46.The Truth
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Al capo della polizia di Hawkins era bastata una decina di minuti ed una manciata di chilometri percorsi della solita stradina in mezzo al bosco, allagata dal recente temporale di quella sera, per richiudere la porta di casa alle sue spalle e prendere atto, per la prima volta in quella assurda e folle sera, di cosa fosse realmente successo e di che cosa avesse effettivamente appena fatto.
Aveva appena lasciato sua figlia adolescente a casa del suo compagno di classe, (tralasciando il termine decisamente troppo in quel momento per lui di "ragazzo"), altrettanto adolescente, quasi all'insaputa dei suoi genitori, mentre là fuori militari armati fino ai denti stavano già di certo battendo l'intera città per cercarla e uno mostro misterioso ed assassino proveniente da un buco interdimensionale in una parete era là fuori a piede libero assetato di sangue e di vendetta chissà dove nel bosco?
Sí, esattamente così.
Doveva essere del tutto impazzito ed aver perduto del tutto il lume della ragione.
Eppure, anche in quel momento, di calma apparente e di meritato silenzio, mossi i primi passi lungo il pavimento del suo piccolo salottino, lasciato cadere il suo cappello sul tavolo della cucina e le sue membra stanche sulla prima sedia disponibile, quell'assurda e folle trovata non gli era sembrata né più e né meno se non l'unica cosa intelligente da fare.
E il che era tutto dire, a giudicare dal fatto che lasciare che la sua piccolina passasse la notte intera con il suo "ragazzo" gli pareva davvero in fondo alla lista dei suoi problemi in quel momento.
Il capo aveva preso un profondo respiro, l'ennesimo, trascinando i piedi stanchi fino al piccolo bagno della sua cabin e sperando che un po' di acqua fresca gli schiarisse le idee, in subbuglio in quel momento tanto quanto i suoi pensieri.
Chiudere a chiave la porta d'ingresso e sbarrare le finestre.
Staccare la linea telefonica e anche il cavo della televisione.
Barricarsi dentro casa con il fucile ben pronto e le orecchie tese e sperare che, almeno per quella notte, i mostri di quel laboratorio avessero di meglio a cui pensare che muoversi a cercare proprio loro.
I mostri sia umani che non, ovviamente.
Un uomo era morto e certo molti altri erano rimasti feriti nella collisione.
Per quando El fosse importante per quel laboratorio, persino a loro sarebbero stati necessari almeno una manciata di ore per coordinare le ricerche in tutta la regione intorno.
Questo Hopper aveva pensato quella sera, levando la sicura al fucile ed accendendosi l'ennesima sigaretta, la prima di quella lunga ed infinita notte.
La prima di molte altre notti insonni.
Se anche fossero andati a cercarla, non avrebbero potuto iniziare che col seguire lui, questo era certo.
Era lui l'esca che li avrebbe portati fino a lì da lui, in mezzo al bosco.
Ma dentro quella casa non l'avrebbero trovata.
El quella notte sarebbe stata al sicuro, lontano da lì, al numero 11 di Maple Street, dai Wheeler.
Al sicuro a casa di Mike.
Era poco su cui basarsi, anzi era davvero nulla su cui basarsi, ma il capo Hopper non aveva visto quella sera altre possibili soluzioni.
E cosa sarebbe successo dopo quella notte, la mattina dopo, era ancora incerto e nebuloso per lui, ma sapeva già bene quanto fare progetti a lungo termine potesse essere divenuto rischioso, decisamente troppo rischioso in quel momento.
Un passo alla volta, concentrato e preciso quanto un milite al fronte.
E forse in guerra ci era tornato davvero dopo quella notte, ma quella volta non aveva davvero idea del nemico che aveva di fronte.
Da quegli uomini malvagi ci si poteva aspettare da anni di tutto, e questa era l'unica cosa di cui era sicuro.
Ma a quello che sarebbe successo da lì ad un paio di ore dopo nessuno avrebbe potuto essere pronto e preparo in anticipo.
Nessuno, neppure lui.
Nemmeno lui che per anni si era ripetuto che qualcosa di tutta quella storia sarebbe andata a finire storto, o prima o dopo.
Aveva teso l'orecchio tra le fonde degli alberi quella notte, lungo le pesanti ed infinite ore senza luna nelle quali una sigaretta dopo l'altra tra le sue dita era stata l'unica fonte di luce in mezzo a tutto quel buio.
Aveva cercato di proteggerla per tutta la vita.
L'aveva nascosta e fatta crescere in quella casetta in mezzo al bosco nella quale sperava sarebbe stata al sicuro dagli stessi uomini che l'avevano allevata, crescita e nascosta a loro volta dal mondo.
Ma la sua piccola non era mai stata una rosa da tenere rinchiusa sotto una campana di vetro, seppur posta intorno a lei al solo scopo di proteggerla.
La sua piccola bambina aveva scelto quella sera di diventare artefice del suo destino, di alzare finalmente la testa dopo anni passati ad annuire obbediente e dire solo di sì.
E lui, lui che si era promesso solo di spianarle davanti a sé la strada perché non cadesse mai davanti a nessun pericolo, non avrebbe potuto fare altro quella notte che fare la sua parte in silenzio, nel buio, ancora una volta.
Difendere a costo della vita la sua linea di difesa dalle milizie nemiche.
El non aveva davvero idea dell'entità del danno che aveva creato in così poco tempo, ma lui, lui sì, e quando i primi raggi di luce ebbero fatto capolino tra le fonde degli alberi quella mattina, sorprendendolo solo leggermente assopito e con il posacenere accanto a lui ripieno fino all'orlo di mozziconi ormai spendi e ridotti in cumuli di cenere, solo una gli parve la migliore mossa da fare.
Girare la chiave nella toppa del suo furgone, calare il suo cappello dalla visiera larga sulla fronte, fare retromarcia e tornare sulla strada principale in direzione dell'Hawkins Police Hall.
Se avessero anche voluto seguirlo, tanto valeva farli girare in tondo ancora per un po'.
Al fine di non destare sospetti intorno a loro, quale mossa migliore se non fingere che quella non fosse altro se non una giornata normale a tutti gli effetti, arrivando al distretto, al suo posto di lavoro, perfino un po' in anticipo rispetto al suo solito, tirando il freno a mano e gettando il mozzicone dell'ultima sigaretta sull'asfalto del parcheggio, un'ultima occhiata intorno di ricognizione?
Aveva detto ad El di restare nascosta dai Wheeler fintanto che non fosse stato lui ad andarla a prendere, e per quanto confuso ed inconsapevole di tutto gli era parso il povero Mike la sera prima, non gli era sembrato così incosciente da permettere alla sua piccola di fare qualcosa di stupido.
El sarebbe rimasta ferma ed al sicuro, si augurava, almeno ancora per una manciata di ore.
Ed in quanto a lui?
Varcata la porta del suo distretto quella mattina, il solo volto di Flo, balzata in un attimo in piedi dietro la sua scrivania con dei riflessi che non credeva di aver mai visto in quella matura e cordiale signora, non avrebbe mai potuto lasciare molto spazio alla sua immaginazione.
"Jim, una chiamata per te sulla linea..."
"Non questa mattina, Flo: ci sono solo per le emergenze!" aveva scosso il capo Hopper, passandole accanto e dirigendosi lungo il corridoio a passo deciso, prima che una mano lo trattenesse con forza ed un pizzico di paura.
"No, capo, questa è un'emergenza!" aveva chiarito la segretaria vedendolo voltarsi a quelle parole indietro, verso di lei, lasciando che i suoi occhi scuri dietro le lenti dei suoi grandi occhiali tondi raggiungessero i suoi, azzurri e stupiti dal tono della sua voce.
