5.Lab Rat

📼🌼

Qualcosa di inaspettato era appena avvenuto tra i corridoi della Hawkins High.
Qualcosa di non calcolato, a tratti illogico, di certo inaspettato, qualcosa a cui nessuno avrebbe saputo dare un nome, qualcosa così profondo da rubare il respiro e far battere più veloce un piccolo cuore.

Qualcosa era accaduto nel corridoi della Hawkins High, e quella ragazzina non avrebbe saputo darvi un nome.
Nessuno glielo aveva mai spiegato.

Eleven non si fermò nemmeno un momento lungo quel corridoio, lasciando che i piedi la conducessero via lontano, più lontano da quell'istante, più lontano da quello strano incontro.

Non si voltò a ricontrollare se quel ragazzo la stesse ancora guardando dall'altra parte del corridoio, non si fermò a chiedersi se per caso la stesse seguendo o avesse allungato una mano per trattenerla ancora vicino a sé.
No, la ragazzina continuò semplicemente a camminare, non concedendo alle sue povere gambe una piccola tregua nella sua folle corsa, fino a quando non fu arrivata davanti alla porta dell'aula giusta, ancora semideserta nel cambio d'ora.
Solo allora, lasciati cadere i libri su di un banco in prima fila, la piccola Hopper si concesse infine di sedersi, di fermare le sue gambe, di fermare i suoi pensieri.
Di respirare.

Ma che cosa le era successo?

Non se lo sapeva spiegare, non riusciva a dare un nome preciso a tutta la miriade di sensazioni che aveva provato contemporaneamente dentro di sé in quel preciso istante, allo stomaco che aveva iniziato ad aggrovigliarsi come per la fame, alla pelle nuda delle gambe percorsa da piccoli brividi come di freddo, al cuore a mille sotto il suo vestito rosa come per uno spavento.
Che strano mix di emozioni era mai quello?

Era bastato un secondo, era bastato alzare la testa da terra ed incrociare un paio di occhioni grandi e scuri come i suoi.
I suoi.
Era bastato uno sguardo e d'un tratto la piccola aveva sentito come se il suo corpo non reagisse più agli stimoli imposti dalla sua mente, bloccato, paralizzato, black out.
E per un attimo, davanti a quella miriade di sensazioni nuove e mai provate dentro di sé, la ragazzina aveva avuto paura.
Ma che strano incantesimo si era impossessato del suo corpo?
E così era scappata.

Scosse la testa la piccola Hopper, sbattendo le ciglia e imponendosi di riimpossessarsi del suo autocontrollo:
"È solo stato un ragazzo sgarbato, Eleven...un ragazzo sgarbato e distratto che ti ha fatto cadere i libri a terra e che poi ti ha aiutato a raccoglierli...un ragazzo sgarbato, distratto e...e così terribilmente carino"

La ragazzina arrossì leggermente sulle guance per averlo pensato, scuotendo più forte i ricci da davanti al viso e aprendo il pesante libro di storia sul suo banco, vedendo con la coda dell'occhio gruppetti di alunni varcare la porta dell'aula al suono della fine del cambio d'ora.
Aveva altro a cui pensare: la giornata era iniziata nel peggiore dei modi e si prospettava già lunga abbastanza così senza aggiungere ragazzi imbranati ad intralciare il suo cammino.
Eppure...quel ragazzo era davvero stato gentile ad aiutarla poi a raccogliere quei libri caduti in terra: non poteva non essere considerato un gesto gentile, quanto meno garbato...
Come aveva detto quel ragazzo che si chiamava?
Quale nome le aveva urlato mentre lei già si allontanava a passo spedito...?

"Buongiorno a tutti ragazzi! Sono la professoressa Brown e vi do il benvenuto al corso di storia!" annunciò entrando per ultima dentro la classe e sbattendo la porta alle sue spalle una signora sulla cinquantina con il suo metro e sessanta di altezza e un caschetto nero corto sotto le orecchie.
Ma Eleven non la stava già più ad ascoltare.

Qualcosa aveva iniziato a scorrere lungo le sue vene, qualcosa di impalpabile, impercettibile ma presente e reale: uno strano calore che ora la avvolgeva senza lasciarle scampo, facendole avvertire improvvisamente caldo in quel suo vestitino rosa dalla gonna corta.

Puntò i piedi a terra la piccola Hopper, deglutendo ed imponendo di concentrarsi, ma il pensiero e lo sguardo tornava sempre lì, a quello sguardo, a quei due occhi così grandi e profondi, così vispi, così allegri, a tratti stupiti ed emozionati come i suoi, a quel paio di labbra rosse e a quella pelle pallida ricoperta di lentiggini ad addolcire un incarnato in contrasto a quei riccioli neri e lunghi fino a sfiorare la punta delle ciglia.

Eleven si ritrovò a sorridere, come fosse stata da sola nella sua camera e non in mezzo ad un'aula piena di studenti e a lezione appena iniziata, come se nessuno potesse vedere il suo viso diventare via via più colorato, mentre passava e ripassava con la memoria quel viso, per imprimerlo ancora una volta nella sua mente e nel suo cuore.

Estrasse distrattamente una matita dallo zaino, avvicinando a sé il libro ed annotando una data scritta alla lavagna da quell'insegnante la cui voce già si perdeva lontana, come dall'altra parte del mondo e non solo della cattedra.
Quel ragazzo dalla pelle pallida come la neve, le labbra rosse come ciliegie e i capelli neri come l'ebano che riempiva la sua mente senza lasciarle scampo avrebbe potuto essere la versione maschile di Biancaneve, su questo la piccola Hopper non aveva dubbi.
La sua versione maschile di Biancaneve.

"Frequenti il corso di chimica?" riecheggiava nella mente la sua voce gentile, unita ad un sorriso dolce che era sufficiente ora alla ragazzina per non riuscire a cancellare quell'espressione ebete dal suo viso.
Il corso di chimica?
Sì...che bella idea era stata quella, che bella idea era stata iscriversi a quel corso!
Chissà, magari lo avrebbe rivisto domani a quella lezione...
Chissà, magari l'avrebbe di nuovo spinta facendole ricadere a terra i libri ma per poi aiutarla a raccoglierli e riguardarla così teneramente...
Chissà, magari quella volta avrebbe potuto dirgli il suo nome, avrebbe potuto dirgli che il suo nome in realtà era...

"Signorina Hopper? Signorina Hopper! È ancora con noi?"

Eleven sbattè le palpebre, scuotendo velocemente la testa e ripiombando violentemente nella realtà, dentro quell'aula dove era calato improvvisamente il silenzio e gli occhi di tutti, insegnante compresa, erano puntati ora su di lei, in attesa.
La piccola boccheggiò.
"Io..." sussurrò con voce piccola e tremante, sentendo d'un tratto le parole venirle meno e quel piacevole calore fluire via dalla sua pelle in un secondo.
"Io..." riprovò deglutendo e ritrovando davanti a sé i due occhi accigliati della professoressa Brown, in piedi davanti alla lavagna con le braccia incrociate davanti al petto ed uno sguardo severo sul viso magro e scavato.
"Io...io credo di non aver capito la domanda, professoressa..."

