45.Have A Little Faith In Me

When the road gets dark
And you can no longer see
Just let my love throw a spark
And have a little faith in me

📼🌼

Il ticchettio delle gocce di pioggia contro il davanzale della finestra erano state la sveglia personale di Micheal Wheeler quella mattina, facendogli aprire gli occhi prima lentamente, poi improvvisamente di colpo, come se un preciso pensiero avesse appena urtato contro il suo ancora assonnato sistema nervoso.

La luce era ancora fioca intorno a lui, troppo fioca, ma non abbastanza per non potergli far riaffiorare nella sua mente i suoi primi, primissimi ricordi.
Non si trovava nella sua camera, e questo se lo ricordava.
Non aveva dormito nel suo letto, e questo era ormai palese.
E, cosa più importante, la sua schiena lo malediva in quel momento per non aver cambiato posizione per tutta la notte, per essersi addormentato letteralmente così: seduto con la schiena appoggiata al muro alle sue spalle e, sulle sue ginocchia, ancora in braccio a lui, un fagottino di lacrime e capelli ricci, ancora intento a tremare come una piccola foglia contro di lui.

"El...?" aveva mormorato al suo orecchio il ricciolino, prendendo nuovamente coscienza della sua persona, allungando lo sguardo nella penombra e riconoscendo la fonte di quel brivido di freddo lungo la sua intera superficie corporea.
Una fitta lungo la schiena indolenzita, le gambe addormentate ed i piedi apparentemente inesistenti in quel momento: non aveva più 14 anni, anche quello era ormai evidente.
Ma da quando aveva iniziato a sentirsi così vecchio ed indolenzito per una semplice notte di poco sonno?!
"Mannaggia, mannaggia a te, Wheeler!"

"El...mi senti? Sei sveglia?"
Troppo sfiniti o troppo distratti la sera precedente, lui ed El avevano dormito con la finestra della camera rimasta aperta.
La stessa finestra attraverso la quale, quella, mattina, le gocce di pioggia di quel temporale stavano entrando battendo insistentemente contro il tappeto, il bordo del materasso, il pavimento dell'intera camera.

"El, svegliati, devo alzarmi..." aveva mormorato più forte Mike tentando di muoversi dalla sua posizione, sentendo il piccolo fagottino sotto di lui gemere debolmente, al pari di un passerotto intirizzito dal freddo e dalla pioggia, ma senza riuscire a muoversi da sopra di lui.
"Devo chiudere la finestra...fa un freddo micidiale qui, e sta anche piovendo dentro..." aveva insistito il piccolo Wheeler tentando di spostarla dolcemente, un secondo prima di vederla muoversi bruscamente di fronte a lui, il viso pallido come il suo lenzuolo, portando velocemente entrambe le mani sulla sua bocca.

"Merda..." aveva fatto in tempo Mike ad imprecare in un secondo, sufficiente per piazzare davanti al viso di quella piccolina, appena in tempo, la prima cosa che gli era capitata a tiro: la sua felpa a righe preferita.

"Fantastico..."

"Qui, El, così...butta fuori tutto..."
"Scu...scusa..." aveva sentito il suo fiorellino sussurrare tra un conato e l'altro ancora in braccio a lui sulle sue ginocchia,
"Non ti devi preoccupare..." aveva scosso la testa Mike passando una mano lungo la sua schiena e massaggiandola con delicatezza, passando l'altra lungo il suo viso nel vano tentativo di darsi una svegliata e riprendere coscienza di sé.

Se il buongiorno si vedeva dal mattino, quello non era stato di certo un ottimo inizio.
"Fantastico...fantastico, Wheeler!"

"...Maow!!!" aveva sentito miagolare con insistenza un micino dalle macchie bianche, nere e rosse, zampettando lungo il pavimento bagnato attraverso la finestra, fradicio e grondante di pioggia, lanciandogli uno sguardo attraverso i suoi occhietti felini quasi scocciato e a mò rimprovero nella sua direzione.
Il giovane Wheeler non aveva potuto fare altro che sospirare di tutta risposta, muovendo lentamente la testa in segno di approvazione.

Quella giornata pareva essere iniziata male proprio per tutti, non vi parevano essere dubbi.
"Un pessimo inizio di giornata per tutti e due, credimi, amico..."

"Datevi una mossa, ragazzi! Sveglia!!"
"...in che continente mi trovo?" aveva sussurrato Dustin ancora ad occhi chiusi, muovendo una mano in modo inconsulto, contro gli scossoni insistenti del suo amico dai ricci neri alle sue spalle.
"Mamma, non rompere, ancora 5 minuti...mi alzo solo se è già pronta la colazione!"

"Muovete quelle chiappe, idioti, forza!" aveva ripetuto Mike con più insistenza e maggiore incazzatura, recuperando le bottiglie di vetro ormai vuote dal pavimento e decidendo di non mettersi a contarle in quel momento per il bene di tutti, della sua piccola calma residua innanzitutto.

C'era solo da sperare che il capo Hopper non decidesse di farsi una bevutina nelle prossime ore: al resto ci avrebbero pensato dopo, a mente più lucida.

"Max, passami quella scopa!"
"Ma pure al mattino presto devi rompere i coglioni, Wheeler?" aveva sussurrato la rossa con la voce impastata dal sonno, mettendosi a sedere diritta dalla pancia del suo nerdino dalla pelle color cioccolato, usata come cuscino, portando una mano alla sua fronte con espressione sofferente:
"Porca di quella troia...ma chi mi ha tirato un pugno ieri sera?! Cazzo..."

"Un pugno lo tirerò io a tutti quanti se non vi decidete ad alzare quei culi e darmi una mano, subito!" aveva risposto tra i denti Mike iniziando a riempire un sacchetto della spazzatura, lanciando uno straccio al povero giovane Byers intento a mettersi in piedi diritto lentamente, ancora testando il suo precario equilibrio.

"Miseria...ma quanto cazzo ho bevuto?!"
"Mi sta venendo una voglia folle di vomitare, ragazzi, ve lo sto dicendo..."

"Basta con le stronzate! Il capo sarà qui a momenti!" aveva ribattuto Mike a voce ancora più alta, ma non abbastanza da farsi sentire dalla camera accanto nella quale al di là della porta verde aveva rimesso a letto la sua piccolina, finalmente al caldo sotto una montagna di coperte asciutte e pulite.
"E se non volete che il capo ci mandi ai lavori socialmente utili per il resto della nostra inutile vita, fareste meglio ad aiutarmi a dare una ripulita a questo posto prima che torni dalla centrale e ci...e vi veda in questo stato!"

"...posso almeno chiedere di fare colazione prima?" aveva alzato il dito per domandare il giovane Sinclair, fulminato sul posto dallo sguardo assassino del suo amico.
"Te la preparo io la colazione se non ti muovi, Lucas, ma non garantisco che ti possa piacere..."
"Va bene, va bene, ricevuto capo, ricevuto..."

"Aprite quella finestra!"
"Ma fa un freddo boia lì fuori, Wheeler!"
"Ed questo posto puzza più di un porcile, Dustin!"
"E che diciamo al capo riguardo a El?" aveva chiesto Will in direzione di Mike, aiutandolo a chiudere un pesante sacco nero ripieno di sporcizia fino all'orlo.
"Come gli spieghiamo come El si è ridotta in quello stato?"
"Non gli spieghiamo proprio un cazzo, infatti!" aveva scosso la testa Mike in modo risoluto, lanciando uno sguardo al di là della finestra del salotto sul vialetto ancora sgombro dal furgone della polizia, ma già allagato dalle gocce di pioggia.

"Ce ne andiamo via da qui prima che il capo torni, subito, ora! E nel pomeriggio tornerò io qui da solo per assicurarmi che El stia bene e per spiegare ad Hopper che ieri sera ha preso troppo freddo tornando in bici da casa mia e che si è presa un bel raffreddore!"
"Oggi pomeriggio, Mike?!" aveva domandato Will con sguardo confuso, ancora annebbiato dall'alcol:
"Ma il pomeriggio El e Hopper non ci sono, Mike...mai!"
"Vaffanculo a questa storia!" aveva scosso la testa Mike con tono esasperato ed alzando gli occhi al soffitto, vedendo gli amici recuperare faticosamente le loro cose sparse per l'intero salotto ormai in ordine.
"Dubito che Hopper voglia portarla da qualunque parte in questo stato...vado da El a dirle che stiamo andando via, voi uscite fuori ed aspettatemi alle bici. Fuori tutti!
"...ma piove, Mike, holy shit! Non possiamo aspettare che smetta restando ancora un po' qui? Vuoi farlo venire anche a me il raffreddore?!"
"Muoviti, Dustin, fuori!!"

