6.Every Rose Has Its Thorn

Every rose has its thorn,
just like every night has its dawn

📼🌼

"...McLean
Green
Jordan
Drake..."

Gli occhi grandi e contornati dalle lunghe ciglia nere del piccolo Wheeler scorrevano quel lungo elenco appeso alla parete bianca e rossa di fronte a sé, concentrati che quasi si dimenticavano di sbattere di tanto in tanto le palpebre, mentre con le dita pallide della sua mano destra scendeva verso il basso puntando un nome dopo l'altro, uno dopo l'altro senza riuscire a scorgere il motivo della sua ricerca, il suo obbiettivo di quella mattina.

Il proposito di non pensare più a quella ragazzina era durato il tempo di una partita a Dig Dag all'Arcade il pomeriggio precedente, persa dal nerdino senza troppo dispiacere, una scusa banale per allontanarsi dagli sguardi stupiti degli amici e una corsa in bici indietro verso la sua Maple Street, verso la sua camera al piano superiore di casa Wheeler dove si era chiuso in silenzio fino all'ora di cena.

Non pretendeva che i suoi migliori amici capissero, come avrebbero potuto se nemmeno lui stesso riusciva a capire cosa fosse successo, quali sensazioni fossero penetrate nella sua mente, sconvolgendola e lasciandolo imbambolato per tutto il resto della serata, con i pensieri a rincorrersi più incasinati dei soliti ricci neri che ricadevano sulla sua fronte?

Il sonno di Mike era stato tutto fuorché tranquillo quella notte, al termine della sua prima giornata di scuola, e nonostante si sentisse stanco da poter svenire dal sonno a peso morto sulle sue lenzuola azzurre dove troneggiava fiero il logo di Back to the future, la mente impazzita ed i pensieri sconnessi non gli avevano concesso neppure poche ore di riposo, catapultandolo un sogno dopo l'altro dentro irrealistiche situazioni e assurde realtà che al risveglio il piccolo Wheeler aveva cercato inutilmente di salvare, così come i suoi cereali sprofondati inevitabilmente nel latte della sua tazza da colazione.

Si ricordava di essersi chiesto dove diavolo fosse finito diverse volte, mentre i contorni del mondo intorno a lui si facevano sempre più confusi, sempre più vacui, cambiando in un secondo non appena gli sembrava di riuscire a collegare i pezzi di puzzle incasinato come quelli con i quali sua madre tanto amava intrattenere la famiglia la domenica pomeriggio.
Da un campo di lavanda sovrastato da un immenso cielo viola, ad uno di girasoli dove correva inseguendo una figura sbiadita di fronte a lui dall'ampia gonna rosa svolazzante ad una chiesa, o forse era invero una cattedrale, le cui colonne ai lati dell'altare si slanciavano così alte da sembrare tronchi di alti alberi le cui fronde bucavano il soffitto confondendosi con il cielo.

Mike aveva ancora nelle narici quel profumo di fiori che aveva permeato la sua mente e illuso i suoi sensi per tutta la notte, facendolo sorridere nel sonno stropicciando il viso contro il cuscino stretto tra le sue braccia: quel profumo dolce unito al suono lontano di un campanile, un rintocco dopo l'altro, aveva scandito il tempo dilatato di quelle visioni, finché, esaurita la notte e le poche ore del suo sonno tutt'altro che ristoratore, il piccolo Wheeler aveva esitato quella mattina ad allungare la mano verso il comodino accanto al suo letto, accorgendosi solo tardi di aver inglobato ormai da diversi minuti la sua sveglia in quel folle sogno.

"Già in piedi, Michael?" aveva chiesto stupita sua madre vedendolo varcare la soglia della cucina ancora deserta,
"Come siamo mattinieri oggi! Hai dormito bene, tesoro?"
"Mh mh..." aveva solo mormorato Mike, passando una mano tra i capelli neri come le borse sotto gli occhi che spiccavano sulla sua pelle pallida, aprendo distrattamente il frigo e versando dal cartone il latte fino all'orlo della sua tazza con raffigurato un viso verde e una scritta familiare:
"Breakfast be with you!"

Karen Wheeler aveva alzato lo sguardo dalla padella dove le uova strapazzate già scoppiettavano sul fuoco, incrociando il viso del suo primogenito maschio più stanco e sconsolato che mai.
Mike aveva parlato poco la sera precedente a cena, aveva risposto alle sue domande con gli elementi sufficienti a placare la sua curiosità per poter sfuggire su per le scale dopo aver aiutato obbediente a sparecchiare la tavola, ma l'occhio attento e amorevole di mamma Wheeler non aveva potuto non notare qualcosa di diverso nel suo bambino, un'aria distratta, un velo di preoccupazione.
E infine quella sorpresa: Mike non era mai stato il primo della famiglia a scendere in cucina per fare colazione al mattino.
Mai, nemmeno una volta nei suoi 15 anni di vita.

"Sei sicuro di sentirti bene? Hai una faccia così pallida, Mike...forse hai preso freddo ieri in bici? Magari è il caso che oggi ti metta un maglione più pesante!"
"Sto bene mamma, davvero!" aveva ribattuto Mike scuotendo la testa e pulendo con il palmo della mano le sue sottili linee bianche di latte accumulate nella fretta agli angoli delle due grandi labbra rosse.
"Voglio solo arrivare in orario a lezione...sai, almeno la prima settimana credo sia giusto fare una buona impressione..."

"Ma che giudizioso che è diventato il mio ragazzo! Ben detto, tesoro!" aveva esclamato felice Karen, facendo fare a Mike un sorriso di circostanza sforzandosi di non alzare gli occhi al cielo.
Aveva visto con la coda dell'occhio sua madre scostarsi dal fornello della cucina, ancora con il familiare grembiule rosso a quadretti stretto in vita, e prima che Mike potesse aprire la bocca per protestare si era sentito stretto da due braccia calde e forti intorno alle sue spalle e assordato da uno schiocco acuto vicino al suo orecchio, sulla sua tempia in mezzo ai suoi capelli ricci.

"Mamma, dai..."
"Non saranno un po' troppo lunghi questi ricci? Non è ora di darci un taglio?"
"Mamma...ti prego!!"

Mike si era divincolato dalla sua stretta, alzandosi dalla sedia del tavolo ma sentendosi trattenere da quelle braccia materne tutt'altro che intenzionate a lasciarlo sfuggire così facilmente.
"Da quando ti credi diventato abbastanza grande per le coccole, signorino?"
"Mamma! Devo andare!"
"Eh va bene, va bene, non ti voglio far far tardi...hai messo tutti i libri nello zaino?"
"Si, mamma..."
"E preso il panino per la merenda?"
"Sì, mamma..."
"E un maglione più pesante nel caso facesse freddo?"

Mike aveva esitato per un secondo, solo per un secondo prima di rispondere a quest'ultima domanda, ma era stato sufficiente a Karen per fiondarsi sul cesto di bucato appena stirato stipato in pile ordinate accanto al ripiano della lavatrice.
"Ecco qua! Metti questa! È quella che ti ha fatto la nonna per l'anno scorso a Natale, ti ricordi? Te l'ho lavata perché credo sia ora di riindossarla! Sai, al mattino fa parecchio freddo e..."
"Questa...?" aveva azzardato sconsolato Mike reggendo tra le mani il maglione di lana ricamata blu, rossa e beige, l'ennesimo confezionato da nonna Wheeler, l'ennesimo elemento imbarazzante del suo guardaroba che Mike avrebbe voluto estinguere dal suo armadio insieme alla fine della scuola media.

"...devo proprio?"
"Devi?! Mike, quel maglione ti stava benissimo e la nonna era così contenta che ti piacesse!"
"Ma io..."
"Niente ma Mike! Mettilo subito! A pedalare in bici con questo freddo è un miracolo che tu arrivi alla fine della settimana senza esserti preso un bel raffreddore!"

E così, appena mezz'ora e una corsa in bici nel fresco autunnale dopo, Mike Wheeler se ne stava ora in piedi nel mezzo di quel corridoio semideserto, molto in anticipo rispetto al suono della prima campanella, molto prima al solito orario nel quale lui ed i suoi amici si erano dati appuntamento per varcare insieme le porte a vetri della Hawkins High.
Nel suo maglione di lana dalla trama imbarazzante, il tessuto leggermente ruvido a pizzicare il bordo posteriore del suo colletto, Mike non si era sentito mai più scomodo ed in imbarazzo che in quel momento.

Era voluto correre per primo a scuola quella mattina, pedalare lungo le strade della città da solo, senza i suoi amici al suo fianco, gustando il silenzio e il vento che sferzava i suoi zigomi arrossando le gote per il freddo.
Non gli importava di aver riposato poco o niente quella notte, non gli importava di aver sprecato preziosi minuti di sonno: quella mattina il piccolo Wheeler voleva davvero prendersela con calma e arrivare in orario per la prima lezione.
Ma sopratutto, voleva accorgersi una volta per tutte che quello del giorno precedente non era stato soltanto un bel sogno.

"...Lee
Stevenson
Smith
McNeawn..."

I nomi scorrevano sotto i suoi occhi lungo quell'elenco, lungo l'elenco dei partecipanti al corso che stava per iniziare a frequentare, il corso al quale si era iscritto da solo, per un mero frettoloso errore di distrazione.
Ma tra tutti quei cognomi sconosciuti associati a visi ancora più ignoti, Mike ne stava cercando solo uno, o meglio...due.
Se lo era solo sognato o era successo davvero?
La memoria lo aveva tradito o quella ragazza aveva detto davvero di frequentare anch'essa il suo stesso corso di...?

"...Thompson
Brown
....Wheeler e Hopper!"

Sul viso del piccolo nerd si aprì un sorriso spontaneo così grande che per un secondo i muscoli del suo viso dolettero per quella improvvisa tensione.
Eccola, anzi, eccoli!
Ecco i loro nomi, entrambi in quell'elenco e per giunta...vicini!
Era stato certo un caso, una dolce coincidenza ma sufficiente a far battere più forte il cuore di quel piccolo ragazzino sotto il tessuto del suo maglione di lana.

Era tutto vero, non se lo era immaginato!
Aveva fatto bene ad arrivare a scuola prima quella mattina!
Avrebbe avuto tutto il tempo per cercare l'aula con calma, prendere posto tra i primi banchi e vederla varcare la soglia con quel suo bel visino un po' sperduto, magari con indosso un altro vestito estivo e l'aria leggermente confusa tipica di chi non ha imparato ancora bene come orientarsi.
E sarebbe stato allora che la sua anima fiera avrebbe dato mostra del suo coraggio, sarebbe stato allora che con aria solenne e galante il piccolo paladino si sarebbe alzato in piedi da quel banco in direzione della sua dama, spalancato le labbra in un grande sorriso e detto....

