50.He's Gone

📼🌼

Una luce strana aleggiava sopra i tetti delle case della cittadina di Hawkins nell'Indiana quella sera.
Una sera di fine maggio dell'anno 1986.

Si sarebbe potuta dire una serata non diversa dalle altre, ad essere sinceri, anonima e tranquilla come tutte le altre in quella cittadina dove, da quando era stato creato il mondo intero, non era mai successo nulla di nuovo e degno di nota. 

Mai nulla a scuotere la sacra quiete pubblica.
Mai nulla da dare a parlare al ferramenta sul viale principale del centro, all'istruttore della nuova palestra dalla insegna colorata giù al Mall, al fruttivendolo all'incrocio, o all'edicolante a lamentarsi ancora, dopo anni di lavoro, che nessuno leggeva più i suoi quotidiani come una volta. 

Eppure, qualcosa stava per succedere quella sera nella piccola cittadina di Hawkins, nella periferia della grande metropoli. 
Qualcosa di forse non così eclatante come avrebbero voluto in tanti, di come avrebbero voluto tutti. 
Qualcosa da non finire in prima pagina o nei notiziari dell'ora di cena alla tv, ma di ugualmente importante e degno di nota. 

Qualcosa all'intero di quell'apparentemente tranquilla città stava per succedere davvero: qualcosa stava succedendo invero già da molto tempo, già da molto prima di quella sera.
Qualcosa stava succedendo sotto gli occhi di tutti da molto tempo prima: da anni, ed anni prima. 

Da anni, anni ed ancora anni, sotto gli occhi di tutti, da sempre troppo miopi per riuscire ad accorgersi di qualcosa che potesse andare al di là del loro quieto, tranquillo vivere. 

Qualcosa di troppo complesso, qualcosa di troppo irrealistico, qualcosa di orribile, qualcosa di mostruoso

Qualcosa stava succedendo da anni sotto gli occhi di tutti, qualcosa stava per succedere ancora una volta anche proprio quella sera. 

E Mike Wheeler avrebbe desiderato gridare quel 'qualcosa' a tutto quell'ammasso di persone intorno a lui dentro la palestra della scuola in quel momento. 

"Andiamo, è ora…"
"…per di qua!" 

Avevano chiuso la porta dell'aula di chimica alle loro spalle i due ragazzini, imponendosi silenziosamente di non chiedersi l'un l'altro se mai l'avrebbero riaperta di nuovo insieme, così vicini. 
Avevano percorso i corridoi in silenzio, sfiorando con lo sguardo e con la punta delle dita i loro armadietti lungo il corridoio del secondo piano silenzioso e deserto, così come il resto dell'intera scuola, svuotata di studenti e delle consuete campanelle di inizio e fine lezione. 

Avevano varcato nuovamente le porte a vetri della palestra il paladino e la sua principessa, accolti dalla musica allegra e dalle luci colorate della festa, peggio di uno schiaffo in faccia beffardo e maledetto, facendo stringere il pugno lungo fianco del ricciolino di rabbia e tensione, ancora di più. 

Cosa avevano mai da festeggiare quella sera tutti? 
Cosa era mai successo quella sera degno di nota per stare meritando tutta quella attenzione? 

Che cosa era successo nessuno lo sapeva, non serviva a nessuno di quei liceali senza cervello un pretesto per passare una serata leggera a far festa come quella. 

Erano le cose più importanti quelle che nessuno di loro sapeva. 
Erano le verità così nascoste ma allo stesso tempo così visibili quelle a cui nessuno stava prestando la giusta attenzione. 

Nessuno sapeva quello che stava per succedere, forse nemmeno lui stesso. 
Ma avrebbe avuto voglia di mettersi ad urlarlo lo stesso proprio lí in mezzo a tutti. 

Fermate la festa, fermate la musica. 
Fermate gli orologi ed il tempo, fermate tutto! 

Impediteglielo.
Non fate in modo che loro la prendano: fate in modo che tutto questo sia solamente un brutto incubo! 

"Eccovi, siete qui!" 
"Ragazzi..sono le 11 esatte, in punto…"
"Dobbiamo andare…"
"El, ci sei? Sei pronta?" 

El aveva annuito. 

Lei era pronta. 
Lei era sempre stata pronta. 

Il suo fiorellino aveva sempre saputo a che cosa andava incontro: aveva avuto tutta la vita per saperlo e per scoprirlo…ma invece lui? 

Perché nessuno chiedeva a lui se era pronto?
Perché nessuno chiedeva a lui se era pronto a lasciarla andare e a correre quel rischio? 
Perché nessuno chiedeva a lui se stare per lasciare andare l'amore della sua vita fosse qualcosa per cui si sentiva anche solo lontanamente pronto?

"Mike? Ehi, ci sei? Andiamo!" 

Aveva seguito il gruppo di amici il nerdino dai riccioli neri, come un automa, percorrendo l'intera pista da ballo al centro della palestra, facendosi largo tra i loro coetanei dai volti noti o sconosciuti, sotto le note di una beffarda 'Every breath you take' che non avrebbe mai potuto essere più fuori luogo di così in quel momento. 

Every breath you take. 
Ad ogni tuo respiro. 

Ad ogni suo respiro, Mike sentiva come se una palla di piombo lo stesse violentemente schiacciando contro il suolo: proprio lí incastrata tra il suo sterno ed il suo stomaco. 

"Per di qua…"
"Andiamo!" 
"…veloci!" 

Aveva seguito la gonna bianca di tulle della sua principessa il paladino, come una nave il suo faro nella notte tra le onde, non fingendo nemmeno più di non aver paura, tanto sarebbe stato del tutto inutile. 

Non fingendo nemmeno uno sguardo diverso da quello che aveva già sul viso, quando, da lontano, con la coda dell'occhio, gli parve per un secondo di scorgere il profilo di sua sorella Nancy osservare preoccupata nella sua direzione. 

Non gli importava più di loro.
Non gli importava più niente. 

Non avevano capito nulla per anni, come poteva sperare che capissero qualcosa ora? 

"Il dottore pazzo ha detto nel cortile sul retro? Non è vero?" aveva domandato inutilmente Dustin una volta usciti sul retro della palestra, nel buio della notte, davanti al campo di atletica semi-invisibile di fronte a loro. 
Nessuno dei nerdini, schierati in fila come coraggiosi soldatini, con i loro vestiti eleganti da ballo ancora indosso, aveva osato risponde o proferire parola. 

"Se non qui, dove Dusti-Bon?" aveva mormorato soltanto Max in risposta, abbandonato il tono di scherno e di risa, da sempre suo distintivo in quel genere di situazioni. 
Ma non ora. 

"Verrà da solo?" aveva mormorato il piccolo Byers deglutendo nel buio, muovendo lo sguardo incerto fino al fiorellino immobile accanto a lui, vedendolo scuotere lentamente i ricci morbidi sopra le spalle nude. 
"Ne dubito…" la vocina di El era giunta alle orecchie di Mike come spilli nella carne viva, come se tutta la sua presenza fosse diventata per lui decisamente troppo dolorosa in quel momento.

La sua vista, il suo odore, la sua voce: come poteva anche solo osare pensare per un singolo minuto che quello sarebbe stato l'ultimo momento per averla così vicina a lui? 
Così vicina e così…viva

"Ne dubito…papà non viene mai da solo" 

"Ci dividiamo e diamo una perlustrata qui intorno?" aveva chiesto Lucas con tono risoluto, girandosi verso la restante parte del gruppo e vedendo la rossa scuotere la testa di tutta risposta:
"Siamo ancora in tempo a prenderli alle spalle se ci muoviamo in fretta…siamo ancora in tempo a prenderli di sorpresa se…" 
"No, Lucas…"

"No…" aveva scosso la testa a sua volta la piccola principessa, respirando silenziosamente, alzando ed abbassando il suo petto e muovendo un passo in avanti di fronte a loro, puntando il dito ai primi alberi del bosco lungo il perimetro della scuola. 
"Non serve dividerci per cercarli…loro sono già qui! Loro sono già lí, li posso sentire…" 

Aveva abbassato lo sguardo Mike, fissandola attraverso i ricci neri ricaduti sui suoi occhi, vedendola scossa per secondo da un piccolo brivido lungo le braccia nude. 

Un piccolo brivido non di freddo, ma di paura. 
Invisibile a tutti, ma non per lui.
Dio quanto avrebbe voluto correre ad abbracciarla anche in quel momento, proteggerla da tutto quell'incubo a cui stava andando così inesorabilmente incontro. 

La vide voltarsi lentamente verso di loro, contro il buio della notte e la luce strana della Luna.

Luna piena, anche quella notte.
Non aveva mai portato loro fortuna. 

"Loro sono già lí…e mi stanno aspettando"
"Saremo al laboratorio ancora prima di voi!" aveva stretto le mani in quelle dell'amica la piccola Mayfield, trattenendo un fremito nella sua voce e guardandola fissa negli occhi. 
"Saremo pronti in posizione, El, al tuo segnale…pronti per fare irruzione!" 
"Considerala cosa fatta, mylady: conta su di noi!" 

"El…fai attenzione…" si era avvicinato Will gettandole le braccia al collo e singhiozzando sulla sua spalla silenziosamente, facendo barcollare il piccolo fiorellino per un secondo. 
"Libera mamma e papà ma fai attenzione…tu e la tua incolumità valete esattamente quanto le loro!" 

"Andrà tutto bene ragazzi, ve lo prometto…" aveva detto una bugia El anche quella sera, forse l'ultima e la più dolorosa di tutta la sua intera storia, prendendo un lungo sospiro per guardarli tutti un'ultima volta, uno alla volta. 

I suoi amici, i soli che lei avesse mai avuto. 
Ora sí: poteva decisamente spuntare anche la casella 'fare amicizia' del suo personale elenco di cose da fare il primo giorno di scuola. 

"Voi attenetevi al piano, ma siate prudenti, vi prego…non fate niente se non quando avrò fatto saltare il sistema d'allarme dall'interno!" 

"E come faremo a saperlo?" aveva posto Dustin una domanda ovvia, 
"Fidati, Dustin, lo capiremo…" aveva mormorato Lucas di tutta risposta, 
"Se un palazzone di cemento armato e pattugliato da centinaia di militari si spegne di colpo come una lampadina fulminata davanti ai nostri occhi, tu ricordati di farmi un fischio…non vorrei perdermi lo spettacolo proprio nel punto forte dell'operazione!" 

"Mike…?" aveva sussurrato solo più la piccola Hopper con un filo di voce nella sua direzione, in direzione del suo piccolo nerdino rimasto da solo, due passi dietro il gruppo di amici.
Il capo chino, lo sguardo scuro, i pugni stretti nelle tasche del suo completo del ballo dai pantaloni ormai troppo corti per lui. 

"Vai, fiore…" aveva risposto Mike a sua volta con tono deciso, ma con un filo sottile di voce, non lasciandosi vincere della voglia immensa, dal bisogno, di correre un'altra volta a lei più vicino, stringendola ancora una volta al suo petto senza lasciarla mai più andare via da sola. 

Era troppo tardi in quel momento. 
Era troppo tardi per insistere ancora di quanto quel folle piano fosse nella maniera più assoluta completamente assurdo. 

"Vai prima che io possa cambiare idea e non lasciarti più andare via da me, El…" 

"Vai, noi…ti raggiungiamo tra poco!" 

"Ci vediamo…tra poco!" aveva deglutito il piccolo fiorellino come ultimo cenno di saluto, niente di diverso rispetto che un qualunque altro giorno comune, all'uscita della loro scuola. 

Un pomeriggio come gli altri, passato all'interno delle mura di quel posto: il posto dove, quella sera, stava infine facendo ritorno. Per l'ultima volta. 

Come se un 'a dopo' potesse esistere ancora in quel momento. 
Come quello fosse stato un comune "a dopo, ci vediamo alla sala giochi!" o "a sta sera, nella tavernetta a casa di Mike, come al solito!" 

"Allora io vado…a dopo!" 
"A dopo, El.."
"Buona fortuna!" 

E quella sera dall'aria apparentemente normale e comune, ma mai stata più oscura e terribile di quella, da poco passate le 11 in punto e con la musica lontana della palestra ancora a riecheggiare alle loro spalle, il party di 5 nerdini era rimasto a fissare le spalle nude della loro amica allontanarsi, attraverso il campo di atletica, lentamente nel buio.
La sua figura sempre più piccola sparire silenziosamente fin dentro al bosco di fronte a loro. 

Troppo lontana ormai per raggiungerla o richiamarla a loro. 
Troppo vicina ancora per non avvertire una fitta più dolorosa nel petto di angoscia e di paura. 

"Ehi amico, sei sicuro di stare bene?" aveva mormorato Lucas in direzione del ragazzo dal ricci neri quanto il suo viso, vedendolo scuotere la testa abbassando lo sguardo ai suoi piedi, nascondendosi dietro ai suoi ricci ancora di più, per una frazione di secondo. 

No, non stava bene. 
Non era mai stato più lontano dalla definizione di 'stare bene'. 

"Mike…ehi, ci sei? Sei sicuro di stare…?" 

Come stava lui quella sera?
Non aveva davvero più alcuna importanza. 

Come stava lui quella sera non era più una sua priorità.

Anzi, a dirla tutta, forse non lo era più per lui da molto più tempo, da quasi un anno intero. 

Come stava lui non gli importava davvero più, da quando era arrivata lei: da quanto la felicità di un'altra persona era diventata in così poco tempo, ma allo stesso tempo in modo così profondo, la sola cosa che credeva di importargli in ogni momento della sua vita. 