"Qualcuno ti sta aspettando in ufficio, Jim, non ha voluto dirmi il suo nome..." Hopper la udí sussurrare con un filo di voce, facendosi più vicina e lanciando una rapida occhiata intorno:
"Mi ha detto che tu già sapevi, che tu già eri a conoscenza di questa sua visita sta mattina...e detta tra noi, capo, questa storia non mi piace, non mi piace affatto! E non mi piace nemmeno lui né i suoi modi, Jim, mi ha fatto venire i brividi..."
"Me ne occupo io immediatamente, Flo, tranquilla..." aveva deglutito il capo Hopper facendo ben attenzione a non far trapelare neppure un più piccolo tremolio della sua voce, prendendo la mano della sua segretaria con una delicatezza insolita, quasi con compassione, facendogliela abbassare dalla manica del suo giubbotto fino indietro al suo posto.
Non erano andati a cercarlo quella notte nella sua cabin nel bosco, avevano deciso di fargli un agguato direttamente lí, sul suo posto di lavoro, lo stesso occupato da lui tutte le mattine.
Certo non lo avrebbero ucciso proprio lí dentro il suo ufficio, circondati da agenti che avrebbero potuto mettere loro le mani addosso in una frazione di secondo.
Era pur sempre lui la legge, lui la polizia, non era forse vero?
Non erano più in quel loro stupido laboratorio in quel momento, no signore!
Erano venuti a stanarlo lí, ma quello era il suo territorio di gioco: il suo, non il loro, cazzo!
Ma a nulla valsero quei giusti pensieri quando, richiusa la porta del suo ufficio alle sue spalle, il capo Hopper, senza ancora essersi girato in direzione del suo interlocutore, quasi si sentì gelare sul posto al suono di quella fredda e ben nota dolce.
"Lei...lei dov'è?"
"Salve anche a lei, dottore!" rispose cordiale Jim Hopper stringendo i pugni con un sorriso beffardo e coraggioso, voltandosi lentamente verso la sua scrivania e ritrovandoci seduto al suo posto, sulla sua poltrona, lo stesso uomo alto e magro vestito di tutto punto, non un solo capello bianco e lucido fuori posto, due occhi azzurri e freddi capaci di penetrare la sua anima in un solo secondo.
Era lì solo, esattamente come lui in quel momento, non si era fatto accompagnare da nessun altro inutile camice bianco o militare armato di tutto punto.
Probabilmente non credeva di averne bisogno in quel momento, non contro di lui.
Ma invece che inquietarlo e metterlo in agitazione ancora di più, Hopper decise che quello non avrebbe potuto che essere un'arma a suo favore in quel momento.
O, almeno, lo sperava di cuore sul serio.
Non aveva niente, niente contro di lui in quel momento: tanto valeva far perdere a quell'uomo ancora un po' di tempo.
Più tempo guadagnato per lui, e, sopratutto, più tempo guadagnato per El.
"Piacevole mattinata questa, non trova? Le chiederei se ha passato una buona nottata, ma sa, ho quasi l'impressione sia stato occupato quasi quanto me nelle ultime ore..."
"Lei dov'è?" ripeté calma ed atonale la voce del dottor Brenner ancora una volta, non un accenno a voler cogliere o assecondare la sua sottile ironia.
"Dov'è, capo, dov'è? Lei...dov'è?"
"Sempre così diretto, dottore...ed io che pensavo che fosse venuto a trovarmi solo per il gusto di farsi quattro chiacchiere!" rise il capo della polizia avvicinandosi alla sua scrivania, estraendo con gesto fin troppo plateale la sua pistola di ordinanza e lasciandola cadere pesantemente sulla sua scrivania, in mezzo alle carte e scartoffie al di sotto.
Cercando di ignorare che, se anche solo avesse voluto, sapeva il suo interlocutore avrebbe potuto rompergli l'osso del collo con un semplice gesto della sua fronte, esattamente come la sua piccolina.
"Certo non mi aspettavo di vederla già qui questa mattina...immaginavo che dopo, come posso dire...l'inconveniente delle ultime ore lei ed i suoi uomini aveste di meglio a cui pensare, per il momento..."
"Credo che lei conosca bene la sola cosa di cui devo occuparmi in questo momento, capo Hopper..." rispose il dottore sporgendosi in avanti con un gesto fluido, appoggiando i gomiti alla scrivania e fronteggiandolo ora sguardo a sguardo, a pochi centimetri di legno di distanza.
"La sola cosa che mi riguarda e che mi appartiene in questo momento, capo"
"Non riesco a seguirla, dottore..." scosse la testa Hopper con finta noncuranza, fingendo di grattarsi con una certa qual concentrazione un punto preciso dei suoi baffoni:
"Le dispiacerebbe essere più chiaro, per favore?"
"Lei ci appartiene..." scandí lentamente la voce del dottor Brenner con tono freddo e tagliente come una lama di ferro, fissando negli occhi il suo interlocutore sedutogli di fronte, la voce calma, precisa, ma decisamente decisa.
"Lei ci appartiene, capo...e lei lo sa"
"Lei non appartiene proprio a nessuno, benché meno a voi" scosse ancora la testa Hopper, non accennando ad abbassare il suo sguardo per primo, dritto di fronte a sé:
"Avevamo un accordo ed io ho rispettato la mia parte...in sincerità, caro il mio dottore, non riesco proprio a capire lei cosa ci faccia qui e cosa voglia da me questa mattina"
"Non faccia l'eroe, capo Hopper..." vide il dottor Brenner sorridere di una risata cattiva, guardandolo con lo stesso sguardo accondiscendente con il quale si guarda un agnellino fronteggiare un lupo feroce:
"Lei è un uomo intelligente e di certo saprà già arrivarci da solo...questa storia non potrà andare a finire bene per nessuno, e lei lo sa... perché insiste ancora nel renderci tutto più difficile?"
"Perché io non vi devo proprio un bel niente!" ribatté Hopper stringendo i pugni, frenando le sue mani dallo stringersi intorno al collo di quell'uomo vile e manipolatore, lo stesso intento a sorridere di lui in quel momento, dall'altro lato della sua scrivania:
"Io non vi devo niente e nessuno lei vi deve nulla! L'accordo è stato rispettato e lei ora è libera, non deve più nulla a voi!"
"Un uomo dei nostri è morto" ribatté il dottore con tono calmo ed privo di emozione, con la stessa intonazione con la quale avrebbe potuto dire che nel cielo brillava il sole.
"E non so se lei può cogliere la gravità della cosa quanto me, capo, ma credo possa comprendere che questo fatto cambia internamente le cose..."
"È stato un incidente..." sibilò il capo della polizia tra i denti di tutta risposta:
"El non avrebbe mai ucciso qualcuno volontariamente e questo lei lo sa! Lo sa perché, nonostante abbiate cercato per tutta la vita di renderla come voi, lei non sarà mai, mai e poi mai come voi!"
"Lei sottovaluta i poteri di quella ragazzina..." rispose il dottor Brenner con un ghigno cattivo, gli occhi azzurri percorsi da una scintilla di diabolica soddisfazione:
"Lei ignora quello di cui lei è capace...lei ignora quanto lei può essere pericolosa..."
"È lei ad ignorare molte cose, dottore, ma non sarò certo io quello a darle ripetizioni..."
"Lei non è altro che un'arma...la nostra arma migliore"
"Si rimangi immediatamente quello che ha detto!" non fu più in grado il capo Hopper dal trattenersi dall'urlarlo a pieni polmoni, battendo un pugno contro la scrivania di legno e facendo precipitare le carte a terra tutto intorno.
