpa mia?" chiese El titubante, scorgendo da lontano i ragazzi scuotere la testa allontanandosi verso le porte e una ragazza dai capelli rossi alzare le braccia al cielo con aria palesemente scocciata,
"Forse è meglio che tu vada con loro, Mike..."
"Scherzi? Non se ne parla!" scosse la testa Mike con un sorriso ed un rapido sguardo al suo orologio da polso nero con i tastini in gomma:
"L'intervallo non è ancora finito e sono loro ad essere paranoici e a voler arrivare sempre per primi in classe..."
"...e invece tu non lo sei?" rise El alzando un sopracciglio con aria divertita, vedendolo abbassare lo sguardo colpito ed affondato.
"Beh sì, solitamente sì, hai ragione...ma oggi ho qualcosa di più importante da fare..." sorrise Mike a capo chino, con i ricci neri a sfiorare leggeri fino alla punta delle sue lunghe ciglia,
"Che cosa?" chiese innocentemente El con gli occhioni spalancati di curiosità, abbastanza attenti da cogliere una scintilla di emozione lampeggiare veloce dentro quelli del ragazzino che la fissava sorridente di fronte a sé:
"Beh..." sorrise Mike senza abbassare lo sguardo e dando voce ai suoi pensieri in un modo che mai avrebbe immaginato di essere in grado di fare, non davanti a quel fiorellino in grado di mandarle la mente in confusione:
"...passare fino all'ultimo secondo dell'intervallo con te, El!"
La piccola sorrise, regalando a lui per la seconda volta uno dei sorrisi più belli che Mike credeva di aver mai visto, scoprendo a lui denti bianchi e lucidi, con due carini solo leggermente sporgenti ai lati a rendere tutto se possibile ancora più perfetto.
Cavolo cosa Mike non avrebbe dato per poter continuare a farla sorridere così, in ogni modo a lui possibile ed immaginabile.
"È sempre così piacevole avere degli amici, papà?" si ripromise di chiedere allo sceriffo quella sera, abbassando infine lo sguardo per paura di sentire le guance prendere fuoco per quel calore, riprendendo fiato ed avvertendo come se qualcosa di forte e stranamente pesante stesse spingendo contro la sua pancia in un punto imprecisato sotto il suo ombelico in quel momento.
Inspirò lentamente la piccola El, nascondendo l'emozione e lo stupore riportando una ciocca ribelle di ricci dietro l'orecchio con la mano sinistra, troppo distratta da quel recente scambio di battute per evitare l'inevitabile.
Era davvero quella la sensazione che si provava ad avere accanto qualcuno da chiamare amico?
Qualcosa di così profondo e a tratti viscerale?
Wow...era decisamente meglio, molto meglio rispetto a quanto si era immaginata!
"Forte!! Che cos'è quello??" udì improvvisamente Mike esclamare, sentendo la sua mano appoggiarsi dolcemente al suo polso, leggera, senza stringere, senza fare male ma con tutta la prudenza del mondo, non sufficiente tuttavia per non farla tremare in un secondo di totale paura:
"È un tatuaggio? Oddio, ma è vero!!!" vide Mike spalancare gli occhi, accarezzando lentamente con dita leggere il numero impresso su quel polso ancora a mezz'aria davanti al suo orecchio.
"Non ho mai visto qualcuno della nostra età con un tatuaggio prima! 011...perché 011?"
Ma la piccola si mosse, congelata come sul posto, ritraendo velocemente il polso dal suo tocco e ritrovando davanti a sé un paio di occhi scuri improvvisamente stupiti e preoccupati:
"Scu...scusa, non volevo..." sussurrò Mike improvvisamente confuso, vedendola abbassare lo sguardo nascondendo il polso con l'altra mano, i nervi improvvisamente tesi e il suo sorriso sostituito da un'espressione seria immensamente triste.
"Non volevo El, scusami..."
Ma El non lo stava ad ascoltare.
Sentiva dentro di sé il calore che pochi istanti prima le stava per consumare le guance di gioia ora bruciare per la rabbia e l'umiliazione, un calore forte quasi da far male, esattamente uguale a quello che aveva avvertito pochi secondi prima farla sorridere e che ora sentiva incendiare ogni centimetro di pelle da lui sfiorata, ed in particolare lì, su quella scritta, su quel numero, sulla sua condanna, su quel marchio a fuoco lì a ricordare che qualcuno nella vita non l'avrebbe mai considerata che tale.
Un numero.
Solo un numero.
"El..." sentì da lontano Mike sussurrare mentre gli occhi bassi già si riempivano di calde lacrime di rabbia.