Mike Wheeler non stava bene quella sera, ma non sarebbe potuto interessargli di meno. 

Non poteva sprecare un altro minuto. 
Non poteva passare un altro minuto senza riaverla vicina, sapendola infine finalmente al sicuro. 

"Mike, ti senti…?"
"Andiamo" aveva alzato di scatto la testa ricciuta Mike quella sera con un movimento brusco, facendo quasi saltare sul posto il gruppo dei 4 amici più stretti intorno a lui, gli sguardi preoccupati e tesi nella sua direzione. 

Davanti alla stessa palestra dove era stato così difficile, mesi prima, convincer loro a dare a quella ragazzina stramba una prima possibilità. 

Davanti a quella stessa palestra dove, quella sera, nessuno di loro si sarebbe mai più tirato indietro per lei fino alla fine di tutta quella storia.
Fino alla fine di tutto quell'incubo. 

Nessuno di loro, non più. 
Nessuno escluso. 

"Andiamo" ripeté il ricciolino con tono autoritario da leader, da DM, da paladino. Lanciando uno sguardo di sfida agli alberi del bosco davanti a loro, ed uno alle loro biciclette parcheggiate nella rastrelliera accanto alla porta d'ingresso della palestra, al loro solito posto. 

"Andiamo a riprenderci la nostra El" 

*

Una luce strana aleggiava sopra i tetti delle case della cittadina di Hawkins, nell'Indiana, quella sera, così come tra le fronde alte e spettrali degli alberi del bosco tutt'attorno. 

E, al di sotto di esse, un piccolo angelo con indosso il suo vestito da ballo di tulle bianco e ricoperto di fiori, camminava lentamente incontro al suo destino, come un agnello immacolato condotto al patibolo. 

Avrebbe potuto dire che altre si erano ritrovate prima di lei a quel punto: esattamente come lei dentro quel bosco quella sera, ad affrontare un destino che non si erano cercate e che qualcun altro aveva scelto per loro. 

Avrebbe potuto ricordare a se stessa delle sue eroine: di Elisabeth, di Emma, di Catherine o delle altre protagoniste dei suoi libri impilati sul comodino, ma non credeva le sarebbe stato di maggior conforto in quel momento. 

La sua storia non era stata scritta per finire tra le pagine di un bel libro, di un bel racconto. 
La sua storia non era cominciata per finire con quella frase che da sempre l'aveva fatta sorridere di cuore ogni volta: e vissero per sempre felici e contenti. 

No. 

Non quella volta. 
Non per lei. 
Non per la sua personale storia. 

Il piccolo fiorellino, in fondo, ne era già da tempo sicuro.

Sapeva che tutta quella storia non sarebbe mai potuta andare a finire bene? 
Sí…certo che lo sapeva. 
Lo aveva sempre saputo. 

Sapeva che il folle piano, suo e dei suoi amici, che l'avevano accompagnata con occhi preoccupati fino a vederla scomparire tra le fronde del bosco, era destinato a fallire quella notte?
Certo che lo sapeva, eccome se lo sapeva.
Lo sapeva fin dall'inizio. 

La piccola Hopper non era mai stata una stupida. 

Camminava, vestita di bianco e di candore, le converse bianche ai suoi piedi con impressa ancora la scritta 'M+E', solo leggermente più sbiadita: la stessa scritta che ormai, da mesi, portava impressa ed incisa anche sopra il suo cuore

Non poteva lamentarsi di nulla. 
Non aveva rimpianti della sua vita vissuta. 
Non aveva rimpianti del poco tempo a sua disposizione, del poco tempo che le avevano dato a disposizione per vivere dentro quel folle, caotico, bellissimo, assurdo 'normale mondo'. 
Non aveva sprecato nemmeno un secondo. 

Alzò la testa la piccolina, lanciando un'occhiata alle fronde alte degli alberi sopra la sua testa e tutt'intorno, chiudendo gli occhioni grandi per un secondo, ed avvertendo già le lacrime più calde e più dolci pizzicarle più intensamente gli angoli degli occhi. 

Sapeva già cosa le sarebbe mancato di più di quella vita, e non erano probabilmente le cose a cui avrebbero potuto pensare tutti. 
Niente che si potesse comprare, niente che si potesse vincere, niente di quello che sarebbe stato comunemente importante per qualcuno. 

Il vento fresco di una sera di inizio estate, come quella, sulla sua pelle. 
Il sole caldo del mattino attraverso le tende sottili della sua stanzetta nel bosco. 
Il rumore della padella sul fuoco per la colazione e la voce del suo papà dalla cucina a canticchiare quella vecchia canzone. 
I sorrisi del buongiorno dei suoi amici, ancora assonnati davanti ai loro armadietti alla prima campanella delle lezioni. 

La canzone del giorno trasmessa da Will a RadioShack, da ascoltare dalla radio del furgone della polizia lungo la strada della sua scuola, specialmente quando, accanto alla voce del suo migliore amico, alcune mattine era comparsa a sorpresa anche…la sua

I loro panini al burro di arachidi smezzati sugli spalti negli intervalli tutte le mattine di scuola. 
La prima volta che l'aveva chiamata 'El', e tutte le altre volte che lo aveva fatto dopo. 
I suoi riccioli neri sopra i suoi occhi, tra le sue dita. 
Il rumore dell'oceano, il sapore della salsedine sopra le sue labbra, i colori del tramonto e la luce delle stelle sopra di loro. 

L'azzurro del cielo. 
Il calore del sole. 
Il profumo dei fiori. 

Quel piccolo fiorellino non avrebbe mai potuto essere più grata di tutto quello che in quel singolo anno di vita aveva vissuto. 
E mai avrebbe potuto sentirsi meno pronta a lasciare andare infine tutto. 

"Hai mentito a tutti…" sentí una voce mormorare alle sue spalle quella notte, facendo percorrere la sua schiena intera di un profondo, gelido brivido di puro terrore. 

Come si era dimenticata in fretta di quella voce. 
Come si era dimenticata in fretta di quanto gelide e scure potessero apparire le sue parole. 

"Tu sapevi che niente del vostro stupido piano avrebbe mai potuto avere effetto contro di me, e nonostante questo li hai illusi tutti che fosse così…non è vero, Eleven?" mormorò gelida ma compiaciuta la voce del dottor Brenner alle sue spalle, facendo riaprire gli occhi alla piccola Hopper lentamente, la prima lacrima sottile scorrere coraggiosa lungo la sua guancia, fino sul corpetto del suo vestito. 

Non di tristezza, ma di estrema gratitudine

Doveva mostrarsi docile, quelli erano gli accordi. 
Solo se avesse creduto che si stava arrendendo, il suo papà non avrebbe potuto sospettare di nulla. 

Il suo papà, da sempre in grado di leggerle dentro, avrebbe creduto che lei si stesse consegnando a lui per proteggere tutti. 
Ma non avrebbe mai potuto sospettare che i suoi amici li avrebbero seguiti fino al laboratorio, insieme con loro. 

Che qualcuno potesse tenere a lei fino a quel punto, a lei, suo piccolo geniale esperimento e null'altro di più, era qualcosa che la mente del suo dottore non avrebbe mai potuto comprendere fino in fondo. 
Ed era questo il motivo per cui mai lui l'aveva davvero conosciuta. 
Ed era quella l'unica speranza che quell'assurdo piano, per quanto folle, avrebbe potuto funzionare sul serio quella volta. 

Liberare Hopper e Joyce. 
Fare in modo che nessuno si facesse male quella notte e chiudere per sempre quella crepa nel muro facendo morire quella mostruosa creatura del vuoto. 

Quelle erano le ragioni per cui era ancora viva quella notte: quelle erano le sole priorità per cui avrebbe dato anche la sua vita quella volta. 

E se doveva far credere al suo papà di averlo lasciato vincere quella notte, pur di convincerlo di essersi arresa a lui, beh…che si facesse sotto. 

Quell'uomo malvagio non aveva mai capito a fondo fino a che punto il suo piccolo esperimento fosse divenuto davvero forte. 
Molto più forte di lui. 

"Scappare via nascondendoti da me, Eleven…a che pro?" lo udí continuare con voce fredda come un soffio di vento gelido tra le foglie degli alberi intorno a loro.
Facendola voltare lentamente all'indietro e ritrovando davanti a lei, seminascosti nel buio, il suo papà ed i militari dietro di lui, già in posizione. 

"Tanto tu già lo sapevi come sarebbe andata a finire tutta questa storia, non è vero, piccolo fiorellino?" un ghigno percorse il viso dell'uomo dai capelli bianchi ed il sorriso di ghiaccio davanti ai suoi occhi, mentre già, ad un segno del suo capo nella sua direzione, i militari armati subito le furono addosso, prendendola di peso ed immobilizzandola in mezzo a loro. 

Come se lei non avesse potuto liberarsi dalla loro stretta, se solo lo avesse voluto. 
Come se non avesse potuto spezzare a tutti l'osso del collo, ad un suo semplice cenno della fronte. 

"Tu non appartieni a questo mondo, Eleven, tu appartieni a me solo! E, finalmente, stupida ragazzina, te ne sei resa conto". 

Liberare Hopper e Joyce. 
Chiudere la crepa nel muro. 
Salvare tutti loro. 

El, quella sera, era davvero pronta. 

Pronta a sacrificare tutto pur di riuscirci. 
Pronta ad arrendersi per farglielo credere. 
Pronta anche a morire pur di far vivere tutti quelli che, in quell'ultimo anno, l'avevano fatta sentire finalmente viva. 

"Andiamo, forza!" la piccola Hopper immobilizzata vide il suo papà ordinare ai militari, con un cenno deciso nella loro direzione, rivolgendole un ultimo sorriso beffardo, vittorioso. 

Dio, quanto aveva potuto amare ed odiare allo stesso tempo quel sorriso paterno e meschino, quello del mostro che l'aveva messa al mondo, e che, il suo mondo, aveva distrutto. 

"Andiamocene via da qui, cara la mia Eleven…torniamocene a casa

*

"…El!"
"…kiddo! No!" 
"Cosa ci fai qui?!" 

La sera che era scappata dal suo laboratorio, El non aveva mai creduto ne avrebbe fatto così presto ritorno. 

La sera che era fuggita via, bagnata di acqua satura di sale e del sangue del dottor Owens, con il suo costume bianco da esperimento ancora indosso, poco dopo aver aperto con i suoi poteri la crepa nel muro tra quelle due dimensioni, El aveva corso a piedi nudi fuori da quelle porte fin quando aveva avuto fiato nei polmoni e muscoli per correre, promettendo a se stessa, tra le lacrime, che mai in quel posto vi avrebbe fatto ritorno. 

Apparivano quasi ancora più cupi di come li ricordava quei corridoi lunghi e tutti uguali, quella sera di luna, trascinata immobile da quei militari come se non avesse avuto nemmeno più la forza di camminare e di procedere da sola. 
Lei che da quei corridoi aveva tentato di scappare tante volte, ritornando sempre, inevitabilmente, al punto di partenza, come quella volta.

Eterno ritorno nel posto che le aveva dato la luce e da cui per tanti anni aveva tentato di sfuggire, fallendo ogni volta.

La vera Casa sua.
Il solo posto che era rimasto in tutti quegli anni 'Casa sua'. 

"Sono cambiate un po' di cose dall'ultima volta che sei venuta a trovarci qui, Eleven, non è vero?" iniziò il dottor Brenner con un altro sorriso gelido nella sua direzione, percorrendo un corridoio dopo l'altro nella fredda luce lampeggiante dei neon rossi sopra di loro. 

Il segnale di pericolo. 

Ovunque, a ricoprire le mattonelle bianche e lucide tutte uguali di quei muri, radici rampicanti nere e putride, a crescere a vista d'occhio come una pianta viva in continua espansione. 
E, nell'aria tossica tutta intorno a loro, milioni di particelle piccole e bianche sospese, come minuscoli pulviscoli di neve e di polvere. 

Tossiche

"Purtroppo il piccolo problema che ci hai creato nei laboratori di sotto ci sta creando un po' di filo da torcere negli ultimi giorni…ma niente che non possiamo risolvere, non è vero, piccolo fiore?" lo vide avvicinarsi a lei lasciandole un buffetto sulla guancia, facendola rabbrividire e serrare di più i pugni. 

Come quando era bambina e, nel freddo e buio della sua cameretta dentro quelle mura, nessuna delle sue urla era mai forte a sufficienza per attirare la sua attenzione:
"Papà…ti prego…papà!!" 

El sarebbe riuscita a riconoscere quegli stessi corridoio anche dopo mille anni di vita, dentro quelle mura. 

"Wow…" frenarono contemporaneamente le ruote delle bici di 5 nerdini sulla collina di fronte a quel laboratorio, al di là di quello stesso muro di cemento, ma nella opposta direzione.
Facendo spalancare gli occhi di tutti all'unisono, morire nello stesso secondo il loro fiati dentro le loro gole. 

"Cazzo…" mormorò per prima la voce di Dustin di fronte a quella vista, dando voce ai pensieri di tutti, incapaci di distogliere lo sguardo dallo spettacolo davanti a loro. 

Nel bel mezzo del bosco, proprio davanti a loro, un casermone di cemento armato alto e quadrato, mille e più finestre piccole ed aperte verso l'interno, illuminate ad intermittenza di una inquietante luce rossa. 
E lungo le pareti, dall'interno verso l'esterno, una strana pianta rampicante nera e scura, ad avvolgere come in una morsa stretta l'intera struttura. 

"Avete visto mai qualcosa di così inquietante in vita vostra, ragazzi?" 