Una risatina soffocata dal fondo dell'aula colpì l'orecchio della piccola Hopper in quel preciso istante, unito ad un paio di bisbigli divertiti alle sue spalle, di cui fra tutti la ragazzina ne riuscì a cogliere solo uno, il più pungente:
"Sì è lei...è la figlia del capo, è quella strana..."

"Nessuna domanda signorina Hopper, le avevo solo chiesto di iniziare a leggere: di iniziare a leggere il capitolo due del libro di testo, signorina" strinse le labbra sottili l'insegnante, sospirando profondamente in segno di disappunto.
"Le consiglio di stare più attenta, almeno il primo giorno...signor McLean, almeno lei è pronto per cominciare?"

Eleven strinse le dita intorno alla sua matita, abbassando il viso al suo banco, nel vano tentativo di coprire con i suoi ricci il suo viso divenuto più rosso di umiliazione e di rabbia.
Prima il fallimento al suo tentativo di fare amicizia con quelle tre ragazza di fronte al cartellone degli orari, ora beccata distratta i primi 5 minuti della prima lezione del corso.
Di male in peggio: la sua giornata non poteva che peggiorare di ora in ora.

"Basta! Smettila di pensare a quel ragazzo, Eleven! Te lo impedisco!!" ripeté furiosa con se stessa stringendo il bordo della sua gonna rosa sotto il banco, seguendo con gli occhi le righe lette ad alta voce da una voce maschile, cercando di decifrare le parole nonostante la sua vista un po' più appannata.
Non poteva permettersi di farsi vedere impreparata, non poteva permettersi distrazioni: non poteva permettersi di deludere le aspettative di chi aveva puntato tutto credendo in lei così tanto.
No, non poteva, specie il primo giorno.

"Stupida, stupida, stupida! Ti permetti di farti impressionare così?! Dal primo ragazzo gentile che ti aiuta a raccogliere i libri?! Resta concentrata Eleven! Non hai bisogno di distrazioni!" si ripeté annuendo in silenzio e chiudendo gli occhi per un secondo, per scacciare definitivamente dalla sua mente il ricordo di quel viso sorridente e gentile.

Qualunque cosa fosse successa di lì a pochi istanti prima in quel corridoio, era stata solo una fonte di distrazione dalla quale stare alla larga.

*

"È finita! Non credevo ne sarei uscita viva ma...è finita!"
"Calma MadMax! È la fine solo del primo giorno, non dell'intero anno scolastico!"
"Oh, non mi importa stalker! Non m'importa se domani mattina saremo di nuovo qui: è ancora estate qua fuori, non vedi? Dio mio, dopo tutte queste ore rinchiusa qua dentro giuro che ora corro a casa a prendere lo skate: voglio passare l'intero pomeriggio sotto questo sole!"

Lucas Sinclair fece saltare il cavalletto della bici con un sorriso, alzando lo sguardo alla ragazza al suo fianco, finalmente radiosa e felice concluso quell'interminabile primo giorno di scuola.
La folla di ragazzi e ragazze già si accalcava intorno a loro, defluendo attraverso le porte a vetri della Hawkins High, al termine della giornata scandita dal suono dell'ultima campanella, ma in mezzo a tutta quella baraonda di visi e di auto tirate a lucido parcheggiate in doppia fila, quel piccolo nerdino dalla pelle scura non avrebbe mai potuto avere occhi che per la ragazza in piedi al suo fianco.

Si voltò verso di lei il valoroso ranger del party, non potendo impedirsi di restare l'ennesima volta incantato: con quella camicetta bianca ormai completamente stropicciata e fuori dai jeans e i lunghi capelli rossi sciolti nel vento e sulla pelle chiara leggermente ancora abbronzata, quella ragazza ancora sembrava davanti ai suoi occhi la sua personale reincarnazione di un angelo sceso in terra.
E che angelo sceso in terra...il suo angelo sceso in terra.
Semplicemente la ragazza più acuta, in gamba e bella del suo mondo, quella che da un anno aveva l'onore di chiamare la sua...
"...ti sei incantato, amico?"

Will soffoccò una risata coprendo il viso con una mano e Mike alzò sorridendo gli occhi al cielo mentre Dustin si avvicinava di più a Lucas, tirandogli affettuosamente una pacca sulla spalla: certo non vi era dubbio che qualcuno avrebbe volentieri desiderato sparire dentro una voragine aperta seduta stante nel marciapiede del parcheggio.
Quello poco ma sicuro.

"Ti serve una mano? Mi sei parso, come posso dirlo...un po' imbambolato!"
"E tu non appari solo ma sei sempre il solito stronzo, Dustin..." brontolò Lucas abbassando lo sguardo, arrossendo sulla punta delle orecchie della sua pelle scura color cioccolato.
Max sorridendo si fece più vicina, salendo a cavalcioni della sua bici davanti al manubrio con la ruota anteriore in mezzo alle gambe, allungando le mani sul suo viso ed avvicinandolo al suo sotto gli occhi degli amici improvvisamente ammutoliti.
"Non starli ad ascoltare..." rise scuotendo la testa e portando di lato i capelli rossi prima di schioccargli un profondo bacio sulle labbra per mettere a tacere lui e tutti gli altri.
"...e voi mocciosi, state a guardare!"

"Va bene, ricevuto! È il momento di levare le ancore!" roteò gli occhi al cielo Dustin, distogliendo lo sguardo dall'amico che aveva portato ora le mani sulla vita della rossa, tirandola più vicina a sé.
"Ma affittatevi una camera, Cristo Santo!"
"Gli presti la tua, Dustin?" rise Will montando sulla bici e iniziando a pedalare, voltandosi un ultimo secondo indietro verso il suo migliore amico, ancora in piedi accanto al parcheggio delle bici:
"Mike! Mike, ti muovi?"

Ma la voce di Will arrivava da troppo lontano perché l'orecchio di Mike potesse coglierla in quel momento.
Il piccolo Wheeler arrossì sulle guance pallide in mezzo alle lentiggini, riscoprendosi rimasto imbambolato come Lucas pochi istanti prima davanti ai due amici che più stretti e più vicini che ora davano spettacolo senza vergogna lì in mezzo al cortile affollato.

Abbassò lo sguardo, vergognandosi di essere rimasto per un secondo di troppo a fissarli, ma non potendo fare a meno di sorridere a fior di labbra in quel momento nella loro direzione.
Se la ricordava improvvisamente quella sensazione, se la ricordava eccome!
Si ricordava l'emozione che aveva provato nel momento esatto in cui le labbra di qualcuno altro si era appoggiate alle sue per la prima volta, il momento esatto nel quale una piccola scarica elettrica aveva percorso l'intero suo corpo attraversando i nervi e mettendo sull'attenti ogni singola fibra del suo corpo.
Si ricordava quelle sensazioni, improvvisamente gli sembrava di poterle quasi rivivere!
E per la prima volta in vita sua, in quel cortile affollato, Mike Wheeler avrebbe dato qualsiasi cosa per avere anche lui qualcuno da baciare in quel momento.