"El è molto più di quello che avete sempre voluto vedere voi! El è molto più di quello stupido esperimento che avete voluto creare voi! Lei è molto di più, lei è..."
"Lei ci appartiene capo, e lei lo sa bene..." ribatté per nulla scomposto il dottor Brenner con un cenno del capo nella sua direzione, un altro accenno di sorriso cattivo, privo della ben che minima forma di umanità e comprensione.
"Non credo di doverle rubare io il mestiere per spiegarle cosa è giusto e cosa è sbagliato, capo Hopper, non è così?"
"È giusto che lei se ne vada via da qui..." ringhiò Hopper chiudendo gli occhi per un secondo, invocando tutta la sua forza e concentrazione.
Non avrebbe vinto lui, fosse stata l'ultima cosa fatta in vita sua.
Non l'avrebbe presa con sé, non gliela avrebbero portata via.
Non sarebbe successo un'altra volta, non davanti ai suoi occhi impotenti, non ancora: non un'altra volta come era successo alla sua Sarah anni ed anni prima.
"Fuori dal mio ufficio, dottore...la voglio vedere fuori da qui..."
"Ha 24h per consegnarcela e portarci da lei, capo, le voglio fare un favore..." rispose calma la voce del dottor Brenner al di là di quella scrivania, alzandosi lentamente davanti ai suoi occhi, passando sopra le carte ormai a terra sul pavimento e portandosi di fronte alla porta d'uscita:
"E se non lo farà...lei già sa come andranno a finire le cose...la troveremo, capo, la troveremo comunque, in un modo o nell'altro, e questo lei lo sa.."
"Fuori, ho detto, fuori di qui...ora!"
"Ha nelle sue mani la possibilità di risparmiare qualche vita innocente, a lei la scelta..." Hopper lo udí completare in un ultimo secondo, prima di sentire la porta del suo ufficio richiedersi alle sue spalle ed un'ultima frase arrivare alle sue orecchie gelandogli in un istante l'intero sangue nelle sue vene:
"Io in fondo già lo so dove io posso trovarla, capo Hopper..."
*
Anche Mike non era riuscito a dormire, ma di ben altri incubi era stata colorata la sua notte.
Camminava in un bosco buio, freddo, gelato ed umido: o, almeno, di un bosco credeva che si trattasse, anche se intorno a lui non riusciva a vedere assolutamente nulla.
Non un albero, non una fronda, non un arbusto né un sentiero che i suoi piedi potessero percorrere senza affondare ogni passo in una pozza scura.
Si sarebbe quasi potuto dire che era finito nell'anticamera stessa della materia, in uno spazio presente ma sospeso privo di gravità e di dimensione.
Nell'essenza stessa della parola vuoto.
Camminava piano, a tratti quasi correva, muovendo freneticamente la testa a destra e a sinistra, in mezzo a quel buio nero quanto i suoi ricci a fendergli la fronte pallida, senza fiato, senza energie, senza speranza, senza più chiedersi in che direzione stesse muovendo i suoi passi incerti nel nulla più assoluto.
A guidare solo la sua corsa, come faro oscuro nella notte, solamente una sempre più flebile voce.
I suoi singhiozzi a richiamarlo come una falena alla sua luce.
Il suo pianto ad attirarlo come ipnotizzato nella sua direzione.
"Mike...ti prego...aiutami"
"Sono qui, El! Sono qui, ma tu dove sei? Non riesco a vederti!" ribatteva ogni volta Mike nel loop infinito del suo sogno, sognando di ritrovarla infine ogni volta proprio di fronte ai suoi occhi, al termine della sua corsa, piccola, fragile e nuda come un fagottino di pelle e di ossa, curvo su se stesso come un animale ferito.
Piccola, fragile e nuda esattamente come l'aveva vista quella sera, ritrovata ai piedi di quell'albero nel bosco, sotto la pioggia.
Ricoperta di fango e di foglie.
Ricoperta di sangue rosso.
"El! El, eccoti, sono qui!" urlava Mike ogni volta, ma lei non riusciva a sentirlo.
Ed ogni volta che provava a raggiungerla, ad allungare infine le sue braccia su di lei per farle da scudo, l'ombra di El scompariva, e con essa la patina liquida che aveva sotto i suoi piedi.
E Mike precipitava, precipitava nel vuoto, nel freddo e nel buio.
E per quanto provasse ad urlare più forte, nessun suono riusciva ad uscire dalla sua gola.
Nelle sue orecchie solamente più un sussurro, flebile e distrutto, proveniente da chissà dove intorno a lui.
"Addio, Mike"
"...no!"
E poi solo più silenzio e vuoto.
Silenzio squarciato da un ultimo terribile ed inumano ruggito nella notte.
"...No!!!"
Mike aveva stretto le sue braccia intorno ad El nel sonno, al termine di ogni incubo e di ogni caduta quella notte, affondando di più il suo viso nei suoi ricci e stringendola d'istinto ancora più forte a sé.
Sapeva che era lì con lui.
Sapeva che ora, per quanto poco era in suo potere, era al sicuro, ma la vista del suo fiorellino piegato e curvo su se stesso, tremante di pianto e di paura tanto da non riuscire a respirare e a proferire parola, era in grado di ritornare nella sua mente ancora ed ancora, come un tarlo fastidioso a rosicchiare i suoi sensi, a consumarlo fino al midollo.
C'era qualcosa che non andava.
Era successo davvero qualcosa di serio quella sera in quel bosco.
Qualcuna stava succedendo.
Qualcosa di brutto.
E per il paladino innamorato che si era ripromesso per tutti quei mesi di salvare la vita della sua principessa in pericolo, riconoscere la sua impotenza era ben oltre quello che quel piccolo e valoroso ricciolino sarebbe stato in grado di accettare così facilmente.
E come una coperta in grado di proteggerla da tutti i mostri cattivi, le sue braccia avevano stretto il suo tesoro più prezioso ancora, ed ancora quella notte, cullando il suo piccolo fiorellino, come per proteggerlo da ogni pericolo.
"Non piangere più, El, ci sono qua io...ci sono qua io per te"
E quando il sole ormai alto nel cielo aveva fatto capolino anche nelle piccole finestre del suo basement, illuminando al di là delle coperte spesse del loro fortino fino a solleticargli le ciglia ancora stanche ed appesantite, era stato allungando le braccia ancora una volta e ritrovando solamente più le coperte ancora calde di fronte a sé che Mike Wheeler si era accorto che qualcosa non andava quella mattina.
Perché era rimasto da solo sotto le coperte del fortino?
Dove era finita lei?
Dove era finita El?
"...El?" tentò di chiamarla Mike la prima volta, la voce ancora impastata dal sonno e la testa pesante e dolente per la notte insonne, mettendosi a sedere sotto tra le coperte e portando d'istinto una mano sulla fronte.
"Cazzo..." corrugò la fronte chiudendo gli occhi per un secondo, sentendo sotto le sue dita la pelle calda della sua fronte, la sensazione fastidiosa come se lo avessero preso a botte in ogni angolo del corpo.
Un'influenza dopo tutta l'acqua ed il freddo che si era preso la scorsa notte non era nulla se non l'ennesima ciliegia sulla torta.
Sua madre lo avrebbe di sicuro ucciso o, peggio, tenuto chiuso in camera sua per il resto dei suoi giorni.
Fantastico...
"El?" tentò di nuovo Mike con tono più deciso, ma un passo ancora leggermente traballante lungo il pavimento del suo basement, lanciando un rapido sguardo tutt'attorno e ritrovando ogni angolo della stanza vuoto.