"È questo il posto" mormorò Max non come una domanda, ma piuttosto come un'affermazione, rivolgendosi a Mike in piedi accanto a lei, lo sguardo puntato in direzione di quel laboratorio con occhi che, se solo avessero potuto, lo avrebbero spazzato via nella durata di un secondo. 

"Era qui che intendeva El…è questo il lato di quel corridoio…"
"..sí" riuscì solo a deglutire il ricciolino tra i denti stretti, le dita serrate intorno al manubrio della sua bici fino a farsi venire le nocche bianche dallo sforzo. 

Era quello il posto dove il suo piccolo fiorellino, per anni ed anni, era stata rinchiusa senza poter vedere la luce del giorno. 
Era dentro quel posto che era stata torturata, quasi uccisa, sfruttata come una bestia da macello senza che per anni nessuno si accorgesse di niente. 

Nessuno, nemmeno loro. 
Nemmeno lui. 

"Muoviamoci!" li incitò il piccolo Wheeler reprimendo la nausea e quel senso di frustrazione, pedalando per primo giù da quella collina, insieme ai suoi amici. 
Abbandonando le loro bici sul prato davanti ai cancelli di filo spinato, vedendo Lucas estrarre dal suo zaino sulle spalle la sua cesoia. 

"Tutti pronti ragazzi, in posizione…al segnale di El!" 

"Vedrai, piccola Eleven, torneremo a fare cose grandi insieme io e te, così come un tempo, qui…ti ricordi?" il piccolo fiorellino vide il suo papà sorridere ancora nella sua direzione nella semiombra, le luci rosse ad intermittenza sopra di loro a rendere il suo ghigno ancora più lungo ed inquietante del solito lungo il suo viso. 

E davanti a lei, immobilizzata dai militari, al termine dell'ultimo corridoio, al fianco destro di quel muro, una porta di ferro che, da 2 anni, la piccola Hopper non aveva mai dimenticato nei suoi incubi peggiori. 

Targa 011.

"Bentornata a casa, piccolo mostro…"

"El! Tesoro! "
"Kiddo!" 

Urlarono all'unisono le voci di Hopper e Joyce al di là della porta di ferro battuto, aperta davanti agli occhi della piccola con un rumore cigolante e sinistro, che ben ricordava a memoria. 

"El…ma che?!" vide il volto di papà Hopper farsi più bianco e sconvolto di terrore, all'interno della sua stanzina piccola, la stessa che El avrebbe potuto descrivere, anche dopo anni, ancora a memoria. 

Lo stesso lettino piccolo e freddo: troppo corto allora per lei e dal materasso sempre troppo duro. 
Gli stessi fogli appesi alle pareti, i disegni di pochi colori, sempre gli stessi: neri, grigi, rossi, come il mostro che in quegli anni popolava già i suoi peggiori sogni. 
I suoi giocattoli sparsi sul pavimento, il solo pupazzo che il suo papà aguzzino le avesse regalato in tutti quegli anni di prigionia, per il suo undicesimo anno di vita.

"Kiddo…perché? Cosa ci fai tu qui?!" 

"Papà!" urlò El non riuscendo più a trattenersi a quella vista, strattonandosi dalle braccia dei militari e vedendo il dottor Brenner rivolgere loro un segno di consenso, benevolo. 
Correndo i pochi metri a dividerla da loro, entrando dentro la sua vecchia cameretta e gettando loro le braccia al collo, tra i singhiozzi. 

"Piccolina…stai bene?" sentí le braccia di Joyce stringerle le spalle, il fiato caldo del suo papà scaldarle i ricci sulla nuca. 
Non si era sbagliata nella sua visione: Hopper e Joyce erano stati davvero rinchiusi, ma erano sani e salvi ed apparentemente incolumi! 
Almeno, fino a quel momento. 

"Stai bene, El? State tutti bene?" sentí Joyce mormorare più vicino al suo orecchio, vedendo i suoi occhi confusi indagare sui suoi attraverso una patina di lacrime liquide:
"Dove sono gli altri? Dov'è Will? State tutti bene? Siete tutti al sicuro?" 

"Che diavolo ci stai facendo qui, El?!" la voce preoccupata del suo papà adottivo bloccò qualunque sua possibile risposta, facendo passare gli occhi della piccola dal volto della sua amica a quello del suo papà, sempre accogliente ed in grado di trasmetterle pace e serenità, ma ritrovando nei suoi occhi azzurri il suo stesso sguardo di angoscia e paura. 

"È una trappola questa! Lo sai vero? Perché ti hanno convinta a venire fino a qui?! Perché…?!" 
"Abbiamo un piano, statemi dietro…" sussurrò El con un filo di voce, girandosi lentamente di spalle verso la porta d'ingresso di quella cella piccola e fredda, vedendo il dottor Brenner avanzare lentamente nella loro direzione, un sorriso soddisfatto sul volto. 

"Ho sempre avuto un debole per i finali felici…" sogghignò il dottore in direzione del piccolo fiorellino, vedendola voltarsi lungo il pavimento seguendolo con la coda dell'occhio. 

"Che splendida scena, signori…è quasi un peccato che io sia costretto ad interromperla sul più bello, non è vero? Coraggio, Eleven, andiamo…abbiamo ancora molto lavoro da fare qui!"
"Non prima che tu rispetti il tuo accordo, così come io ho rispettato il mio!" ribatté la piccola con tono deciso, prendendo parola per la prima volta quella sera davanti al suo aguzzino, sorprendendosi di sentire la sua voce uscire dalle sue labbra così decisa. 

Nonostante il suo cuore stesse letteralmente per uscirle dal petto dall'adrenalina e dalla paura. 

"Quale accordo?" vide il dottore chiederle beffardo nella sua direzione, allargando le braccia con aria fintamente sorpresa:
"Io non mi ricordo nessun accordo, piccola…ti dispiacerebbe rinfrescarmi la memoria?" 

"Razza di stronzo, pezzo di merda, figlio di…" udí Hopper cominciare dietro alle sue spalle, muovendo un passo in avanti nella sua direzione, ma immediatamente tenuto fermo al suo posto da Joyce con uno strattone. 
"Jim, ti prego! Non così!" 

"L'accordo che prevedeva che, se mi fossi consegnata a voi, Joyce e papà sarebbero stati liberati all'istante da voi!" continuò El sentendo crescere la forza lungo le sue braccia, energia e potenza pura lungo le sue ossa. 

Non sapeva per quanto sarebbe ancora riuscita a resistere, ma non era ancora quello il momento giusto. 
Aveva atteso così tanto che non poteva permettere di lasciarsi andare troppo presto. 
Non ancora. 
Non ancora se non al momento opportuno. 

"Io mi sono lasciata prendere da voi, sono qui! Ho mantenuto il mio accordo! Ora tu mantieni il tuo, liberali!" 

"Il mio accordo!" rise il dottor Brenner di una risata secca, scuotendo la testa bianca davanti ai suoi occhi, 
"Come se davvero potessi credere che avrei promesso qualcosa a te e ai tuoi amichetti sul serio, Eleven…ma davvero?" lo vide guardarla con sguardo così patetico da farle stringere più forte i denti tra di loro, trattenendosi dalla voglia di sbattere quel sorriso orribile alle sue spalle contro il muro. 
"Sul serio in tutti questi anni ancora non mi hai davvero conosciuto, piccola stupida Eleven? Credevo a questo punto ormai fossimo diventati amici…" 

"…cosa è stato?!" si voltò di scatto Will in direzione del bosco dietro di loro, al suono di un rumore alle loro spalle in grado di far voltare all'unisono i nerdini nella stessa direzione, come un sol uomo. 

Il sangue di tutti e 5 gelato in un secondo al suono di quel rumore, di quel ruggito
Un ruggito alle loro spalle, profondo ed acuto. 
Vicino. 
Troppo vicino a loro. 

"Cos'è…un lupo?" mormorò Dustin con gli occhi puntati agli alberi dietro di loro, muovendo un passo indietro verso il muro di cinta del laboratorio. 
"Non può essere un lupo…" mormorò Lucas a sua volta, paralizzato sul posto dalla paura, afferrando la mano di Max accanto a lui. 

"Un orso?" mormorò la rossa in mezzo ai suoi amici, stretti a cerchio con lei in mezzo, indietreggiando lentamente verso il muro. 
"Un grizzly? Un puma?" 

"Non è un animale…" mormorò per un ultimo Mike scuotendo debolmente la testa di ricci scuri, sentendo la bocca dello stomaco controversi in un secondo a quello stesso identico suono. 

Lui aveva già sentito quel rumore. 
Lui aveva già sentito quel ruggito. 

Lo stesso ruggito che aveva sentito alle sue spalle quella notte. 
La notte in cui aveva ritrovato El, sola ed infreddolita, persa nel bosco sotto la pioggia. 

"Non è un animale, o, almeno…nessuno di quelli che abbiamo detto…" 
"Allora che cos'è?" mormorò il giovane Byers come a non voler far rumore, facendosi più vicino ancora al suo migliore amico. 
Mike deglutí prima di rispondere. 

"È il mostro…" mormorò il paladino al suo party, davanti a quel bosco, come in una di quelle tante sessioni nelle quali, attorno al suo tavolino di D&D, nel suo basement, la realtà aveva sempre lasciato il posto alla loro fantasia, per una manciata di ore. 

Ma quella non era più una stupida sessione di D&D quella volta. 
I mostri veri, quella volta, era usciti fuori sul serio dal loro tabellone. 

"Quello è il mostro di cui parlava El…quello è il mostro uscito dal muro del laboratorio…"

"Io e te non potremmo mai essere amici…" mormorò El sentendo il fuoco propagarsi lungo le sue radici nervose. 

Lasciando che si espandesse, che la consumasse. 
Lasciando che tutto il suo odio per lui parlasse per lei, scegliendo per lei le giuste parole. 

Lasciando che la sua mano si stendesse da sola di fronte a lei, davanti ai suoi occhi gelidi, ancora compiaciuti. 
Per la prima volta. 

L'esperimento contro il suo professore
L'arma, il mostro, contro il suo stesso creatore

"Tu hai mentito papà…" fu il turno di El di sorridere, di fronte a quell'uomo, di fronte al mostro. 
Al lupo cattivo di tutte le sue storie. 

Lo avrebbe ucciso, se lo era promesso. 
Lo aveva promesso anche alla sua mamma quella notte. 

Ma, prima, aveva ancora una piccola cosa in sospeso da concludere. 
Anzi, da chiudere. 

"Tu hai mentito, papà, hai sempre mentito…e i veri amici non dicono mai le bugie"

*

El non credeva di aver mai sentito una forza così grande dentro di sé premere fino a quel punto per essere lasciata libera di uscire. 

Aveva steso le braccia davanti a sé, senza essersene quasi nemmeno resa conto: le braccia ben tese, le mani bene aperte, gli occhi chiusi e l'aria dentro i suoi polmoni a dare sfogo, attraverso la sua voce, a tutta la sua rabbia ed immensa frustrazione. 

Aveva urlato la piccola, più di quanto aveva mai fatto prima di allora.
Dentro quella celletta dove, per anni ed anni, aveva lasciato che fossero le lacrime a scorrere lungo il suo viso, nel silenzio e nel buio, piuttosto che i suoi poteri liberi di manifestarsi generando intorno a lei il caos e la distruzione. 

Aveva lasciato che il fuoco scorresse lungo la sua pelle quella notte. 
Aveva lasciato che la sua mente esprimesse per lei tutto quell'accumulato odio e soffocante senso di oppressione. 

Aveva urlato fino a non sentire più la sua stessa voce. 
Aveva chiuso gli occhi per non vedere la sua stessa distruzione. 
Aveva urlato, aveva urlato ancora. 
Mentre le immagini scure si accumulavano nella sua mente una dopo l'altra, nella confusione. 

L'urlo di morte di sua madre. 
L'ultima supplica di quel bambino poco prima di essere trasformato in quella cosa. 
Le sue stesse urla morte dentro le pareti della sua vasca, soffocate dall'acqua fin dentro i suoi polmoni. 

Aveva urlato la piccola, come mai aveva fatto prima, come mai aveva osato fare in tutti quegli anni. 
Aveva urlato ancora

E quando aveva riaperti gli occhi davanti a sé, una manciata di secondi e molte lacrime a bagnarle il viso dopo, lungo quel corridoio lungo ed illuminato ad intermittenza da quella luce rossa, un tappeto di militari distesi a terra, morti.
Sangue nero e denso a colare dai loro stessi occhi. 

E davanti a lei, la via di uscita spianata, libera e vuota. 
E alle sue spalle, Hopper e Joyce a fissarla ancora immobili, increduli e sconvolti. 
E del suo dottore nemmeno più l'ombra. 

"El…kiddo…" mormorò per primo Hopper con voce tremante e rotta, incredibile da sentire perfino per lui stesso, lui che pure in quegli anni aveva già assistito a molte delle manifestazioni dei suoi poteri, delle più terribili ed incredibili.
Ma mai così. 

Vedendola muovere un passo verso di loro, barcollando sul punto di cadere giù, immediatamente raggiunta dalle sue braccia forti, in soccorso delle sue. 

"Kiddo, ti senti…?" la piccola udí domandare da lontano la sua voce, una voce troppo lontano nella sua mente ovattata ed in confusione. 

Un fischio sordo nelle sue orecchie. 
Rosso davanti alla sua vista. 
Rosso ed amaro come il sangue a colare dalle sue narici fino alle sue labbra rimaste semiaperte nel fiatone. 
"El, ti senti…ti senti bene, El?" 