Mike rimase bloccato, lì in mezzo al corridoio, le bretelle dello zaino sulle spalle ben strette tra le sue mani e un piede ancora in aria in procinto di toccare il suolo.
E poi...che cosa le avrebbe detto?
Il coraggioso cuore del paladino traballò, sentendo la gola prosciugata in un secondo e le gambe che si erano mosse da sole in direzione dell'aula di chimica tremare come fatte di gelatina.
Che cosa...che cosa mai avrebbe potuto dirgli Mike a quella ragazza di cui non sapeva neppure il nome?

"Ehm...ciao! Ti ricordi di me? Sono il ragazzo che ieri ti ha spinto e ti ha fatto cadere i libri a terra!"
Non scherzare Mike, pessimo inizio di conversazione...
"Ciao! Sono Mike, e tu ieri non mi hai detto il tuo nome!"
Coraggio ragazzo, puoi fare di meglio...
"Sta notte ti ho sognato sai? Correvamo insieme in un prato pieno di fiori belli e profumati come te e..."
Per la miseria, no! Mike, chiudi subito quella bocca!

Mike chiuse gli occhi, dipingendo sul viso una smorfia di disapprovazione e scuotendo forte la testa, fermo immobile in quel corridoio.
Non c'erano speranze, non ce l'avrebbe fatta mai.
L'unica cosa che sarebbe riuscito ad ottenere sarebbe stato che gli scoppiasse a ridere in faccia.
Chissà, magari non era neppure quella una brutta idea: magari era quel tipo di ragazza che ama i ragazzi che la fanno ridere...
E chissà che dolce che doveva essere il suono della sua risata: una risata così leggera, cristallina, adatta a quel piccolo, delicato e meraviglioso...fiore.

Mike sorrise, leggermente rincuorato, sistemando al meglio lo zaino sulle spalle e proseguendo nel corridoio, sentendo già il caldo del maglione pesante pesare sulla pelle del suo petto mentre i suoi piedi stretti nelle fedeli converse bianche al termine di quel paio di jeans neri percorrevano da soli la strada corretta verso l'aula al terzo piano attigua al laboratorio di chimica della Hawkins High.
Non avrebbe certo avuto difficoltà a riunirsi con gli altri nell'intervallo e avrebbe inventato una scusa banale per aver dato buca all'appuntamento al solito incrocio quella mattina.
O meglio, forse una scusa non sarebbe stata necessaria: Mike avrebbe dovuto semplicemente dire tutta la verità.

Non era forse arrivato a scuola prima quel mattino per arrivare in tempo alla prima lezione del corso di chimica alla prima ora, per raggiungere con calma l'aula, per prendere posto al primo banco come d'abitudine e per fare amicizia avvicinandosi a qualche compagno di corso con il quale condividere quelle due ore di solitudine settimanali, lontano dai suoi amici?
Quella era la verità, o meglio, la parte di essa che aveva deciso avrebbe raccontato.
Arrivare prima per fare amicizia con qualcuno, cosa avrebbero mai trovato quei curiosi dei suoi amici da protestare?!
E Mike Wheeler sembrava aver adocchiato un dolce viso nel quale investire quel suo primo tentativo, eccome se lo aveva fatto!

"Tentare di fare amicizia non è un crimine, Mike!" ripeté a se stesso salendo a passo svelto le scale, sentendo il cuore battere di eccitazione ed emozione ogni scalino superato:
"Magari anche lei sarà da sola, magari sarà perfino contenta di rivederti! Magari, chissà, forse..."

Ma le parole morirono perse nel blackout che si impossessò della mente di Mike un secondo più tardi, quando in meno di dieci passi si fu ritrovato di fronte ad un'aula dalle pareti bianche ricoperte di poster e tavole periodiche.
Allungò lo sguardo il piccolo Wheeler, ancora fermo sull'architrave della porta, incapace di fare un passo, passando in rassegna con gli occhi quell'ambiente nuovo ingombro di banchi posti in file ordinate di fronte ad un ampio bancone di piastrelle bianco latte usato come cattedra e rari compagni di corso già immersi nelle fitte chiacchiere di fronte alla finestra dalla parte opposta dell'aula, e sola, al primo banco, come se Mike l'avesse invitata lì di persona, lei era lì.

Lei, sì: era proprio lei!

Una piccola ragazza già china sui pesanti libri aperti sul banco a lei di fronte, ricci morbidi e baciati dal sole raccolti in una piccola mezzacoda dietro la testa con ciocche morbide a ricadere ai lati del colletto di una camicetta bianca infilata nella cintura di un'ampia gonna a vita alta a stampe di fiori gialli e viola, e infine, ai piedi, un paio di converse pulite. Bianche, identiche alle sue.
Mike non credeva di aver mai visto niente di più perfetto.

Non si era accorta di essere osservata, quella meraviglia che più quella di una ragazza aveva assunto agli occhi del nerdino la parvenza di un piccolo fiore.
Non si era accorta del paio di occhioni grandi e scuri che sognanti la stavano contemplando dall'altra parte dell'aula, neanche si fosse trattata di un quadro.
Non si era accorta di nulla quella bambolina, mentre mordeva distratta la punta di una matita tra le labbra rosse e con un dito intrecciava lentamente una ciocca di ricci ribelli vicino al suo orecchio, così assorta, così distante e immersa nella sua lettura di quel pesante libro di chimica.

Mike deglutì, sentendosi improvvisamente inadatto e perfino un po' ridicolo in quel maglione di lana che, mannaggia a sua madre, lo faceva sentire un ragazzino più piccolo che mai, lì, bloccato sull'architrave della porta.
Chissà se quella ragazzina avrebbe mai potuto immaginare quale miriade di sensazione riusciva già in lui ad evocare, mente Mike sentiva il cuore battere più veloce e i palmi delle mani immediatamente più umidi intorno alle cinghie del suo zaino sulle sue spalle.
Chissà se poteva immaginare quanto bella era la sua figura lì in quell'aula ancora semi vuota.
Chissà se poteva minimamente immaginare la voglia matta ed irrazionale che quel piccolo nerd sentiva dentro di sé di farsi a lei più vicino.

Sorrise il giovane Wheeler, passando una mano tra i suoi ricci incasinati nel vano tentativo di dargli un ordine: forse aveva ragione sua madre, avrebbe dovuto tagliarli e dare alla sua persona un aspetto più maturo, più ordinato, più concentrato, ma Mike non ci stette a pensare troppo quella mattina in quel corridoio quando, preso un ultimo respiro, allungò il primo passo all'interno dell'aula in direzione del primo banco, in direzione di quella ragazzina.
Era sola, non aveva nessuno seduto vicino a sé in prima fila: era forse quello un segno?
Anche lei non conosceva nessuno come lui alla prima lezione di quel corso?

"Forza Mike! Che vuoi che sia?! Vai lì, la saluti e molto semplicemente le chiedi se puoi sederti lì a quel banco vuoto accanto a lei. Forza Mike, ce la puoi fare! Vai, fatti valere e..."
"MIKE!! Ecco dov'eri finito! Mike!!"

Mike si bloccò già con un piede dentro l'aula, maledicendo quella voce in lontananza che certo in un'altra circostanza l'avrebbe fatto sorridere dalla gioia.
Si voltò lentamente verso quella fonte di richiamo in avvicinamento, ritrovando i sorrisi di Lucas e Dustin dall'altra parte del corridoio, le braccia alzate in segno di saluto, mentre gli studenti puntuali della Hawkins High già si accalcavano avvicinandosi agli armadietti lungo le pareti.
Il piccolo Wheeler sospirò, facendo di mala voglia un passo indietro e attendendo l'inevitabile arrivo dei suoi due migliori amici: lanciò un'occhiata dentro l'aula a quel primo banco, a quella ragazzina ancora china sui libri con i ricci morbidi a ricaderle ai lati del viso.
No, il posto accanto a lei era ancora libero, nessuno si era seduto ancora accanto a lei.
E Mike sperava di riuscire a defilare quell'amichevole distrazione abbastanza velocemente e senza troppe domande per conquistare quella postazione il prima possibile.

"Amico! Ma dove ti eri cacciato?!" cominciò Lucas allargando le braccia nella sua giacca di jeans con aria stupita.
"Ti abbiamo aspettato all'incrocio per un secolo e non ti abbiamo visto arrivare!"
"Pensavamo fossi malato!" continuò Dustin fissandolo curioso con i suoi occhi azzurri brillanti dietro una coltre di ricci biondi più fitti dei suoi,
"Ma poi abbiamo incontrato Nancy in macchina con Jonathan e ci ha detto..."
"...ci ha detto che eri uscito di casa presto ed eri già qui!" concluse Lucas con tono concitato, come quella fosse stata un'eventualità più che impossibile.

Mike sospirò, voltandosi verso i due amici ma seguendo con lo sguardo due ragazze passare davanti ai suoi occhi ed entrare dentro l'aula chiacchierando fitto:
"Ti prego non il primo banco, ti prego non il primo banco..."
"Mike! Ma ci senti?"

Il piccolo Wheeler distolse lo sguardo, incontrando gli occhi interdetti dei suoi due amici che lo fissavano come fosse stato contagiato da una curiosa malattia contagiosa.
"Stai bene, Mike? Hai una faccia..."
"Certo che sto bene! Perché tutti continuare a chiedermelo sta mattina?!" rispose scocciato Mike, passando una mano sul viso e stropicciando con le dita gli occhi caldi e stanchi per il poco sonno: perché tutte quelle inutili domande per fargli perdere tempo proprio in quel momento?
Non poteva semplicemente diventare invisibile tirando un dado da 10?

"Volevo solo arrivare in tempo per la prima ora, non mi sembrava un crimine!"
"Giusto! La prima ora!!" esclamò Dustin colpendolo con una pacca sulla schiena così forte da farlo tossire.
"Prima lezione del corso di chimica! Solo soletto, vero Mike? Ma non temere! Sono più che convinto che con il tuo fascino non avrai problemi a fare conquiste..." sorrise l'amico facendosi a lui più vicino con aria d'intesa,
"...già adocchiato qualche dolce pulzella come preda?"

"Ne avevo giusto una in mente prima che voi rompicoglioni arrivaste a frantumare le uova nel paniere.." aprì la bocca Mike per replicare, prima che un'altra voce nota facesse capolino richiamando l'attenzione dei 3 amici, uniti ad un paio di occhi verdi e vispi alle sue spalle.
"Mike ama arrivare prima a scuola la mattina? Molto bene! Qualcuno si è appena offerto per venirmi a dare una mano la mattina con la trasmissione!"