"Mike!! Mike, muovi quel culo, forza, dai!!"
Scosse la testa il piccolo Wheeler, chiudendo gli occhi quasi stupito dai suoi stessi pensieri: ma cosa gli era preso? Ma cosa andava a pensare?
Era forse impazzito?
Perché quell'assurdo pensiero proprio in quel momento?

Come un lampo in un cielo sereno e senza nuvole, un'immagine si palesò in un secondo davanti ai suoi occhi: un viso sconosciuto, appena abbozzato nella sua memoria, un ricordo messo da parte lungo le ore di quell'interminabile giornata e che, chissà perché, fece capolino nella sua mente proprio lì, in quel momento, davanti a quei due suoi amici intenti a scambiarsi quel bacio di passione.

Mike rivide in un secondo quel suo bel visino, i suoi occhi spalancati e le sue gote rosee, rosa così come quel semplice e grazioso vestito che lasciava scoperte due gambe magre e una pelle così liscia che veniva voglia di toccarla.

E poi quel profumo...quell'intenso e dolce profumo di fiori...

Giusto! Quella ragazza!
Come aveva fatto Mike a dimenticarla? Come aveva fatto Mike a non cercarla con lo sguardo lungo i corridoi, in sala mensa o lì all'uscita?!

Con un movimento fulmineo Mike scosse la testa, lasciando che i ricci morbidi ondeggiassero intorno al suo viso sfiorandone dolcemente gli zigomi: la cercò con gli occhi lì, in mezzo al parcheggio, tra i ragazzi e le ragazze che salivano in macchine dai motori già rombanti o si avviavano a piedi con i libri stretti in mano, ma di quel vestito rosa nemmeno l'ombra.
"Sei un idiota, Mike Wheeler...un vero autentico idiota!"

"Mike! Mike! Ma ti muovi?!" fu l'eco della voce di Will più forte che irruppe al suo orecchio, facendo risvegliare dai suoi pensieri voltandosi verso l'amico con aria spersa e confusa:
"...come?"
"Mike muoviti! Vogliamo andare a casa!" aggiunse Lucas da lontano, separatosi infine da Max e in attesa accanto ai suoi amici già in sella alla sua bici.
"Muovi quel culo!"

"Arrivo, arrivo, voi...voi iniziate ad andare!" scosse la testa Mike, sorprendendosi delle sue stesse parole.
Ma cosa gli saltava in mente?
Dove stava andando?!
"Mike! Ma che cazzo...ma dove vai?!"
"Andate, ho dimenticato una cosa!" scosse la testa Mike senza ascoltarli, voltando i tacchi nelle sue converse bianche e dirigendosi indietro verso le porte d'ingresso ormai sgombre, stringendo più forte le bretelle del suo zaino sulle spalle.
"Mike!!"
"Andate, davvero!" ripeté Mike urlando quelle parole al vento, con una mano sulla maniglia e un piede già sul pavimento a scacchi bianchi e rossi dell'atrio della Hawkins High.
Non aveva tempo per fermarsi a pensare, doveva solo correre indietro prima di perdere altro tempo, prima che fosse davvero troppo tardi.
"Ci si vede dopo!"

*

"Piccola! Finalmente!
Allora...com'è andata?"

Il sorriso più dolce che quell'uomo baffuto le avesse mai regalato attendeva la piccola quel pomeriggio al di là del finestrino semiaperto dell'auto della polizia, parcheggiata di lato all'ingresso principale, poco distante dalle porta a vetri d'uscita.
Eleven sospirò, deglutendo lacrime amare accumulate nel corso di quell'interminabile primo giorno di scuola, abbassando per un secondo lo sguardo per poi risollevarlo in direzione del suo papà adottivo, sfoggiando il sorriso più tirato e finto che il suo piccolo cuore fu in grado di trovare in quel momento.

In circostante normali avrebbe certo detto tutta la verità, sarebbe forse scoppiata a piangere in un secondo davanti a quell'uomo che a tutti gli effetti aveva considerato in quegli anni il suo unico amico al mondo.
Se lo erano promessi, lei e quell'uomo grande e grosso che da mesi era per lei diventata la sua nuova famiglia:
"Non ci saranno mai segreti tra noi, ci diremo sempre tutta la verità! Siamo io e te e tu ed io e nessuna bugia potrà mettersi in mezzo a noi.
Le bugie sono stupide e noi siamo..."
"...noi non stupidi!"

"Alla grande!" sorrise la ragazzina, richiudendo dietro di sé la portiera con un scatto e voltandosi verso Hopper seduto sorridente al posto di guida.
"È andata...bene! Tutto bene!"
"Non avevo dubbi, kiddo!" sorrise Hopper allungando una mano e stringendola con la sua sulla gonna del suo vestito rosa.
"Tu puoi fare qualsiasi cosa, l'ho sempre saputo! Sapevo sarebbe andato tutto bene, sapevo non c'era niente di cui avere paura!"

Eleven deglutì, annuendo a quelle parole e sentendo un fastidioso pizzichio alla bocca dello stomaco, qualcosa di insolito e fastidioso mai provato in lei, qualcosa che subito la piccolina tentò di soffocare immediatamente un altro grande sorriso: era quindi quella la sensazione che si provava a dire le bugie?

"Sei riuscita a trovare tutte le aule per i corsi?
Non ti sei persa, vero? Quei corridoi sembrano sempre tutti uguali lì dentro da quello che ricordo, mio dio...e come erano gli insegnanti? Sono stati tutti gentili? E hai conosciuto qualcuno? Sei riuscita a fare amicizia con qualcuno del tuo corso?"

La piccola sospirò, sprofondando di più nel sedile anteriore dell'auto della polizia, sperando di poter sparire ingoiata dalla gomma piuma in quel momento.
Avrebbe dovuto aspettarsi quelle domande, avrebbe dovuto immaginare quella dolce e sincera curiosità, ma ora cosa si inventava? Con che cuore doveva dire a quel papà orgoglioso e sorridente di aver appena concluso quello che a tutti gli effetti poteva essere considerato il giorno peggiore della sua vita da quando ne conservava memoria?

"Ti...ti racconterò tutto a cena, papà..." sussurrò la ragazzina, voltandosi di scatto verso la cintura alle sue spalle e tirandola vicino a sé per nascondere alla vista il suo viso più rosso:
"Ora sono un po' stanca, mi piacerebbe riposare un po' e..." proseguì con un sospiro, alzando ed abbassando le spalle lentamente e richiamando a sé tutto il suo residuo coraggio.
No, quella giornata non era che appena iniziata per lei: la parte peggiore doveva ancora arrivare.
"..andiamo?"

"Sicuro! Sicuro, piccola...." annuì il capo con un altro sorriso, voltando lo sguardo di fronte a sé e girando con un gesto della mano la chiave nel cruscotto:
"...andiamo!"

Eleven tirò un sospiro di sollievo, voltandosi di lato su quel grande sedile e tirando sù le gambe più vicine a sé, stringendole al petto con le braccia sottili.
Lanciò un ultima occhiata fuori dal finestrino aperto di fronte ai suoi occhi, a quei ragazzi e ragazze dai volti sconosciuti che intorno al parcheggio sorridevano felici urlandosi "a domani".
Già, quella era forse la notizia peggiore di tutta quella giornata: ci sarebbe stato un altro "domani" identico al precedente.
L'agonia non era che cominciata, non ci sarebbe stato uno conto di pena.
Fantastico.