"Porco cazzo! Cos'è adesso?!" era saltato sú ancora Dustin nello stesso momento, ma dall'altro lato dello stesso muro, voltandosi immediatamente nella opposta direzione e sentendo i suoi amici stringersi al suono di quel rumore ancora di forte. 

Un grido profondo proveniente dal laboratorio alle loro spalle, al di là della barriera di filo spinato e del muro di cemento armato. 
Un grido profondo e non di molto diverso da quello di pochi istanti prima, proveniente dal bosco nella opposta direzione, quasi non umano ed altrettanto minaccioso. 

E, dall'interno, le luci impazzite in un secondo davanti ai loro occhi: un ultimo bagliore, come un'esplosione di rosso. 
E poi solo più silenzio, buio. 
Blackout totale in tutta la struttura. 

"Che diavolo c'è adesso?! Un altro mostro?!"

"No…" scosse la testa per primo il ricciolino, muovendo un passo indietro in direzione del muro, appoggiando una mano al filo spinato davanti a loro.
Interrotta l'energia elettrica attraverso quei fili.
Interrotta l'elettricità nell'intero perimetro di quel laboratorio.
L'unica fonte di energia all'interno era rimasta solamente più lei.
Poteva essere stata solamente più lei.

"Questo non è stato il mostro…questa è stata El" 

"Questo è il segnale, diamoci una mossa!" lo seguì Max afferrando da terra la cesoia, lasciata cadere dalle braccia di Lucas pochi istanti prima, al suono del ruggito di quella creatura proveniente dal bosco. 
"Non c'è un minuto da perdere, forza, forza! Entriamo dentro questo posto: El ha bisogno di noi!" 

"Dovete scappare, papà, tutti e due…ora!" scosse la testa debolmente El davanti a lui, avvertendo la stanza girare intorno a lei e alla sua mente stanca ed in confusione.
Le sue gambe minacciare di cedere, reggendosi alle braccia del suo papà adottivo per non lasciarsi cadere giù. 

Non aveva che iniziato. 
Non poteva arrendersi sfinita già a quel primo punto del suo piano folle. 

"Tu e Joyce dovete andarvene via da qui…ora! Ed io…io devo raggiungere i sotterranei e chiudere quella porta papà…ORA!" 

"Per di qua!" 
"Forza, forza!" 
"Porco cazzo, porco cazzo…Porco cazzo!" 

Corsero i nerdini al di là della rete di cinta, aperta una breccia dalle cesoie di Lucas attraverso il filo spinato, ritrovandosi di fronte ad un alto e spesso muro.
Strane radici nere a crescere rampicanti contro l'intera superficie esterna dell'edificio. 
Ed, ovunque, tutt'intorno, un'aria densa e spessa, quasi irrespirabile anche lì dall'esterno: un pulviscolo di polvere sottile a galleggiare tutt'intorno. 

"Cazzo, ma che roba è?!" 
"Sembra quasi…neve?" mormorò Dustin lanciando un'occhiata a Mike, in piedi accanto a lui, vedendolo scuotere la testa nel suo stesso stupore. 

Quante cose avevano ancora da scoprire quella sera? 
Quante di cui il suo fiorellino non aveva avuto nemmeno tempo di parlare e di spiegare loro a dovere? 

"Neve contraria alla forza di gravità?!" 
"Non abbiamo tempo per questo, ragazzi! Forza, forza!" incitò gli amici Lucas indicando loro la direzione: una porta secondaria allarmata sul lato corto, immediatamente aperta dal cortocircuito davanti a loro. 
"Entriamo dentro, per di qua! Ora!" 
"Madonnina, madonnina…fa che tutta questa storia possa andare a finire bene…"
"…Dustin!" 
"…mi muovo, ho capito! Ci sono! Cazzo!" 

"Siamo tipo dentro…un hangar? O qualcosa?" mormorò Max per prima lanciando un'occhiata tutta intorno, intorno alla stanza dalle pareti spesse e dai soffitti alti tutt'intorno a loro. 
Silenziosa e buia ad accezione della luce di emergenza ancora a lampeggiare ad intermittenza sopra le loro teste, inquietante e rossa. 

E lungo le pareti, parcheggiate in file ordinate, camionette militari, furgoncini marchiati 'Dipartimento d'energia città di Hawkins'. 
E, nell'angolo, seminascosto nel buio, una gabbia dalle sbarre di ferro battuto, alta quanto la parete, fino al soffitto immenso sopra di loro. 

La porta aperta, le sbarre deformate e rotte in più punti. 
Vuota

"…che diavolo è sto posto?" 
"Che diavolo è quella!" la corresse Will indicando la gabbia davanti a loro, 
"Mike…quanto ha detto El che era grosso quell'affare uscito da dentro quel muro?!" 

"Non ha importanza, non abbiamo tempo per questo!" li incitò Mike correndo lungo il perimetro di quell'hangar insieme con loro, cercando da una parte all'altra delle pareti una porta, una finestra, una via di uscita qualunque essa fosse. 
"Dobbiamo raggiungere i sotterranei di questo posto! È lì che El ha detto che dovevamo seguirla! Forza!" 

"Ma se…?" cominciò Lucas nella sua direzione, ma la domanda non poté che morire sulle sue labbra in una frazione di secondo. 

Si voltarono di scatto i 5 nerdini, immediatamente compatti e vicini come un sol uomo, al suono di un altro terribile rumore. 
Lo stesso rumore, lo stesso ruggito. 
Quella volta, di nuovo alle loro spalle, ancora, ancora più vicino. 

"…cazzo!" fece in tempo a urlare la rossa con un urlo breve ed acuto, stretta tra le spalle dei suoi amici, vicini vicini, quasi come se avessero potuto, così stretti, diventare invincibili, o meglio invisibili, vedendo la porta di quella stanza aprirsi dall'esterno davanti ai loro occhi. 

E al di là di quella porta aperta davanti a loro, a loro incapaci di scappare o di continuare a respirare, bloccati sul posto dalla paura, il sangue gelatosi immediatamente dentro i loro corpi, una mano dalle dita lunghe e dagli artigli affilati come quelli di un orso, un braccio ossuto, lungo, liscio e scuro. 

Un individuo dall'aspetto quasi umano, ma decisamente più mostruoso: braccia lunghe e corpo rugoso, nero come la pece e lucido come petrolio. 
E, al termine del suo busto, al posto della sua faccia, una bocca dai denti aguzzi e bianchi e dai contorni come i petali rossi della corolla di un fiore. 

Il demogorgone

"Holy Mother of God…" fece in tempo a sussurrare Dustin dando voce ai pensieri di tutti, incapaci di reagire razionalmente o di iniziare a scappare inutilmente chissà dove. 
Vedendo quella bocca mostruosa aprirsi in un altro terribile ruggito, facendo scuotere i nerdini stringendosi l'uno all'altro ancora di più. 

"Cazzo!" strillò Will a sua volta, vedendo la figura muoversi nella loro direzione, le braccia lunghe a sferzare colpi lungo i furgoni e le motorette tutte intorno, piegando lamiere e gettando per aria interi veicoli, come si fossero trattate di bolle di sapone. 
"Mike!" udí il ricciolino chiamarlo il suo migliore amico, 
"Che facciamo, Mike, che facciamo?!" 

"Io…io non lo so!" fece in tempo a rispondere Mike strillando a sua volta nella sua direzione, sentendo il suo cuore smettere di battere dalla paura e i suoi occhi chiudersi da soli…di fronte ad un improvviso bagliore di luce. 

"PISTAA!!!" udí una voce familiare urlare sopra l'ennesimo ruggito, dall'altra parte del muro, lasciando la sua mente incerta e confusa, appena per una frazione di secondo. 

No, non era stato quel mostro ad emettere quel bagliore. 
No, non era stata quella creatura a parlare con una voce troppo familiare alle sue orecchie per non poter essere riconosciuta da lui. 

E quando il ricciolino ebbe riaperto confuso i suoi occhi, davanti a lui, fece in tempo appena ad abbassarsi giù di colpo al pavimento di quella stanza in un secondo, trascinando con sé i suoi amici più giù. 

Un colpo di arma da fuoco. 
Due. Tre. Quattro. 
Una raffica davanti a loro. 

E la sgommata di quattro ruote ad un passo da loro. 
Una motoretta ad inchiodare di colpo lungo il pavimento, ad un metro da loro. 

Seduto al posto di guida, volante in mano, Jonathan Byers.
Nancy Wheeler seduta accanto a lui con in braccio un fucile dalla canna lunga. 
E seduto al posto del passeggero, una mazza da baseball chiodata brandita in pugno, Steve Harrington, in tutto il suo più fiero splendore. 

"Jonathan?" 
"Nancy?"
"…Steve!" 

Urlarono a ripetizione Will, Mike e Dustin nella loro direzione. 

"Non ho capito un cazzo di quello che sta succedendo!" urlò Steve sopra il rumore del motore di fronte a loro, sopra gli spari di Nancy in direzione del mostro, facendolo indietreggiare con un ruggito di dolore. 
"Ma questo coso, qualunque cosa sia, non mi piace proprio per nulla, cazzo!" 

"Mike!" fu il turno di Nancy di urlare a sua volta, voltandosi di scatto in direzione del fratello, ancora sdraiato a terra insieme al resto del party, al pavimento. 
"Vi abbiamo visto uscire dalla palestra e vi abbiamo seguito fino al campo di atletica…non sappiamo chi siano quei tizi, ma hanno preso El! Hanno preso El, Mike!" 

"Nancy, scappa, scappa!" urlò Mike a sua volta, balzando in piedi nella loro direzione, vedendo il mostro davanti a loro prendere la ricorsa, nuovamente di fronte a loro. 

"Nancy! Ora!" urlò Jonathan vedendo la ragazza imbracciare il fucile e prendere nuovamente la mira, sparando i suoi colpi. 
Uno. Due. Tre. Quattro. 
E ancora. 

"Parti, Jonathan! Ora! Ora!" urlò Steve inserendo la marcia dal sedile posteriore, vedendo il ragazzo dare gas e sterzare lungo il pavimento di quell'hangar, nella opposta direzione, lasciando i nerdini ad osservarli ancora sconvolti e stupiti, il mostro a seguirli, rincorrendoli da dietro la motoretta. 

"Wheeler, corri!" Mike udí solo più Steve urlare da lontano nella loro direzione:
"Cercheremo di distrarre questo coso fin quando ci sarà possibile, ma voi mocciosi correte, forza! Andatevene via da qui!" 

"Da questa parte, forza!" li strattonò Lucas in direzione della parete al fondo di quella stanza, dietro di loro: una finestra aperta seminascosta da una pila di pneumatici sgonfi. 
"Fuori da qui, forza, forza! Attraverso quella finestra, ora!" 

"Quello con la mazza chiodata è il mio eroe, cazzo!" fece in tempo ad urlare solo più Dustin con tono convinto ed orgoglioso, poco prima di essere trascinato via dalla ragazza dai capelli rossi, insieme con il resto del gruppo:
"Quello con quella mazza chiodata è il mio cazzo di baby sitter e ci ha appena salvato il culo a tutti, cazzo!" 

"Da questa parte ragazzi! Giù per le scale, veloci!" incitò il resto del gruppo Mike scendendo i gradini a due a due: quasi volando lungo quelle scale, non sapeva nemmeno lui verso dove. 

Ad ogni piano, sempre più in profondità, l'aria si faceva sempre più irrespirabile e pesante per loro, quasi a bruciare nei rispettivi polmoni, facendoli tossire ed ansimare sempre più forte. 

Ma le gambe di tutti già si muovevano da sole lungo quei gradini, a due a due. 
Sempre più in profondità, sempre più sotto terra, sempre più al di sotto del livello del suolo. 

"Ma quanti cazzo di piani ha questo posto infernale, cazzo?!" 
"Ci siamo!" urlò Mike aprendo una maniglia anti panico davanti a loro, al termine dell'ultima rampa di scale di cui credeva di aver perso già da molto il conto. 

Aprendosi davanti agli occhi suoi e dei suoi amici un nuovo spettacolo, un nuovo ambiente buio ed illuminato solo di una tenue luce rossa. 
Ma non era più la luce di emergenza quella volta…
No.
Non era nulla di lontanamente immaginabile quella volta.

Dentro quei sotterranei, al di sotto della balaustra di ferro da cui erano entrati loro, ovunque cocci di vetro, acqua scura dappertutto, i resti di una vasca e di macchinari e monitor sbalzati dalla furia dell'acqua contro le pareti della stanza, pigiati ed ammassati contro i muri. 

E davanti ai loro occhi, nella parete al di là dei resti della vasca, una crepa enorme alta fino al soffitto, uno squarcio nel cemento al di là del quale una luce rossa emanava luce fin dentro quella stanza, proiettando luci inquietanti tutt'attorno. 

E da quella crepa, lungo i muri, a risalire in alto, in basso, in ogni direzione, quelle stesse radici rampicanti nere e spesse, scure. 

"Che cavolo è sto posto?" mormorò Max spostando lo sguardo tutt'intorno. 
"Dov'è El?" mormorò solo Mike di tutta risposta, muovendo lo sguardo in ogni direzione e sentendo il cuore battere ancora più forte direttamente nella sua gola. 

Era quello. 
Era quello il posto. 
Era quello il sotterraneo, era quella la vasca. 
Era quella la crepa nel muro che aveva descritto El nel suo racconto. 

E, allora…dove diamine era lei? 
Dove diamine era finita la sua El? 