"Will, ti prego non ricominciare..." sussurrò Mike alzando gli occhi al cielo e muovendo il piede nervosamente.
"Sono qui solo per arrivare in tempo alla prima ora e..."
"Secchione già dal primo giorno, Mike! Così mi piaci!" rise Lucas con una gomitata d'intesa a Dustin al suo fianco,
"Ma prima di lasciarti andare: ragazzi, come ve la siete passata ieri pomeriggio in mia assenza?"

"Hai di fronte a te il futuro campione di Dig Dag!" rispose Dustin con tono solenne, facendo Will sghignazzare scuotendo la testa,
"Forse nei tuoi sogni, amico mio, finché ci sono in circolazione io!"
"Non avete speranza femminucce! Non vi illudete...la campionessa in carica resterò sempre e comunque io, rassegnatevi alla triste realtà!"

Lo sguardo di tutti gli amici si voltò all'unisono verso una voce femminile in avvicinamento lungo il corridoio, una chioma di capelli rossi raccolti in una coda alta sulla nuca e una felpa rossa oversize a coprire una figura sottile e atletica che correva lungo il corridoio nella loro direzione.
Mike sospirò, vedendo Max avvicinarsi al gruppo e allargando le braccia per cingere le spalle di Dustin e Will di fronte a sé:
"Vi è andata bene ieri solo perché non era presente la sottoscritta! Lo sappiamo entrambi come funziona con Dig Dag! Tornate a divertirvi con PackMan e gli altri video giochi del vostro livello nell'area bambini: chissà, magari potreste vincere un orsetto!"

"Amico, puoi prenderla e portarla via con te come ieri tutti i pomeriggi?" chiese Will in direzione di Lucas, facendo ridere all'unisono tutto il party a quella richiesta, tutti tranne Mike.
"Portala via e tienila distratta anche oggi ti prego, qualsiasi cosa steste facendo ieri pomeriggio..."
"Non credo sarebbe una così brutta idea, Byers..."
"Oh, stai zitto, stalker!"

Ma Mike non stava già più ad ascoltare il coretto dei 4 amici battibeccarsi e ridere forte accanto a sé.
I suoi pensieri erano già da un'altra parte, al di là della porta ancora aperta di fronte a sé, così come il suo sguardo perso ben oltre la chioma rossa di Max davanti al suo naso.
La ragazzina non si era alzata da quella sedia o mossa dalla sua posizione, continuando a leggere intensamente quel libro dalle righe fitte, portando di tanto in tanto con un gesto della mano una ciocca di capelli dietro l'orecchio per scoprire il profilo fine e la sua pelle liscia leggermente abbronzata: cavolo come era bella, come in uno di quei disegni a china di Will raffiguranti le maghe dei suoi racconti.
Non la perdeva d'occhio, non poteva permettere di lasciarsi sfuggire quell'occasione.
Doveva inventarsi una scusa e sfuggire quelle inutili chiacchiere il prima possibile senza dare nell'occhio, evitando domande imbarazzanti alle quali avrebbe avuto difficoltà a trovare risposta.

"Mike, ma ci stai ascoltando?!"
Mike abbassò lo sguardo di colpo, scuotendo forte la testa ed incontrando di fronte a sé quattro paia di occhi intenti a fissarlo con aria interdetta,
"Come? Io...?"
"Non hai sentito una parola, vero?" alzò un sopracciglio Max con aria divertita.
"Dove andremo a finire se anche tu non resti concentrato?!" scosse la testa Dustin con aria sconsolata,
"Cosa ne sarà della nostra compagnia se anche il suo paladino è già distratto dall'obiettivo principale dell campagn.."

"Sentite, devo andare!" tagliò finalmente corto Mike, scuotendo la testa e passando una mano tra i ricci sulla fronte.
Era inutile restare a prendere tempo con discorsi stupidi come quelli: pensassero cosa volevano i suoi amici, non aveva tempo di badare a loro.
Ancora un minuto di più e sarebbe iniziata la lezione e tutti i suoi sforzi per arrivare a scuola prima quella mattina sarebbero stati vani.
E quella era decisamente un'opzione non accettabile.
"Vi cerco in mensa ad ora di pranzo!"
"...Mike!"
"Devo andare, vi prego! O farò tardi al primo giorno!" concluse il piccolo Wheeler alzando le mani come per chiedere di non aggiungere altro, facendo un passo indietro e passando accanto a Will in direzione dell'ingresso dell'aula di chimica.

"Mike!" si sentì ancora chiamare dal suo migliore amico, ma Mike aveva più tempo per indugiare: che lo vedessero pure, che restassero pure lì fermi guardare!
Era il suo momento di buttarsi, era il momento di entrare in scena.
Era il momento di sfoderare il coraggio del paladino da troppo tempo dormiente lì dentro il suo petto.
Era il momento di entrare in giostra e conquistare un posto in prima fila nella tribuna d'onore accanto alla principessa più bella della contea.

*

Quando la ragazzina si imponeva qualcosa se lo imponeva e basta.
Decisione presa, capitolo chiuso.
Non aveva più senso stare a perderci tempo.

Era sempre stata molto testarda la piccola Eleven, e da quello che aveva intuito dal tono orgoglioso di suo padre sull'argomento, essere testardi non era per forza una brutta cosa, anzi era quasi un pregio per lei, lei che grazie a quella fortezza e convinzione aveva raggiunto in poco tempo obbiettivi che i suoi coetanei faticavano anni per conquistare.

Così, allo stesso modo, come per una lezione di storia da imparare a memoria o un esercizio di algebra da ripetete per tutta la notte fino a trovarne la soluzione, quando quella piccola si era imposta il mattino precedente di non pensare più a quel ricciolino distratto e carino che l'aveva urtata in corridoio nell'intervallo, la decisione era stata per lei presa una volta per tutte: quella sarebbe potuta essere per lei solo e soltanto una perdita di tempo, e le era stato insegnato che perdere tempo era roba da stupidi.
E lei non voleva essere una stupida.
Mai.

Aveva tirato un lungo sospiro la sera precedente la ragazzina, uscendo a passo spedito da quelle mura di cemento armato a sole già tramontato, così come tutti i pomeriggi, avvertendo ancora l'intenso odore di sangue sulla punta della lingua attraverso le sue labbra incurvate all'ingiù da quelle ore di autentico quotidiano orrore.
Era risalita sull'auto della polizia, sorridendo alla vista del suo papà addormentato sul sedile anteriore al posto di guida, con il solito cappello calato sugli occhi a proteggerlo dalla luce, così come tutti i pomeriggi.
Aveva atteso qualche secondo prima di svegliare quell'uomo gentile al suo fianco, approfittando di quel momento di solitudine per riprendere fiato, sentendo la testa già dolerle per lo sforzo e il fiato corto per il suo lavoro appena concluso dentro quel laboratorio.

Le era chiesto sempre di più, ogni giorno che passava, sempre più impegno, sempre più concentrazione, sempre più energia, sempre più linfa vitale, e la piccola si chiedeva spesso se sarebbe stata in grado di affrontare tutto dando sempre il massimo, ora che, iniziata la scuola, si era imposta di impegnarsi al massimo per rendere il suo papà adottivo fiero di lei.
Alzò lo sguardo oltre il parabrezza dell'auto, sorridendo alle prime pallide stelle che avevano iniziato a fare capolino nel buio di quel cielo.

Si sentiva un po' così anche lei al termine di quella giornata così intensa, così lunga, così importante e decisiva nella sua vita, senza che la piccola potesse capirne ancora appieno l'importanza in quel momento.
Si sentiva un po' così anche lei, timida ma luminosa, brillante come quelle stelle lontane e fragili ma in grado di inondare con la loro luce l'universo fino a lì, fino a fare sorridere una ragazzina come lei su quella terra, scaldando quel suo piccolo cuore tremante.

Sentiva nelle sue vene scorrere così tanta vita, così tanta energia, così tanta voglia di dimostrare il suo valore, così tanta voglia di brillare che quel cielo scuro riflesso nei suoi occhioni grandi non era nulla, nulla in confronto all'immensa esplosione di luce che si sentiva in grado di evocare, e non c'entravano nulla i suoi poteri quella volta.
Era lei quella luce, era lei quell'energia, era lei quella vita, un piccolo fiore cresciuto nell'asfalto ma in grado di fare invidia al più bel bocciolo di un campo.

Sì, ce l'avrebbe fatta, ci sarebbe riuscita, come tutte le altre volte, come le ripeteva sempre con occhi dolci l'uomo baffuto che ora dormiva profondamente al suo fianco sul sedile anteriore dell'auto della polizia.
Eleven aveva da sempre chi era pronto a credere in lei sul serio, per davvero, non solo quando si trattava di schiacciare con la mente una lattina o fare esplodere un altro muro di mattoni stendendo la mano di fronte a sé.
La piccola aveva trovato chi per davvero le voleva bene, chi davvero voleva e lottava per il suo bene e quella forza era qualcosa di così grande da farle credere che nessuno ostacolo protesse essere troppo insormontabile da non poter essere superato.

Aveva atteso a lungo in silenzio in quell'auto la piccola Hopper quella sera, perdendo lo sguardo tra le fronde degli alberi al di là del muro di filo spinato, scosse dal vento fresco che già iniziava a soffiare annunciando l'inevitabile fine dell'estate.
Ma neppure in quel momento, in quell'istante di silenzio e ti trasporto, la mente di quel piccolo fiore si era rivolta a quel ragazzino, a quei riccioli neri e a quella pelle pallida ai quali si era ripromessa di non ritornare, di rimuovere dalla sua mente e dalla sua memoria.

Era passato, fine della storia, un momento di debolezza per un secondo di follia.
Niente di così importante da meritare la sua distrazione.

E quel viso non era tornato a fare capolino alla porta della sua memoria nemmeno in seguito, nè quella sera chiusa nella sua cameretta con il libro sospeso dalla sua mente in aria di fronte al suo viso, e nemmeno quella notte di poco sonno e sogni agitati, come sempre.
Non ci aveva più pensato la piccola fino a quella mattina, arrivata tra le prime nell'aula ancora deserta, persa nel suo mondo a leggere la lezione del giorno che ancora doveva cominciare, dimenticato il resto intorno fino a quel momento, fino a quell'istante, fino al secondo nel quale Eleven sentì un paio di passi fermarsi di fronte a quel suo banco in prima fila, un brivido percorrerle la schiena come quando si è osservati intensamente da un paio di occhi attenti, fino a quando l'istinto non le suggerì di alzare finalmente lo sguardo da quel libro di fronte a sé, incrociando in un istante un paio di occhi grandi e scuri sorridenti sopra di sé.