El non era seduta sul suo divano davanti alla tv, non era seduta nelle sedie spiate di fronte al tavolo di D&D e non era nemmeno su uno dei gradini della scala verso il piano superiore della sua villetta.
Dove diamine era finita la sua El?
"El?!" insistette ancora Mike salendo lentamente i gradini, lasciandosi alle spalle il basement, aprendo la porta sul corridoio del suo salotto quasi con paura, quasi con timore, gli orecchi attenti ad ogni minima fonte di rumore.
Era tutto troppo calmo per essere normale quella mattina, come se tutta la sua casa fosse ancora ipnotizzata nel sonno, nonostante il sole fosse già alto nel cielo, di certo pochi minuti a mezzogiorno.
"Mamma? Papà? Nancy?" chiamò ancora Mike muovendo i piedi nudi lungo la moquette del suo salotto, entrando in cucina e scorgendo un piatto di eggos impilati in un'alta torre.
"Abbiamo portato Holly al cinema" recitava la calligrafia di sua madre nel biglietto, piegato con cura accanto al piatto di ceramica riservato agli ospiti d'onore:
"Offri ad El la colazione, saremo di ritorno prima di mezzogiorno: non osare farla andare via senza aver pranzato almeno con noi! E ti ricordo che ancora devi spiegarmi che cosa è successo ieri sera, Mike Wheeler!"
"Sicuro..." sospirò Mike scuotendo la testa ed accartocciando il foglietto nel suo pugno chiuso, afferrando il piatto e ritornando indietro sui suoi passi fino alla porta rimasta aperta sul suo basement:
"Non appena sarò riuscito a capire anche io che cosa diavolo è successo ieri sera, mamma. Certo!"
"El?" chiamò per l'ultima volta Mike sbattendo il piatto sul suo tavolo di legno e vedendo un eggos precipitare sul tavolo da gioco, schiacciando la miniatura di un ranger in posizione sul suo quadratino.
Fantastico alla seconda.
"Holy shit..." imprecò il DM tra i denti, spazzando le briciole dal suo tavolo da gioco senza troppa attenzione, voltandosi per un ultimo secondo alla stanza attorno a lui:
"Non puoi essertene davvero andava via senza chiamarmi, El! E che cazzo!" urlò Mike prendendo a calci un cuscino ricaduto da una poltrona.
Era già abbastanza l'intera situazione avvenuta nelle ultime 48h, senza che il suo fiorellino si mettesse a giocare al gatto e al topo con lui quella mattina.
La sua riserva di pazienza doveva essersi esaurita un paio stranezze prima.
"El! El! Dove diavolo sei finita?! El!!"
"...Mike?" il giovane Wheeler quasi non riuscì a credere alle sue orecchie quando una vocina sottile ebbe risposto al suo ultimo grido, al di là della porticina di legno chiusa del piccolo bagno del suo basement.
"El? Sei lì?" riuscì solo a rispondere Mike dandosi mentalmente dell'idiota per essersi fatto prendere dall'ansia e non averci pensato prima, sentendo i suoi passi muoversi da soli in direzione di quella voce, fermandosi quasi con timoroso rispetto di fronte a quella porta.
"El, sei lì dentro? Posso entrare?" chiese Mike chiudendo gli occhi ed appoggiando la fronte alla superficie di quella porta, sentendo il getto dell'acqua scorrere a pochi passi dalle sue orecchie.
"Certo..." la udí rispondere con voce piccola, quasi rauca e spezzata, dandogli la forza di girare verso il basso la maniglia e di entrare nel piccolo bagno illuminato solo da una luce calda al neon al di sopra dello specchio del lavandino.
E piegata sul suo lavandino, la sua felpa blu scuro ed i suoi pantaloni grigi enormi ancora indosso, il suo piccolo fiorellino con i capelli grondanti di piccole gocce.
"Scusa..." fu la prima cosa che la sentí dire in quel momento, chiedendo il rubinetto e portando una mano verso l'asciugamano a coprire i suoi capelli zuppi.
"Non volevo farti spaventare, io...volevo solamente darmi una riputila: non volevo tua madre mi vedesse in quello stato, ma non volevo farti spaventare, Mike..."
"No, non chiedermi scusa, El...sono io che sono un idiota..." scosse la testa Mike lasciando che le braccia si muovessero da sole fino alle sue spalle ancora una volta, stringendola forte al suo petto e respirando dai suoi ricci il fresco odore di sapone.
"Credevo...credevo te ne fossi andata, El..." la piccola lo udí sussurrare vicino al suo orecchio, lo stesso tono di un bambino abituato a vedere un amico sparire sul più bello, decisamente troppo, troppo spesso di recente.
"Non me ne vado via, Mike...non ora..." scosse la testa El contro la sua spalla trattenendosi dal singhiozzarglielo, limitandosi solo a stringerlo a sua volta, ancora di più.
Dentro il piccolo bagno di servizio del basement al numero 11 di Maple Street, tra quei due piccoli ragazzini ci sarebbero state così tante cose da dire che l'opzione migliore pareva sul serio rimanere in silenzio in quel momento, ancora così: così immobili, fermi ed abbracciati quasi potessero sparire, inghiottiti lontano dal mondo.
Come se, fintanto che fossero rimasti ancora così, nessuna cosa brutta potesse raggiungerli, ancora per un po'.
"Sei riuscita a dormire sta notte?" mormorò Mike dopo qualche minuto.
"No..." rispose semplicemente la piccola, come se quella risposta fosse stata quasi ovvia da dire quella mattina.
"E tu?"
"Nemmeno io..." sospirò Mike scuotendo la testa tra i suoi ricci, prendendo il coraggio di scostarsi per primo dalle sue braccia, solamente per portarle un dito sotto il mento, facendole volgere lo sguardo più in alto, fino a lui.
"Stai bene?" mormorò infine guardandola negli occhi, pentendosi immediatamente di averglielo chiesto.
"No..." la vide scuotere la testa un'altra volta, chiudendo gli occhi e lasciando che una lacrima leggera solcasse la sua guancia veloce fino ad infrangersi al suolo.
"Ehi...lo so, lo so..." scosse la testa Mike dandosi ancora mentalmente dell'idiota, afferrando l'asciugamano e bagnandone sotto il getto dell'acqua un bordo, portandolo con gesti lenti ed infinita dolcezza sul suo viso, lavando via quella lacrima insieme a piccole residue macchie di fango e di rosso.
"Scusami, non avrei dovuto chiedertelo, El..."
"No, Mike, non mi chiedere scusa..." tirò sú con il naso El a sua volta, riaprendo gli occhi fino lui, ancora lucidi ma più sereni, nei suoi.
"A quanto pare non riusciamo a fare entrambi a meno di chiederci scusa questa mattina, El..." ribatté Mike con un piccolo accenno di sorriso, vedendola a sua volta sorridere timidamente, quasi come quando si ha paura di essere felici, anche solo per un secondo.
"Io lo odio..." la piccola Hopper lo sentí sussurrare con voce carica di apprensione, vedendolo chiudere gli occhi ed appoggiare la fronte alla sua, di nuovo.
"Odio qualunque cosa ti sia successa e chiunque ti abbia ridotto in questo stato, El, lo odio..." El strinse forte le palpebre a sua volta, ispirando per non permettersi di ricominciare a piangere di fronte a lui.
Le schegge di vetro della vasca intorno al pavimento, ai suoi piedi.
Il corridoio lungo ed il rumore del corpo morto del dottor Owens alle sue spalle cadere più.
Le luci impazzite sopra la sua testa, il ruggito di quel mostro alle sue orecchie.