"Sembra un incubo…" mormorò a sua volta Lucas con voce tremate e così poco da lui, muovendo un passo incerto, ma allo stesso tempo quasi attirato e rapito, davanti alla crepa rossa di fronte a loro, fino al limite di quella balaustra. 
"Sembra la porta dell'inferno stesso, ragazzi…io, almeno, credo di essermela sempre immaginata così…"

"…eccola, è lí!" Mike udí Will tirare il lembo della sua giacca nella sua direzione, puntando un dito in un punto preciso davanti a loro, vedendo lo sguardo dell'amico seguirlo, nella stessa direzione. 

"Eccola, è lei! È lí El, è lí, Mike!" 

"EL!" urlò la voce del paladino dietro le spalle della sua principessa, muovendo le gambe davanti ai suoi amici per primo, scendendo di corsa le scale di ferro di quel sotterraneo fino ad esserle di spalle, più vicino. 

Davanti a quella crepa, a quella porta, a quella ferita rossa lungo l'altezza del muro, vedendola rimanere di spalle, immobile e fissa, rivolta di spalle a loro. 
Apparentemente non in grado di accorgersi della loro presenza né del suono delle loro voci. 

"El!" urlò più forte la voce del ricciolino, correndo fino da lei e vedendo il resto dei suoi amici fermarsi più a debita distanza, più prudenti, lasciando correre in avanti solamente più lui. 

Ma più si avvicinava, più la figura di El non pareva accorgersi di lui, né di loro. 
Più si faceva vicino, più lei pareva confondersi con il bagliore rosso al di là di quel muro, immobile, ma allo stesso tempo come attratta attraverso quel muro. 
Al di là di quel muro. 

"El!" la chiamò ancora una volta Mike con le lacrime agli occhi, allungando una mano verso la sua, nella sua direzione. 
Perché ora non gli rispondeva? 
Che cosa era successo? 
Era già arrivato davvero troppo tardi per salvarla quella notte, una volta per tutte? 

"El?! Riesci a sentirmi, ti prego?! Mio dio, El! EL!!" 

*

El era davanti a quella porta, immobile e a pochi passi da loro. 
Ma non riusciva a sentire le loro voci. 

Le sue orecchie erano aperte, ma non riusciva ad avvertire nessun rumore. 
I suoi senti erano sull'attenti, concentrati e tesi, ma non lí dentro quel sotterraneo dipinto di nero e di rosso.
Non dentro quella dimensione. 

I suoi occhi erano aperti, ma il suo sguardo era perso di fronte a sé, vacuo e vuoto. 
Le sue pupille incapaci di vedere nulla, di percepire nulla se non quella luce. 
La luce rossa emanata dalla crepa enorme di fronte a sé, alta e profonda. 
Quella porta a chiamarla ed attirarla a sé come una calamita, silenziosa ma forte. 

Irresistibile. 

"Eleven…" si sentiva chiamare la piccola di fronte a quella porta, come se un milione di voci la stessero chiamando in coro all'unisono, tutti a ripetere come un coro infernale quel suo nome. 
"Eleven…eleven…"
Ed ancora ed ancora. 

El, inchiodata di fronte a quello squarcio nel muro, di fronte a quella porta, non riusciva ad avvertire nessun altro rumore. 

"El, mi senti?! Sono Mike! Sono qui, siamo qui! Mi riesci a sentire?!" 

No, El non lo poteva sentire. 

Avvertiva la voce di sua madre chiamarla per nome, la stessa voce identica a quella del suo ricordo, la stessa delle sue urla di dolore nel bosco. 
"Eleven…"

Avvertiva la voce del bambino del suo ricordo, il bambino che era stato l'esperimento prima di lei in quello stesso laboratorio: lo stesso che, in quello stesso luogo, era divenuto, infine, lui stesso il mostro. 
"Eleven…" 

Sentiva tante altre voci invisibili continuare a chiamarla al di là di quella crepa aperta nel muro, e nonostante non le riconoscesse, nonostante il piccolo fiore non le avesse mai sentite prima, sentiva, senza essere in grado di riuscire a spiegarlo con l'uso delle parole, di appartenere a tutte loro. 

Lei apparteneva a quelle voci. 
Lei era parte di quelle voci. 

Lei apparteneva a quel mondo al di là dello squarcio di quella parete, lei apparteneva alla stessa loro dimensione. 

Lei sentiva di appartenere a quel posto, senza saperne il motivo, fino al midollo. 

"El!" urlò ancora Mike alle sue spalle un'ultima volta, vedendo gli altri indietreggiare lungo il pavimento, ormai a due passi da quel muro, allungando disperato la sua mano a raggiungere la sua. 

Dove stava andando?! 
Perché stava continuando a camminare come un'automa verso quel muro? 
Perché non si fermava? 
Perché non lo riusciva a sentire? 

Cosa ne avevano fatto della sua El?! 

"El! Fermati, non andare lí! El, fermati! Fermati ora!" 

Avvertiva pace la piccola Hopper, camminando a passi lenti verso quel muro, come se per la prima volta, in vita sua, sentisse davvero di appartenere a qualcosa. 
Era quello il suo posto, era quello il suo destino. 
Lí, al di là di quel muro. 
Sentiva il suo cuore avvolto da una strana sensazione, irrazionale e mistica di piacevole calore. 

Eppure, una vocina nella sua testa lontana, appena percettibile, ma presente e precisa, continuava a chiamarla in un angolo remoto della sua memoria e della sua mente in confusione. 
Distinguendosi dalle altre per forza e disperazione. 

Così conosciuta e, allo stesso tempo, apparentemente mai sentita, ma da non poter essere ignorata dai suoi sensi, nemmeno in quel momento. 

"El!" chiamava la voce di Mike nella sua mente, ormai a due passi o poco più del muro, vedendo già le radici rampicanti quasi aprirli al suo passaggio, come avessero paura di lei troppo vicina a loro. 

Ma quel piccolo fiorellino non poteva averne paura. 
Quel piccolo fiorellino sentiva di appartenere a loro. 
Lei, fin dal principio, era sempre appartenuta a quel mondo. 

Lei lo sentiva: lei doveva ritornare indietro in quel mondo. 

"El!" urlò ancora la voce disperata di Mike nella sua mente ed alle sue spalle, afferrando la sua mano nella sua e tirandola indietro, facendola cadere sul pavimento con uno strattone: interrompendo il suo contatto visivo con quella crepa nel muro, ponendosi tra lei e la parete davanti ai suoi occhi. 

Vedendola sbattere le palpebre confusa come risvegliata di soprassalto da un brutto sogno, i suoi occhi immediatamente più aperti, più svegli. 
Il suo sguardo a vagare intorno a lei fino ai contorni del suo viso sopra di lei. 

"Mike…?" mormorò la piccola Hopper con un piccolo sorriso, vedendo il suo ricciolino riprendere finalmente fiato di fronte a lei, lasciando scorrere le lacrime di tensione.

"Cazzo Dio mio, ti ringrazio…ti ringrazio…"
"Mike, sei…sei qui?" 

Mormorò El con un filo di voce, portando una mano lentamente sulla sua guancia pallida ed illuminata dalla luce rossa intorno a loro, vedendolo stringerla immediatamente nella sua. 
"Sono qui, El, sono qui…" le sorrise Mike tra le lacrime di paura, stringendo la sua mano nella sua per trasmetterle la forza che non credeva di avere più. 

Non più se non per donarla a lei. 
Per porre fine a tutta quella storia. 

"Chiudiamo questa dannata porta e finiamo tutta questa storia, El" 

"El!" la piccola vide la sua amica dai capelli rossi correre più avanti fino a loro, vedendo con la coda dell'occhio anche Lucas e Dustin farsi cautamente più vicini al muro.
Lungo la parete ancora ricoperta di acqua nera e di cocci di vetro della vasca ovunque. 

"Mamma!" udí Will urlare, correndo incontro a Joyce al termine delle scale di ferro della balaustra al piano superiore, ritrovando sulla porta lei ed Hopper, imbracciato il suo fucile, scendere i gradini di corsa nella loro direzione. 

"Mamma…stai bene!" vide l'amico gettare le braccia al collo alla madre, nascondendo il viso tra i suoi capelli sciolti, facendo provare alla piccola Hopper una fitta più profonda e più dolorosa al cuore. 

Era per colpa sua che erano finiti tutti lì dentro quell'incubo. 
Era per colpa sua se tutti loro erano finiti dentro quel posto infernale, chiusi come topi dentro una trappola. 
Come topi di laboratorio. 

"Cosa dobbiamo fare El ora?" la voce di Max si fece più vicina al suo orecchio, chinandosi davanti a lei e posando le mani sulle sue spalle, con un piccolo strattone, facendo tornare il suo sguardo su di lei: su Max e su Mike in ginocchio davanti a lei, ad osservarla con sguardo teso. 

"Ti abbiamo raggiunto fino a qui, ora cosa dobbiamo fare, El?!" la piccola vide continuare la sua amica a chiederle ancora, sentendo la sua mente ruotare impazzita in un vortice di luci e colori. 

Non era certo quello il momento di arrendersi alle sue forze già allo stremo per lo sforzo. 
Non era certo quello il momento di tentennare perdendo tempo senza sapere quale sarebbe stata la loro successiva mossa. 

Li aveva fatti arrivare fino a qui: aveva chiesto a tutti loro di raggiungerla dentro quei sotterranei…ed ora? 

"Dicci cosa dobbiamo fare! Dicci come possiamo aiutarti, El!" 

Li aveva davvero condotti tutti lí dentro insieme con lei? 
Aveva permesso davvero che le loro vite fossero messe a pericolo in questo modo, invece di proteggerli tutti come, da sempre, si era riproposta? 

"Kiddo! Attenta!" urlò la voce del capo Hopper, raggiungendola e ponendosi alle sue spalle, in un secondo. 
Incitando i ragazzi a stare indietro mentre già un'altra ombra compariva nel rosso davanti a loro, dall'altra parte della parete. 
Una figura alta e dai capelli bianchi e gli occhi azzurri di ghiaccio, apparsa all'improvviso, comparsa da chissà dove davanti ai loro occhi. 

E sul suo viso, il solito sorriso beffardo, quasi vittorioso e cinico. 
"Ma molto bene, Eleven…" lo vide sussurrare il dottore quasi felice, un cenno del capo il direzione dei suoi amici. 
Facendo serrare i pugni del fiorellino immediatamente alle sue parole. 
"Hai portato delle visite a farci compagnia per il nostro esperimento di oggi pomeriggio?" 
"Tu non li toccherai papà, nemmeno con un dito!" 

"Indietro ragazzi, contro il muro!" ordinò il capo Hopper a Joyce, Will, Lucas e Dustin, vedendo Max correre indietro fin tra le braccia di Lucas, il giovane Wheeler scuotere la testa, aiutando El a ritirarsi sú. 
"Non se ne parla capo, se lo può scordare!" urlò Mike scuotendo i ricci neri sulla fronte:
"Io lei non la lascio qui! Non ci pensi nemmeno!" 

"Questo non è un suggerimento, Mike: questo è un cazzo di ordine!" il paladino vide il capo strillare più forte, afferrandolo per le spalle del suo completo da festa blu, rivolgendogli un ultimo sguardo fermo e minaccioso:
"Se vuoi fare il bene di El smetti di fare l'eroe e stattene indietro, contro il muro!" 

"Molto bene, capo Hopper…di nuovo qui!" avanzò lentamente il dottor Brenner nella penombra, davanti alla figura piccola di El, appoggiata e sorretta alle braccia del suo papà, barcollante per lo sforzo. 
El udí il suo papà adottivo irrigidirsi, digrignando i denti davanti a lui. 

In mezzo ai suoi due papà: all'uomo che l'aveva generata e a quello che l'aveva accolta come una vera figlia, donandole per primo ed in modo gratuito tutto il suo amore. 

Dopo anni di precario equilibrio mascherato come un accordo, tutti e tre sapevano da sempre che sarebbero arrivati, prima o dopo, a quel punto. 

"Di nuovo qui dove tutto e cominciato, vero? Sono passati più di due anni ma sembra solo ieri, non trova?" 
"Questa è la resa dei conti, dottore…" sorrise il capo Hopper imbracciando il suo fucile, pronto a fare fuoco. 
"Vediamo se, dopo anni, non le è ancora passata la voglia di continuare a giocare a questo stupido gioco!" 

Un primo sparo rimbombò nel sotterraneo del laboratorio, rimbalzando contro il muro alle spalle del dottore, facendo saltare sul posto il gruppo dei 5 nerdini, insieme con Joyce, facendosi ancora più piccoli contro i macchinari lungo la parete, dietro di loro. 

"Stati giù, ragazzi, attenti!" li intimò Joyce portando le sue mani sopra la testa del figlio, accanto a lei, vedendo Hopper sparare a raffica un colpo dopo l'altro, il dottore schivarli con una velocità inaudita. 
Non umana. 

"Tutto qui, capo? Dopo anni mi aspettavo qualcosa di meglio!" rise il dottore senza scomporsi neppure. 
Sollevando un braccio lentamente davanti a lui, vedendo la piccola Hopper fare lo stesso, dall'altro lato del muro. 

"Così me la rende davvero troppo facile, capo Hopper.."
"…tu non farai male a papà, né a nessuno di loro!" 

Sferzò il suo colpo il dottor Brenner, di fronte a quella porta, energia pura a uscire dalle sue mani come un fulmine nella direzione del capo di fronte a lui. 
Chiuse gli occhi Hopper, portando le mani in segno di protezione davanti al suo viso…

…ma quando li ebbe riaperti, confusi, qualcos'altro si era messo come scudo davanti a lui. 