Hopper sorrise sotto i baffi, svoltando fuori dal parcheggio verso una strada principale in uscita dal centro di Hawkins, lanciando una silenziosa occhiata verso di lei, verso la ragazzina che in silenzio aveva chiuso gli occhi accanto a sé e che ora sembrava dormire rannicchiata con le gambe strette al petto come un piccolo gatto.

Dio quanto era fiero, così immensamente fiero di lei.

Gli alberi si facevano più alti e le case più rade lungo quella strada, mentre la macchina correva veloce verso la periferia della piccola città, lungo strade meno trafficate e più note, mangiate dal motore rombante dell'auto della polizia come ogni giorno identico all'altro, come da due anni a quella parte.
Come ogni singolo pomeriggio.

E Hop ricordava bene il pomeriggio che si era aveva percorso quelle stesse strade per la prima volta, molti anni prima...

"È solo un controllo, leverò il disturbo in men che non si dica..." aveva sospirato in un pomeriggio di settembre identico a quello, quattro anni prima, mentre il sole già calava all'orizzonte allungando le ombre delle colonne del portico sull'asfalto ancora lasciato umido dall'appena cessato temporale, donando a quell'edificio un'apparenza se possibile ancora più spettrale,
"...non ci vorrà molto"

Un uomo basso e dai corti capelli grigi leggermente arricciati, del quale il giovane Jim Hopper non ricordava già più nemmeno il nome, aveva annuito, senza accennare a ricambiare il suo sorriso di cortesia.

Il capo della polizia di Hawkins si era lasciato condurre per quei corridoi deserti, asettici ed illuminati da flebili luci al neon verdi.
Aveva tossito, le narici piene del sapore forte di ammoniaca, prima di riuscire a rispondere alla domanda del suo accompagnatore la cui voce rimbombava lungo quegli stretti corridoi sui quale si affacciavano una dopo l'altra una miriade di porte identiche, tutte uguali tra loro.
"Cercava qualcosa in particolare, capo?"
"Non proprio...no, in effetti..." aveva sospirato Hopper, lanciando un'occhiata alle uscite allarmate chiuse ai lati del lungo corridoio: ma in quel diavolo di posto non lavorava davvero nessuno?

"Credo che lei abbiamo sentito parlare di quei casi di quei bambini scomparsi..." aveva iniziato il capo, non notando il suo accompagnatore irrigidirsi impercettibilmente al suo fianco.
"...la polizia di Chicago ci sta sul collo, hanno chiesto di intensificare i controlli sul territorio"
"Avete dei sospetti?" aveva chiesto semplicemente il dottor Owens, facendo brillare i suoi occhi seri nella semiombra, fermandosi e voltandosi improvvisamente verso di lui.

Hop si era fermato a sua volta, i pugni stretti lungo i fianchi: quella conversazione aveva preso tutto d'un tratto una piega che nessuno dei due uomini in quel corridoio avrebbe fino a quel momento mai immaginato.
"Perchè lei è qui?"
"Nessun sospetto.." aveva risposto piano Hopper, soppesando ogni movimento, ogni impercettibile fremito di quel viso intimidatorio di fronte dei suoi attenti occhi azzurri,
"E credo sarebbe interesse di entrambi che io uscissi da qui senza aver trovato motivi per averne..."
"Siamo dello stesso avviso vedo..." aveva risposto il dottore, sciogliendo la tensione con un piccolo accenno di cordiale sorriso.

"...non troverà nulla qui di suo interesse, capo"
"Lo credo anche io..." aveva sospirato Hopper, passando una mano tra i capelli più folti sotto il suo consueto cappello e sperando solo di uscirsene da quello schifo di posto il più velocemente possibile.
Dio quanto avrebbe preferito essere già a casa sul suo divano davanti alla tv con la solita sigaretta tra le labbra in quel momento.
"...ma mi impongono comunque di controllare, ordini superiori...credo lei possa capire"
"Naturalmente" aveva sorriso il suo accompagnatore, indicando con la mano la strada lungo il corridoio.
"Da questa parte"

Il Dipartimento dell'energia di Hawkins sorgeva su quei territori fuori dalla periferia della piccola città dell'Indiana da quando i suoi abitanti ne conservavano memoria, seminascosto dai curiosi dai fitti alberi del bosco che cresceva rigoglioso di lì intorno, violato solo da poche stradine sterrate il più delle volte inaccessibili per le pozzanghere ed il troppo fango.
Nessuno si spingeva fino a quel posto sperduto per caso, nessuno si era mai interessato a cosa veramente vi fosse contenuto in quelle 4 mura di anonimo cemento armato.

Nessuno, men che meno il neo sceriffo Jim Hopper, appena trasferito dalla caotica Indianapolis alla piccola e tranquilla Hawkins, la classica cittadina di provincia dove tutti erano concordi nel dire che da secoli non era mai successo nulla di strano, nulla di vagamente sospetto.
Esattamente quello che faceva al caso suo.
Esattamente quello di cui il capo Hopper aveva bisogno in quel momento per sopravvivere, per continuare.
Esattamente quello di cui aveva bisogno per ricominciare.

Pigramente aveva accettato di spingersi fino a quel posto dimenticato da Dio, parcheggiando il furgone targato "Hawkins Police" nel parcheggio al termine di quella stradina serrata e recintata da grandi muri di filo spinato, davanti al portico dove aveva trovato quell'uomo dal camice bianco e volto cordialmente distaccato ad aspettarlo.
E l'unica cosa che Hopper si era ripromesso, sbuffando e richiudendo la portiera alle sue spalle, era che avrebbe fatto di tutto per andarsene via il più velocemente possibile.
Quel posto, davvero, non faceva che mettergli i brividi.

"Il vostro capo?" aveva chiesto lo sceriffo scendendo le scale e lasciandosi condurre in un'ampia sala affollata da silenziosi uomini e donne seduti con enormi cuffie sulle orecchie e ampi monitor di vecchi computer davanti alle scrivanie ingombre di scartoffie e mozziconi di sigarette.
L'aria era talmente viziata in quella stanza che perfino per il capo quella coltre di fumo faceva rimpiangere l'aria fresca al di là delle finestre.
Non uno spiraglio di luce, no un impianto di depurazione dell'aria dell'edificio.
Ma chi diavolo mai avrebbe potuto lavorare in un bunker del genere?

"Il dottor Brenner riceve solo su appuntamento, signore" aveva risposto il dottore, stringendo tra le dita una pallina di plastica blu con aria seria ma mantenendo intatto quel sorriso cordiale.
"Saremo lieti di riaverla con noi se deciderà di tornare a farci visita, per il resto...questo è tutto quello che c'è da vedere del nostro piccolo centro: abbiamo finito"
"Sì, sono d'accordo..." aveva sussurrato Hopper lanciando un'ultima occhiata intorno con aria scettica ma con altrettanta voglia di uscire da quel posto il più velocemente possibile.
"Mi indica la strada?"
"Dopo di lei..."