Perché, perché?
Perché nella vita ci sarebbe stato sempre qualcuno a ricordarle di essere lei quella sbagliata?
Perché quando finalmente tutto sembrava andare bene le sue paure erano sempre in grado di tornare?
Perché bastava un semplice gesto come quello a farla ricadere nella spirale di paura che l'aveva fatta reagire così bruscamente di fronte a quel ragazzo che non aveva voluto davvero ferirla o farle del male, quella paura che ora la faceva annaspare alla ricerca disperata di aria?
"El, scusami..." sussurrò ancora Mike con occhi supplichevoli, pentendosi immediatamente di quel gesto e non riuscendo a capire il perché della sua reazione: cosa era successo prima ancora che lui potesse essersene reso conto?
Cosa aveva sbagliato quella volta al punto da farle sparire il suo sorriso in un secondo così?
"Mi dispiace, io..."
"Devo andare..." sussurrò El chiudendo gli occhi e afferrando accanto a sé il libro lasciato da Mike e la bretella dello zaino da terra, alzandosi in piedi e facendo un passo in avanti, nell'esatto secondo in cui avvertì da lontano il suono acuto della campanella e una mano gentile ma più decisa prenderle un'altra volta il polso tra le dita, come per trattenerla un altro secondo a sé.
"Aspetta, scusami, non volevo!" si voltò un ultimo istante verso Mike alle sue spalle, ora anche lui in piedi con occhi spalancati e tristi, terrorizzati e confusi, visibilmente dispiaciuti.
"Io non so cosa ho fatto...non te andare, ti prego.."
"Non ti scusare..." deglutì El trattenendo le lacrime ed avvertendo una scarica elettrica percorrerle la pelle, dalle sue spalle fino al suo polso e sotto le sue dita, le dita di Mike che in un secondo El sentì lasciare andare il suo polso, ritraendosi veloci come ferite.
"Ahi!"
El si morse il labbro, chiudendo gli occhi alla sua piccola smorfia di dolore, vedendolo ritrarre a sé la mano con aria confusa, ignorando la forza che sentiva sul punto di scoppiarle dentro per la rabbia contro se stessa e per l'esasperazione:
"L'intervallo è finito, Mike..." si sforzò di non urlare, mantenendo un tono impassibile e voltandosi verso le porte a vetri del cortile dove già gli studenti si apprestavano a defluire per tornare nelle aule per l'inizio delle lezioni,
"Per favore...non mi seguire"
"El! El!!" sentì ancora urlare alle sue spalle una voce triste decisa a non arrendersi così facilmente, facendole accelerare ancora di più il passo, il libro stretto al petto, attraverso il cortile:
"El aspetta, per favore!" urlò ancora Mike dietro di lei, prima di vederla sparire tra gli studenti davanti alle porte, rallentando infine il passo e scuotendo la testa incredulo, allargando le braccia e facendole ricadere sui suoi fianchi con aria costernata:
"Gran bel lavoro Mike, sei il solito coglione..."
"Ben fatto El, spaventa anche lui come hai fatto già con tutti..."
"Non sei fatto per queste cose, amico..."
"È quello che da sempre ti viene meglio, piccola idiota..."
Mike restò immobile a guardarla correre un'altra volta, esattamente come quella mattina, scuotendo lentamente la testa e sentendo le guance bruciargli dal nervoso e dalla rabbia: non è giusto, non poteva fare così! Che modo era di chiudere la discussione se non gli lasciava nemmeno il tempo di replicare, correndo via e chiedendogli di non seguirlo, come per non voler più sentire nemmeno il suono odioso della sua voce?
"Così non si fa...non può sempre finire così..." sospirò Mike, scuotendo più forte i ricci dal viso, stringendo le bretelle del suo zaino sulle spalle e dirigendosi verso quell'aula dove, ne era certo, non stava che attendendolo l'ennesimo cazziatone:
"Le nostre discussione non si concluderanno per sempre così, con te che scappi via in questo modo, non lo accetto!
Non ti permetterò di scappare via per sempre così, puoi starne certa, El!"
📼🌼
Salve fiorellini!!!
Allora, che la battaglia dei due cuccioli più imbranati di tutta Hawkins abbia inizio!!🎉
Ve lo dico, sarà uno scontro tra titani e ci sarà da ridere, da ridere sul serio...
Fate le vostre scommesse: chi vincerà?
Ma forse ancora non sapete che un certo ricciolino di nostra conosceva conserva mille e più assi nella manica...🙊
Are you ready?
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