Qualcos'altro, o, meglio, qualcun altro. 

La sua piccolina, con le braccia ben tese davanti a sé, di contro quelle del dottore. 
E dalle sue braccia, tutt'intorno a loro, un campo di forza a schermarli come un enorme scudo rosso

"Porca di quella…" il giovane Wheeler udí l'amico senza denti mormorare a quella vista, stretto contro il muro insieme con lui. 
Mosse un passo in avanti il ricciolino, per correre incontro al suo fiorellino e proteggerla in un naturale istinto di protezione, ma Will lo trattenne con uno strattone, indietro vicino a lui. 
"No, Mike, no! Resta qui!" 

"Porco cazzo…" sussurrano all'unisono le voci dei piccoli nerdini contemporaneamente, sconvolti ed ipnotizzati da quella vista. 
Dalla vista del corpicino della loro El, così piccola ed indifesa all'apparenza, con il suo vestitino bianco da ballo ancora indosso e con le braccia tese davanti al suo viso. 

Così piccola ed indifesa, eppure…così potente. 
Dalle sue mani tese, dalle sue dita, tutta quella materia invisibile, tutta quella energia. 
Dai suoi poteri, proiettato tutto intorno, quel campo di forza a proteggere lei, il capo, tutti loro, impossibile da penetrare per ogni colpo sferzato dal suo dottore. 

"State tutti indietro, giù!" li intimò ancora Joyce, avvolgendo le braccia intorno a Will e Mike, tirandoli più vicini, mentre già Lucas faceva lo stesso intorno a quelle di Max, ferma accanto a lui. 
Il volto di lui nascosto nei capelli rossi di lei, per proteggersi dalla luce. 
Gli occhi azzurri di lei semiaperti nonostante il bagliore, incapaci di distogliere lo sguardo dalla figura dell'amica. 
"El…?" 

Nessuno aveva mai assistito ai poteri di El prima di allora. 
Nessuno aveva mai avuto nemmeno vagamente idea di quanto grande ed inverosimile potesse essere la sua forza. 

Nessuno, nemmeno il piccolo paladino schiacciato in quel momento, insieme ai suoi amici, lì contro quel muro. 
Incapace di parlare, di respirare, di correre da lei in quel momento. 

Incapace quasi di riconoscere il suo piccolo fiorellino, fragile come una rosa ma forte come una bufera, dai poteri indicibili a manifestarsi per la prima volta lì davanti ai loro occhi.

Non sapeva cosa pensare il ricciolino. 
Non sapeva cosa dire. 
Ma era sempre stata chiusa dentro di lei tutta quella forza? 
Quella stessa potenza distruttrice, così forte da far tremare le pareti di cemento armato di quel sotterraneo, intorno a loro?

"Pensi davvero di potermi resistere, Eleven?!" tuonò sopra il frastuono la voce del dottor Brenner, sferzando contro di lei l'ennesimo colpo, facendola barcollare ma mantenere la presa, stringendo i denti ancora di più. 

Sangue rosso a colare lungo il suo vestito bianco dalle sue narici. 
Dalle sue orecchie. 
Dagli angoli delle sue labbra. 

"Io ti ho generato, Eleven, io! Per quanto ancora credi di potermi resistere? Per quanto ancora credi di poter essere ancora più forte di me?!" 

"Sono da sempre più forte di te, papà!" urlò El parando l'ennesimo colpo, sentendo il suo papà adottivo alle sue spalle sparare con il fucile l'ennesimo colpo, schivato dal dottore, ancora una volta, senza il minimo sforzo. 
"Sono da sempre più forte di te…è per questo che tu hai sempre avuto bisogno qui dentro di me!" 

"Tu dici?!" rispose sadica la voce del dottore con una risatina, scagliando un altro colpo a braccia ben tese davanti a lui, con ancora più forza. 
Facendo indietreggiare il piccolo fiorellino, un passo dopo l'altro, ancora di più.

Fino a farla cadere in ginocchio a terra, in mezzo ai cocci di vetro del pavimento. 
Sfinita, senza più forze. 

E il campo di forza intorno a loro dissolto in un secondo davanti ai loro occhi. 

"No!" urlò per primo Mike tra tutti. 
Ma la sua voce venne coperta da quella di qualcun altro, ancora più forte. 

"No, Max! Torna qui! Non lo fare!" urlò la voce di Lucas a coprire la sua, tentando di afferrare un'ultima volta un lembo del vestito della sua ragazza, alzatasi dalle sue braccia in una frazione di secondo. 

E prima che Mike, Lucas, Dustin, Will o Hopper e Joyce potessero reagire, prima che El stessa potesse accorgersene, sdraiata su quel pavimento sfinita come una cartuccia esaurita, la ragazza dai capelli rossi si era già parata davanti alla sua migliore amica, tra lei ed il suo dottore, facendole da scudo con le braccia bene aperte, in un inutile gesto di protezione. 

"Se vuole uccidere El dovrà uccidere anche noi!" urlò decisa ma rotta la voce di Max contro il dottore, vedendolo scuotere la testa in una risata roca, spietata e senza vergogna. 
"…Max?" mormorò a sua volta la voce piccola di El alle sue spalle, vedendo la sua migliore amica intimarla di restare dietro di lei più giù. 

"Oh, non credere: lo farò, ragazzina…lo farò di certo!" sogghignò il dottor Brenner, alzando un altra volta il braccio nella sua direzione, lanciando uno sguardo patetico nella sua direzione:
"Quanto potete essere sciocchi, bambini? Quanto potete rendermi tutta questa storia davvero troppo facile, con le vostre assurde scenate da patetici eroi?" 

"Max!" urlò ancora Lucas con tutte le sue forze, poco prima che un altro urlo facesse irruzione in quel sotterraneo, dall'altro lato della balaustra sopra di loro. 

Un altro urlo. 
Un altro ruggito. 
Il mostro. 

"Via da lí, ora!" ordinò il capo Hopper alle spalle delle due, vedendo le due amiche voltarsi di scatto in direzione del demogorgone sopra le loro teste, attraverso la grata di ferro, ruggendo feroce nella loro direzione. 

"Vai via da qui, Max! Ora, è un ordine!" 

"Troppo tardi!" rise la voce del dottor Brenner, con un movimento brusco delle braccia nella loro direzione. 
Sollevando da terra la figura della ragazzina dai capelli rossi come fosse fatta di una nuvola di piume. 
Lasciando la piccola Hopper a boccheggiare al di sotto.
Gli occhi grandi riempiti di lacrime di paura e terrore. 

"Lasciala andare, papà!" urlò El vedendo la figura di Max sospesa per aria, di fronte alla porta del muro rossa, sentendo i suoi amici alle sue spalle urlare lo stesso, con tutte le loro forze. 

"Lasciala andare, bastardo!" urlò Lucas scattando in avanti per primo, placcato a terra dalle braccia di Dustin intorno alle sue spalle. 
"No, Lucas, no! Fermo!" 
"Fammi uccidere quel bastardo con le mie stesse mani! Mollami, Dustin!" 

"Papà, ti prego…lasciala andare…" singhiozzò El unendo le mani in preghiera di fronte al suo viso, vedendo, al di là del corpicino sospeso della sua amica, il suo aguzzino sorridere. 

Di un sorriso cattivo

"Lei non c'entra niente con me e con te…nessuno di loro!" pianse El sentendo il cuore stringersi nel suo petto a quella vista: alla vista dei suoi peggiori incubi farsi reali in un secondo davanti ai suoi stessi occhi. 

Perché aveva permesso che tutto quello accadesse?
Perché aveva permesso che qualcuno si facesse del male per lei? 
Perché non era stata abbastanza forte da riuscire a proteggere tutti loro? 

"Farò quello che vuoi, ma ti prego…" mormorò la piccola un'ultima volta, chiudendo gli occhi e pregando che tutto quello fosse solo un brutto sogno. 

Uno dei suoi incubi peggiori. 

"Ti prego non far loro del male…ti prego, papà, falla scendere…mettila giù da lí! Papà!" 

"Metto giù la tua amica? E va bene, piccola Eleven…come vuoi tu!" ghignò il dottor Brenner con uno strattone, un movimento brusco della sua mano contro il corpicino della rossa sospesa in aria in mezzo a loro. 

I suoi capelli rossi a volteggiare nell'aria di quel sotterraneo per un ultimo secondo…

…prima di cozzare con forza, con un gran rumore, dall'altra parte del muro, accanto a loro. 
Il suo corpo lanciato con forza contro i macchinari ammucchiati contro la parete, cadendo giù a terra e rimanendo fermo, rigido. 

Immobile

"Max!!!" corse per primo Lucas nella sua direzione. 
E quella volta no: nessuno dei suoi amici ebbe la forza per tenerlo fermo quella volta. 

"Max, Max!" corsero anche El e Mike insieme con lui, cadendo a terra accanto al corpo immobile della loro amica, vedendo Lucas piegarsi su di lei scuotendola per le spalle. 

Facendo voltare il suo viso nella loro direzione. 
La pelle pallida, i capelli rossi sparsi intorno al suo viso. 
I suoi occhi verdi spenti. 
Inespressivi. 

"Cazzo…" soffiò Mike passando una mano dietro la testa dell'amica, tra i suoi capelli rossi, avvertendo una chiazza liquida e calda alla base della sua nuca. 

"Cazzo…cazzo!" fu solo in grado di ripetere il ricciolino agli occhi sconvolti del suo piccolo fiore, con il cuore in gola.
Ritraendo davanti al suo viso la sua mano ricoperta da cima a fondo di un caldo e denso liquido rosso. 

Rosso come i capelli della loro amica. 
Rosso come il suo sangue

"…no…"
"Cazzo…cazzo…cazzo!" 

"Max!" si fecero più vicini anche Dustin e Will, in ginocchio accanto ai due amici, intorno a Lucas a singhiozzare sconvolto, incapace di respirare o di proferire parola, solamente di ripetere, come una litania, il suo nome. 
Quasi fosse bastato quello a riportarla in vita. 

"MAX…MAX! Rispondimi, ti prego…MAX!"

"Non respira…" mormorò Dustin sopra di lei, vedendo il giovane Byers scuotere la testa accanto a lui deglutendo con forza. 
"No…"

"El!" urlò Mike vedendo la piccola Hopper rialzarsi di scatto in mezzo a loro, voltandosi all'indietro, alle loro spalle, in direzione del dottore rimasto fino a quel momento davanti alla porta aperta nella parete, immobile e fermo. 
Con un sorriso soddisfatto sulle sue labbra. 

"Che cosa mi dici, piccolo fiorellino, ci credi ancora?" Mike la vide tremare come una foglia, in piedi dietro di loro, vedendo i lembi di tulle del suo vestito e i suoi riccioli sulle sue spalle nude fremere insieme con lei. 

Ma non più di paura, non più di terrore. 
Di rabbia, di odio. 
Di vendetta. 

"Credi ancora di essere così forte, piccolo sciocco fiorellino, se non sei in grado di difendere nemmeno uno dei tuoi sciocchi inutili amici?" 

"El…" la pregò Mike prendendola per un polso, allontanando immediatamente la mano sentendo la sua pelle percorsa da una scossa elettrica lungo l'intera superficie. 
"Ti prego, El, basta…non starlo a sentire!" la supplicò Mike alle sue spalle, con la voce rotta, vedendola muovere un passo in avanti lentamente, incontro a lui. 
"Non stare a sentire quello che dice!" 

"Chi sarà il prossimo, Eleven? Chi dopo la tua amica Max?" rise sadica la voce del dottore, facendo infiammare il fuoco della piccola dentro le sue vene, lungo le sue braccia e le sue gambe. 

"Continuiamo con il tuo Mike? Che ne dici? Eh?" El lo vide urlare in direzione del ricciolino alle sue spalle, una mano già tesa nella sua direzione… 

…prima che, con un forte grido di dolore, un colpo secco facesse spezzare le intere ossa della sua articolazione. 

E il sorriso soddisfatto era quello sulle labbra della piccola Hopper quella volta. 
La sua testa mossa con un colpo secco nella sua direzione, spezzandogli ossa del braccio come tanti fogli di carta straccia. 

E muovendo il braccio contro di lui, con ancora più forza, scaraventandolo contro il muro alle sue spalle. 

"Né Mike né nessuno di loro!" urlò El con tutta la sua voce, inchiodando la figura del suo dottore in alto contro il muro. 

Una forza che non credeva di avere mai avuto, amplificata dal dolore, dalla tristezza, dalla rabbia, dalla voglia di distruzione. 

Ora basta, era finita. 
Che nessuno più potesse soffrire ancora per causa sua. 

Nessuno, se non lui. 
Il punto di origine di tutto il suo dolore. 

"Né Mike né più nessuno di loro…solamente più tu, papà! È il tuo turno!" 

"Bel colpo, Sarah!" udí papà Hopper pararsi al suo fianco a lei, imbracciando il fucile e puntandolo anch'egli contro il muro. 
Contro il muro e contro la figura del dottor Brenner, immobilizzato dai poteri di El, vicino alla crepa nel muro. 

"Facciamo fuori questo figlio di puttana insieme! Bel colpo, Sarah!" 

*

Tutto successe in una frazione di secondo. 

Il tempo di un battito di ciglia di quel piccolo fiorellino nella sua direzione. 

Lo vide sorriderle il suo papà adottivo, il solo papà che lei avesse mai avuto. 
Rivolgendole un ultimo sguardo fiero dall'alto dei suoi occhi azzurri, nella sua direzione. 