I corridoi erano tutti uguali all'interno di quel casermone allarmato, e il capo si era limitato a seguire i piedi del dottore lungo lo stesso percorso a ritroso, senza osare fiatare o porre altre domande di circostanza.
Era stata solo una perdita di tempo, come aveva sostenuto dal principio fino a quel momento: non c'era traccia in quel posto di ciò che lui stava cercando.
Bambini rapiti dentro quell'affare?
Era stato assurdo anche solo immaginarlo.

Ma era stato allora che era successo, proprio in quel momento senza che mai avesse potuto immaginarlo.
Era stato in quel momento che lo aveva vista visto, che aveva visto quell'orrrore, il segreto crudele racchiuso in quelle quattro mura.
Era stato allora che l'aveva vista per la prima volta.

"Non si preoccupi, è solo un blackout" aveva risposto il dottor Owens alla sua tacita domanda, non appena le luci si erano spente all'improvviso facendo calare quel corridoio nell'oscurità più totale.
"Impianti vecchi sa, questo posto avrebbe bisogno di una bella ripulita..."
"Dipartimento nazionale dell'energia e vecchi impianti di illuminazione?" aveva accennato una risata il capo Hopper, afferrando la pila agganciata al passante dei pantaloni beige della sua divisa ed illuminando il pavimento sgombro di fronte a loro.
"Non le pare una cattiva pubblicità, doc?"
"Sono più che d'accordo con lei" aveva ricambiato la risata l'uomo dal calice bianco, tirandogli una confidenziale pacca sulla spalla.
"Per di qua"

Ed era stato allora che Hopper lo aveva sentito, nel buio e nel silenzio di quel corridoio deserto e illuminato solo dalla luce della sua torcia tascabile. Era allora che l'aveva sentito per la prima volta quel grido, quell'urlo così acuto e penetrante, quasi inumano, lontano ma apparentemente così vicino, capace di farlo trasalire bloccando i suoi piedi lungo quel corridoio, facendolo voltare di scatto.

"Cosa è stato?!" aveva sussultato il capo, bloccandosi e puntando la luce alle sue spalle, alla porta al termine del corridoio.
No, non poteva averlo solo immaginato, quella voce l'aveva sentita davvero e ora non accennava ad andarsene dalle sue orecchie.
Era stato un animale?
Una voce umana?
Una voce così piccola e acuta, quasi da...da bambino?

"È il momento che se ne vada" aveva ripetuto il dottore con uno scatto, afferrandolo per il braccio e spegnendo la torcia tra le sue mani:
"Il giro turistico è finito"

Hopper si era sentito afferrare da sue braccia robuste, non capendo di chi si trattasse nel buio improvvisamente calato nel corridoio, mentre intorno a lui sentiva solo un gran correre di passi.
"Ma che diavolo...lasciatemi!"
"Buon rientro a casa, capo!"
"Ma che cazzo?! Lasciatemi subito, subito ho detto!" aveva urlato più forte il capo, sentendosi portare via di peso lungo quel corridoio non più illuminato.
"Vi farò chiudere questo posto, fosse l'ultima cosa che faccio! Vi farò denunciare per la miseria! Lasciatemi brutti idioti, io sono la polizia!" aveva continuato facendo leva con i piedi contro il pavimento, approfittando di un momento di esitazione per rifilare una gomitata sul labbro dell'uomo alla sua destra e una testata sul naso alla sua sinistra.

Non si era fermato a chiedersi dove stesse andando, mentre più veloce che poteva aveva iniziato a correre lungo quei corridoi stretti e tutti dannatamente uguali: non importava dove diavolo stesse andando, ma dove era la dannatissima uscita di quel labirinto?

In un secondo, prima che il capo Hopper potesse rendersene conto, aveva sentito una porta aprirsi alle sue spalle di botto e un respiro agitato e singhiozzante correre lungo quel e corridoio unito ad un rumore di piedi nudi in corsa nella sua direzione.
Più vicino, sempre più vicino.
"Ma che cazzo...?!" aveva esclamato Hopper quando aveva sentito qualcosa urtare contro le sue gambe, una figura piccola, alta poco più del suo bacino, scontrata contro il suo fianco interrompendo la sua folle corsa.

"Ma che diavolo succede?! Ehi! Ehi!!! Mi senti?!" aveva esclamato Hopper afferrando nel buio le spalle di quella piccola figura sotto di sé, sentendola singhiozzare e dimenarsi tra le sue braccia.
"Fermo, fermo! Calmati!" aveva ripetuto Hopper con il cuore a mille, incredulo e troppo concitato per fermarsi a chiedersi cosa stesse succedendo, sentendo i singhiozzi di quella piccola figura tra le sue braccia crescere e crescere fino a scoppiare.
"Fermarti, diamine! Non ti farò del male!"

Improvvisamente la luce si era riaccesa di colpo lungo quel corridoio deserto, illuminando tutt'intorno con la sua luce fredda e verde.
Hopper aveva abbassato lo sguardo sotto di sé ed era allora che era successo, era allora che aveva visto.
Era stato allora che l'aveva vista per la prima volta.

Una bambina piccola e magra come uno scheletro, alta poco più del fianco e di 10 anni circa, con la testa rasata, una semplice camicia da notte bianca indosso e gambe nude al di sotto sottili e tremanti.
Il suo viso era storpiato dal pianto, le guance rigate da lunghe e profonde lacrime, le sue labbra ed il suo collo rossi del sangue colato dalle sue narici e dalle sue orecchie.
Ma era stato qualcos'altro che aveva colpito il capo Jim Hopper quella sera, qualcos'altro aveva catturato la sua attenzione e si era impresso nella sua mente e nel suo cuore senza che lo potesse mai più cancellare.

Erano stati i suoi occhi, gli occhi di quella piccola bambina che si dimenava tra le sue braccia, due occhi grandi, scuri, rossi dal pianto e sconvolti dalla paura.
Due occhi spaventati, due occhi di dolore.
Gli occhi della morte.
E Hopper ben conosceva quegli occhi, già li aveva incontrati un'altra volta.
Occhi dei condannati a morte, di chi sa che sta andando a morire.
Hopper aveva visto già quegli stessi occhi nella sua bambina, nella sua piccola Sarah pochi, troppi pochi anni prima.

"Chi...chi sei tu?" aveva osato solo sussurrare Hopper, prima che una porta di fronte a sé si spalancasse e un convoglio di 6 militari irrompesse nel corridoio, armati di fucili e pistole puntate tutte in direzione su quella bambina.
"Ehi! Ma che cazzo...?!"
"No!!!" aveva sentito urlare quella piccolina, sentendola stringere le dita intorno al tessuto della sua divisa tentando di divincolarsi dalla sua stretta più forte.
"No!!" l'aveva sentita strillare nello stesso urlo acuto che pochi istanti prima lo aveva fatto voltare, facendogli stringere gli occhi come non potendo sopportare tutta insieme una così grande forma di sofferenza: come poteva una bambina così piccola urlare in modo così straziante tutto quel dolore?

"State indietro!" aveva d'istinto urlato Hopper contro i militari, facendo un passo indietro e stringendo quella creatura più forte a sé: per quale motivo tutte quelle pistole puntate contro una semplice bambina che tremava come una foglia tra le sue braccia?