"Ciao!" sorrise la sua personale visione di quella favola di Biancaneve, facendola deglutire e schiudere le labbra dallo stupore, vedendo quel ragazzo dalla pelle pallida puntinata da dolci lentiggini guardarla intensamente e con dolcezza, indicando con un gesto della mano il banco libero accanto a sé:
"Posso sedermi qui vicino a te?"

Buio.
Black out.
Saltate tutte le connessione.

La piccola Hopper si bloccò, rimanendo in silenzio per qualche secondo.
Era una domanda semplice, banale.
Avrebbe dovuto aspettarsela posta da qualcuno, essendo seduta accanto ad uno dei pochi posti rimasti ancora liberi in quell'aula ormai affollata.
Eleven ci aveva quasi sperato, aveva sperato che qualcuno le chiedesse il permesso di sedersi accanto a lei, magari una ragazza dal viso gentile, un'ipotetica nuova amica con la quale condividere le ore di lezioni, un compagno con il quale tirare una spunta immaginaria a quel punto dell'elenco delle cose da fare che ancora le faceva così paura:
"Fare amicizia"

La ragazzina ci aveva sperato sul serio, china sul suo banco, avvertendo gambe sconosciute passarle accanto senza fermarsi, prendendo posto nei restanti banchi nei minuti che passavo verso l'inizio della lezione, rendendo quell'attesa più lunga e se possibile ancora più dolorosa.
Perché nessuno si fermava a sedersi accanto a lei?
Perché nessuno la chiamava con tono gentile chiedendo il permesso di sederle accanto?
Forse era il primo banco a fare paura, ad incutere timore quel primo giorno di lezione, o forse era invero lei...era lei a incutere diffidenza e timore?

Aveva stretto forte la matita tra le dita con un sospiro, dicendo di essere paziente ancora una manciata di secondi ed imponendo alla sua mente di smettere di far tremare le gambe di quel banco sotto di sé per l'ansia e la frustrazione.
Un basso profilo, apparenza di normalità.
Ecco cosa le serviva in quel momento più di ogni altra cosa al mondo.
Non voleva essere né "la figlia del capo" né tanto meno "la strana", no, lei voleva essere semplicemente...lei.
Eleven, o meglio, Eleonoir, Eleonoir Hopper.
Poteva funzionare, doveva funzionare.
Doveva farla funzionare per forza.

E quando si era sentita chiamare da una voce all'apparenza sconosciuta, tanto ne era sepolto il ricordo nelle pieghe della sua mente, la piccola aveva alzato lo sguardo di colpo con un piccolo sorriso, sorriso immediatamente congelato alla vista di quale viso era associato alla voce che aveva richiamato la sua attenzione di fronte a sé.

Perché lui?
Perché proprio lui?
Perché proprio il viso che si era imposta di non pensare, il volto al quale si era ripromessa con la memoria di non tornare?
Perché proprio quel ragazzo il cui incontro il giorno precedente aveva riempito quel suo piccolo cuore di una miriade di contrastanti emozioni alle quali non sapeva ancora dare un nome?

Eleven aveva preso tempo, spostando lo sguardo veloce lungo i contorni di quel viso in attesa di fronte a sé: ecco di nuovo lì quelle labbra rosse e grandi, quegli occhi così intensi, così scuri, così grandi, quella fronte pallida sotto quella coltre di ricci neri all'apparenza così morbidi come la seta.
Chissà se erano davvero così morbidi come apparivano da lì...
Chissà cosa sarebbe successo se avesse allungato la mano un secondo fino a sfiorarli solo per....
Oddio Eleven no! Resta concentrata!

La ragazzina scosse la testa, abbassando il viso sul banco in un secondo e pregando che quel ragazzo non notasse il rossore che era sicura si fosse impossessata delle punte delle sue orecchie e delle sue guance.
Che diavolo ci faceva quel ricciolino lì?
Era uno scherzo?
Era una provocazione che la sua mente le stava ponendo per metterla alla prova?

Lo sguardo le cadde su quel libro, ancora aperto sul banco sotto di sé, dove una scritta in alto a destra ad intestazione della pagina la fece immediatamente riportate nella mente tutti i tasselli al loro giusto posto:
"Principi base di chimica per il liceo"

Giusto! Il corso di chimica! Quel corso di chimica! Il corso di chimica al quale quel ragazzo le aveva detto di essere iscritto anch'egli, prima che lei scappasse via lungo quel corridoio!

Fantastico, Eleven, fantastico...

"Buongiorno a tutti ragazzi! Prendete posto per favore!"
Una voce acuta e femminile fece calare immediatamente il silenzio in quell'aula al terzo piano, mentre gli occhi di tutti gli studenti venivano puntati in direzione della porta chiusa alle spalle di una donna alta e slanciata, dai lunghi capelli biondi raccolti in uno chignon laterale, della professoressa Leen che con un sorriso si diresse a grandi passi verso la cattedra, posando sul bancone una borsa da lavoro dal quale spuntava la manica di un camice bianco.

Eleven prese un respiro, risollevando lo sguardo sopra di sé, sbattendo lentamente le ciglia iscurite dal mascara e ritrovando lo stesso paio di occhioni in attesa, leggermente meno sorridenti e con una punta di preoccupazione in più:
"Mi dispiace..." rispose la piccola Hopper con un sorriso fintamente cordiale, vedendo quegli stessi occhi spegnersi di entusiasmo davanti a sé in un secondo.
"...questo posto è occupato"

*

"...ciao! Po...posso....posso sedermi vicino a te?"

Mike era convinto che il suono della sua voce fosse uscito dalle sue labbra abbastanza forte da poter essere udito, specie ad una così breve distanza, nonostante il tremolio delle sue labbra e quel tono tutt'altro che convincente.
Aveva sperato sul serio che non gli scoppiasse a ridere in faccia quel fiorellino, quando aveva atteso per secondi interminabili una risposta da quelle labbra rosse e morbide come due boccioli di rosa.

Aveva atteso il piccolo Mike una risposta, lì in piedi accanto a quel banco vuoto, le bretelle del suo zaino strette tra le mani e ricci lunghi ed incasinati impigliati tra le ciglia.
Aveva visto quella ragazzina esitare, passando e ripassando con lo sguardo ogni centimetro del viso, cercando di decifrare la sua espressione e sentendo un brivido a fior di pelle quando gli occhioni grandi e scuri di quella bambina avevano raggiunto i suoi, fondendosi in appena un secondo di fugace piacere.

Chissà cosa vedeva quella ragazzina davanti a sé, attraverso quegli occhioni grandi, chissà lo spettacolo che aveva di fronte le piaceva almeno quanto piaceva a lui il suo.

E quando la professoressa Leen aveva fatto ingresso nell'aula pochi istanti dopo, Mike si era quasi illuso di avercela fatta, di aver sconfitto il suo drago: quello era l'ultimo posto rimasto libero nell'intera aula e la lezione stava davvero per cominciare.
La risposta non poteva che essere scontata ormai a quel punto...non è vero?

"Si certo!" o "Accomodati pure" sarebbero state le due risposte che Mike si sarebbe aspettato, ma di sicuro non quella che raggiunse il suo orecchio, così ferrea e decisa, senza esitazione, tale da far spegnere in un secondo quel suo speranzoso sorriso:
"Mi dispiace, questo posto è occupato".

Avrebbe voluto rispondere il piccolo Wheeler in quel momento, magari insistere di più, o forse regalarle un ultimo sorriso un po' più doloroso, dicendo che non era niente, non era importante, sarebbe stato per il giorno dopo, ma non ci riuscì il piccolo Mike in quel momento, proprio non vi riuscì.

In un secondo fu inondato da un senso profondo di pesantezza, come se lo zaino sulle sue spalle fosse diventato immediatamente chili e chili più pesante, capace di schiacciarlo a terra, così come la rima esterna delle sue labbra che in un secondo furono spinte verso il basso a quelle semplici parole.

No, le aveva detto semplicemente no.

Mike aprì la bocca per replicare, ma le parole non uscirono dalla sua gola e quella che arrivò al suo orecchio fu invece una voce diversa, una femminile che alle sue spalle lo fece riportare alla realtà, ricordandosi dove si trovasse.
"Prendete posto per favore, tutti" ripeté la professoressa nella sua direzione, facendo il piccolo Mike arrossire stringendo tra di loro le labbra e sollevando lo sguardo oltre quella piccola graziosa figura di fronte a sé, lungo l'aula ormai riempita alla ricerca di un altro banco rimasto libero.

"Sono la professoressa Leen e vi do il mio benvenuto al corso di chimica!" iniziò la donna dietro la cattedra, muovendo qualche passo verso i banchi in prima fila.
"Sono felice di avervi tutti con me in questo corso e se avete tutti trovato il vostro posto a sedere possiamo cominciare"

Mike deglutì, allontanandosi di mala voglia da quel banco e dirigendosi a passi gravi verso il fondo dell'aula, verso l'unico altro posto rimasto libero nell'ultima fila, accanto ad un ragazzo alto e biondo che aveva tutta l'aria di aver varcato la porta di quell'aula per puro caso.

Mike sospirò, lasciando scivolare pesantemente lo zaino accanto al banco e lasciandosi cadere sulla sedia, il cuore ancora martellante sotto il maglione di lana per l'umiliazione, non potendo credere di essere stato così ingenuo da credere che potesse davvero essere fatta.
Gli aveva detto di no, ma cosa si era aspettato?!
Di sicuro non l'aveva riconosciuto, di sicuro non aveva riconosciuto il suo viso, non lo aveva avuto davanti a sé nella memoria come lui per tutto quel tempo.
Oppure forse era il contrario, l'aveva riconosciuto e l'aveva respinto proprio perché in lui aveva rivisto quel ragazzo distratto che le aveva fatto cadere a terra tutti i libri la mattina precedente.

Tornò a lei con lo sguardo il piccolo Mike, alla sua schiena avvolta in quella leggera camicetta bianca, ai ricci morbidi che ricadevano sulle sue spalle sottili e a quel profilo appena visibile dalla sua postazione al fondo dell'aula.
Quella ragazza era troppo, era troppo bella per lui, era un piccolo fiore, una rosa appena sbocciata che riempiva i suoi interi sensi con il suo dolce profumo.
E che cosa era lui?
Che cosa aveva visto lei quando aveva alzato lo sguardo pochi istanti prima sopra di sé?
Probabilmente un ragazzino timido ed imbranato, persino un po' ridicolo in quell'imbarazzante maglione di lana.
"Una faccia da rospo" come avrebbe detto quello stronzo di Troy, "un nerd senza speranza" come avrebbe riso di gusto sua sorella.