E la poggia sulla sua pelle, il fango fino alle sue ginocchia.
E le braccia di Mike intorno a sé, i fari del furgone di suo padre davanti a loro.
"Odio quello che ti è successo e quello che ti hanno fatto..."
"Loro non posso trovarmi qui, Mike..." il ricciolino sentí la sua principessa sussurrare con voce così flebile da fargli pensare per un momento di esserselo solo immaginato, per un secondo.
Loro?
E chi diavolo erano loro?
Trovarla?
Per quale motivo avrebbero dovuto trovarla?
Chi la stava cercando?
"Loro non sanno che sono qui, Mike..."
"...loro?!" ripeté Mike con tono più deciso e con maggiore forza, rialzando la fronte dalla sua e riaprendo gli occhi nei suoi, ancora più sconvolto.
E alla vista dello sguardo di El farsi improvvisamente più largo di paura e di terrore, non c'era decisamente più bisogno che Mike si domandasse di più.
"Loro chi sono, El? Che cosa vuol dire loro?"
"No, Mike, intendevo..." iniziò El scuotendo la testa, sentendo nuovi lacrimoni premere le sue palpebre per cadere più giù.
"Intendo dire...nulla di brutto può succedermi qui, qui sono al sicuro!"
"No, El, non hai detto questo! Tu hai detto loro!" scosse la testa Mike sentendo la sua voce incresparsi contro la sua stessa volontà, i pugni stringersi intorno a fianchi di El senza che potesse trattenersi di più.
"Chi sono loro, El?? Chi sono?!
"Mike...mi fai male!" protestò El portando le mani sulle sue spalle e spingendolo via, muovendo un passo all'indietro e restando a guardarlo scosso e con il viso sconvolto davanti a sé.
"Io...io non ne posso più di tutte queste bugie, El..." pianse Mike piegandosi sulle sue ginocchia e sentendo le spalle iniziare a tremare da sole, scosse dai singhiozzi, dopo essersi trattenuto troppo a lungo per tutte quelle ore infinite.
"Io non ne posso più di vederti così, di non poterti aiutare...di essere così poco importante per te e nella tua vita da non meritare nemmeno di sapere quello che ti succede..."
"No, Mike, non è vero questo, non è vero niente!" si mosse veloce El fino a lui, cadendo ai suoi piedi, in ginocchio sul pavimento di fronte a lui, vedendolo scuotere la testa con le mani immerse tra i suoi ricci.
"Non è vero che non sei importante, Mike: lo sei! Lo sei davvero e devi credermi! È solo che io..."
"È solo che...è solo che...c'è sempre un è solo che e tu non mi dici mai niente, El!" si divincolò Mike dal suo tocco, fissando gli occhi su di lei, sconvolto:
"Tu...tu sei tutto per me, El...tutto" il piccolo fiorellino si sentì morire a quelle parole, mai state più vere e più sincere per loro se non in quel momento: la più dolce e la più sofferta dichiarazione d'amore.
"Non so più come dimostrartelo, non so più come spiegartelo...non so più cosa darei perché tu potessi fidarti per una volta di me!"
"Mike, non dipende solo da me..." iniziò El con voce rotta, prima di vederlo rialzarsi di scatto di fronte ai suoi occhi, balzando in piedi e passandole accanto al di là della porta del piccolo bagno.
"Non dipende solo da te, El, non è vero? Risparmia il fiato questa volta, davvero: questa l'ho già sentita..."
"Mike, ti prego!" singhiozzò alle sue spalle El alzandosi in piedi a sua volta, vedendolo dirigersi ad ampi passi verso le scale del suo basement, fermandosi sul primo gradino per un ultimo secondo a capo chino.
"Io non so più che cosa fare con te, El, davvero..." scosse la testa Mike sentendo il cuore nel suo petto stringersi, sotto strati e stati di mesi di bugie e di verità non dette.
Sapeva che la stava perdendo, ma sapeva anche di non avere la forza di fare altro di più.
Era lei che lo stava mandando via, ancora una volta, per quanto lo stesse trattenendo a sé.
"E a quanto pare nulla di quello che io possa fare o dire ti farà mai cambiare idea, perciò...io qui ho finito, hai vinto!"
"Mike ti prego ascoltami..." urlò El a sua volta vedendolo salire i gradini di corsa, chiudendo gli occhi di fronte alle sue spalle e pregando il cielo di perdonarla per la sua scelta folle, disperata, la sola ultima cosa che in quel momento potesse fare.
Non avrebbe mai voluto che succedesse tra di loro: non così, non in quel modo!
Ma dopo mesi passati a fuggire, le cose si erano davvero spinte per loro troppo oltre.
E presto avrebbe dovuto comunque dirglielo, in un modo o nell'altro che fosse.
Era solamente l'ennesima bugia: nessuno di loro era più al sicuro, né lì in quel basement né in ogni dove.
"Mike, ti prego! Ascoltami, fermati, ti prego!" lo vide voltarsi lentamente verso di lei ancora una volta, gli occhi tristi verso i suoi velati invece quasi perfino di un briciolo di commozione.
Non importava cosa sarebbe successo dopo.
Non importava se lui avrebbe capito o l'avrebbe giudicata solamente un mostro.
Il solo fatto di dirglielo in quel momento pareva agli occhi della piccola quasi niente meno che un sogno.
Un bellissimo, bellissimo sogno.
"Mike...io sono..."
E prima che le sue parole furono interrotte dal suono del campanello della sua porta d'ingresso, perfino il volto di Mike si era fatto improvvisamente meno triste e scettico, quasi come se avesse notato lui stesso un brivido nuovo nella voce del suo fiorellino quella volta.
"Questi devono essere i miei genitori..." El lo vide sbuffare come una furia a quel suono inopportuno, salendo gli ultimi gradini di corsa, volgendole un ultimo sguardo prima di sparire dietro la porta:
"Non ti muovere di lì, torno subito! Non te ne andare e sarò immediatamente da te, dammi un secondo!"
"Porca puttana, ma non avete preso le vostre dannatissime chiavi?!" imprecò Mike Wheeler tra i denti, volando letteralmente lungo il pavimento del suo salotto, a rotta di collo, afferrando con forza la maniglia della sua porta d'ingresso, i ricci sconvolti nella corsa ed il fiato corto, senza fermarsi nemmeno a considerare l'ipotesi che potesse esserci davvero qualcun altro lì dietro quella porta.
Ma quando ebbe riaperto gli occhi alla luce del giorno, al numero 11 della sua Maple Street, non furono i capelli cotonati di sua madre, gli occhiali grandi e squadrati di suo padre e il sorrisetto felice di sua sorella minore a rispondere al suo sguardo sconvolto e letteralmente fuori dalle sue orbite.
Solamente un'alta ed allampanata figura vestita di un completo scuro, di schiena di fronte a lui, in modo che lui potesse scorgere solo una chioma di capelli bianchi perfettamente pettinati al termine di un collo magro ed ossuto.
"Desidera?" chiese in tono scocciato Mike schiarendosi la voce, pensando a qualche vicino accorso a chiedere un qualche genere di favore. Non gli sembrava di aver mai scorto da quelle parti qualcuno di quell'aspetto, ad essere sincero, ma non aveva davvero il tempo di stare a fare il sottile in quel momento, non quella mattina.
"Qui è casa Wheeler: posso esserle d'aiuto?"
Ma quando il suo ospite si fu voltato finalmente verso di lui, con estrema lentezza, non furono i suoi occhi di ghiaccio la prima cosa su cui quel piccolo nerdino sentí rivolgersi la sua attenzione.