Ma quella era stata l'unica cosa che aveva ancora visto, prima di avvertire solo più un dolore acuto all'altezza del suo orecchio e le forze abbandonarlo in un secondo, cadendo a terra in quel corridoio non prima di aver sentito un ultimo straziante grido al suo orecchio.
"No, no, no!!!"

Tutto quello che era successo dopo Hopper se lo ricordava invece più che bene.
Si era ritrovato la mattina seguente sdraiato sul divano scolorito del suo soggiorno, con la testa che sembrava stare per esplodergli percorsa dalle fitte di dolore e la fronte madida di sudore come appena risvegliato da un brutto incubo.

Ma quello non era sicuramente stato solo un brutto incubo: quella non era potuta che essere una terribile e mostruosa realtà.
E Hopper non aveva più dimenticato quella notte, ma sopratutto non aveva più dimenticato quello sguardo, quei due occhioni spaventati e sofferenti, quei due occhi di morte.
Qualunque cosa fosse realmente quel posto, il Dipartimento dell'energia della città di Hawkins, non poteva essere altro per quella creatura che quello.
Morte.

"Ehi papà! Io vado! Mi aspetti come sempre qui?"

Il capo scosse la testa a quella voce, tornando bruscamente alla realtà e voltandosi verso quella creatura seduta accanto a lui sul sedile anteriore del suo furgone
Ad intercettare i suoi occhi azzurri ed affettuosi sul sedile anteriore accanto al suo, lo sceriffo Jim Hopper trovò quel pomeriggio un paio di grandi occhi scuri, gli stessi di quella notte, ma più sereni, più luminosi, più vivi, nonostante la patina di paura che sempre su di essi si posava ogni pomeriggio a quell'ora, quando l'auto della polizia varcava quegli stessi cancelli circondati da filo spinato.

"Sì, kiddo, vai...mi troverai qui" sorrise Hopper anche quel pomeriggio, annuendo incoraggiante in direzione della sua figlia adottiva, vedendola rivolgergli un ultimo sorriso prima di aprire la portiera e percorrere davanti ai suoi occhi quel familiare e lugubre parcheggio, camminando a passi lenti ma sicuri nelle sue converse bianche con lo zaino di scuola ancora stretto sulle spalle.
Scese dall'auto lo sceriffo, appoggiando la schiena alla carrozzeria alle sue spalle e sistemando il cappello sulla sua fronte, facendo scattare l'accendino tra le sue dita e prendendo un lungo e lento tiro di sigaretta.

La seguì con lo sguardo, fin quando ne ebbe la possibilità, vedendola sparire infine al di là delle colonne di quel portico, scortata da un gruppo di militari e camici bianchi in attesa per lei nello stesso punto di quel cortile, come ogni pomeriggio identico al precedente.
Hopper stava mantenendo il suo accordo, così come dal loro contratto, riportandola ai suoi aguzzini tra quelle quattro mura ogni singolo pomeriggio da due anni a quella parte.
Ogni giorno, senza mai sgarrare.

Era stato quello il loro accordo per quella piccola creatura, quello il patto per farle guadagnare la libertà.
Quello il compromesso per la sua vita riscattata per metà.

"Sono certo troveremo un via di mezzo vantaggiosa per entrambi..." aveva sorriso glaciale un uomo alto e magro al di là di una scrivania all'interno di quelle mura in un pomeriggio identico a quello 2 anni prima, i capelli bianchi in contrasto allo scuro del suo completo nero come la notte.
"Ho raccolto così tanto materiale su di voi che potrei fare scoppiare il caso del secolo, dottore..." aveva risposto seccamente Hopper, lasciando cadere sulla scrivania pesanti faldoni accuratamente accumulati in 2 anni di ricerca da quella notte in poi.

Bambini rapiti, abbandonati, strappati a madri morte in circostanze misteriose o internate senza troppe ragioni in manicomi federali, bambini di ogni sesso, età ed etnia, da ogni parte del paese, bambini considerati "diversi", speciali, con abilità particolari di cui Hopper stentava a trovare il confine tra la realtà e uno schifoso film di fantascienza alla tv.
Bambini armi studiati, analizzati, sfruttati come piccoli topolini da laboratorio per condurre esperimenti per creare una mente superiore, un'arma mai scoperta e più che mai efficace, micidiale, letale.
Bambini indifesi e incapaci di ribellarsi perché soli, perché ricercati o reclamati da nessuno, bambini nati da madri sottoposte negli anni a radiazioni, esperimenti genetici ed esposizioni tossiche a loro volta in grado di modificarne il genoma, in una rete cooperativa e corrotta finanziata direttamente dal sistema più alto, dal governo americano stesso.

E nessuno, nessuno aveva mai osato alzare la voce, mai nessuno aveva osato protestare: a chi poteva importare di bambini nati, cresciti come cavie e morti nelle mura di qualche laboratorio identico a quello, bambini senza storia, senza memoria, senza una famiglia?

E da tutte quelle documentazioni accumulate in tutti quegli anni, quella piccola creatura che mai Hop aveva dimenticato da quella notte era da considerarsi più che fortunata ad essere ancora viva.

"Questo lo so bene: ha fatto i giusti compiti a casa, capo, come vedo..." aveva sorriso il dottor Brenner dietro la sua scrivania, allungando le braccia sul legno e avvicinandosi di più al suo interlocutore:
"Non mi sfugge tutto questo, così come non credo che sfugga a lei l'ente che finanzia queste ricerche, l'autorità che difende il mio operato: la Legge, il Sistema, la Grande Opera Pubblica, in altre parole, capo, la stessa struttura che mantiene lei con quel bel distintivo appuntato sul petto"

Hopper su era irrigidito, trattenendosi a stento dal cadere alla provocazione, limitandosi a stringere più forte i pugni sotto la scrivania e a fulminare con gli occhi il sorriso derisorio che quell'uomo bianco gli aveva rivolto ancora dall'altro lato della sua scrivania.
"Messi in chiaro questi piccoli dettagli ora sono tutto orecchi capo, cominciamo" aveva continuato il suo interlocutore, vedendolo alzare di fronte a sé due occhi azzurri decisi e carichi di decisione:
"Quale accordo era venuto a propormi, capo Hopper?"

Eleven sentì sbattere la porta d'ingresso alle sue spalle, camminando a passi lenti e sicuri lungo l'ampio e basso corridoio principale, scortata dagli stessi camici bianchi che aveva imparato negli anni a conoscere e che per anni avevano rappresentato nel modo più completo il suo intero mondo.

"Buongiorno Eleven"
"Buongiorno!"
"Com'è andato il primo giorno di scuola?"

Ma la piccola non rispondeva ai saluti, non si fermava ad osservare o salutare nessuno lungo quei corridoio che uno dopo l'altro la conducevano fin dentro quelle stanze che lei già conosceva, che mai erano stati rimossi dalla sua memoria, verso il suo inferno personale di ogni giorno, verso quella porzione di ogni giornata che le era dato scontare per poter tornare ogni sera nel luogo che ora amava chiamare "la sua casa".