"Ehi, fiore..." aveva mormorato Mike posando le labbra sulle tempie bollenti della sua piccolina, inginocchiatosi ai piedi del suo letto e vedendola sospirare debolmente, la testa seminascosta tra le coperte ed il cuscino.
Ci sarebbero state così tante cose da dirle in quel momento, tante cose sulla notte precedente da chiederle...ma in fondo Mike credeva di augurarsi perfino che quella mattina El non ricordasse proprio nulla dei loro discorsi senza senso di poche ore prima.

"Torno tra qualche ora per vedere come stai e per spiegare tutto al capo Hopper, va bene? Il capo non potrà che farti restare a letto per il resto della giornata vedendoti in questo stato...d'accordo?"
"Mike..." si erano mosse appena le labbra di El con un sussurro a metà strada tra il sogno e la realtà, allungando le dita oltre le coperte per raggiungerlo debolmente, come se avesse voluto trattenerlo ancora per un secondo a sé.
Anche lei avrebbe avuto tante cose da dirgli in quel momento, così tante che non avrebbe saputo nemmeno da dove cominciare.
Avrebbe solo voluto dirgli che lui, quel pomeriggio, non l'avrebbe mai potuta trovare lì.

El non avrebbe voluto farsi trovare lì.

"Ora riposati...a più tardi!"
"Mike...grazie"

E quando le ruote di 4 bici erano sfrecciate lungo il sentiero del bosco sterrato ed allagato, schizzando d'acqua e di fango il bordo dei loro vestiti, tra le imprecazioni di Dustin e gli insulti del giovane Wheeler, dopo appena una manciata di minuti, il rumore di altre ruote aveva interrotto il ticchettio della pioggia alle orecchie del piccolo fiorellino, unito al rombo di un familiare motore.
Ed una manciata di minuti dopo, la porta d'ingresso si era rinchiusa alle spalle di un omone alto e grosso, dalla faccia baffuta e distrutta dal sonno.

"Kiddo! Sono a casa! Sei già sveglia?"
"Sono qui, papà!" aveva risposto prontamente la piccola, con il suo tono più normale e più convincente possibile, seguendo il rumore dei passi di suo padre fino al di là della sua porta.

Non poteva permettersi che il suo papà sospettasse nulla, non poteva permettersi che si insospettisse, facendo domande o chiedendo di raccontare cosa era successo la notte precedente.
El non avrebbe saputo da che punto della storia partite e, sopratutto, non avrebbe nemmeno avuto le parole per esprimersi.
Come riuscire a spiegare quello che aveva visto?
Come riuscire lontanamente a descrivere come si era sentita?
Come poter raccontare quale piano aveva maturato nella sua mente e che cosa aveva deciso allora di fare, senza che il suo papà adottivo semplicemente impazzisse, urlandole contro che la sua idea era semplicemente folle?

No.
Hopper doveva credere che non le fosse successo niente, che non ci fosse nulla da capire, che lei fosse solo stanca e stesse bene.
Che la riportasse in quel dannato laboratorio, come tutti gli altri pomeriggi, così che lei potesse mettere in atto il folle piano che da tutta la notte le balenava nella mente.

L'alcol aveva funzionato, le aveva concesso una manciata di ore senza pensieri e senza voglia di rimettersi a piangere e ad urlare fino a non sentire più la sua voce, ma non le aveva fatto dimenticare quello che aveva visto, né tanto meno aveva cancellato dal suo cuore quella orribile sensazione.

Quella sensazione come di stare cadendo a peso morto in assenza di gravità, nel vuoto.
Quella sensazione di precarietà ad un passo dallo schianto, ad un passo dal picchiare contro il fondo.
Con quel pensiero si era addormentata sfinita la sera precedente, con quel proposito aveva riaperto gli occhi quel mattino.

Aveva bisogno di urlare le sue domande, aveva bisogno di ottenere delle risposte, e, cosa ancora più importante, aveva bisogno di ottenere una sola cosa.
La vendetta.

Ed il solo modo che aveva per ottenerla era che il suo papà non sospettasse nulla e la conducesse inconsapevolmente lì, ancora in altro pomeriggio, ancora un'altra volta.
Ed il resto l'avrebbe portato a termine lei.
Ed il resto sarebbe venuto da sé.
Era ormai abbastanza forte da potercela fare da sola, oramai ne era consapevole.
Oramai se lo sentiva, oramai lo sapeva.

"Com'è andata in centrale, papà?"
"Una chiamata urgente ed improvvisa, kiddo...mi dispiace molto di averti lasciata qui da sola!"
"Non ti devi preoccupare!" si era morsa il labbro El stringendo più forte nei pugni la federa del suo cuscino, avvertendo il suo cuore battere più forte nel suo petto, facendole ancora male da morire.
Avrebbe solamente voluto gettarsi nelle braccia calde ed accoglienti del suo papà in quel montato, piangere tutte le sue lacrime sulle sue spalle grandi e chiedergli di non dire una parola di più.
Ma non poteva permetterselo in quel momento.
Doveva essere forte, ancora una volta, doveva cavarsela da sola.
Forse quella era proprio la volta più importante di tutte.

"Sono solo...un po' stanca, papà...ti dispiace se dormo ancora un po'?"
"Ti sveglio tra qualche ora, El, dormi tranquilla..." lo aveva sentito sbadigliare al di là della sua porta di legno, facendole emettere un piccolissimo sospiro di sollievo: non sospettava di niente, sembrava stare andando davvero tutto liscio. Pareva se la fosse davvero bevuta.
"Ti risveglio tra qualche ora, kiddo, per andare insieme...lí"

.
Per tornare ancora una volta .

Pioveva anche lì quel pomeriggio, una manciata di ore dopo, mentre le goccioline di pioggia battevano insistentemente contro il parabrezza di un furgone targato Hawkins Police intento a svoltare nel parcheggio del Dipartimento di Energia.

Pioveva sulla figura della piccola Hopper, riparata e stretta sotto l'ombrello del suo papà come un condannato a morte intento a raggiungere il patibolo, e pioveva anche davanti ai suoi occhi, nel suo cuore, nella sua mente, davanti alla sua stessa immagine riflessa nelle pareti di vetro di quella vasca di deprivazione sensoriale, solcata dalle gocce di umidità intente a piangere giù lungo le pareti.

Si sentiva stupida El quella sera, di fronte alla sua stessa immagine riflessa attraverso quella parete di vetro, ripensando come, appena 24 ore prima, la sua stessa immagine riflessa nello specchio di casa sua aveva potuto suscitare in lei tutt'altro tipo di emozioni.
Appena 24 ore prima, tutto ciò che avrebbe potuto desiderare nella sua vita sarebbe stato di fare l'amore con Mike, quella sera, mentre tutto quello che avrebbe potuto desiderare per se stessa in quel momento era che quella fosse davvero l'ultima volta che stava lì ferma davanti a quella vasca ad osservare il suo riflesso così.

Nuda, coperta solo con il suo costume bianco perla ormai diventato troppo piccolo per lei, dopo anni, anni ed anni, ed ancora anni passati lì dentro, il tessuto immacolato imbrattato in troppi punti per le troppe macchie rosse, le troppe macchie rosse.
Le macchie rosse del suo stesso sangue.

Un agnello condotto al macello, troppo debole per tentare di tener testa ai suoi aguzzini.
Proprio lei che con un semplice colpo di testa avrebbe potuto spezzare il collo a tutti loro, uno per uno.
E questo anche loro lo sapevano, tutti loro, ma avevano sempre fatto troppo affidamento sulla sua paura.
Ma quel pomeriggio, El, non aveva più paura.