Un rospo contro un fiore.

Non c'era confronto, non poteva esserci una connessione, non avrebbe potuto esserci mai.

Di quella piccola rosa seduta sola al primo banco, Mike aveva l'impressione di non essere riuscito a coglierne quella mattina nient'altro se non le spine.

*

"La chimica è in ogni elemento, in tutto ciò che ci circonda! Riuscite ad immaginarlo, ragazzi? Provate a riflettere insieme a me per un momento!"

Le parole scorrevano veloci ed appassionate dalle labbra della professoressa Leen tra i banchi dell'aula di chimica al terzo piano della Hawkins High, catturando ed ammaliando le menti di quegli alunni seduti al di là di quei banchi, facendo spalancare gli sguardi di ammirazione, trattenere il fiato vinti da quella passione, dall'amore che emanava dagli occhi di quell'insegnante che da anni aveva fatto di quella materia la sua vita, la sua professione.

"Tutto ciò che vediamo intorno a noi è regolato da leggi chimiche antiche come l'universo, ci avete mai pensato? Dal banco sul quale siete seduti, al sole al di là di queste finestre, ad un fiore che sboccia in un vaso, alla matita che stringete in mano! Tutto è reale, tutto è materia e la materia è fondamentalmente...chimica!"

Ma qualcuno in quell'aula non stava seguendo quelle parole ispirate, qualcuno invero era stato già fin dal principio distratto, con la mente altrove, incapace di concentrarsi nemmeno per pochi secondi, così come di fermare la mano tremante stretta al bordo di quella gonna a fiori o di quei jeans neri e scuri sotto il banco.

"Sei un idiota, Mike Wheeler! Un vero autentico idiota"

"Ben fatto, Eleven Hopper, davvero un grande bel lavoro!"

Mike non riusciva a smettere di scuotere la testa, facendo ondeggiare i riccioli neri sugli occhi, così come non riusciva a bloccare il piede che presto avrebbe probabilmente scavato una buca sotto il banco nel pavimento.
Non stava nemmeno provando ad ascoltare quelle parole della lezione introduttiva, così come non aveva nemmeno tentato di presentarsi all'energumeno al suo fianco che, spalmato su quella sedia all'ultimo banco, sembrava sul punto di chiudere gli occhi e cadere tra le braccia di Morfeo lì al suo fianco.

Odiava l'ultimo banco, non era mai stato il posto per lui: odiava non poter seguire la lezione da vicino, non poter leggere bene cosa veniva scritto alla lavagna, odiava vedere le schiene dei suoi compagni nelle file di fronte e venir distratto da ogni minimo movimento, da ogni loro cambio di posizione.
Ma almeno, quella mattina, essere relegato per due ore di lezione in ultima fila permetteva al piccolo Wheeler di fare l'unica cosa sensata che invero sentiva l'urgenza in quel momento di fare: riflettere e pensare.

"Ti ha detto di no, Mike, ti ha detto di no! Fine, caput! Di che altra dimostrazione hai bisogno?"
"Tecnicamente non è corretto: non ha detto proprio di no, ha detto semplicemente che il posto era occupato..."
"Già, e tu vedi qualcuno accanto a lei ora a lezione iniziata?! Povero illuso, sei solo un'idiota, Mike..."

"Perché gli hai detto di no, Eleven? Perché?! Ti aveva solo chiesto di sedersi accanto a te, non di accompagnarti a casa per il resto dell'anno!"

La piccola non si dava pace, non riusciva a non pensare allo scambio di battute di poco prima, mentre, arricciando tra le dita una ciocca di quei capelli lunghi che ancora rappresentavano una grossa novità per lei, come sempre si ritrovava a fare quando era nervosa, tentava inutilmente di restare concentrata seguendo con lo sguardo i passi della professoressa di fronte al suo banco.

Ma la sua mente non riusciva a restare focalizzata, non riusciva nella maniera più assoluta.
Che cosa le era successo?
Lei non era mai stata così.
Non aveva mai detto una bugia, specie se immotivata, senza un fine.
Quel posto era occupato?! Ma sul serio?!
Ma poi da chi? Da chi?!

"Quel ragazzo è stato gentile a chiederti di sederti accanto e tu in questo momento non puoi proprio permetterti di fare la preziosa!"
"Vuoi restare da sola al primo banco per il resto dell'anno scolastico per caso?"
"Ci sarà rimasto male, ci ripenserà due volte prima di rivolgerti la parola di nuovo...ben fatto!"
"Hai perso la tua occasione di conoscere quello che poteva essere il tuo nuovo primo amico!"
"Ben fatto Eleven, davvero ben fatto!"

Mike si mise a sedere dritto, appoggiando i gomiti sul banco e la guancia su un palmo della mano aperta: da quel poco che riusciva a sentire, la professoressa stava parlando forse di una relazione, di uno scritto da consegnare per la lezione seguente la settimana dopo, ma per la prima volta in vita sua a Mike quasi non importava di aver segnato correttamente sul diario tutti i compiti per casa.

Sentiva una strana sensazione dentro di sé, qualcosa di forte, qualcosa di diverso rispetto al batticuore e al fiato corto che avevano caratterizzato le sue ultime ore, qualcosa di più profondo, più in basso, all'altezza del suo ombelico, uno strappo quasi doloroso e così dannatamente intenso.
Non si ricordava di averlo mai provato, ma non gli era allo stesso tempo del tutto nuovo.
Era una sensazione che lo portava lontano, indietro nel tempo e nello spazio di mesi e di chilometri fino a quella spiaggia, a quel tramonto in riva al mare, a quel paio di occhi azzurri che erano state l'ultima cosa che aveva visto prima di sentire esplodere come un fuoco d'artificio direttamente nella sua pancia, quando aveva regalato quel suo primo bacio a quella ragazza, lontano ricordo nella sua mente, che non lo aveva davvero mai più richiamato.

Ecco, quella.
Quella era la sensazione, esattamente quella.
Ma perché, perché la sentiva in quel momento?
Perché allora, in quell'aula affollata molto diversa dalla riva del mare?
Perché allora, dove invero nessuno stava appoggiando le sue labbra sulle sue e l'unico contatto che sentiva era la testa di quel ragazzo accanto a lui in ultima fila quasi addormentato con la testa sulla sua spalla?

"Che cosa ti succede, Eleven? Perché è diventato così difficile respirare?" si chiese la piccola Hopper portando una mano sul suo petto all'altezza del suo cuore sotto quella camicetta bianca.
Sentiva brividi scorrere veloci lungo la sua schiena facendola tremare, brividi a fior di pelle come quelli che aveva sentito prima ancora di alzare lo sguardo dal libro per ritrovarlo di fronte a sé.
Brividi, come se gli occhi di tutti fossero puntati nella sua direzione, puntati alla sua schiena.
O forse non era necessario che fossero gli occhi di tutti in quel momento, forse bastava davvero che gli occhi puntati alla sua schiena fossero solamente due, quelli giusti.
I suoi.

Eleven si voltò lentamente, fingendo noncuranza, seguendo le mattonelle rosse accanto al suo banco lungo quel corridoio tra le file finché i suoi occhi non ebbero intercettato le gambe metalliche dei banchi in ultima fila e accanto ad essi un paio di converse bianche identiche alle sue, tremanti ed in movimento come due trottole impazzite.
Fu allora che la ragazzina trattenendo il fiato si decise ad alzare lo sguardo più in alto, lungo quei jeans neri e quelle gambe magroline, fino ad intercettare un viso pallido e due occhioni spalancati come i suoi, puntati anch'essi nella sua direzione.

E anche lui era lì, a ricambiare il suo sguardo.
Anche lui era lì e la stava fissando.
Oh mio dio.

Mike distolse lo sguardo in un secondo, alzando gli occhi al soffitto bianco e fingendo inutilmente noncuranza:
"Perfetto, ora penserà definitivamente che tu sia un maniaco, o qualcosa del genere, che ha passato l'intera lezione a fissarla.
Di male in peggio, Mike! Di male in peggio..."

"Dio mio, Eleven, ti vuoi calmare?!" urlò a se stessa la piccola, sentendo il suo cuore fare un tuffo ed abbassando immediatamente lo sguardo a quel contatto visivo, rivoltandosi di scatto in direzione del suo banco, appena in tempo per vedere la professoressa Leen puntare lo sguardo dietro i suoi occhiali tondi nella sua direzione.

"Avete capito tutti ragazzi? "La chimica nella vita di tutti i giorni"! Almeno tre pagine, pronte per lunedì! La lezione è terminata e auguro a tutti voi una buona continuazione di giornata!"

"Dio Santo, finalmente!"
"Grazie!"

Mike scattò in piedi in un secondo, afferrando lo zaino ai suoi piedi e tirando indietro la sedia con un forte rumore stridente contro il pavimento.
Vide la ragazza fare lo stesso, al primo banco, chiudendo di scatto il pesante libro sul suo banco e chinandosi di lato a raccogliere lo zaino a terra, con un fluido movimento del busto che fece ricadere qualche ciocca di morbidi ricci a sfiorare leggeri il suo viso più rosso, lasciando Mike per un momento incantato e senza fiato.
Come si poteva essere così naturalmente belli senza bisogno di sforzarsi?

"Dovresti andare a chiedergli scusa, Eleven..." deglutì la piccola Hopper alzandosi lentamente in piedi, verificando prima che le sue gambe fossero davvero in grado di reggere il suo leggero peso in quel momento.
Non osava voltarsi di nuovo nella sua direzione, non osava farsi vedere di nuovo a ricercare con lo sguardo quei suoi grandi occhi scuri.
E che se ne fosse già andato?
Che fosse già uscito dall'aula facendo il giro opposto per non passarle accanto?

"Porca miseria Mike Wheeler, esci da quest'aula subito prima di fare un'altra sciocchezza! No, non esiste, non ti renderai ridicolo andando a parlarle di nuovo, te lo impedisco!"

"Magari potresti cercarlo dopo in corridoio, così, dopo aver ripreso un attimo fiato...non avevate gli armadietti vicini, insomma? Ma poi, per la miseria, che ti succede?! Perché dovresti avere bisogno di riprendere fiato?!"

"Basta Mike, ora ti avvicini e le parli!"
"...e che le dico?"

"Basta Eleven, ora te ne vai!
Esci da quest'aula, subito!"
"..e sei sicura che sia la decisione giusta?"

"...ciao!"