Ogni profumo dolce di un petalo di fiore, ogni pagina di un libro letta e riletta fino ad impararla a memoria, ogni favola della buonanotte raccontata prima di addormentarsi dall'uomo che aveva imparato a chiamare papà, persino le risate di scherno e gli insulti dei suoi compagni di scuola valevano la pena di essere vissuti, tutta quella vita la ragazzina andava a difendere ogni giorno mentre nel suo vestito leggero rosa scendeva le scale nei sotterranei di quel sinistro edificio, fino ai laboratori dove ogni pomeriggio le era privata la vista del tramonto del sole.

"Buongiorno Eleven, ben ritrovata! Ti senti in forma oggi?" le chiese la solita voce cordiale non appena ebbe indossato la sua semplice casacca bianca da ospedale, raccolto i riccioli biondi in un basso chignon sulla nuca, entrata nella solita stanza con al centro un anonimo tavolo bianco ed una sedia, di fronte ad un'ampia vetrata al di là della quale i soliti soliti visi noti con taccuini e penne in mano già la stavano aspettando.

Il dottor Owens le rivolse un sorriso, ignorando il suo sguardo fermo e fisso nel vuoto, le sue labbra a cuore strette tra loro così come le sue mani sul bordo di quella superficie liscia, mentre camici bianchi intorno a lei posizionavano i soliti elettrodi sugli stessi punti della sua fronte e del suo viso.
L'unica cosa che contava per quella ragazzina, come ogni pomeriggio, era fuggire il prima possibile lontano da lì.

"Siamo pronti per partire, signore"
"Molto bene" pronunciò solenne un uomo nella semiombra, facendo tremare la piccola percorsa dal solito brivido lungo la schiena di fronte a quella voce, facendo alzare di scatto lo sguardo di fronte a sé.
Un brivido che mai, mai avrebbe smesso di far tremare il suo piccolo cuore di terrore.

"Ciao Eleven..." sussurró il dottor Brenner facendo un passo avanti fuori da buio, sorridendo alla vista di suoi occhioni spalancati improvvisamente percorsi da un'ombra di paura,
"...ti sono mancato?"

*

"Sei un'idiota Mike Wheeler! Un vero autentico idiota!"

Quelle erano le parole che si era ripetuto Mike quel pomeriggio lungo tutta la strada di ritorno a casa, solo ed incazzato con sé stesso più che mai, con un umore nero addosso che avrebbe fatto impallidire persino quei suoi folti ricci neri che gli ricadevano ad ogni sobbalzo della bici sulla fronte.

"Non sai niente di lei, niente! Niente di niente Mike, niente! Non ha nemmeno voluto dirti il suo nome ed è corsa via manco le avessi fatto cadere i libri a terra di proposito! È stato quello scemo di Dustin, è stata tutta colpa sua! Senza di lui niente sarebbe successo, e sopratutto...Mike, porca puttana, puoi smetterla di pensarci?!"

Il piccolo Wheeler aveva abbandonato la bici sul giardino accanto al vialetto di casa come tutti i pomeriggi, sbattendo la porta di casa con un bisbigliato "sono a casa" che mai come quel giorno avrebbe voluto essere invero un "vorrei diventare invisibile, vi supplico! Invisibile ora, tra 3...2...1..."
"Tesoro della mamma! Ben tornato a casa!"

Mike aveva sospirato, stritolato in un secondo dall'abbraccio di Karen ancora sulla porta del salotto, mossi pochi passi verso le scale del piano superiore leggeri e silenziosi, non abbastanza da sfuggire all'orecchio attento di sua madre.
"Com'è andato il primo giorno di scuola? Sei stanco? Hai fame? Posa un attimo quello zaino e siediti con me, avrai un sacco da raccontare!"
"Sono molto stanco, mamma, non posso...?" aveva iniziato Mike a protestare, prima di sentire lo squillo salvatore del telefono dalla cucina richiamare l'attenzione della madre alle loro spalle.

"Pronto? Nancy, tesoro! Ma certo! Ma certo che puoi fermarti da Jonathan a cena sta sera, grazie di aver avvisato!"
"Oh si! Grazie davvero, Nancy..." aveva sorriso Mike nella mente, benedicendo una volta nella vita la sua sorella maggiore e approfittando di quel momento per correre sù per le scale, ancora con lo zaino in spalle, non più veloce della voce di sua madre direttamente dalla cucina:
"Tanto è inutile che scappi via così Michael! A cena dovrai raccontare tutto a me e a tuo padre! E quando dico tutto intendo...!"

"...tutto! Tutto sbagliato, tutto da rifare!" sbuffò Mike chiusa alle sue spalle la porta bianca della sua camera, facendo scivolare lo zaino sul pavimento ai piedi del letto e lasciandosi cadere a peso morto sul suo materasso, facendo tremare i modellini ai lego della Morte Nera e del Millenium Falcon al di sopra della mensola accanto al letto.
Si portò le mani sugli occhi, stropicciando le palpebre ed allontanando i riccioli neri ricaduti sulla fronte, mentre il respiro corto per la corsa tornava a farsi pian piano regolare sotto la sua t-shirt a righe rosse.

"Non ti è bastato quello che ti hanno detto gli altri prima in corridoio? Non ti è bastato tornare dentro e vedere che lei era già andata via? Basta Mike, smettila di essere ridicolo! È solo una ragazza, una ragazza carina a cui hai fatto cadere i libri in mezzo al corridoio. Una ragazza carina a cui hai fatto cadere i libri in mezzo al corridoio e che domani frequenterá con te il corso di chimica, l'unico corso al quale ti sei iscritto per sbaglio e che frequenterai da solo senza gli altri dalla prima media e...Mike! Porca puttana, puoi smetterla di tremare?!"

Mike balzò giù dal letto, tirando i ricci tra le dita fin davanti agli occhi e nascondendo tra il viso le mani.
Ma che diavolo gli stava succedendo quel giorno? Quale strana maledizione si era impossessata della sua ferma e coraggiosa anima da paladino?
Prima la visione di Lucas e Max baciarsi in mezzo al parcheggio e quella voglia matta di poggiare anche lui le labbra su quelle di qualcuno, poi la stupida corsa indietro attraverso i corridoio, fino all'armadietto che ovviamente aveva trovato chiuso, sigillato, ed ora le sue gambe che non gli lasciavano scampo e lo portavano a percorrere gli stessi tre metri avanti ed indietro attorno al letto della sua camera?

"Hai altro a cui pensare Mike, non credi? Resta concentrato! Altro a cui pensare come...come? Come la sessione di D&D della prossima settimana! Coraggio Mike! Sarà la prima di ritorno dalle vacanze e i ragazzi si aspettano una cazzo di bomba, per la miseria! Dovresti concertare le tue idee su quello, sulle cose importanti! Non su una cavolo di ragazzina che..."

Mike si ammutolì, ritrovandosi portato dai sui piedi di fronte alle ante del suo armadio rimasto aperto nella corsa di quella mattina e rialzando lo sguardo alla sua figura riflessa nello specchio appeso alla parete interna.
Un ragazzo pallido e alto, dalle gambe lunghe e magre sotto i jeans scoloriti e un viso pieno di puntini scuri e capelli neri più incasinati ricambiò il suo sguardo confuso, facendo tremare il suo piccolo cuore unito ad un fremito del suo respiro.