Non si può aver paura quando si sa già di aver perso tutto.
Non si può più avere paura quando si pensa che niente di peggiore possa capitare nella propria vita di più.
Ed El quello credeva in quel momento, quella sera, calata come tutte le altre volte attraverso quel bocchettone e preparandosi a trattenete il respiro, in apnea, come tutti gli altri pomeriggi.
Ma quello che non poteva ancora sapere in quel momento era quanto si stesse di gran lunga sbagliando quella volta, quanto ancora avesse in realtà da perdere e quanto stesse per farlo di fronte ai suoi stessi occhi.

Di quanto il suo incubo non stesse affatto per finire, anzi, non stesse in realtà che per cominciare.

"Trovalo Eleven, trova il mostro"

Che da quel pomeriggio in poi, nulla sarebbe più stato come prima.
Mai più.

"Trovalo, Eleven: trova il mostro e portamelo qui"
"...no."

*

"Che diavolo stai facendo, kiddo?" si lasciò sfuggire Hopper al di là dei monitor della vasca con sguardo teso, non potendo credere alla parola appena uscita dalle labbra della sua piccolina.

No.
Un puro, semplice e mai più ostinato NO.

Hopper credeva di aver sentito male, non avrebbe potuto esserci altra possibile spiegazioni.

"Non credo di aver capito bene, Eleven...puoi ripetere?" ripeté la voce di Brenner al di là della vasca e nella mente della piccolina, nel vuoto, non lasciando trapelare neppure un briciolo di alcun tipo di emozione.
"Ti ho detto di trovarlo, Eleven...trovalo"
"...No" ribatté ancora una volta ancora più decisa la voce del fiorellino al di là del buio del vuoto, ferma, dritta ed immobile con lo sguardo fisso di fronte a sé, il cuore a mille nel petto di emozione e di paura.

Non le era mai stato possibile rispondere "no" dentro quelle mura, non sarebbe mai stata nemmeno ammissibile quel tipo di risposta.
El sapeva quello che stava facendo o, almeno, se lo augurava di cuore.
Qualcosa nella sua testa le stava suggerendo che non sarebbe andata a finire bene, ma non avrebbe più avuto importanza in quel momento.
Non aveva più niente, niente da perdere quella sera.

"No, papà, no! No e poi no!"
"Ma che diavolo le è preso?!" scosse la testa il dottor Owens strizzando la sua pallina anti stress nelle sue dita, in mezzo ai camici bianchi di fronte ai monitor intenti a rivolgersi gli stessi sguardi confusi.

"Eleven, non te lo ripeterò un'altra volta..." riprese gelida la voce del dottor Brenner al di là del suo monitor, gli occhi piccoli e freddi ridotti ad appena due fessure:
"Ti ho detto di trovarlo, Eleven, di portarmi da lui...ti ho ordinato di trovare il mostro!"

"Trovalo tu, papà, io so che puoi farlo!" urlò El nel vuoto chiedendo gli occhi e stringendo i pugni, cercando di contenere uno spropositato numero di singhiozzi già a nascere nel suo petto in un secondo.
Non poteva permettersi di piangere, non in quel momento, non ancora.
Doveva essere forte, non doveva mostrare loro di essere forte, non poteva permettersi di fargli credere di avere paura di loro.

"Trovalo tu, papà, avanti! Trova tu il tuo mostro! Io lo so che lo hai già fatto una volta, papà! Io lo so che cosa tu gli hai fatto, io lo so che lo hai fatto tu quel mostro!" urlò El ancora più forte al buio ed al vuoto della sua mente, alzando gli occhi attorno a lei e cercandolo con lo sguardo tutti intorno.
Sarebbe arrivato, se lo sentiva: avrebbe funzionato, ne era certa.
Doveva solamente, solamente resistere.

"Io l'ho visto, papà, ho visto cosa era il mostro...ho visto chi era il mostro e che cosa gli hai fatto tu, io so tutto, papà..." singhiozzò El chiudendo gli occhi e stringendo di più i pugni, con voce rotta, ma non abbastanza perché non potesse raggiungere il suo destinatario diretta e ferma, decisa.
"Io so che cosa hai fatto, io l'ho visto...io ho visto tutto! E ho visto anche che cosa hai fatto alla mamma, papà..."

E in quel preciso istante, proprio come aveva immaginato, proprio come El aveva voluto, una voce alle sue spalle, lì, nel vuoto, la fece sobbalzare voltandosi di scatto nella sua direzione.
"Molto bene, Eleven...molto bene"

Deglutí la piccola muovendo un passo all'indietro e girando su se stessa in tondo, seguendo i passi del dottore dagli occhi di ghiaccio, davanti a sé, intendo a muoversi attorno a lei come un predatore per scegliere il lato più vulnerabile della sua presa.
Si sentiva paralizzata dal freddo, quasi congelata, ma non avrebbe saputo più dire nemmeno lei se dalla rabbia, dalla tristezza, dalla paura o dallo schifo che provava in quel momento di fronte a quell'uomo.

"Quello non è amore..." ripetevano le parole di Max nella sua testa, di fronte a quegli stessi occhi azzurri di ghiaccio, gli stessi di quell'uomo, di quel mostro, solo 15 anni dopo.
"Quello non è amore, El...è solo odio"

Solo odio.
Odio, odio ed ancora odio.
Ed El lo odiava, lo odiava con tutto il suo cuore.
E non avrebbe avuto pietà di lui, la stessa che lui non aveva mai avuto nei suoi confronti.

"Molto bene, mia piccola Eleven, molto bene..." ripeté lentamente la voce di Brenner delicata e leggera, a tratti perfino compiaciuta, mostrandole un sorriso diverto alla vista del quale i pugni lungo i fianchi della piccola non poterono che stringersi istintivamente ancora di più.

"E così tu hai visto, dico bene? E così ora tu sai tutto...e così ora sei a conoscenza del nostro piccolo segreto, non è vero?"
"Tu...tu..." balbettò la piccola con voce rotta, portando una mano sotto i suoi occhi e scacciando via le lacrime con maggiore forza, sentendo crescere insieme al freddo la rabbia, l'energia ed il fuoco scorrere lungo le sue viscere, fuori controllo.

"Tu hai fatto del male alla mamma! Lei si fidava di te, e tu l'hai ingannata! L'hai ingannata, papà! Sei tu il vero mostro! Sei tu il vero mostro, papà!"
"Come corri, piccola mia...adesso fai la brava" annuí paziente il dottore con un sorriso beffardo, fermandosi dritto di fronte a lei con il suo sorriso freddo e compiaciuto:
"Se non fai la brava non potrò dirti quello che tanto vuoi sentirti dire, Eleven, non potrò finalmente darti quello per cui questa sera sei venuta qui.."

"Non mi interessa che cosa hai da dire!" scosse la testa la piccola, stringendo i pugni e corrugando la fronte, le lacrime a scendere lungo il suo viso:
"Non ti voglio ascoltare, papà! Non mi interessa quello che hai da dire! Sei un mostro! Sei solo e soltanto tu il mostro! Ed io ti odio, papà! Mi hai sentito? Io ti odio!!"

"Non vuoi sentire che cosa ho da dire? Oh, mia povera piccola, ingenua, Eleven, ancora non lo hai capito?" sorrise Brenner riprendendo a camminare intorno a lei, costringendola a muovere lo sguardo per seguirlo:
"Io sono l'unico che può darti tutte le risposte che cerchi: sono l'unico che può rispondere all'unica domanda che da sempre di tormenta...perché?"

"...perché?" ripeté con un sussurro la piccola, gli occhi lucidi ed immersi nel buio del vuoto, seguendo la piccola luce degli occhi azzurri del suo papà puntati nei suoi.
Come una falena la sua luce.

Perché?
Se lo era domandata per tutta la sua vita.
Perché a lei?
Perché proprio lei?
Perché, perché? Sempre e solo perché?

"Perché, papà...perché...perché hai scelto me?"

"Scelto? Oh mia cara Eleven, lascia che ti spieghi fin dall'inizio il perché..." sorrise affabile il dottor Brenner, passeggiando come se niente fosse intorno a lei, come se quella non fosse stata altro che una piacevole conversazione tra vecchi amici.
"Io non ti ho scelto, Eleven: io non ho scelto. Non eri l'unica, non sei mai stata l'unica...Ce n'erano altri, molti altri come te all'inizio, piccola Eleven. 10 altri bambini per essere precisi...e nel caso te lo chiedendo, mia cara, la mia risposta è sì..." lo vide fermarsi per un singolo secondo, con un sogghigno freddo e meschino sul viso:
"Sono stati tutti generati, nati e cresciuti come te...e sí, erano tutti come te"

"A...altri?" balbettò la piccola con aria incredula, la sua mente a girare impazzita in cerca di qualcosa che la sua memoria aveva cancellato:
"E dove...dove sono ora?"