El rialzò lo sguardo lentamente, quasi trattenendosi dal sorridere per un secondo, notando solo ora la presenza di quel ragazzino riccio accanto a sé, il suo sorriso, non del tutto spento dalla sua risposta sgarbata di poco prima, sempre lì, sulle sue labbra, ad illuminare quel bel viso, per nulla alterato dal loro precedente scambio di battute.
"Wow..." buttò fuori l'aria la piccola abbassando lentamente le spalle e sentendo le sue labbra aprirsi leggermente dallo stupore,
"Qui non sei l'unica ad essere testarda, piccola Eleven"

"Ciao...di nuovo!" sorrise Mike alzando una mano in segno di saluto e sperando con tutto il cuore che il calore che sentiva bruciargli il viso non fosse notato attraverso la sua pelle così pallida e sottile.
"Ciao...!" sentì quel fiorellino semplicemente boccheggiare, gli occhioni scuri spalancati dalla sorpresa e dalla curiosità, non con un tono scocciato, non in un atteggiamento di difesa, ma piuttosto solamente di...sorpresa!
Ma sospesa di quella positiva, Mike ne era più che certo.

"Mi dispiace che la persona alla quale tenevi il posto ti abbia dato buca..." continuò Mike con un altro piccolo sorriso, indicando con un gesto della mano il banco rimasto vuoto al fianco di quella ragazzina in prima fila.
"...magari sta mattina non ha sentito la sveglia!"
"Devo essermi sbagliata io..." alzò le spalle la piccola Hopper regalando al ragazzino di fronte a lei il primo dei tanti sorrisi che avrebbero presto rappresentato la parte più bella di ogni sua giornata,
"...pensavo frequentasse con me questo corso, ma devo aver capito male!"

"Dio mio quanto sei bella..." si ripeté Mike un paio di volte nella mente prima di essere in grado di risponderle, non riuscendo a distogliere lo sguardo da quel sorriso così pulito, così perfetto, con le labbra rosse a contornare denti bianchi come la neve con due piccoli incisivi leggermente sporgenti sui lati.
Eleven rimase ad osservarlo, con aria divertita, trattenendosi dal ridere di quel ragazzino che difronte a sé la stava osservando in quel modo come se avesse appena visto una ragazza così da vicino per la prima volta in tutta la sua vita.
Sì, era decisamente buffo, forse un po' impacciato, ma in fondo gentile, e carino...così dannatamente carino.

"Grande!" esclamò Mike dopo qualche secondo, scuotendo leggermente i ricci sulla fronte come a riprendersi da un bel sogno, facendo scappare alla piccola una risata non più in grado di essere trattenuta sul punta delle sue labbra.
"Grande, ehm, cioè...voglio dire..." si corresse Mike abbassando lo sguardo a terra, sentendo le guance divenire ancora più calde e le gambe tremargli come a mancargli un appoggio fisso sotto i suoi piedi.
"Okay Mike, calma...riprova, così, con calma...riprova"
"Intendevo dire..." ricominciò dopo un sospiro, risollevando lo sguardo sul suo viso e tornando ai suoi occhi grandi ed attenti, in attesa di fronte a sé,
"Intendevo dire che se non frequenta questo corso potrei, non so...sedermi vicino a te la prossima lezione!" concluse tutto d'un fiato il piccolo Wheeler, sentendo il cuore trattenere con lui il respiro per un secondo, mentre le mani si stringevano d'istinto più forti intorno alle bretelle del suo zaino sulle sue spalle.
"Sai...io odio l'ultimo banco!"

Eleven sorrise, annuendo ancora prima di essersi fermata a ragionare, nonostante potesse sentire chiaramente vocine lontane alle sue orecchie urlarle che quella era decisamente, completamente una pessima idea.
Ma la piccola non voleva starle a sentire per una volta in quel momento.
Sentiva come se quella fosse l'unica vera risposta da dare a quella domanda, l'unica cosa sensata da fare, come se i suoi muscoli avessero già preso una decisione ancora prima della sua ragione, facendole muovere il capo in quel gesto di consenso che prometteva già molto in quel momento, molto più di quanto quella piccola avrebbe mai potuto immaginare quella mattina.
"Sì" era tutto quello che sentiva di dover rispondere a quel ragazzino dal viso sorridente in piedi di fronte al suo banco in quel momento.
"Sì...d'accordo!"

"Grande!!" esclamò di nuovo Mike, ancora più forte e con ancora più entusiasmo, facendo lei scoppiare a ridere senza più freni di una risata dolce e cristallina e il piccolo Wheeler arrossire se possibile ancora di più.
"Forte! Fantastico! Beh, in questo caso..." sorrise Mike portando una mano tesa di fronte a sé, incastrando i suoi occhioni scuri nei suoi, e pronunciando quelle parole una dopo l'altra lentamente, con una formula magica:
"...io sono Mike! Non so se ti ricordi, te l'avevo detto già ieri quando ti ho fatto cadere i libri vicino agli armadietti, insomma..." Eleven lo vide blaterare portando la mano libera dietro la nuca tra i suoi folti riccioli neri con un sorriso imbarazzato:
"Insomma, io sono Mike, Mike Wheeler...e tu?"

"Ti sta porgendo la mano! Come presentazioni ufficiali! Come ti ha insegnato papà! Come Edgar quando si presenta a Catheline la prima volta nel salotto di casa Earnshaw! Stringi la sua mano, Eleven, forza! Stringigliela e dille il tuo nome!"

"Sì, mi ricordo, mi ricordo di te e di ieri mattina..." rise la ragazzina allungando lentamente la mano in direzione della sua, fino a sentire una piccola scarica di elettricità percorrerle le dita quando i loro palmi si furono incontrati, sorridendo di quel primo semplice contatto, vedendo Mike non abbassare lo sguardo nemmeno per un secondo, ma le sua labbra aprirsi in un altro sorriso imbarazzato.
"Certo che si ricorda...ovvio che si ricorda idiota di un Wheeler!"

"Piacere Mike, io sono Elev.." iniziò la piccola con entusiasmo, troppo entusiasmo per non pentirsi immediatamente di aver parlato troppo in fretta, senza che un brivido la scuotesse lungo la spina dorsale, un brivido che quella volta non c'entrava niente, niente con quella sua mano che Mike ora stringeva nella sua, né troppo forte né troppo piano.
"Stupida, Eleven, stupida!"
"...Eleonoir, sono Eleonoir!" si corresse immediatamente, spalancando gli occhi e nascondendo l'imbarazzo dietro un altro grande sorriso,
"Eleonoir Hopper!"

"Forte! Mi piace!" sorrise Mike non dando segno di aver colto il lampo di terrore lampeggiato per un secondo nei suoi grandi occhi scuri.
"Ciao Eleonoir!"
"Ciao Mike!" ripeté a sua volta Eleven, abbassando di malavoglia la mano ed allontanandola infine dalla sua.

Scostò distrattamente lo sguardo intorno a sé, lungo le file di banchi e le pareti dell'aula ormai deserta, scoprendo con sorpresa di non essersi accorta che l'intera classe era già defluita nel corridoio per il cambio d'ora e che nemmeno la professoressa era più seduta alla sua cattedra, accorgendosi solo in quell'instante di essere rimasta davvero sola in quella stanza difronte a quel ragazzo gentile ma decisamente ancora a lei sconosciuto.

Un piccolo fremito partì dal suo cuore, mentre in un secondo lo stomaco le si contorceva in un mix di ansia e a tratti di paura.
E adesso...cosa doveva fare?
Dopo aver detto il suo nome e avergli stretto la mano...quale era la cosa giusta da fare?

"Stavo pensando..." sentì il ragazzino iniziare, abbassando lo sguardo alle sue converse bianche identiche alle sue, le une di fronte alle altre sulla mattonella rossa di quel pavimento rosso.
"Cioè, intendo, se ti va...se non hai già impegni o altre persone da aspettare, intendevo, ovviamente...ti piacerebbe..." lo sentì continuare mentre come se la bolla di sapone che l'aveva improvvisamente fatta lievitare fino a quel momento fosse fatta scoppiare di colpo in uno scoppio secco, come contro un filo d'erba su di un prato.
Eleven si trovò a deglutire, sentendo crescere l'ansia nel suo petto e il sorriso spegnersi sul suo viso.

Cosa le stava per chiedere?
Dove la voleva portare?
Perché era rimasta lì da sola con lui?
Eleven non lo conosceva, non sapeva nulla di lui se non il suo nome! Cosa le aveva sempre detto papà?
Di non fidarsi troppo degli sconosciuti...
E sopratutto, cosa ancora più grave, dopo aver detto il suo nome...cosa si doveva fare per fare amicizia?

"...mi chiedevo se tu, ecco...volevi unirti a me ed i miei amici per pranzo!"

Mike concluse quella frase con un sorriso, riprendendo fiato come se avesse appena scalato una montagna piuttosto che chiesto ad una ragazza carina di unirsi a lui ed ai suoi amici di lì a poche ore in sala mensa.
Non che lui fosse particolarmente avvezzo a quel genere di cose, ma quella mattina quasi non si riconosceva!
Non era mai stato un cuor di leone in ambito di conquiste il piccolo Wheeler, ma da dove proveniva tutto quell'imbarazzo?!
Che potere strano e non del tutto sgradevole aveva quella ragazzina sul suo respiro e sulla parola?

Rimase a fissarla, trattenendo il fiato, vedendola abbassare lentamente lo sguardo, stringendo le labbra tra di loro come se ci stesse pensando sù, soppesando la sua proposta, mentre nelle sue orecchie una voce martellante ripeteva la stessa frase come un'insistente ritornello:
"Ti prego dii sì! Ti prego dii di sì!"

"...non posso!" sussurrò infine Eleven con voce flebile e quasi impercettibile, rialzando su di lui lo sguardo e vedendo il suo sorriso spegnersi in un istante, come pochi istanti prima dell'inizio della lezione al suo rifiuto per il posto libero negato.
Ma anche quella volta non durò che un secondo, un veloce e appena percepibile secondo.

"Oh, non ti preoccupare!" rispose Mike con un altro dolce sorriso, scuotendo appena i ricci dalla fronte pallida e vedendo gli occhioni di quella bambina sciogliere la tensione a sua volta in un piccolo sorriso imbarazzato:
"Di no...ovviamente ha detto di no..."
"Magari la prossima volta, magari domani!" insistette Mike con una risata, sentendo il suo cuore accelerare sotto il suo maglione di lana, prendendo la rincorsa senza riuscire più a fermarsi per infine buttarsi nel vuoto in caduta libera, tirando il filo del paracadute e sperando si aprisse al primo tentativo, senza farlo schiantare a terra.