Non il suo viso rugoso, non il suo sorriso cordiale ma cattivo.
Piuttosto una viva e insensata sensazione immediata di freddo, di ghiaccio, di gelo.
Una immotivata ondata di paura alla vista di quell'uomo sconosciuto, fin dentro le sue ossa.
"Ciao, Mike..." il piccolo ricciolino non fece neppure in tempo a chiedersi come quel tizio inquietante conoscesse il suo nome.
"In effetti sì, potresti davvero essermi d'aiuto..." lo vide proseguire senza dar apparentemente peso alla sua espressione sconvolta, senza parole.
Paralizzato da un freddo e da un terrore che non poteva essere suo, ma che apparteneva ugualmente alla sua persona, fin dentro al suo midollo.
Fin dentro alle pieghe più profonde del suo cuore.
"Sto cercando una tua amica, magari la conosci...risponde al nome di El o, per meglio dire...di Eleven"
*
"Eleven? Come il numero?" domandò il giovane Wheeler con tono confuso, sentendo il bisogno di appoggiare un braccio allo stipite della sua porta d'ingresso per non cadere giù a terra di fronte a quello sconosciuto.
Sentiva come se la sua testa gli stesse girando più veloce di una trottola in quel momento, veloce ed impazzita come se non riuscisse a mettere più in ordine nemmeno due parole di senso compiuto.
E non perché improvvisa gli fosse divenuta chiara una qualche mistica e misteriosa rivelazione, ma perché qualcosa di sconosciuto ma potente nella sua mente gli stava gridando ad alta voce "allarme rosso!".
Sentí la porta del suo basement richiudersi alle sue spalle dall'altro lato del salotto, ed il suono confuso di passi concitati giù per le scale, quasi a rotta di collo.
Ma qualcosa nel suo istinto gli suggerí di non darci peso in quel momento, quasi di fingere di non aver neppure sentito quel rumore alle sue spalle proveniente dal suo salotto.
Di non voltarsi verso il suo fiorellino al di là della sua porta chiusa dentro il suo basement, di far finta semplicemente di non aver sentito niente.
Il suo istinto, o piuttosto il suo cuore in un secondo galoppante nel suo petto, con una forza tale che avrebbe quasi potuto paralizzarlo sul colpo.
"Eleven come il numero, sì, esatto..." annuí di rimando lo sconosciuto con un sorriso, con un tono cordiale che avrebbe potuto anche renderlo amabile e gentile, se non fosse stato anche allo stesso tempo così dannatamente inquietante.
"Chi mai diavolo si chiamerebbe come un numero?!" ribatté Mike senza riuscire a trattenersi dal domandare infastidito, muovendo un passo all'indietro e vedendo l'uomo allungare lo sguardo più in profondità attraverso il suo salotto alle sue spalle.
"Sei solo in casa Mike? Non c'è nessuno con te?" continuò il dottor Brenner come se Mike non avesse detto proprio nulla, infastidendo il nerdino ancora di più e parandosi a mò di scudo davanti alla sua porta:
"Mi pareva di aver udito un rumore..."
"I miei genitori sono usciti ed io...io sono da solo!" mentí Mike muovendo un passo in avanti verso di lui, cercando di coprire il più possibile la visuale dietro la sua porta.
"Ah ma davvero? Ne sei sicuro?" udí lo sconosciuto domandargli con un sorriso meschino, portando il suo paio di occhi azzurro ghiaccio sopra di lui, facendogli percorrere un brivido lungo la sua intera superficie corporea.
"Lei chi è?" domandò Mike con tono deciso, fissando con sguardo intenso quello sconosciuto, di una spanna più alto di lui.
Non sapeva chi fosse quel tizio, sapeva solo che così a pelle era in grado di fargli davvero una gran paura.
Ma sentiva anche, ancora di più, quanto fosse necessario in quel momento che quel tizio non fiutasse, come un segugio, il suo terrore.
"Lei chi è e come diamine fa a sapere il mio nome?!"
"Tu non mi conosci, Mike, è vero, hai ragione..." annuí comprensivo l'uomo inquietante con un altro sorriso, scoprendo due arcate di denti perfettamente dritti e lucidi, troppo per essere ritenuti normali per anima viva.
"Tu non mi conosci, ma io ti conosco da tanto tempo, Mike, ti conosco da mesi...Eleven, mia figlia, mi ha parlato davvero molto di te"
"Qui non c'è nessuna Eleven..." ribatté Mike con voce decisa, sentendo i suoi pugni stringersi di fronte a quel tizio, l'adrenalina scorrere dentro le sue arterie come una preda che si appresta a fuggire veloce dal suo predatore più feroce.
"E se non posso aiutarla in altro modo la prego di andarsene via da qui e di ripresentarsi quando saranno tornati i miei genitori!"
"Eleven forse no...ma El?" il cuore del piccolo Wheeler perse un battito a quelle parole, usufruendo di tutte le sue forze in quel momento per non spalancare occhi e bocca di fronte a quell'uomo, piombato lì dal nulla di fronte alla porta di casa sua.
Poteva essere una coincidenza?
Non avrebbe potuto esserlo mai nella vita...
Quante altre El conosceva in fondo?!
Quante altre El, "short for..."?
"Che mi dici di una tua amica di nome El?"
"Non conosco nessuna El!" ribatté Mike con fin troppa convinzione, fin troppa veemenza per non sembrare una bugia bella e buona.
Ma in fondo lui era solo un ragazzino spaventato di fronte al lupo cattivo di tutte le sue storie da bambino, senza neppure che lo sapesse ancora...
"Qui non c'è nessuna El ed anche se ci fosse non verrei a dirlo a lei mai...mai!" il dottor Brenner sorrise glaciale a quelle parole, facendosi più vicino come una padre accondiscendente di fronte al suo bambino più vivace e discolo.
"Molto bene, Mike, non importa, sei stato già molto utile lo stesso..." il ricciolino lo vide iniziare con voce di velluto, fissando i suoi occhi chiari nei suoi, con attenzione:
"Posso lo stesso chiedere di riferire alla tua amica El un messaggio per me, qualora la dovessi vedere qui in giro?"
"Se ne vada subito, immediatamente! O sarò costretto a chiamare la polizia!" ribatté Mike con una forza e con un tono che avrebbe tanto voluto apparissero più deciso, non piuttosto quelli di un povero ragazzino spaventato.
Ma pareva fosse davvero solo quello tutto ciò di cui era dotato in quel momento.
Il nobile, valoroso paladino avrebbe dovuto accontentarsi quella mattina.
"Qualora tu la veda, devi riferire questo da parte mia, intesi?" proseguì nel suo discorso il dottore, come se non avesse nemmeno sentito di sfuggita la timida minaccia del suo interlocutore:
"Dille che il suo papà la sta cercando, di tornare a casa dove sa essere il suo posto e di farlo alla svelta..." il ricciolino udí la voce fredda di quell'uomo alto e dai capelli bianchi scendere profonda con quelle parole fin dentro le sue ossa.
"Dille che so dove è nascosta, che so dove trovarla, ma le sto lasciando semplicemente una scelta, prima che io venga a prenderla e che questa storia non vada a finire bene..." concluse il dottor Brenner con un piccolo sorriso, prima di concludere con un luccichio negli occhi, cattivo:
"Prima che qualcuno possa farsi del male sul serio, per colpa sua..."
"Il suo papà? Lei sarebbe il suo papà?!" sbottò Mike stringendo ancora più forte i pugni lungo i suoi fianchi, vedendo l'uomo sconosciuto già muovere un passo dopo l'altro lungo il suo vialetto, in silenzio, veloce ed inquietante così come era venuto:
"E chi sarebbe lei per minacciarla?! Come si permette di venire a minacciare...?!"