"Per la maggior parte troppo deboli per sopravvivere a tutto questo, un così gran peccato..." rispose il dottore con un'alzata di spalle, noncurante:
"Tutto quel potenziale sprecato...eravate una vera promessa quando eravate tutti insieme, sai, piccola? Tutti fratelli e sorelle, tutti miei, dal primo all'ultimo...ovviamente da madri diverse, tutti uguali ma così dissimili...potresti conservare ancora qualche ricordo di loro, lo sai, Eleven?" proseguí Brenner fingendo un secondo di dubbio, per poi sciogliersi nuovamente in un ghigno di orrore:
"Ah no, è vero, ora che ci penso meglio mi ricordo: abbiamo fatto in modo che non ti ricordassi niente di loro. Abbiamo cancellato dalla tua mente ogni possibile ricordo"

"Io...io..." deglutí El sentendo le forze venirle meno e imponendosi di non svenire, seguendo con lo sguardo il dottore intento a ridere intorno a lei, a ridere di lei e della sua confusione.
"Che c'è, piccola Eleven? Questo è già troppo per te?! Ma io non ho che appena cominciato! Non cercavi forse delle risposte?"

"Ma quel bambino..." balbettò El corrugando la fronte e stringendo i pugni, imponendosi di restare concentrata e di non cedere alla sua rabbia, non ancora.
Aveva ragione lui: aveva bisogno di conoscere tutte le risposte.

"Io quel bambino l'ho visto...lui era come me e tu...tu lo hai fatto diventare il mostro!"
"Quello è stato il nostro esperimento più riuscito, è vero..." annuí Brenner continuando a camminare intorno a lei, alzando lo sguardo pensieroso davanti a sé:
"L'unico abbastanza forte da essere sopravvissuto: l'unico abbastanza forte da resistere, sai...forte quasi quanto te!" El lo vide sorridere con una punta di orgoglio,
"L'unico inconveniente che nessuno aveva calcolato era che sarebbe rimasto bloccato e rinchiuso qui: nel vuoto dove era stato creato. Ed è proprio a questo punto, mia cara piccola Eleven, che sei entrata in gioco tu..."

"...io?" balbettò la piccola tremando di terrore, vedendo il suo papà rivolgerle un sorriso ghiacciato:
"Si, tu, piccola Eleven, proprio tu...il mio ultimo piccolo esperimento, il più riuscito"

"Che cosa vuoi da me...?" domandò El con un sussurro, vedendo il dottore fissarla intensamente, così intensamente che avrebbe potuto gelarle il sangue in quel secondo:
"Perché...perché hai scelto me?"

"Tu hai una cosa, Eleven, una cosa preziosa..." iniziò il dottor Brenner con voce calma e decisa, guardandola cadere un pezzo alla volta di fronte a sé, una parola dopo l'altra dalle sue labbra alle sue orecchie:
"Tu hai una cosa che nessun altro di loro aveva mai avuto prima..."

"Che cosa è?" chiese El con un sussurro, ma temendo di conoscere già la risposta.
Il dottore sorrise, quasi euforico, quasi felice:
"Ma come, piccola Eleven? Ancora non ci arrivi? Per quale motivo altrimenti avrei mai accettato di lasciarti uscire da qui?" il fiorellino vide il lupo avanzare un passo davanti all'altro lentamente, fino ad esserle di fronte.
Pronto ad attaccare, letale e senza pietà.

"Tu hai rabbia, Eleven, rabbia: una rabbia dentro di te che è enorme. La rabbia di chi ha visto là fuori di che cosa è stata privata la tua vita per tutto questo tempo. La rabbia di chi conosce la vita che esiste al di là di queste quattro mura."

"Solo lasciandoti uscire da qui avresti potuto maturare e far crescere ciò di cui io ho bisogno ora..." El lo vide proseguire senza pietà, senza più freni, sentendo risalire lungo le sue braccia la rabbia, l'odio, la frustrazione, la delusione.
Era stato tutto calcolato da lui fin dall'inizio: non era mai stata una sua concessione quella di farla vivere con Hopper per tutti quegli anni la sua vita, una vita a metà, una vita in bilico, una vita perennemente "felice a metà".
Non l'aveva lasciata uscire nel mondo con l'intenzione di lasciarla andare un giorno via di lì, ma solo perché conoscesse quello che mai avrebbe potuto essere suo, mai nell'intero arco della sua vita.

"Ed ora la tua rabbia è la mia forza, Eleven...Hai sempre e solo visto solo quello che volevo tu vedessi..."
"Io...io..." tentò di concentrarsi la piccola Hopper sentendo le sue labbra tremare insieme al resto delle sue fibre corporee: ora lo capiva il suo gioco, ora finalmente le era chiaro fin dal principio.
Non poteva farlo vincere, non poteva scatenare la sua furia in quel momento.
Non poteva lasciare che la sua rabbia la vincesse in quel momento, non poteva permettersi di lasciarlo vincere ancora.

"Io...io mi so controllare, papà! Io sono più forte di quello che credi!" urlò El contro il suo papà come una furia, muovendo un passo in avanti ma respirando profondamente, trattenendo la voglia e l'istinto di allungare un braccio contro di lui.
"Tu non hai potere su di me, papà! Io sono più forte di quello che credi! Io so controllare la mia rabbia!"

"Ah, ma davvero, Eleven? Che dici, ti va di giocare?" rise beffardo Brenner alzando un sopracciglio, guardandola con sguardo di chi già sa di aver vinto:
"Ti è piaciuto il concerto, Eleven? Quello di qualche settimana fa con il tuo Mike? Non sei stanca di vivere una vita sempre così sospesa, sempre così felice a metà? Non vorresti vederlo un tramonto così tutti i giorni, Eleven? Non vorresti vedere un tramonto così con il tuo Mike tutte le sere, non è vero? Piccolo fiorellino?"

"Basta..." pianse El portando una mano sopra le sue orecchie, non accorgendosi nemmeno del momento nel quale le sue gambe sottili ebbero deciso infine di cedere, facendola precipitare più in basso, più giù.
In ginocchio di fronte a lui a supplicarlo di lasciarla stare, a supplicarlo di smettere.
A supplicarlo di interrompere quel gioco sadico e cattivo lungo quanto l'intera sua vita.
"Basta, ti prego, smettila..."

"Tu hai una ferita El, una terribile ferita..." proseguí Brenner con la sua voce fredda, sopra la sua testa, guardandola senza pietà piangere senza più riuscire a trattenersi di fronte a lui.
La sua rabbia era il suo potere, così come lo era sempre stato il suo dolore, il suo amore, la sua tristezza, la sua gioia, qualsiasi sentimento che lei avesse mai provato e potesse essere mosso ora da lui contro di lei.

El non poteva credere in quel momento in quel momento che tutto fosse reale, che tutto quello che lei aveva vissuto in quegli ultimi 2 anni fosse stato solo parte di un piano studiato attentamente da lui.
Ma non era così, non era vero, non poteva essere vero!
Il suo papà, Joyce, i suoi amici, Mike...quello era ciò che aveva davvero vissuto, non se lo era solamente immaginato!
Era reale, era vivo, era bello, era quello a cui lei doveva ancorarsi con tutte le sue forze in quel momento.

"E questa tua ferita, Eleven, sta sanguinando da troppo, troppo tempo...e tu hai bisogno di me, Eleven...tu hai bisogno di me"
"...ti sbagli!" scosse la testa El sentendo la sua voce uscire strozzata dalla sua gola, ma viva, presente, reale.
Non gli avrebbe mai creduto, non avrebbe mai creduto di essere solamente l'esperimento che lui voleva farle credere di essere da sempre.
"Ti sbagli, papà: tu non mi conosci! Io non ho bisogno di te!"