Sarah. 
El. 
Kiddo

El avrebbe potuto leggere in quei suoi occhi azzurri tutto l'orgoglio, tutto il riscatto che lei era stata in quegli anni per lui. 

Tutta la vita che, in quegli anni insieme, lei era stata per lui. 

Tutta la vita che lei avrebbe ancora vissuto con lui. 

Tutta la vita che…
No

Che lei non avrebbe mai più vissuto, insieme, con lui. 

Non fece in tempo ad urlare la piccola, a gridare al suo papà di fare attenzione.
Ad avvertire il suo papà adottivo, il capo della polizia Hopper, di guardare più in sú…

...in sú perché, quando il demogorgone fu saltato da sopra la balaustra di ferro, nella loro direzione, sopra di lui, l'aria del suo grido non era ancora nemmeno uscita dai suoi polmoni. 

Cadde in avanti il capo Hopper, colpito alle spalle dalle zanne aguzze di quel mostro, avvinghiatosi alla sua carne, penetrando le sue membra con i suoi artigli, ruggendo forte in un ruggito a mescolarsi con le voci di tutti i presenti, all'unisono. 

"NO!" urlò Joyce alle spalle della piccola. 
"NO!" urlarono all'unisono le voci dei 5 nerdini ancora accanto al corpo senza vita di Max in mezzo a loro. 

"NO!" urlò El, sentendo di non avere più forza.
Né più fiato, né più respiro, né più speranza, né amore. 

Chiudendo gli occhi ed avvertendo la terra franare sotto i suoi piedi, le pareti del laboratorio tremare intorno a lei, scosse dai suoi poteri, per la prima volta, senza controllo. 

Facendo cadere il corpo del dottor Brenner al suolo, cadendo lei a sua volta in ginocchio davanti a quella porta spalancata davanti ai suoi occhi. 

Vedendo solo più, attraverso le sue lacrime, in un ultimo secondo, il mostro cadervi all'interno, trascinando il corpo del suo papà ben stretto insieme con lui. 

Con lui attraverso la breccia del muro. 
Con lui attraverso un'altra dimensione. 

Un ultimo secondo, e loro erano già spariti

Rimasta in quel mondo, solo più lei, da sola. 
Insieme al suo dolore. 

"Papà!" urlò la piccola correndo incontro al muro. 
"El, no!" urlò a sua volta Mike correndo nella sua direzione. 

Abbracciandola di schiena e facendola cadere a terra, ad un passo dal muro e dalla porta aperta davanti a loro, sentendola gridare con tutta la sua forza tutto il suo dolore. 
Espandendo i suoi poteri tutt'intorno, in un turbinio di fulmini lungo le pareti in ogni direzione. 
I muri dei sotterranei a tremare più forte intorno a loro, i primi calcinacci a precipitare dal soffitto, attorno a loro. 

"È andato, El! È andato!" urlò Mike stringendola ancora più forte per riuscire a sopportare il suo dolore, sentendo elettricità pura scaturire dalla pelle di El tra le sue braccia, stringendo i denti e resistendo all'istinto di lasciarla andare per non bruciarsi con il suo calore. 

"È andato, El! Non puoi seguirlo dentro quel muro! El, ti prego, fiore…mi fai male così!" 

"El!" urlò Will alle sue spalle, indicando un'ombra correre barcollando lungo il muro:
"Il dottore!" 

"…tu!" Mike la udí balzare in piedi in un secondo, un gesto della mano nella sua direzione. 

Facendolo indietreggiare contro la parete alle sue spalle, puntando una mano contro il profilo nell'ombra del suo dottore. 

"Eleven…" tentò di comunicare il dottore, sparito il suo ghigno ed il suo sorriso beffardo nella sua direzione. 
Gli occhi di ghiaccio spalancati per la prima volta, sconvolti: sconvolti dai poteri del suo stesso piccolo esperimento, per la prima volta. 
"Eleven, parliamone, ragioniamoci insieme sopra!" 

"Dammi una buona ragione per cui non dovrei ucciderti!" strillò El sbattendolo con forza, nuovamente contro il muro alle sue spalle, sentendo la terra tremare sotto i suoi piedi, ma rimanendo con il suo sguardo ben fisso contro di lui. 

"Dammi una buona ragione per cui non dovrei ucciderti come tu hai fatto con papà, e con Max, e con la mamma!" 

"Eleven, io ti ho generato…" rispose il dottore con voce quasi ridotta ad una supplica, facendo crescere l'odio e la rabbia di quel piccolo, potente, fiore ancora di più. 
"Io ti ho resa quella che sei, io solo ti ho resa così forte…ma non te ne riesci a rendere conto?" lo udí urlare nella sua direzione un'ultima volta vedendola farsi più vicina a lui. 
Vicino alla crepa aperta nel muro, di fronte a loro. 

Sarebbe stato troppo semplice spezzargli solamente l'osso del collo. 
Sarebbe stato un gesto troppo misericordioso, troppo caritatevole. 

Lui non si meritava nessun tipo di misericordia. 
Lui, il vero mostro che di misericordia non ne aveva mai avuta per nessuno. 

E così, anche lei, non ne avrebbe avuto per lui. 

"Solo io ti conosco davvero…solo io so chi realmente sei!" lo sentí continuare la piccola Hopper, ma lei non lo stava già a sentire di più. 

Il resto della sua vita rinchiuso dentro quel mondo di freddo, di buio, di vuoto. 
Lo stesso nel quale lui aveva rinchiuso lei ogni singolo giorno della sua vita, fin da quando ne aveva memoria. 

Quella sarebbe stata la giusta punizione. 
Quella sarebbe stata la giusta ed equa fine della sua ignobile storia. 

"Eleven, tu mi appartieni, tu sei come me in fondo! Io…io sono il tuo papà!" 
"Tu non sei il mio papà, non lo sei mai stato!" urlò El come atto finale, cadendo in ginocchio davanti a lui. 

Le braccia protese contro di lui, contro il mostro che, dopo averla data alla luce, l'aveva fatta morire ogni giorno, ogni singolo pomeriggio, fino a farle rimpiangere di essere mai venuta al mondo. 

Adesso basta. 
Adesso era arrivata davvero la fine

La fine del lupo e del suo agnello innocente. 
La fine del suo dottore, ucciso dall'esperimento da laboratorio che lui stesso aveva creato anni, ed anni prima. 

"E ora morirai nell'inferno che tu stesso hai creato, caro il mio papà…"

*

Tremarono i muri intorno a loro. 

Tremò il soffitto, il pavimento.
I cocci di ferro lanciati per aria impazziti, dalla mente del piccolo esperimento in confusione. 

La balaustra di ferro sopra le loro teste, minacciando di schiantarsi sopra di loro. 

Corse indietro la piccola, in direzione dei suoi amici, non appena, in un'esplosione forte di luce, la sagoma scura del suo dottore si fu fatta più piccola fino a sparire per sempre, al di là del muro. 

Senza rimpianti. 
Senza rimorsi. 

Nemmeno una lacrima da poter versare ancora per lui. 

"Max…" mormorava ancora Lucas stringendo il corpo della sua ragazza a sé. 
Il suo vestito elegante da ballo ormai imbrattato completamente del suo sangue rosso. 

Singhiozzava Joyce Byers, davanti al fucile lasciato cadere davanti alla porta dal capo della polizia, le mani giunte davanti alle sue labbra come una preghiera: fa che non possa essere vero. 

Tremava senza fiato la piccola, il sangue colato lungo le sue narici ormai secco ma ancora caldo. 

Senza più forze, senza più energie. 
Solamente quelle per lasciarsi cadere tra le braccia del suo piccolo paladino, scattato in avanti in un secondo prendendola al volo. 

"Mike, dobbiamo andarcene da qui!" urlò Will in direzione del suo migliore amico, indicando la balaustra di ferro tremare come il resto della stanza sopra di loro, capace di piombare da un momento all'altro sopra di loro. 

"Mike!" urlò ancora Will alle spalle dell'amico, vedendolo stringere le braccia ancora più forte intorno alle spalle del suo piccolo fiore. 
"Via da qui, forza! Ora!" 

"El…" la chiamò Mike scuotendola per le spalle dolcemente ma con forza, vedendola riaprire davanti a lui occhi mai stati più spenti e più rossi. 

Occhi di morte

"Devi chiudere la porta, El! Devi farlo subito!" la piccola lo vide muovere le labbra troppo velocemente perché riuscisse a capire in quel momento, restando ad osservarlo con gli occhi semichiusi, sfinita, vedendolo scuotere la testa, ripetendoglielo ancora una volta. 

"La porta, El! Devi chiuderla, ricordi? Chiudi quella dannata porta e corriamo via da qui, ti prego!" 

"Mike!" udì la voce di sua sorella Nancy chiamarlo al di là della porta d'ingresso di quel sotterraneo, vedendola affacciarsi insieme con Jonathan e Steve, correndo verso di loro e chiamandoli a gran voce. 
"Cristo, Mike, venite via di lì! Questo posto sta per crollarci addosso! Venite via da qui, ora!" 

"El…" la supplicò ancora una volta Mike, scuotendola con ancora più forza e guardandola fissa negli occhi. 
Sperava solo che lei in qualche modo riuscisse a capirlo in quel momento. 
Sperava solo che avesse ancora un piccolo, minuscolo, residuo di forze…

"El, ti prego…la porta, chiudila, ti prego…adesso!" 

"E Max…e papà?" mormorò la piccola con un filo di voce, vedendo già le braccia dei suoi amici sollevare il corpo senza vita della ragazza dai capelli rossi. 

"E Max e papà? Non posso lasciarli qui, Mike! Io non…"

"Sono andati, El, sono andati!" scosse la testa Mike con le lacrime agli occhi nella sua direzione, vedendola scuotere la testa più forte a sua volta. 

"No, non è vero…loro non…"
"Farci morire qui dentro non li riporterà in vita, El! Max e Hopper sono morti!" urlò più forte Mike con forza, stupendosi da solo del tono così duro della sua voce. 
Vedendo la sua piccola singhiozzare ancora più forte al suono di quelle sue parole, facendo stringere le sue braccia intorno al suo corpicino ancora di più. 

"El, ti prego…stammi a sentire…" mormorò Mike in mezzo ai suoi ricci, prendendo per l'ultima volta fiato in un lungo, profondo respiro di tristezza:
"Niente di quello che è successo è stata colpa tua, mi hai capito? Non voglio che pensi che sia stata colpa tua nemmeno per un singolo, stupido secondo!"

"Ma io…" scosse la testa la piccola, la Mike scosse la testa ancora più forte:
"No, El, nessun ma!" urlò deciso nella sua direzione, vedendo con la coda dell'occhio i suoi amici uscire via alle loro spalle, annuendo nella loro direzione, come ad incitarli di non aspettarli, di lasciarli soli. 

"Nessuno potrà mai darti la colpa di quello che è successo a te, El, te lo prometto! Ma adesso dobbiamo andare, dobbiamo andarcene via da qui! Tu devi chiudere questa dannata porta prima che questo cazzo di posto crolli sulle nostre teste, mi hai capito? Chiudi questa porta e finiamo con tutta questa storia, ti prego! "

"La porta…" mormorò El voltandosi lentamente verso il muro alle loro spalle, verso lo squarcio profondo, aperto, rosso. 

La porta. 
Lei l'aveva aperta. 
Lei quella sera doveva richiuderla. 

Era così che doveva andare a finire quella storia. 
Eppure… 

"Devi chiudere la porta, El: era la parte finale del piano, ti ricordi?" la supplicò Mike chiudendo gli occhi a riaprendoli di fronte a lei ancora una volta, vedendola restare ad osservare lo squarcio nel muro immobile e fissa, di spalle a lui. 

Cosa stava succedendo nella mente di El? 
Perché non si decideva a farlo e basta, una volta per tutte? 

"El, ti prego, ascoltami…"
"…no" mormorò la piccola con un filo di voce, voltandosi lentamente di nuovo davanti a lui, nella sua direzione.

Lasciando che i loro occhi si incrociassero confusi ancora una volta. 
Occhi scuri contro occhi scuri. 
Grandi, da bambini, come il loro primo giorno. 

Come il primo giorno davanti ai loro armadietti rossi, come davanti ai suoi libri caduti ai suoi piedi in mezzo a loro. 

Come il primo giorno
Come il loro ultimo giorno.
Lí davanti a quella porta nel muro rossa. 

"No." 

Lei aveva permesso che tutto quell'incubo si realizzasse davanti ai loro occhi. 
Lei aveva permesso che i suoi amici perdessero la propria vita per difendere la sua. 

Quello era il suo momento per diventare l'eroina di tutta la sua storia. 
Quello era il suo momento di diventare la piccola principessa coraggiosa di tutte le sue storie. 

Fino alla fine

"Io non posso chiudere la porta, Mike, non ancora…" Mike la udí sussurrare con un piccolo sorriso triste, ma fermo, deciso. 
Quello di chi ha finalmente capito. 

Quello di chi ha capito cosa fare. 
Quello di chi ha capito come fare uscire tutti incolumi e vivi, via da lí. 

In qualunque modo
In qualunque tempo

In qualunque giorno
In qualunque anno
In qualunque vita.

In qualunque secondo del tempo.

Indietro ed avanti, andata e ritorno. 

Indietro nel passato ed avanti nel futuro

"Io non posso ancora chiudere la porta, Mike…" mormorò la principessa al suo paladino, con un ultimo, semplice e bellissimo sorriso. 

Il suo paladino aveva mantenuto tutte le promesse che le aveva fatto in quel lungo, bellissimo anno d'amore. 
Tutte, dalla prima all'ultima. 