"Anzi, vuoi che ti accompagni alla tua prossima aula? Se vuoi ti posso fare compagnia fino alla prossima lezione..."
"...devo andare!" esclamò la piccola più rossa in viso, muovendo i piedi prima di fermarsi un secondo di più a ragionare, passando accanto a Mike fermo immobile di fronte a lei a seguire con lo sguardo il suo fluido movimento, dopo avergli sussurrato solo un ultimo e più garbato:
"Buona giornata Mike"

Mike restò con le labbra semiaperte e quell'invito sospeso proprio lì, sulla punta della lingua, non potendo evitare di prendere un profondo respiro, inspirando un'ultima boccata di quel dolce profumo di fiori emanato dalla sua figura fattasi a lui più vicina per passandogli accanto.
Rimase immobile il piccolo Mike, voltandosi confuso in direzione della porta e seguendo con lo sguardo la sua gonnellona a fiori volteggiare con lei uscendo dall'aula, senza voltarsi indietro nemmeno una volta, fuggendo a passo spedito, proprio come la mattina precedente lungo il corridoio.

...ma cosa aveva detto di male?
Aveva forse esagerato?
L'aveva forse spaventata?
"Idiota Wheeler, idiota! Non sei fatto per queste cose, non sei..."

Ma Mike scosse la testa deciso, stringendo le bretelle del suo zaino e dirigendosi a grandi passi attraverso l'aula deserta, fin sull'uscio della porta, voltando lo sguardo a destra e a sinistra lungo il corridoio, cercando la sua sottile figura ormai lontana.

"Ehi!!" avrebbe voluto urlare Mike, chiamandola lungo il corridoio, magari inseguendola e prendendola dolcemente per mano per trattenerla a sé un altro secondo soltanto.
"Ehi, aspetta! ..che ho detto?" avrebbe voluto chiederle anche solo per prolungare quel piccolo momento magico ancora per un istante, per continuare a sentire sotto il suo ombelico quello strappo così dolce e così amaro allo stesso tempo.
Se quello era ciò che provava standole solo vicino, Mike non poté non fermarsi a ragionare a quanto sarebbe potuto essere mille volte più magico allungare il passo lungo quel corridoio, trattenerla a sé per una mano e ritrovare davanti a sé i suoi occhi stupiti e bellissimi, avvicinare il suo viso al suo lungo assaporando il suo profumo di fiori per poi sfiorare con le labbra quelle sue.

Mike scosse la testa, stringendo le palpebre e dandosi nuovamente dello stupido, mentre alla sue spalle un paio di voci familiari già si avvicinavano rivendicando la sua attenzione.
"Mike! Mike!! Sempre l'ultimo ad uscire dall'aula eh? Mike! Di qua!!"
Ma Mike si concesse qualche secondo ancora prima di rispondere.

Sentiva scorrere nelle sue vene un calore stano, quasi irreale, come se una delle maghe dei suoi vecchi manuali di incantesimi si fosse divertita a scagliarli contro una fattura in grado di impedirgli di smettere di sorridere proprio lì, in mezzo al corridoio, nonostante la sua valanga di recenti brutte figure e un rifiuto bello e buono appena incassato da quel piccolo fiore del quale scorgeva solo più la chioma svolazzante già in discesa lungo le scale.

Eppure, Mike Wheeler, in quel corridoio al terzo piano della Hawkins High quella mattina, sorrise felice in direzione di quella ragazzina.
Sì, lui era decisamente un'idiota e sì, lei era decisamente un fiore troppo bello per essere colto da lui, ma Mike sentiva dentro quel suo piccolo cuore da paladino coraggioso crescere una forza così grande che avrebbe potuto sconfiggere davvero un intero drago.
Le aveva sorriso quella ragazzina, aveva sorriso proprio a lui! Ed era stato uno dei sorrisi più belli che Mike ricordava di aver mai visto in tutta la sua vita.

"Mi rivedrai presto, fiorellino, non ti libererai di me così facilmente..." sorrise felice il piccolo Mike, sentendo il cuore battere a mille sotto il suo imbarazzante maglione di lana, forte come mai prima, felice ed innamorato come mai prima.
"...non mi arrenderò per così poco, puoi stanne certa, piccolo fiore.
Se ogni rosa ha le sue spine e io non ho paura di pungermi con te".

*

Eleven aveva sempre amato la vita.
Lei che della vita aveva vissuto così poco.

Eleven aveva sempre amato circondarsi di cose vive.
Lei che per anni era stata l'unica cosa viva rinchiusa dentro quattro mura fredde come la morte.

Quella piccola era cresciuta come una meraviglia, potente come un uragano ma delicata e fragile come la rugiada del mattino su un petalo di rosa, come linfa vitale che scorre in un tronco sotto la corteccia, come un cielo buio d'inchiostro dove solo le stelle più coraggiose sanno avere la forza di brillare.
Ed Eleven era così, era stella in grado di brillare nell'oscurità, era fiore selvatico con la forza di bucare l'asfalto per raggiungere la luce.

L'aveva capito subito lo scorbutico capo della polizia di Hawkins, fin da quando aveva posato gli occhi su quella creatura, anni prima lungo quel corridoio semi illuminato.
Dietro quella corazza di dolore e paura aveva visto un piccolo cuore che batteva, che gridava la voglia di essere amata e di amare.
Che urlava di vita, che urlava d'amore.
Un cuore puro, intonso ed immacolato, il cuore di una bambina che lo aveva portato per un istante indietro nel tempo a ricordi così dolorosi da poterci affogare.
Aveva rivisto in quella piccola senza capelli e vestita di stracci che si dimenava tra le sue braccia la sua piccolina, la bambina che come lei avrebbe avuto la forza di brillare prima che un altro tipo di buio la inghiottisse.
Un buio freddo e glaciale, il buio che non si può sconfiggere.
Il buio eterno della morte.

E Hopper aveva giurato quella sera che avrebbe fatto di tutto perché quella piccola luce che ancora brillava in fondo a quegli occhi scuri non si spegnesse, perché non calasse il buio anche in lei, perché le tenebre non la portassero via, lei troppo piccola e fragile per aver già accumulato sulle spalle tutto quell'orrore.

E così, il capo della polizia, quella notte di pioggia, l'aveva portata via.
L'aveva portata a sorridere, a respirare, l'aveva portata alla luce.
L'aveva portata a vivere.

Eleven si grattò distrattamente la punta del naso con la gomma della matita che ancora stringeva tra le dita della sua mano, passando per la quarta volta gli occhi sulla stessa riga di resto, senza capirne per l'ennesima volta la benché minima forma di senso.
Sospirò, aggrottando la fronte contornata da alcune ciocche morbide ricadute dallo chignon basso sulla sua nuca, la sua acconciatura "da studio concentrato", anche se di concentrato il suo studio quella sera non aveva che la mera forma estetica.

Si sentiva stanca, anzi, la parola giusta era "sfinita".
Si sentiva sfinita, prosciugata, come sempre quando tornava a casa la sera, come sempre quando tornava a casa la sera da lì, dalla sua quotidiana porzione di morte da contrastare con la vita.
Un brivido la scosse, anche lì, in quella stanza, in quel piccolo spazio del suo mondo circondato da tanta vita e da colore intorno a sé.
Ma mai, mai sufficiente.
No, il pensiero di quel posto, di quei corridoi infiniti, di quei due occhi glaciali che la osservavano, capaci di leggerle dentro, di piegare le sue poche difese alla sua crudele volontà non potevano non far accelerare il battito del cuore anche lì, in quella casa, in quella sera appena rientrata a casa, scappata dall'incubo ancora una volta, capace di pronunciare, ancora per un'altra sera, "Basta, fino a domani".

Si alzò in piedi la piccola Hopper, rinunciando definitivamente a tentare di restare concentrata sui libri in quel momento, abbandonando la matita tra le pagine del libro aperto ed avvicinandosi all'ampia finestra difronte a sé, quella che dava direttamente sull'esterno, su quella piccola radura del bosco, sulla sua piccola porzione di quotidiano paradiso, su quel prato ricoperto ogni giorno, ogni stagione di variopinti e profumati fiori.

Eleven aveva sempre amato circondarsi di vita e, certo, quei piccoli amici colorati erano stati da subito i suoi preferiti.

Si avvicinò lentamente ad uno dei tanti vasi appoggiati al davanzale della finestra, allungando una mano di fronte a sé ed accarezzando con dita leggere i petali di un girasole, avvicinando di più il viso e chiudendo gli occhi, inalando profondamente quel dolce aroma.
Sorrise la piccola riaprendo lentamente gli occhi di fronte a sé, a quel piccolo fiore dalla corolla ormai più scura e dai grossi petali gialli come il sole leggermente raggrinziti al lati sotto le sue dita.

Oh sì, l'estate era davvero finita e con essa, la stagione di quei bei fiori gialli in grado di trasmetterle tanta allegria.

Spostò la mano alla sua destra, in direzione di un piccolo annaffiatoio metallico appoggiato accanto ad un vaso pieno di altre corolle colorate e profumate.
Deglutì colta da un'improvvisa tristezza quando, inclinando lentamente l'annaffiatoio in direzione della terra morbida dentro il vaso, gli occhi le caddero lì, su quella scritta, su quel tatuaggio impresso nella sua pelle da prima che le fosse donata la memoria, quel segno da sempre lì in bella vista a ricordarle che se tutte le forme di vita hanno un loro ordine preciso in quel mondo, anche a lei ne era stato imposto uno, come un numero, 011.

Scosse la testa, ripromettendosi di non cedere al buio e a quei pensieri di dolore: la vita sarebbe sempre stata più forte della paura.
E lei era più forte, più forte di tutto quell'orrore.
Da anni, Eleven, era più che un numero.

Sospirò, ammirando i mazzetti di lavanda e tulipani colorati posti ordinati nei vasi dietro la testata del suo letto, senza smettere di sorridere, senza smettere di sentirsi così viva.

La vita che si prende cura della vita era uno spettacolo della natura che non avrebbe mai smesso di farla sorridere.

Quelle piccole colorate meraviglie, piantate nel morbido terriccio o a riposare in eleganti vasi di vetro, riempivano da anni ogni mensola ed ogni angolo della sua camera, e con essi, con la lenta progressione ritmata della vita e della morte, la ragazzina seguiva attorno a sé il flusso lento delle stagioni.

In primavera le peonie e le calle, in autunno le gardenie, le orchidee ed i tulipani, così come in estate l'ibisco e le dahlie e persino in inverno la lavanda e la camelia.

Tutto aveva un suo posto, tutto aveva un colore, una precisa collocazione, uno scopo.
E la piccola Eleven, in tutta quella magia, in quella miriade di colori che illuminavano le sue giornate e profumavano la sua sottile figura, sentiva di avere anche lei un posto in quel piccolo mondo.