"Già, tu credi di appartenere a questo mondo, Eleven, ma non sapresti sopravvivere nemmeno un giorno da sola.." ribatté deciso il dottore alle sue parole, prima di sciogliersi un altro sorriso cattivo:
"Perché tu sei sola, Eleven, non fingere che sia così: senza famiglia, senza amici, senza nessuno al mondo.."

"Io...io ho degli amici..." urlò El sentendo il cuore battere più forte a quelle parole, in grado di ferirla più di qualunque altra cosa.
Lui non sapeva niente di lei e della sua vita: stava dicendo solo un mucchio di bugie, non poteva avere ragione lui!
"Io ho papà, e ho degli amici...e io ho Mike!"

"Mike! Ah, giusto...il tuo amico Mike..." annuí cattivo Brenner guardandola dall'alto in basso, vedendola faticosamente rialzarsi in piedi di fronte a sé:
"Pensi che ti vorrebbero ancora se gli dicessi tutta la verità?" lo sentí chiederle con tono beffardo vedendola barcollare di fronte a lui, fragili le sue gambe, forte la sua rabbia a montare dentro di lei parola dopo parola, elettricità pura a scorrere tra le sue dita, e tutte le sue energie volte a reprimerla e a non lasciarla libera di esplodere lì.
Sentiva che avrebbe potuto far crollare quel laboratorio intorno a loro se solo avesse voluto in quel momento, tanta forza dei suoi poteri sentiva scorrere dentro di lei, mai come prima.
Ma non poteva, non doveva permettere che succedesse.
Era quello che il suo papà voleva fin dall'inizio, non avrebbe potuto soddisfarlo così.

"Credi davvero che il tuo Mike ti vorrebbe ancora se sapesse tutta la verità su di te?" continuò Brenner nel suo duello per farla cedere, ridendo di lei e dei suoi patetici tentativi di resistergli.
La conosceva troppo bene, lei era sua.
Sapeva troppo bene e da troppo tempo dove farla cedere.

E lei glielo stava davvero rendendo molto più semplice del previsto.

"Cosa direbbe il tuo Mike se sapesse che in realtà il suo fiorellino non è fatto da altro che da spine?"
"Lui...lui mi amerebbe comunque..." sussurrò El chiedendosi quanto fossero vere quelle sue parole, le sole che da sempre le avevano fatto più paura.
Cosa avrebbero detto di lei i suoi amici?
Che cosa avrebbe pensato di lei Mike?

"Ed io...io ho la mia mamma!"
"La tua mamma!" rise più forte e più sadico Brenner preparandosi per la stoccata finale: l'aveva condotta dove fin dall'inizio era stata sua intenzione arrivare: glielo aveva reso facile, davvero troppo, troppo facile.

E il suo piccolo esperimento non avrebbe saputo resistere di più.
Non ora, non di più.
"Tu credi davvero di poter ritrovare la tua mamma, Eleven? Credi che la tua mamma ti vorrebbe davvero con sé? Beh, posso confidarti un segreto, piccola? il fiorellino trattenne il fiato a quelle parole, vedendolo sussurrarle una per una di fronte ai suoi occhi:
"Io della tua mamma non ricordo nemmeno il suo nome..."

Ed in quel preciso istante, El sentí qualcosa di piccolo e prezioso rompersi in mezzo al suo petto, al suono di quelle semplici, terribili parole.

Non le importava più niente.
Non capiva più nulla di quello che le stava intorno.
Non vedeva più il nero del vuoto attorno a lei, non vedeva più nemmeno il riso beffardo e cattivo del suo papà di fronte al suo viso.
Non sentiva più freddo, non sentiva più la tristezza, la paura, il dolore.
Vedeva solo rosso.
Sentiva solo calore.
Sentiva come se una scarica elettrica stesse percorrendo la sua intera superficie corporea, scuotendola come un uragano da dentro che difficilmente avrebbe ancora potuto controllare.
E non le importavano più le conseguenze.
Non le importava più tentare di imporsi di resistere.
Voleva solamente vederlo piangere, urlare, morire.
Voleva sentirlo supplicare pietà, la pietà che lei non avrebbe più avuto nei suoi confronti.
Voleva vederlo soffrire, voleva sentirlo chiederle di smettere come aveva fatto la sua mamma con lui, tanti anni prima.

E a quella forza disumana dentro di lei, El non poteva e non voleva più resistere.
Se era stata creata davvero per quello scopo, se era nata davvero per distruggere, era stato per distruggere per primo lui.

"Ora tu urlerai..." sussurrò El portando un braccio dopo l'altro davanti a sé, contro di lui, chiudendo gli occhi ed urlando quelle ultime parole con tutto il fiato che aveva in gola:
"Tu ora urlerai come hai fatto urlare la mamma"

*

El non credeva di aver mai gridato così forte in tutta la sua vita.

La voce che usciva dal suoi polmoni, attraversando la sua laringe, sú e più sú, fino a far vibrare le sue corde vocali, non era sua, non poteva essere sua.
Eleven non l'aveva mai sentita.

Sentiva come se il suo corpo non stesse più rispondendo alle sue facoltà mentali in quel momento.
Non a tutte per lo meno.
Non alle più importanti.

Come se respirare, sbattere le palpebre, pompare sangue nelle sue arterie e nelle sue vene non fosse più importante in quel momento ma superfluo, non più vitale.
Come se tutto ciò che fosse rimasto fondamentale in quell'istante fosse stato continuare a far fluire l'energia attraverso ogni singola cellula del suo corpo fin lì, nelle sue mani ed alle sue braccia tese.

Come se non fosse quasi davvero più lei.
Come se non fosse davvero più umana.
Come se non fosse diventata altro che una macchina, la macchina che loro avevano sempre visto in lei, che loro avevano progettato, che loro avevano creato.
Quella in grado di mietere orrore e distruzione, tutto intorno a lei, davanti ai loro occhi.

"Ma che cazzo?!" imprecò Hopper al di là del vuoto, di fronte ai monitor e agli schermi, alzando fulminei gli occhi, insieme al resto dei dottori, alle luci al neon impazzite sopra di loro.
Nessuno aveva assistito a quella scena, nessuno aveva udito nulla della conversazione appena avvenuta tra i due nel vuoto.

E quando improvvisamente le luci si furono messe a lampeggiare impazzite in quel sotterraneo del laboratorio di fronte a quella vasca, il dottor Owens aveva già premuto per primo il bottone rosso al lato della parete, facendo scattare la sirena in tutto l'edificio.

Warning, pericolo.

"Stia indietro, capo!"
"C'è mia figlia lì dentro!" gli urlò contro Hopper scrollandosi di dosso la sua mano a trattenerlo lì vicino, in posizione di sicurezza, a debita distanza da quella vasca di vetro ancora alta e stretta al di là della quale la sua piccola appariva ancora immobile e mansueta, addormentata.

"Non mi muovo da qui finché non avrete fatto uscire mia figlia da lì!"
"Quella non è più sua figlia..." udí il dottor Owens scuotere la testa con un sussurro, rivolgendogli uno sguardo che Hopper lì per lì non riuscì immediatamente a capire.

Cosa stavano dicendo?
Erano tutti impazziti?
Perché tutti quei camici bianchi si stavano muovendo di corsa all'unisono lontano da lì?

"Non glielo ripeterò un'altra volta, capo! Per il suo bene, si allontani immediatamente da lì!" urlò Owens un ultimo secondo con fare concitato nell'esatto secondo nel quale Hopper si fu riuscito a voltare verso quella vasca ancora una volta, l'ultima.
Prima che succedesse l'inevitabile.

"Ma che diavolo...?"

Riaprí gli occhi all'improvviso El, ancora dentro quel vuoto, sentendo la sua gola bruciare e la bocca secca, girando lo sguardo velocemente intorno a sé.
Ma del suo papà, lí nel buio del vuoto, nemmeno l'ombra.

"Dove sei?! Vigliacco!" urlò più forte El con quella voce che non era più sua, sentendo il suo corpo bruciare di un calore che la semplice parola "rabbia" non sarebbe mai riuscita a spiegare del tutto.
Aveva solo voglia di urlare, aveva solo voglia di spaccare qualsiasi cosa le capitasse a tiro in quel momento.
Aveva solo voglia di uccidere, di uccidere qualcuno.
"Esci fuori! Fatti vedere! Combatti! Codardo, combatti!"