Così era quella l'immagine che aveva visto quella ragazza quando aveva alzato lo sguardo su di lui?
La bellezza di quel fiore contro quel disastro che lui trovava riflesso nello specchio di fronte a sé?

"Non sei fatto per queste cose, Mike! Non lo sei mai stato!" sussurrò a sé stesso, distogliendo lo sguardo e sentendosi arrossire sulla punta delle orecchie di vergogna.
"Carina com'è avrà avuto certo di meglio da fare fuori da scuola che cercare uno come te, perfetto idiota di un Mike! Sicuramente avrà avuto chi aspettare all'uscita...magari non avrebbe nemmeno riconosciuto più la tua faccia! E se anche l'avesse fatto, Mike, il tuo unico problema è che..."

"Mike, Mike! Mi ricevi? Mike!"

Mike sospirò, alzando gli occhi al cielo e scuotendo la testa, riconoscendo una voce familiare provenire dall'apparecchio nero posto sul davanzale dietro la scrivania, accanto alla fedele radio spenta da quella mattina dalla mano veloce di sua madre.
"Mike? Mi ricevi? Mik.."
"Sì Will, ti ricevo! Passo!" rispose Mike avvicinando la ricetrasmittente al suo viso, premendo tra le dita il tasto rosso laterale e allungando l'antenna verso la finestra, attendendo la ripresa di segnale.

Grazie all'antenna progettata da Dustin ed eretta da tutto il party quell'estate sulla collina appena fuori città, il segnale delle loro radiotrasmittenti ora viaggiava tra i tetti delle case che era una meraviglia, più veloce e lontano che mai.
Finalmente Mike e il suo migliore amico, ai capi opposti della città, non dovevano più utilizzare Lucas e Dustin come ponti nelle loro comunicazioni.
Ma quel pomeriggio la voce canzonatoria di uno dei suoi migliore amici sarebbe stata l'unica cosa che Mike avrebbe preferito non sentire, perfino se quella di Will.

"Sei arrivato a casa finalmente? Ma che diavolo ti è preso? Sei scappato come un fulmine, manco il tempo di salutare! Ma si può sapere dove sei finito fino ad adesso, Mike?!"
"Sono...sono solo tornato a controllare di aver preso tutti i libri dell'armadietto, Will..." rispose con poca convinzione Mike, sedendosi sul bordo del letto e non potendo bloccare la gamba che aveva ricominciato a tremare.
"...niente di cui preoccuparsi! Mi dispiace di non avervi salutato!"

"Non me la dai da bere così, Mike! Con me non attacca!" rispose ironica e metallica la voce di Will dall'altro capo della linea.
"Ti ho visto come sei rimasto imbambolato tutto il giorno! Ti ho visto in mensa non riuscire a connettere tre parole in fila, manco Dustin dopo quel bicchiere di vino alla festa di compleanno di sua madre! Mike, porca miseria, io so dove sei andato! Tu sei andato a cercare lei, a cercare quella ragazza! Quella Hopper!"
"Will! Abbassa quella cavolo di voce! Vuoi che ti senta tutta Hawkins direttamente da lì?!" protestò Mike con un rapido sguardo alla porta e puntando a terra le suole delle sue converse bianche.

Per quale motivo Will doveva sempre azzeccare in pieno i suoi pensieri in quel modo? Per quale motivo non poteva mai avere un segreto che quel ragazzo dagli occhi verdi non fosse in grado di sgamare come si trattasse di un libro aperto?

"E ti ho detto che non è per quello che sono tornato indietro, era solo perché..."
"Mike, ti prego non prendiamoci in giro" lo interruppe la voce di Will improvvisamente serio:
"Quella ragazza ti ha colpito: sei cambiato da questa mattina, magari gli altri non ci hanno fatto caso ma io sì e...e non voglio ripetermi ma...ma quello che dovevo dirti su di lei te l'ho detto e non cambio idea"
"Will, credimi...non è niente, te lo assicuro!" alzò gli occhi al cielo Mike con un sospiro,
"Non intendo perdere tempo, ho altro a cui pensare, e anche se fosse...".

"Ben detto! Questo è il mio migliore amico!" lo interruppe nuovamente Will, questa volta con un vivace tono allegro dall'altra parte dell'apparecchio.
"Abbiamo di meglio a cui pensare, tra cui l'ultimo record da battere a Dig Dug all'Arcade! Max detiene il record imbattuto da tre settimane ma ho sentito Lucas sussurrare a Dustin che oggi avrebbero passato il pomeriggio insieme a "studiare"..."
"Ma non abbiamo ancora compiti assegnati per domani!" ribattè Mike senza riflettere, bloccandosi dopo un secondo, chiudendo gli occhi e dipingendo sul viso un'espressione disgustata,
"Lascia stare, ho capito..."

"Ad ogni buon conto, è la nostra occasione per allenarci e riuscire a battere quel dannato record! Un pomeriggio in sala giochi senza la campionessa in carica, e quando ci ricapita?!"
"Certo, certo, sicuro..." rispose poco convinto Mike abbassando lo sguardo alla sua scrivania, al pesante volume che troneggiava in cima alla pila di libri intonsi e ancora incelofanati: "Principi base di chimica per il liceo".
"...non possiamo farcela scappare"

"Sapevo saresti stato dei nostri! Ci troviamo con Dustin all'incrocio tra 10 minuti, non mancare! Passo!"
"Non mancherò, passo e chiudo!" sospirò Mike gettando la ricetrasmittente sul materasso, saltando in piedi e aprendo in un lampo la porta bianca della sua camera.

Forse correre via e non pensare era la scelta migliore da fare a quel punto, forse Will come sempre non poteva che avere ragione.

Qualunque incantesimo si fosse impossessato della sua mente da quella mattina, Mike Wheeler aveva cose più importanti di un piccolo e grazioso fiore a cui pensare.

📼🌼
Salve amici!
Lo so, sono sparita per qui tempo di quanto avrei voluto, ma mi sono presa una piccola pausa da questa storia per terminare l'ultimo capitolo dell'altra mia storia, "Never Enough" che è giusta ufficialmente al suo termine.
Se vi piace il mio modo di scrivere e amate la Mileven ve la consiglio, potrebbe piacervi🤗
.
Riguardo il capitolo, come avete potuto leggere volevo che quel piccolo incontro/scontro non lasciasse indifferenti il nostro Mike e la nostra El, anche se in modi diversi entrambi si ricordano di avere "altro a cui pensare".
Non vi illudete, non sarà facile avvicinarsi, specie per qualcuno, ma non vi dico di più🙊
Vi dico solo che questo è l'ultimo capitolo "di introduzione", dal prossimo entreremo appieno nella storia e...e non ci si ferma più!!!🎉
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Grazie per essere ancora qui dopo avermi accompagnato per 9 mesi con Never Enough: per me è davvero importante, grazie a tutti💛
A presto, promise!
Ari

P.s. vi ricordo di seguirmi su Instagram su lovingonwattpad per non perdere anticipazioni settimanali e molto di più🤓

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