E chissà, presto avrebbe potuto capire appieno anche lei quale era il suo.
E chissà, magari quel compito assegnato per casa, quella ricerca della quale aveva sentito di sfuggita la professoressa Leen parlare, "La chimica nella vita di tutti i giorni", avrebbe proprio potuto trattare di quello per lei: dei suoi cari ed amati piccoli fiori.

"Kiddo! È pronto in tavola! Mi raggiungi?"
"Arrivo, papà!" urlò la piccola attraverso la porta in risposta, lasciando che la sua camicia da notte volteggiasse leggera dal cuscino per qualche secondo, prima di infilarsi intorno alla sua magra figura con le braccia alzate al cielo.
Sì, stava cercando di adattarsi, di annullare appieno i suoi poteri quando si trovava là fuori, ma a casa no, nel segreto della sua camera no: c'erano comodità alle quali El non avrebbe mai potuto rinunciare.
Mai.

"Prosciutto e formaggio, la tua preferita" sorrise Hopper appena la vide sedersi a tavola sulla sedia vuota di fronte a sé, allungando un coltello a tagliare una fetta di quella torta ancora fumante in mezzo al tavolo.
"Vorrei prendermene i meriti, ma temo sarei poco credibile..." sussurrò il capo della polizia, allungandola verso di lei, facendola ridere con occhi dolci e lasciando cadere la fetta nella ceramica chiara del suo piatto.
"...questa me l'ha portata lei oggi in centrale...l'ha fatta lei per noi"
"Ha un aspetto squisito!" sorrise Eleven addentando la prima forchettata e guardando quel viso leggermente più rosso ma immensamente felice,
"E salutami Joyce quando la rivedi, papà"

"Sarà fatto piccola, senza ombra di dubbio" sorrise lo sceriffo, assaporando a sua volta un primo assaggio di quello sformato preparato da mani tanto gentili e tanto amate.
"Allora..." la piccola lo sentì iniziare, risollevando su di lei uno sguardo dolce, curioso e allo stesso tempo lievemente preoccupato:
"...non mi hai ancora raccontato niente di oggi! Sempre tutto alla grande come il primo giorno?"

"Sì! Tutta alla grande!" si affrettò a rispondere Eleven annuendo energicamente, pronunciando quella risposta con entusiasmo, fin troppo entusiasmo perché non potesse apparire più che forzata.
E all'orecchio attendo del capo Hopper quella risposta non passò indifferente, e in un secondo la piccola si trovò a deglutire amaramente, vedendo sollevarsi su di lei un paio di occhi chiari seri e concentrati, alla ricerca dei suoi ugualmente grandi, più scuri, ma sempre troppo sinceri per riuscire a mentire proprio a lui, proprio al suo papà.

"Kiddo...che succede?"
"Niente, papà, niente!" sospirò Eleven abbassando lo sguardo ed infilzando rumorosamente un altro boccone di torta nel suo piatto.
"È tutto a posto, davvero! Sono solo..."
"...stanca?" concluse la frase l'uomo di fronte a sé, alzando un sopracciglio con aria scettica e tratti divertita.
"Come eri stanca ieri?"
"Papà..."
"Kiddo..." sospirò Hopper appoggiando i gomiti accanto al suo piatto, facendosi più vicino e allungando una mano verso di lei sulla superficie liscia del tavolo.

"Non devi dirmi le bugie, piccola...lo sai: le bugie sono stupide e noi non.."
"...noi non siamo stupidi" rispose Eleven con una piccola smorfia, concludendo quella frase note, sentita e risentita pronunciare da quelle labbra almeno un centinaio di volte.
Risollevò lo sguardo di fronte a sé, a quell'uomo che da anni era diventato l'intero suo mondo, l'uomo che l'aveva accolta nella sua casa, le aveva dato un letto vero, dei vestiti puliti, un sorriso ogni mattino ed un abbraccio ogni sera prima di andare a dormire, l'uomo che le aveva dato un motivo per continuare a camminare, a vivere ogni giorno, giornata per giornata, che aveva ceduto in lei prima ancora di se stessa, l'uomo che per primo aveva visto in lei molto, molto di più di un semplice topolino da laboratorio.
L'uomo che anni Eleven era felice e fiera di poter chiamare papà.

"Va tutto bene, davvero..." ripeté lentamente scuotendo la testa e volgendo lo sguardo al soffitto di quella piccola casa nel bosco per prendere fiato e ricercare coraggio.
Sì, ne valeva la pena, avrebbe sempre valso la pena fidarsi di lui.
"...solo che...ecco, non sono ancora riuscita a completare l'ultimo punto...a completare l'ultimo punto dell'elenco, papà"

"L'elenco?" alzò entrambe le sopracciglia Hopper, ricambiando lo sguardo con occhi spalancati di sincera incedibilità.
"Quale elenco, piccola?"
"L'elenco delle cose da fare, quello che mi hai scritto tu, quello per il primo giorno..." sospirò la piccola riabbassando gli occhioni sul suo piatto, sulla torta che d'un tratto non sembrava più così appetitosa in quel momento.
"Non sono riuscita a completare l'ultimo punto, quello che diceva...fare amicizia.."

Eleven vide quell'uomo gentile tirare un sospiro, sciogliendo la tensione e regalandole il sorriso più grande che la sua bocca piena poté concedere in quel momento.
Rimase a fissarlo, sorridendo leggermente a sua volta e stendendo la mano davanti a sé a raggiungere la sua ora aperta verso di lei su quel tavolo:
"Piccola, tu non devi, non devi preoccuparti...era solo un elenco, era quasi un gioco per aiutarti! Non devi sentirti triste solo perché..."
"Non ancora fatto amicizia, papà..." sussurrò con un filo di voce la ragazzina nascondendo il viso più rosso verso il basso, le dita più strette intorno a quelle del suo papà e gli occhi a pizzicare leggermente facendole prudere il naso.

"Io...io non so come si fa amicizia"
"Non è niente di difficile, kiddo! Niente che ti debba fare paura!" scosse la testa Hopper, stringendo a sua volta più forte la sua piccola mano nella sua.
"Hai affrontato cose di gran lunga peggiori e le hai sempre vinte tutte, dalla prima all'ultima" continuò sorridendo e vedendo il viso della piccola risollevarsi timido di fronte a sé.
"Fare amicizia non è proprio nulla di difficile, credimi!"
"Ma io non so cosa dire! Non so cosa fare!"
"Tu comincia con il dire il tuo nome..."
"E dopo?"
"E dopo semplicemente...si parla!" rispose Hopper con un gesto della mano.

Certo condivideva le sue paure: Jim Hopper non era mai stato la persona più cordiale e amichevole del mondo e certo non si sarebbe aspettato mai di dover dare consigli di questo genere proprio lui in vita sua.
Eleven spalancò stupita gli occhioni di fronte a sé, regalando al padre adottivo un'espressione buffa che a stento non lo fece scoppiare a ridere.
"Si...parla?
"Sì, si parla, kiddo! Si parla!"
"E di che cosa?!"
"Non saprei...ad esempio di quello che ti piace, delle passioni in comune!" rispose lo sceriffo scuotendo le spalle, sperando che quel piccolo sconclusionato discorso fosse davvero in grado di poterle portare in futuro qualche frutto decente.

Certo la vita al liceo sarebbe stata più semplice per quella piccola bambina se avesse avuto accanto qualcuno a farle compagnia sempre, ma il capo sapeva bene che, in amore come in amicizia ed in quel genere di cose, tutto aveva il suo tempo, non era il caso di metterle fretta.
Sarebbe successo anche a lei, si sarebbe fatta anche lei degli amici: era stupido preoccuparsi per lei di qualcosa che non si poteva controllare.
Sarebbe stato come impedire al fumo di disperdersi nell'aria.
"Hai già conosciuto qualche compagno carino e gentile al quale ti sei presentata?"

A quelle parole, la mente della ragazzina volò in un secondo indietro lì, in quell'aula dove quella mattina aveva stretto una mano per le presentazioni per la prima volta.
Sì, a dire il vero qualcuno di gentile c'era, qualcuno di forse un po' distratto ed imbranato ma sicuramente gentile.

"Sì...qualcuno ci sarebbe..." sorrise Eleven senza poterne fare a meno, rivedendo di fronte ai suoi occhi quegli stessi occhi grandi e dolci, quel sorriso luminosi e quelle guance rosse di imbarazzo e dolcezza sotto quei puntini scuri fitti fitti.
Sì, qualcuno c'era e non qualcuno qualsiasi, finalmente la piccola gli poteva dare un nome:
era Mike quel ragazzino che da due giorni la piccola non riusciva più a togliersi dalla testa.
Mike, Mike Wheeler.

"Ottimo! Comincia da lì!" esclamò il capo, annuendo incoraggiante e facendola tornare indietro alla realtà,
"Cerca questa persona domani nell'intervallo...parla, non lo so...di quali sono le vostre materie preferite!"
"Funzionerà, papà?" chiese Eleven titubante, vedendo i baffi di quell'uomo fremere ancora in un ultimo caldo sorriso.
"Funzionerà, funzionerà di certo! E se non dovesse funzionare, riprova con l'altra compagna! Vedrai, non devi avere fretta...fare amicizia è facile e divertente e presto troverai anche tu qualcuno da chiamare amico!"

"Qualcuno come Joyce per te, papà?" chiese la piccola con candore, facendo arrossire quell'omone grande e grosso e tossire per non mandare traverso un boccone.

"Sì..." Eleven confusa lo sentì annaspare, dopo aver ripreso per qualche secondo fiato.
"Sì, kiddo...qualcuno così!"

📼🌼
Salve!
Eccoci, un nuovo capitolo, un nuovo incontro e la loro prima reale interazione🎆
Mi sono divertita molto a scrivere questo capitolo e mi sono forse fatta prendere un po' la mano🙈 è uscito decisamente molto, molto più lungo di quanto mi sarei immaginata, spero non sia stato noioso!🤗
Preparatevi, da qua inizia la storia, la loro❤
Siete pronti?
A presto,
Ari

P.s. questo è il primo "capitolo musicale" che vi presento, così vorrei spendere due parole per spiegarvi in cosa consiste.
Ci saranno capitoli da qui in poi particolarmente ispirati al testo, alla melodia, al significato di alcune canzoni in particolare, canzoni 80's per lo più, contemporanee ai Mike ed El di questa storia.
Il titolo del capitolo sarà quello della canzone e vi scriverò titolo ed autore all'inizio del capitolo!
Vi consiglio in questi casi di ascoltare la canzone prima/dopo/durante la lettura del capitolo e, se interessati, potete trovare tutte le canzoni (e molte altre) su Spotify nella playlist "Let me Love you" di Arianna Gava.
Spero vi piacerà🤗

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