E all'eco di quelle sue parole, nel silenzio del vuoto, El udí rispondere un altro suono, ancora più sinistro, come di una lastra di ghiaccio intenta a rompersi sotto i suoi stessi piedi.

Come una crepa nel vetro.
Come una voragine nel muro.

"Via da lì, ora!" riuscì solo più a portare le mani davanti agli occhi il capo della polizia sentendo il dottore urlare alle sue spalle ancora una volta, sentendo la terra sotto i suoi piedi scuotersi come in un terremoto improvviso, facendolo cadere a terra, di fronte a quella vasca, il rumore del vetro crepato davanti al suo viso e le piastrelle bianche del muro accanto a sé venire giù come tanti tasselli di un puzzle sul pavimento.

"El! EL!" urlò Hopper all'immagine della sua bambina al di là di quel vetro, vedendola restare immobile, eterea, al di là della lastra di vetro ormai fragile ed ad un passo dal rompersi di fronte ai suoi occhi.
Doveva svegliarla, doveva portarla via da lì, fuori di lì, prima che fosse troppo tardi, prima che quel dannatissimo posto si sgretolasse letteralmente sopra di loro.

Ma la sua piccola, in quel momento non era davvero più lì.

Urlò ancora El dentro il suo vuoto, portando le braccia davanti a sé e richiudendo i suoi occhi ancora una volta, avvertendo un ruggito ben noto e familiare raggiungere improvviso le sue orecchie.
E non avrebbe nemmeno più saputo se era stato proprio la sua gola ad emetterlo.
Se era stato il mostro al di là della parete finalmente aperta o lei stessa.
Lei, il nuovo vero mostro.

"El!" batté un pugno Hopper contro la lastra di vetro ormai crepata, cercando di svegliarla, di farle aprire gli occhi, di vederla reagire in qualche modo, ma gli pareva tutto inutile in quel momento.

Quando, finalmente, in un secondo, con un grido disumano ed un ruggito feroce intorno a loro, Hopper la vide finalmente aprire gli occhi.

Ed El, dentro il buio del suo vuoto riaprí gli occhi.

Tutto successe in una frazione di secondo rapida ed infinita, in successione.
Cedette il vetro della vasca, riempiendo di schegge e di acqua salata il pavimento di quel sotterraneo, spazzando via in un'unica onda i monitor, le apparecchiature, i fili tesi attraverso il bocchettone ormai scoperchiato.
Si resse al muro il capo Hopper sentendo l'onda sbatterlo al suolo come una marionetta, portando le mani davanti al suo viso e imponendosi di non cadere giù, muovendo gli occhi attorno alla ricerca del suo corpicino, alla ricerca della sua piccolina in mezzo ai computer e alle scrivanie sbattute da una parte all'altra delle pareti dalla forza di quell'onda.

"El! El, mi senti? Riesci a sentirmi?!"

Ma un altro rumore rispose al posto della sua piccolina: un ruggito proveniente dalla parete di fronte a quella vasca, le mattonelle ormai cadute, spezzate al pavimento e trascinate via tra i detriti delle onde.
E lungo l'intera parete, come una ferita, un taglio vivo lungo la superficie, una crepa dai contorni neri e profondi, al di là della quale una creatura nera e mostruosa era intenta ad allungare un braccio verso la superficie.

"Oh cazzo!!" balzò in piedi Hopper allontanandosi dalla parete, urtando contro una scrivania e poi un'altra, indietreggiando e vedendo quel mostro allungare un braccio nero e lucido dopo l'altro attraverso la breccia della parete, artigli al posto delle mani ed un'enorme bocca piena di denti aguzzi al posto della faccia.

Era quello il mostro?
Quello del quale la sua piccola aveva sempre avuto paura?

"Kiddo! Dove sei?"
"Papà, scappa, scappa!" Hopper la vide improvvisamente sfrecciare come una furia di fronte a lui, ponendosi tra il mostro e la sua figura, contro quel muro, allungando le braccia e le mani tese di fronte a sé.

"Papà, devi scappare!" la udí gridargli di fronte a lui, le braccia tese contro quel mostro intento a ruggire contro di loro,
"Devi uscire da qui! Subito, ora!"
"Anche tu!" urlò Hopper di tutta risposta afferrandola per le spalle e facendola voltare verso di lui, puntando un dito verso l'ingresso del sotterraneo dal quale, in tuta militare e con i mitra puntati, i soldati erano intenti a muoversi nella loro direzione.

"Prendetela, subito! Ora!"
"È te che voglio, El, corri, corri!" la piccola udí Hopper gridarle non dandole il tempo se non di annuire al comando, lasciando che le gambe si muovessero da sole, senza conoscere nemmeno la direzione.
Correndo dalla parte opposta rispetto all'ingresso e ai militari in movimento contro di lei, stendendo il braccio ed aprendo con un grido una breccia nel muro, correndo lungo il corridoio.
Lasciando alle sue spalle l'acqua ed i cocci ci vetro della sua vasca, il ruggito del mostro al di là della crepa del vuoto ormai aperta, lo scalpiccio dei militari e la voce del suo papà intento a gridare, sovrastando tutte le altre voci.
"Corri, Kiddo, corri!"

Corse El lungo quei corridoio, sentendo le sue gambe bruciare ed i piedi fradici scivolare lungo le mattonelle di quel labirinto tutto uguale, senza chiedersi più dove stesse andando a finire, sentendo i suoi ricci bagnati sbattere conto le sue spalle lanciate nude dal costume, con l'unico obbiettivo di allontanarsi il più possibile dalle voci alle sue spalle.

"Per di qua, prendetela!"
"Non lasciatevela scappare!"
"Ragazzina, ferma!"

Stava correndo.
Stava scappando, un'altra volta.
Come quella volta di tanti anni prima, ancora bambina, correndo lungo quei corridoio con quanto fiato aveva ancora in gola.
Ma quella volta El non era più una bambina.
Quella volta El era davvero più forte.
Quella volta sentiva che nessuno avrebbe potuto fermarla, davvero nessuno.
A costo di fare qualunque cosa quella volta.
Qualunque cosa.

"Ehi! Bambina!" urtò contro il petto di un camice bianco, svuotando di corsa ad un angolo del corridoio, avvertendo due braccia stringerla per trattenerla un secondo, appena per un secondo, alzando lo sguardo sopra di sé e ritrovando gli occhi azzurri del dottor Owens a fissarla concitati.

"Ehi fermati, fermati, nessuno ti vuole far del male!" lo udí sussurrarle con voce rassicurante, avvertendo il suo cuore battere a mille nel petto e osservandolo con il fiatone, vedendolo rivolgerle un piccolo sorriso, veramente gentile, l'unico che si fosse mai sentita rivolgere dentro quel posto, sempre e solo da lui.
Da quel dottore gentile.

"Io non lascerò che ti facciano del male, bambina, te lo giuro..." boccheggiò El al suono di quelle parole, ma avvertendo immediatamente alle sue spalle le voci dei militari farsi più vicine, ancora più vicine in quel corridoio.

"Eccola! È lì! Da questa parte!"
"Correte, di qui!"

"Eleven..." udí il dottor Owens chiamarla ancora una volta, allungando una mano verso di lei un'ultima volta, ma vedendola scuotere la testa, chiudendo gli occhi.

Doveva scappare.
Doveva riuscirci quella volta.
Non ci sarebbe stato niente e nessuno che avrebbe potuto fermarla quella volta, a qualunque costo.
Anche a costo di divenire lei stessa il mostro.

"Mi dispiace..." sussurrò El a quegli occhi gentili un ultimo secondo, stendendo la mano di fronte a lei ed urlando un'altra volta, a gran voce.
Non avrebbe mai voluto far del male a nessuno.
Non avrebbe mai voluto uccidere sul serio qualcuno.
Ma i suoi poteri erano ormai troppo grandi per lei così piccola, e più grande ancora era la sua disperazione.

E prima di rimettersi a correre a perdifiato lungo quel corridoio, il peso di un corpo morto contro il pavimento fu l'ultimo rumore che lei riuscí ad udire distintamente in quel momento.