Ma nell'esatto momento quel quale Mike ebbe finito di urlare contro le sue spalle la sua incazzatura, quell'uomo alto e scuro era già sparito, di fronte ai suoi stessi occhi.
Volatilizzato nel nulla, sparito del tutto.
Di fronte ai suoi occhi solamente il vialetto del suo giardino, vuoto.
"Ma che cazzo?!" scosse la testa Mike sbattendo le palpebre più e più volte, spostando lo sguardo alla sua sinistra, alla sua destra, e di nuovo nuovamente alla sua sinistra, ritrovando nulla di fronte ai suoi occhi se non la sua via deserta in una domenica mattina di sole.
Tutto apparentemente così normale e tranquillo, per quanto nulla di apparentemente normale e tranquillo stesse avvenendo nella sua vita da quando aveva aperto i suoi occhi quella mattina.
"Ma porca di quella put..." imprecò ancora il ricciolino chiudendo, anzi, sbattendo letteralmente la porta di casa sua alle sue spalle, correndo all'indietro e spalancando la porta delle scale del suo basement.
"El? El!!" urlò Mike di sopra il primo gradino delle sue scale, scendendo giù a rotta di collo quei gradini come quando era un bambino, come quando, poco prima che iniziasse la serata per lui più bella di tutta la settimana, correva laggiú in quel suo angolino di mondo, per essere certo che sulla fosse fuori posto prima dell'arrivo dei suoi migliori amici.
Prima dell'inizio della settimanale sessione di D&D.
Ma quanto erano diversi i suoi pensieri in quel momento, quanto cresciute le sue gambe ed i suoi riccioli neri sulla sua fronte sempre pallida ma più alta e lunga.
Quanto dolore a far battere il suo cuore, invece che l'allegria, la frenesia, la gioia e la serenità che non avevano niente a che vedere con lui in quel momento, quella mattina.
"El?" chiese ancora una volta Mike senza troppa convinzione, senza ottenere nessuna risposta, nessun benché minimo rumore.
Se n'era andata, se n'era andata sul serio quella volta, ed il suo basement era davvero vuoto e silenzioso quella mattina, senza più amici, senza più gioia.
Solamente la porta del retro del suo basement rimasta spalancata e, della sua El, nemmeno più l'ombra.
*
Aveva avuto il buon senso di aspettare una buona mezz'ora il nerdino, prima di uscire dalla porta della sua casa, sebbene il suo istinto più vivo gli avrebbe ordinato di correre immediatamente a gambe levate lontano da lì, a cercarla.
A correre da lei ancora una volta.
A correre con quanto fiato aveva ancora in gola a cercarla lei, a cercare El.
Dire che era confuso sarebbe stato un vero e proprio eufemismo: Mike non ci stava più letteralmente capendo un cazzo quella mattina di inizio giugno.
Sapeva che per prima cosa doveva darsi una bella calmata, quello era davvero il primo punto della lista.
Seconda cosa, ma non meno importante, ricordarsi di continuare a respirare in modo congruo, per quanto gli apparisse quasi del tutto superfluo in quel momento.
Come terzo punto si ritrovava invece indeciso: correre fuori in mezzo alla strada a cercare El o alzare la cornetta e chiamare la polizia, denunciando un tizio che nemmeno sapeva a che diavolo di nome rispondesse, perché aveva osato minacciare la ragazza che tecnicamente lui non doveva far sapere a nessuno che era rimasta lì a dormire nel suo basement quella notte.
Okay, tutta quella storia era folle, completamente folle, su tutta la linea.
Aveva preso un profondo respiro Mike Wheeler, girando in tondo lungo il pavimento del suo basement come una trottola impazzita, cercando di ragionare in modo coerente, calmo e preciso.
Dove poteva essere mai scappata El?
Era giorno, non era più notte e nemmeno più pioveva a dirotto quella volta, non poteva essersi persa di nuovo nel bosco, chissà dove!
Poteva essere corsa via da Max?
Troppo lontano, e perché mai avrebbe dovuto?!
Aver raggiunto il capo Hopper al distretto?
Troppo esposta e troppo rischioso, per quanto ne sapeva era scappata via a piedi nudi e con ancora i suoi vestiti addosso.
Immaginarla corsa via in direzione della sua cabin nel bosco gli sembrava, in fin dei conti, davvero la sua opzione migliore.
E, se anche non l'avesse trovata lì, quello sarebbe stato il punto di ritrovo nel quale, o lei o Hopper, avrebbe potuto tornare quanto prima: dove in fondo se non lì?
Ma quando dopo minuti di interminabile decisione, i piedi del piccolo nerdino si furono mossi contro i pedali della sua bici, una voce saggia e potente dentro il suo orecchio gli suggerí di rallentare la sua corsa e di guardarsi prima per bene intorno.
Alle sue spalle niente meno che la sua stradina di periferia sgombra, libera.
E allora perché, perché quella sensazione così viscerale, acuta e profonda come di essere osservato, anche in quel preciso momento, da chissà dove?
Deglutí il piccolo Wheeler quell'orribile groppo in gola, imponendo di non lasciarsi suggestionare e di non diventare paranoico.
Non c'era motivo che non dovesse andare da El...
Non c'era motivo che proprio lui fosse spiato in quel momento...ma poi, da chi?!
Da chi?!
Il rombo di un motore alle sue spalle lo fece quasi cadere dalla sua bici, voltandosi velocemente alle sue spalle e scorgendo niente di più che un furgone bianco al termine della sua via.
Anzi, non uno, ma a dire il vero 3, anzi, 4!
E sulla fiancata di ognuno di loro la stessa identica scritta: "Dipartimento di Energia della città di Hawkins".
"Proprio questa mattina sono venuti a fare i controlli questi stronzi?!" borbottò il ricciolino a fior di denti, tornando a pedalare lentamente e senza fretta, imboccando il corso principale al di là della sua via.
Ed il rumore di quei furgoni inquietanti, alle sue spalle, ancora ed ancora lì.
E quella sensazione ancora di freddo addosso.
Ancora ed ancora fino a fargli perdere il lume della ragione.
"Fanculo!" sterzò le sue ruote Mike facendo inversione, tornando sui suoi passi, in direzione opposta lungo quella via, in direzione opposta dalla sua metà, sfrecciando in mezzo a quei furgoni.
Li vide quasi inchiodare di colpo a quella sua mossa, quasi imprevista per loro quanto per lui stesso, imboccando una stradina laterale attraverso un parco giochi, sorridendo soddisfatto di se stesso e di quella sua intuizione.
Non gli importava di passare per paranoico in quel momento, non gli interessava nemmeno peccare di eccessivo scrupolo: fare il giro di tutta la città per prendere tempo e far perdere le sue tracce a chi mai eventualmente avesse voluto seguirlo, gli pareva una mossa quella mattina degna del miglior film di spionaggio alla tv.
A lui a cui i film di spionaggio avevano sempre fatto schifo.
Doveva essersi bevuto completamente il cervello, poco ma sicuro.
E quando ebbe imboccando il sentiero ben noto tra gli alberi più fitti del bosco, dopo aver girovagato a vuoto per una buona mezz'ora, più sudato e spettinato che mai, con il fiato corto e le gambe in fiamme, scorgere il profilo del furgone della polizia di fronte alla cabin di El nel bosco fu quasi in grado di farlo sorridere di autentica gioia.
Smontò dal suo destriero il piccolo paladino, lasciando cadere la sua bici ai suoi piedi e salendo di corsa i gradini del portico con il cuore in gola.