Ora, lei gli stava chiedendo di mantenere anche l'ultima, la più importante, la più difficile. 

Quella di fidarsi di lei, ancora una volta. 
Quella di lasciarla andare…ancora una volta. 

"Io…io devo entrarci dentro, Mike…io devo entrare dentro quella porta" 

*

"Che cosa?!" urlò Mike così forte che per un secondo credette di essere stato lui, con quel suo grido a far precipitare l'intonaco della parete alle loro spalle, scosso dal terremoto. 

"Ma che cosa dici?!" lo udí continuare il suo ricciolino con occhi confusi incapace di capire. 
Mentre già le grida del restante party dei loro amici si faceva più lontano, fuori dalla porta del sotterraneo, intento a collassare su di loro come un castello di carte su di un tavolo da gioco. 

"Mike! Cosa state aspettando?!" 
"Chiudete quella porta e venite via da lì!" 
"Questo posto sta per caderci addosso!" 

"Che cosa stai dicendo, El?!" la scosse Mike per le spalle, cercando con i suoi occhi confusi ed increduli, i suoi sereni e pacifici come mai prima. 

Lei sapeva che quella era la giusta decisione. 
Sperava solo che lui riuscisse a comprendere le sue parole. 

"Che senso avrebbe entrare dentro quel coso nel muro?!" 

"Io posso farlo, Mike…l'ho già fatto altre volte!" scosse la testa il piccolo fiorellino guardandolo fisso, portando le mani sopra le sue e stringendole con forza:
"L'ho fatto con il ricordo di quel bambino, la sera in cui papà lo ha trasformato in quel mostro…l'ho fatto quando ho visto la mamma, la sera in cui papà le ha fatto…"

Mike la vide rabbrividire per una frazione di secondo, incapace di completare quella frase con quella orribile parola, stringendo a sua volta lui le sue mani ancora più strette dentro le sue. 

"L'ho fatto anche la notte in cui mi hai trovato nel bosco…" continuò El con un sussurro, fissando gli occhi grandi e pieni di lacrime fissi nei suoi, da mesi e mesi il suo porto sicuro. 
Anche in quel momento. 

"L'ho fatto anche quella sera, Mike: ho rivisto mia mamma morire quella sera davanti ai miei occhi! L'ho fatto altre volte, posso farlo ancora! Posso riuscire a tornare indietro anche questa volta!" 

"Io non capisco!" urlò Mike ancora più forte del rumore dei calcinacci a cadere pesanti a terra tutt'intorno a loro, facendoli stringere ancora più vicini, in un'invisibile bolla di protezione. 
"Che cosa vuol dire? Che cosa vuoi fare?" lo udí continuare cercando risposte lungo il suo viso: una risposta che forse lui in fondo già aveva intuito, ma non era così sicuro di voler accettare di primo acchito. 

"Tornare indietro dove, El?" 
"Tornare indietro nel tempo, Mike!" 

La piccola Hopper vide gli occhioni neri del suo nerdino spalancarsi allora di orrore al suono di quelle parole, vedendolo barcollare un passo all'indietro lungo il pavimento di quel laboratorio. 
"El, non stai…" iniziò a mormorare fissandola attraverso i suoi ricci scuri, lasciando tremare le sue mani ben strette nelle sue. 

Era qualcosa di troppo folle e di troppo grande da poter comprendere per lui in quel momento. 
Avrebbe avuto bisogno di più tempo, di più motivi, di più spiegazioni… 

"Non stai facendo sul serio, El…non è vero?" 

"Mike! È l'unico modo!" scosse la testa la piccola abbassando lo sguardo al pavimento sotto di loro, incapace di reggere il suo sguardo sconvolto. 
"È l'unico modo per tornare indietro e fare in modo che nulla di tutto quello che è successo di brutto e di orribile succeda nel futuro!" continuò El con voce rotta, ma ferma e sicura 

"È l'unico modo per fare in modo che non succeda nulla di brutto a papà…e a Max, e a mamma, e perfino a quel bambino dentro quel mostro!"

"Ma…come?!" mormorò solamente Mike incapace di processare tutte quelle informazioni: gli occhi grandi e spalancati di un bambino come davanti alla trama di un film dell'orrore. 

"È come in Ritorno al futuro, Mike!" continuò El pregando che lui capisse le sue parole:
"Cambiare i fatti avvenuti nel passato per fare in modo che cambi il corso del presente e del futuro!" 

"Ma come puoi impedire che risucceda tutto questo, El?" mormorò Mike con un brivido di orrore:
"Come puoi impedirlo senza cancellare anche tutto il resto che c'è stato?! Come puoi tornare indietro senza cancellare anche il resto, anche il resto…senza cancellare anche noi, El?" 

"Io…" la piccola sentí la sua voce spezzarsi a quella singola domanda, così scontata e così ovvia da farle tremare dentro il petto il suo piccolo cuore. 

Non poteva pensare di lasciare che tutto andasse a finire così quella notte. 
Non poteva vivere una nuova vita senza avere il suo papà vicino, senza avere vicino la sua Max… 
Come avrebbe mai potuto vivere una vita vera e finalmente libera e normale, sapendo di aver sacrificato le loro due vite alle sue spalle? 

Fissò gli occhi di Mike in quel momento la piccola El Hopper, ritrovando al di là della patina liquida delle sue lacrime, tanta angoscia, paura e disperazione. 

E giù, più giù nel profondo, tanta voglia di lei e del suo amore. 

Avrebbe potuto funzionare, se lui avesse fatto la sua parte, così come lei la sua. 

Come due particelle, scontrate in un punto ed un tempo preciso nel corso del tempo, vedono cambiati così per sempre i percorsi delle loro storie. 

Passato. 
Presente. 
Futuro. 

"Io troverò il modo di tornare da te, Mike, di tornare da te indietro nel futuro…Ma solo…" 

La vide tentennare il giovane Wheeler appena per un secondo, rivedendo i suoi occhi aprirsi ancora una volta nei suoi, supplichevoli:
"Ma solo se tu, Mike, mi prometti ti ricorderai di me…" 

"Non potrei mai dimenticarmi di te, El!" ribatté immediatamente Mike, quasi ridendo di fronte all'assurdità di quella ipotesi. 

Tremava il mondo intorno, sotto ai loro piedi. 
Tremavano le fondamenta di quel posto e tremavano le pareti, crollando intorno a loro. 

Ma, ancora di più, tremavano le loro mani strette le une nelle altre in quella ultima loro promessa, la più dolorosa. 

La più lunga e difficile da mantenere di tutte. 
Lunga giorni, mesi, anni, andata e ritorno, dal passato al futuro. 
Andata nel passato e ritorno al futuro. 

"Ti prego, El, non lo fare…" chiuse gli occhi Mike, supplicandola un ultimo secondo. 
Sentendola avvicinarsi a lui, ultimo passo nella sua direzione. 
Togliendo una lacrima dalle sue guance con la punta di un dito. 
Accarezzando con l'altra i suoi ricci neri sulla sua fronte. 

Un'ultima volta. 

"Ti prego El, non te ne andare…non te ne andare via da me un'altra volta…"

"Ti verrò a cercare, te lo prometto…" gli rivolse un ultimo sorriso d'amore il piccolo fiorellino, muovendo un primo passo lontano da lui, in direzione di quel muro. 
Vedendo le loro braccia già stendersi, accompagnando i passi di lei lontano da lui: le loro mani a stringersi fino all'ultimo possibile secondo. 

"Solo tu, qualunque cosa accada…ricordati sempre di me e di questo momento, ti prego, Mike!" 

"Mi ricorderò per sempre di te, El!" giurò il paladino alla sua principessa quella notte, stringendo la sua mano piccola dentro la sua un ultimo secondo. 

Da lì in poi, non poteva più proteggerla lui. 
Da lì in poi, ancora una volta, era lei a dover fare ritorno da lui. 

"Ti riconoscerò quando tornerai da me, qualunque cosa accada…te lo giuro, El!" 

"Me lo prometti?" mormorò il piccolo fiorellino al suo ragazzo con un ultimo piccolo sorriso. 
Con un'ultima lacrima giù dalle sue ciglia. 

Un'ultima lacrima silenziosa, ma violenta.
I suoi piedi già ad un passo dalla porta rossa alle sue spalle: lí bilico tra i due suoi mondi, ai quali era sempre appartenuta per metà. 

Ed El quella sera, aveva scelto da che parte stare. 
El, quella sera, aveva deciso, per la prima volta da sola, il finale di quel primo atto della sua storia. 

"Me lo prometti, Mike?" 
"Te lo prometto, El…te lo prometto

"Addio…" sussurrano le labbra di El in un ultimo anelito di vita: troppo silenzioso perché lui potesse udirlo, troppo lontano perché lui potesse vederlo. 

Addio a lui
Addio a quella vita. 
Addio a tutto quello che avevano costruito fino a quel punto. 

Addio ad ogni ricordo, cancellato come un colpo di spugna su di una lavagna nera nell'aula di chimica all'ultimo piano della loro scuola. 
E il primo banco, il primo giorno di scuola, ora, vuoto

Addio alle canzoni
Addio al profumo di tutti i fiori. 

Addio al suo sorriso, cancellato dalla sua memoria, come non fosse mai esistito in toto. 

Addio ai suoi baci.
Addio al suo calore. 

Addio alla sua luce al termine di ogni tunnel nel vuoto più freddo e più buio. 
Buio come l'oscurità già ad avvolgerla, come ogni altra volta. 

Rimase a fissarla fino all'ultimo secondo il piccolo ricciolino, immobile ed incapace di fare un passo, se non di restare ad osservare il suo profilo attraversare tutto quel rosso, fino all'ultimo secondo. 

Vestita di bianco, come un angelo. 
Come una visione. 

Si sentiva già un po' più perso. 
Si sentiva già un po' più solo

E nelle sue orecchie, come un eco lontano, distante anni luce da lui, una voce… 
Una voce che quasi non riusciva a riconoscere già più. 

…cosa ci faceva lui lí? 
…cosa era quel posto spettrale intorno a lui? 

"Addio…" risuonava nelle sue orecchie una voce lontana, femminile. 
Facendolo provare inevitabilmente la mancanza di qualcosa che, a tratti…non ricordava nemmeno più. 

Come l'eco di una vita passata. 
Come la speranza di una vita futura. 

"Addio, Mike…"

***


Ed El cadde.

Cadde più a fondo e più in basso di quanto non fosse mai caduta prima dentro quel vuoto. 

Proprio lei che, dentro quel vuoto, credeva di aver toccato il fondo già molte, molte altre volte. 

Di essercisi schiantata contro già molte altre volte. 

Ma, quella volta, il fondo si fece aspettare a presentarsi sotto di lei, facendola continuare a precipitare sempre più giù. 

Rivedeva tutto intorno a lei: un caleidoscopio di ricordi passati alla rinfusa come frame di immagini alle velocità della luce, lasciate sfrecciare davanti ai suoi occhi per un millesimo di secondo. 

Le risate dei suoi amici. 
Il primo bacio. 
La prima festa di Halloween. 
La prima volta. 
La prima colazione preparata dal suo papà, il primo mattino nel quale si era risvegliata nella loro cabin nel bosco. 

Ed El cadde. 

Cadde ancora quando i ricordi si furono mutati in immagini sconosciute, non più sue.

Il sorriso della sua mamma. 
Il profilo di quel bambino: del suo fratello mai conosciuto. 

Continuò a cadere, attenendo un inevitabile schianto, che tardò ad arrivare ancora di più quella volta. 

El cadde. 
Cadde ancora. 

Cadde e cadendo scoprí, infine, cosa fosse davvero l'amore. 
Perché cadendo una sola fu la sua speranza in quella sua caduta: non di non morire, non di non riuscire a ritornare a galla da tutto quel tunnel freddo e scuro. 

Ma solamente che fossero le braccia del suo paladino quelle ad accoglierla al termine di tutta quella caduta. 

Le sue braccia forti a proteggerla dallo schianto, un'ultima volta. 

Solo le sue braccia ad accoglierla al termine di quella sua ultima caduta. 

Uscì fuori dal laboratorio il ricciolino quella notte. 
Prendendo fiato a pieni polmoni nell'aria finalmente pulita intorno a lui. 

Faceva freddo, pioveva. 
Era autunno, o forse inverno. 
O forse invece era la primavera, la primavera a piovere con le sue gocce sopra di lui. 

Alzò il viso pallido e ricoperto di lentiggini il piccolo Wheeler quella notte, lasciando che le gocce lavassero via le lacrime lungo il suo viso che non ricordava nemmeno di avere versato, del perché fossero venute giù. 

E sotto quelle gocce , con il viso rivolto verso il cielo, baciò la pioggia sulle sue labbra il paladino quella notte, immaginando che fossero state le sue. 

Immaginando che lei non fosse mai esistita. 
Immaginando che, la sua piccola principessa, non fosse mai stata

O che forse, invece, fosse esistita invero da sempre. 
Da sempre , più vicino.
Dentro di lui. 

E immediatamente, intorno ad entrambi, ai confini del mondo, ai confini del tempo, ai confini delle dimensioni, ai confini del Sottosopra. 

Inesorabilmente, ancora un'ultima volta, ecco il buio ad avvolgerli entrambi, ancora una volta. 
L'ultima. 

"Mike…"

"…chi sei tu?" 

"Mike…Mike, dove sei?" 

E poi, improvvisamente solo più quello. 

Solo più il freddo, il buio, il silenzio. 

Il vuoto.

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EPILOGO
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