Non avrebbe mai voluto far del male a nessuno.
Non avrebbe mai voluto divenire così.
Non avrebbe mai voluto divenire lei il mostro.

"Da questa parte!"
"Fermati ragazzina!"
"...dottor Owens!"

E sentendo le lacrime più amare scorrere lente lungo il suo viso nella corsa, la piccola chiuse gli occhi stringendo le labbra forte, imponendosi di non fermarsi a guardare, di non fermare nemmeno per un secondo la sua corsa.
Doveva trovare il modo di uscire. Doveva trovare un'uscita per andarsene da lì.

Ma quando un ruggito ebbe raggiungo le sue orecchie alle sue spalle, El credette che il suo cuore le fosse appena uscito dal petto per lo spavento e l'orrore.

Si voltò correndo la piccola, lungo quel corridoio, le luci al neon improvvisamente impazzite sopra la sua testa, vedendo una massa nera e troppo lontana per poter essere distinta dall'altro lato del corridoio.
"No!" si sentì cadere inciampando nei suoi stessi piedi nudi, gli occhi fissi ed ipnotizzati puntati su quella massa scura, incapace di rimettersi in piedi, solamente di strisciare lentamente lungo il pavimento, immobilizzata dall'orrore e dalla paura.

Era davvero lui.
Era davvero lí.
Era davvero il mostro ed era davvero uscito da quel muro, come nel peggiore di tutti i suoi incubi.
E lo aveva fatto uscire lei.
Era stata lei a liberarlo da lì.

"No!" urlò El tentando di mettersi in piedi contro la superficie scivolosa di quel pavimento, vedendo il demogorgone avanzare a grandi passi verso di lei attraverso le sue gambe lunghe, ruggendo contro di lei come un rombo di tuono.

"Aspetta!" gridò la piccola stendendo una mano di fronte al suo viso.
Ma non in segno di attacco, né tanto meno per protezione, sentendo il suo cuore battere così forte nel petto da farle male, deglutendo di fronte a quel mostro ormai a pochi passi da lei, stesa di schiena sul pavimento di quel corridoio.

"Io lo so chi tu sei.." mormorò la piccola vedendo la figura avanzare ancora ed ancora, chiudendo gli occhi e pregando che quella fosse davvero una buona idea.
"Io lo so chi tu eri...io l'ho visto.." continuò El piangendo lacrime di dolore e di paura, vedendo il mostro smettere di ruggire, quasi come se l'avesse sentita.
"Io lo so che cosa eri, io lo so chi tu eri...guardami" deglutí El chiudendo gli occhi per un secondo, riaprendoli e vedendo il mostro più vicino, troppo vicino di fronte a sé.
"Tu...tu sei mio fratello"

"Riesci a sentirmi?" domandò la piccola allungando un braccio davanti a sé più vicino a lui, ad un passo dalla superficie lucida del suo petto di fronte a sé:
"Sei...sei ancora tu qui dentro...vero?"

Ma quando un ruggito più feroce che mai, direttamente dentro le sue orecchie, le ebbe fatto richiedere gli occhi di scatto e stendere le mani in difesa di fronte a sé, la piccola capí che sí, si era sbagliata ancora una volta: non c'era più tempo e non c'era più modo per lei di salvarlo o di riportarlo indietro fino a lí.

Doveva andarsene, doveva riprendere la sua corsa, doveva uscire il prima possibile di lì.

E con un forte grido e le sue ultime forze residue, El vide il demogorgone sbattere con forza conto il muro accanto a loro, mosso dalle sue mani e dalla sua mente appena un secondo sufficiente.
Sufficiente a riprendere la sua corsa e a lasciare alle sue spalle un altro ruggito feroce.

"Via, via, subito...El, vai via da qui!"

E quando le porte a vetri dell'ingresso si furono spalancate di fronte a lei, mosse dalla sua mente, il buio della notte, la pioggia ed il freddo la fecero tremare come un cucciolo ferito, facendo respirare aria pura dalle sue narici fin dentro i suoi polmoni.

Ce l'aveva fatta.
Ne era sul serio uscita.
Era riuscita ad uscire veramente da lì.

"Non ti puoi fermare, El, non adesso, non ancora!"

Non c'era una singola parte del suo corpo che non credeva le stesse facendo male da morire quella sera in quel momento, mentre le sue gambe sfinite continuavano a correre ancora, ancora ed ancora.
L'aria nei suoi polmoni farle male, bruciare.
Un sapore metallico nella sua bocca, i piedi nudi contro il sentiero del bosco, fuori dal laboratorio e gli aghi dei pini e le foglie ad impigliarsi contro il tessuto bianco del suo costume.

Avvertiva il suo stesso fiato uscire a fatica dalle sue narici, i singhiozzi non più trattenuti scuoterle il petto, piangendo e correndo senza più freni dentro il bosco via da quel posto, il più lontano possibile da quel laboratorio e da quel mostro.

Si sentiva debole, si sentiva sfinita, si sentiva morire.
Aveva lasciato lì dentro il suo papà, ma era più che sicura che in qualche modo lui ne sarebbe riuscito ad uscire.
Non era lui che volevano, era lei.
Ancora di più in quel momento.
Aveva liberato il mostro, lo aveva fatto uscire dal vuoto...ed ora?
Doveva stava correndo El?
Quale posto sarebbe mai stato per lei sicuro?

"Ahi!" urlò la piccola cadendo sfinita a terra, battendo le ginocchia contro la corteccia dura di un albero ai suoi piedi, puntando le braccia per rialzarsi, ma sentendo le forze venirle meno.

Dove era il suo papà in quel momento?
Dove era finita, dove si trovava?
Chi poteva chiamare?
Poteva chiamare davvero Mike senza credere che lui le facesse un milione di domande su come e perché si era ridotta in quello stato così?

"...mamma?" sussurrò la piccola ad occhi semichiusi contro quel tronco, vedendo di fronte ai suoi occhi una chioma di ricci lunghi e biondi a lei familiari camminare lentamente di fronte a sé, di schiena.
El credeva di essere troppo confusa in quel momento, ma quella piccola figura l'avrebbe potuta riconoscere perfino allora.
Quella era davvero la sua mamma di fronte a lei, camminava lentamente dandole la schiena attraverso gli alberi di quel bosco:
"Mamma...sei...sei tu?"

Ma c'era qualcosa di troppo strano in quell'immagine, qualcosa di troppo etereo per essere reale.
Troppo sfumati i contorni, la figura di sua madre di schiena di fronte a lei, così come delle figure intorno a lei intenta a spingerla in una precisa direzione.
Troppo confusa e sfinita la sua mente per poter ancora riuscire a cogliere il confine tra la realtà e la fantasia.

Tra la realtà e l'ennesima sua terribile visione.

"Lasciatemi stare! Lasciatemi stare!" urlava impazzita la donna dimenandosi dalle figure confuse che le si facevano intorno, spingendola ed allo stesso tempo reggendola per le braccia, le spalle, i gomiti, portandola più lontana da lei, nell'opposta direzione.
"Aspettate..." avrebbe voluto supplicarli la piccola, ma le parole le morivano in gola.
E a ben osservare quella figura che lei già credeva di conoscere, El vide un dettaglio che a prima vista le era sfuggito.

Quella era la sua mamma, era vero, ma diversa da come si ricordava di averla vista l'ultima volta: un camice bianco lungo fino alle ginocchia indosso tirato sul davanti sulla sua pancia sporgente.
Sopra il suo pancione.

"È mia figlia, non me la potete portare via!" piangeva la donna puntando i piedi davanti a sé, ma senza la forza sufficiente per superare quella degli uomini intorno a lei.
"Cosa le volete fare? Lasciatela stare, vi prego! Prendete me, prendete me! Prendete me ma lasciate stare lei, lasciatela libera! Lei non ne può niente!"

Chiuse gli occhi la piccola per non vedere di più, le mani sulle orecchie per non sentire di più.
Erano abbastanza quelle grida, erano abbastanza quelle suppliche.
Scendevano dalle due orecchie fin dentro il suo cuore e le sue viscere: bloccando il suo battito, congelando il suo respiro, scuotendo il suo petto vinto dai singhiozzi, stringendosi in un fagottino, le braccia strette alle sue ginocchia come se avesse potuto sparire da lì.