Non provò nemmeno a bussare, la porta era già stata lasciata aperta di appena 10 centimetri.
Quasi fosse stata lasciata così semiaperta per lui.
Quasi che lei lo stesse aspettando.
Quasi come quella fosse stata realmente la porta d'ingresso per un mondo al quale gli era concesso di entrare a fare finalmente parte, così diverso e decisamente più tenebroso di quanto lui si fosse mai aspettato.
"...El!" esclamò Mike non appena i suoi occhi si furono abituati alle semiombra di quel salotto, sbarrate le finestre, chiuse le imposte, ed, al di là del piccolo salottino di legno, seduta sulla sedia della sua cucina, la sua piccolina, con occhi così grandi ed impauriti che Mike non osò quasi, di primo acchito, muovere un passo di più.
"Ho fatto un giro più largo per arrivare qui, temevo di essere seguito..." sussurrò Mike credendo che fosse quella la prima cosa importante da dire, scuotendo la testa e dandosi mentalmente dell'idiota appena un secondo dopo.
"El, sei scappata via, non sapevo dove trovarti, speravo fossi venuta qui..." proseguí Mike muovendo un passo attraverso quel salotto, ma vedendo El restare ferma, immobile, quasi allontanarsi d'istinto da lui.
Perché ora si comportava così?
Perché non correva ad abbracciarlo, a chiedergli se stesse bene, a dirgli che era contenta di vederlo e che fosse al sicuro, come lui era felice che lei fosse lì in quel momento?
Perché le mani giunte come in preghiera davanti alle labbra del suo fiorellino tremavano in quel momento come mai prima, in modo incontrollabile ed inaudito?
Mike le rivolse uno sguardo sconvolto fuori da ogni misura.
"El, quel tizio che ha suonato prima alla porta, io non so chi sia, non l'avevo mai visto prima! Ma mi ha chiesto...mi ha chiesto di te...o almeno credo!" continuò come un fiume Mike restando al suo posto con un piede ancora sulla porta, passando una mano tra i suoi ricci sopra la fronte.
"Mi ha parlato di una certa Eleven, na anche di te, El...sí, proprio come il numero, è folle lo so..." scosse la testa quasi ridendo di se stesso, troppo poco attento per vedere le mani della sua piccolina, a quelle parole, tremare d'improvviso ancora di più.
"E non gli ho detto che sapevo dove eri, ovviamente, ma mi ha detto di dirti che lui sa già dove tu sei e che qualcuno potrebbe alla fine farsi male e, lo so che suona assurdo, ma che crede che tu sia sua figlia e lui il tuo papà!" ci mancò poco che Mike stesso scoppiasse a ridere al suono delle sue stesse parole, alzando gli occhi al cielo e lasciando ricadere le sue braccia più giù.
"So che sembra del tutto folle, El, ma questa storia non mi piace, non mi piace per nulla!" mosse un passo Mike nella sua direzione, ignorando il suo sguardo supplichevole e il suo cenno di "no" con il capo, quasi come se volesse tenerlo il più lontano possibile da lei, lontano da lì.
"E per quanto folle possa essere quel tizio, è sicuramente pericoloso!" concluse Mike con il fiato corto, alzando lo sguardo davanti a sé solo in quel momento, saltando quasi sul posto alla vista di un'ombra alta e scura dall'altro di quel salottino, in penombra.
"Ciao, Mike..." lo voce del capo Hopper lo accolse mesta e piatta, atonale, muovendo passi lenti fuori dal buio, fin sotto la luce della lampadina della cucina sopra di loro, prendendo una sedia e trascinandola vicino a quella di sua figlia, dal lato opposto di quel piccolo tavolo rispetto a lui.
"Ragazzo, siediti: non ci vorrà molto..." sospirò Hopper posando il cappello sulle sue ginocchia e passando una mano sui suoi occhi stanchi e sfiniti, indicando con un cenno della fronte l'ultima sedia rimasta vuota, dall'altra parte del tavolo di fronte a lui.
Mike udí El trattenere il respiro, seduta accanto a lui, deglutendo dall'altra parte del piccolo salotto di legno della cabin nel bosco, davanti a quella porta alle sue spalle rimasta spalancata appena una manciata di secondi prima, il suo fiatone ancora corto per la fretta, per lo sforzo, per quella corsa in bici a perdifiato dall'altra parte della città fino a lì.
Ma Hopper non aveva più tempo di edulcorare la pillola quella mattina, per ricercare le parole migliori per cominciare, per improvvisare, per sapere cosa dire.
Non c'era più tempo.
Lei non aveva più tempo.
La sua piccola non aveva più tempo e, con lei, nessuno di loro.
"Risponderemo a tutte le domande che vorrai porci, Mike, dalla prima all'ultima..." sospirò ancora il capo chiudendo gli occhi azzurri per un secondo, appena per un secondo, richiamando a sé una forza che non credeva di possedere più in quel momento.
Ma doveva farlo comunque, e farlo alla svelta: doveva farlo per lei, ma sopratutto per lui: per quel ricciolino dall'altra parte del suo salotto al quale era stata nascosta la verità davvero troppo, troppo a lungo.
Per quel ragazzino dall'aria da bambino che, dopo mesi e mesi di bugie da parte sua, aveva vinto in premio quella mattina di vivere il peggiore incubo della sua intera vita.
"Dopo, se vorrai, potrai anche correre via da qui"
"Cosa?!" balbettò Mike come un automa, muovendo lentamente lo sguardo da Hooper fino al suo piccolo fiorellino, in lacrime di fronte a lui.
E tra le sue lacrime, ecco apparire anche un sorriso: piccolo, timido, quasi timoroso, ma reale e forte come quello di chi non ha più nulla da perdere nell'intero suo mondo.
Anche lo sguardo di Hopper si era rivolto verso sua figlia in quel momento, di sostegno e di conforto, ma anche di fiducia, di ammirazione e di orgoglio.
Perché la sua piccola in fondo già sapeva cosa fare quella mattina, era grande già abbastanza per decidere da sola di andare incontro al suo destino.
Grande e forte abbastanza per gridare la sua verità una volta per tutte, di fronte al primo ed unico "amico speciale" che lei avesse mai avuto.
"Chi sei...?" domandò Mike muovendo le labbra rosse appena appena, così in contrasto con il pallore delle sue guance, gli occhi scuri fissi su di lei, nei suoi:
"Chi sei tu, El?"
"Io sono El, short for Eleonoir..." sorrise la principessa agli occhi sconvolti del suo paladino, vedendo una lacrima coraggiosa scendere veloce lungo le sue guance fino a giù.
Veloce come un anno, veloce come i mesi, veloce come le settimane, i giorni, scanditi un pomeriggio alla volta, eternamente a scappare, eternamente sospesa, eternamente viva e normale ma solo per metà.
Veloce come dire "ti amo".
Veloce come dire la verità.
La sua verità, finalmente.
Dopo tanto tempo.
"Ma io sono anche El...
short for Eleven"
🌼📼
Amici, eccoci qua!!!
Allora, vi è piaciuta questa PICCOLA-GRANDE confessione da parte del nostro piccolo fiorellino, finalmente?
È stata come ve la immaginavate?
Spero di cuore di sì!
Per scoprire come reagirà Mike a tutto ciò e per scoprire come faranno i nostri amici a sfuggire alle grinfie di Brenner e del laboratorio, non perdetevi il prossimo capitolo!
Il countdown è iniziato, la fine si avvicina, e non avete davvero idea di quanti casini devono ancora accadere su questi schermi!🙊
-4 alla fine
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