Come se avesse potuto cancellare quel momento.
Come se avesse potuto cancellare quel ricordo.
Come se avesse potuto decidere davvero di non venire al mondo, di non nascere quella sera da quella donna, in mezzo a tutta quella sofferenza e a tutto quel dolore.

"Vi prego, vi prego...no!" un ultimo urlo disumano risuonò quella volta attraverso gli abeti di bosco atro, scuotendo le cime e facendo volare via gli stormi dalle fronde.
El non sapeva più se fosse stata lei ad urlare o la sua mamma dandola alla luce, morendo per metterla al mondo.
Seppe solo che, quando ebbe riaperto lentamente gli occhi di fronte a sé, così strette le sue palpebre e le sue mani sulle sue orecchie tanto da farle male, la visione era sparita di fronte a sé.
E lei era sola.

Era sola sotto la pioggia nel fango di quella tempesta dentro e fuori di lei.

"Ma...mamma..." pianse ancora El a lungo contro quel tronco, non sentendo ancora nel suo corpo la forza residua per rimettersi a correre, nemmeno a camminare, né per chiamare qualcuno, né per chiedere aiuto.
E chi mai avrebbe potuto chiamare in fondo?
Chi mai avrebbe potuto sentirla?

Era sola, era sola al mondo.
Ora lo era davvero, si sentiva così come non si era mai sentita prima.
E prima di cadere sfinita e chiudere gli occhi, pregò sul serio per un istante di morire, di non risvegliarsi davvero mai più, come la sua mamma.

La morte le sembrava davvero un po' più facile.
La sua vita le pareva ancora molto, molto più difficile.
"Mamma...tu dove sei?
Io sono ancora qui"

*

"La prossima volta sarò io quello a bere e a ridurmi così...e vaffanculo a tutti!"

Il minore di casa Wheeler aveva ripetuto quelle semplici e chiare parole nella sua mente lungo l'intera strada del ritorno quella mattina.
Viaggio della speranza peggiore di quello non se ne erano mai visti prima di allora lungo le stradine di periferia della città di Hawkins.
O, per lo meno, non per un branco di 5 piccoli nerdini intenti a cercare di non andare a sbattere contro un cartellone stradale, a scambiare il tronco di un albero per un nuovo amico da abbracciare o a cadere con il sedere sull'asfalto scivoloso giù dalle loro bici.

"Dustin! Questa è una strada e quella laggiú c'è una macchina e sta venendo verso di noi! Ti dispiacerebbe provare a mantenere la destra senza sbandare, holy shit?!"
"Come dici tu, sommo capo! Ma non è colpa mia, è Byers che mi ha spinto!"
"Ragazzi...credo di stare per vomitare di nuovo..."
"Ma è la terza volta, Will!! Ma non hai una fine?!"
"Oh cazzo, devo fermarmi, ora!!!"
"...ma che schifo!!!"

E quando, un'ora buona dopo aver richiuso la porta della cabin nel bosco alle loro spalle, dopo troppe risate sguaiate, gare di velocità ai limiti del farsi mettere sotto dalle prime macchine intente a frecciar nelle prime luci del mattino, quattro o cinque soste al limite della strada per lasciar vomitare il povero mago e un'incalcolabile numero di imprecazioni rivolte dal malcapitato ricciolino verso di lui ed i restanti suoi amici, Mike Wheeler aveva finalmente raggiunto la sua Maple Street dopo aver scortato a casa cuscino dei suoi amici, lasciando cadere la bici sull'erba del suo vialetto e sentendosi uno straccio come mai prima.

E dire che quella giornata non era ancora nemmeno cominciata.
Davvero un ottimo, ottimo inizio.

"Questa è davvero l'ultima volta che faccio io l'adulto, cazzo..."
"Mi puoi anche mettere a letto ed infilarmi il pigiama, Mike?!

"Vaffanculo, Lucas!" aveva urlato per ultimo Mike pedalando velocemente lontano dalla casa dell'amico, finalmente libere le sue orecchie dalle grida e dagli schiamazzi dei suoi amici, finalmente libero di restare in silenzio, di restare da solo.
Da solo con i suoi pensieri che premevano con forza per uscire.

"Ci sono così tante cose che ancora non sai di me, Mike...Non avrò tutto il tempo..."

Aveva ringraziato il cielo quando aveva visto la porta di casa aprirsi su un salotto ancora vuoto e silenzioso, benedicendo il sabato mattina e l'abitudine di tutta la sua famiglia di concedersi qualche ore di sonno in più, perfino sua madre, libera la cucina dal suo solito spadellare i suoi soliti pancake del weekend.
Aveva raggiunto le scale a passo felpato, salendole con mosse fulminee degne di un vero ninja, e quando la porta della sua camera di era finalmente rinchiusa alle sue spalle, girando la chiave a doppia mandata nella toppa, Mike non aveva potuto fare a meno di inalare ed esalare lentamente un lungo, lunghissimo respiro.

Pareva incredibile che quella fosse la stessa camera nella quale era stato nemmeno 10 ore prima.
Pareva incredibile che quelli fossero i libri suoi e di El dove, appena una manciata di ore prima, avevano studiato, o tentato di farlo, per meglio dire, prima della chiamata di Dustin da cui era partito tutto quel casino di serata.
E pareva ancora più incredibile che quella fosse ancora la sedia della sua scrivania: la sedia sopra la quale, lui ed El erano stati davvero ad un passo dal fare l'amore la sera prima.

"Se questa non è la volta buona che ti ammazzo davvero, Dustin, non lo farò mai più in tutta la mia vita..."

Si era lasciato cadere a peso morto sul suo materasso il giovane Wheeler, non prendendosi nemmeno la briga di togliersi le scarpe ricoperte di fango dai piedi o di levarsi di dosso quei vestiti fradici di pioggia e della notte che ancora aveva indosso, intenti a bagnare la sua coperta di Ritorno al futuro di macchie umide e scure.

Si sentiva stanco, si sentiva sfinito, si sentiva due palpebre pesanti come macigni al posto degli occhi ed, allo stesso tempo, credeva di non avere mai avuto in vita sua meno sonno.
Il suo cervello continuava a girare come una trottola impazzita attraverso le pareti della sua stanza, intorno a lui sul pavimento, indietro nel tempo e lungo quelle ore che chiamarle "assurde" non sarebbe stato altro che un semplice eufemismo.
Se anche avesse tentato di resiste Mike quella mattina non riusciva a levarsi dalla mente le parole di El della notte prima.

"Io lo odio, Mike! Lo odio! Io odio papà!"
"Che cosa?!"
"È tutta colpa sua, è per colpa sua che iniziato tutto!"
"Sei ubriaca, El, non sai quello che dici..."
"Io non avrò tutto il tempo, Mike...ci sono così tante cose che ancora non sai di me"

Tante cose che non sai ancora di me, Mike.

Quella frase.
Quella singola, semplice, orribile frase.

Mike deglutí, stringendo forte il suo labbro tra i denti e portando le mani sul viso pallido, tirando forte tra le dita i ricci fradici sulla fronte.
Cosa aveva voluto dire El con quella frase?
E perché proprio quella semplice tra tutte aveva avuto il potere di fargli così tanto male, da morire?

Non era stata altro che la frase di una ragazza ubriaca...
Tutto quello che El aveva detto o fatto, o meglio, tentato di fare quella notte sarebbe bastato come prova che era completamente fuori di sé, eppure...

Eppure Mike si ricordava i suoi occhi grandi e spalancati in quel momento, avrebbe potuto rivederli anche quella mattina proprio lì davanti a sé.
Due occhi profondi, spaventati, terrorizzati, gli occhi di chi sta chiedendo disperatamente aiuto.
Gli occhi di chi si è perso in un bosco troppo buio e profondo da non riuscire a trovarne più l'uscita.
E per quel singolo, fugace momento, il suo piccolo fiorellino gli era parso veramente lucido e sincero, pienamente in sé, ma non era durato più che una frazione di secondo, sufficiente tuttavia a Mike Wheeler a perdere completamente il sonno quella mattina.

Gli occhi di El così, Mike non avrebbe voluto vederli mai più nella sua vita.

"Sta succedendo qualcosa, qualcosa di brutto..."

Aveva rinunciato completamente nel tentativo di prendere sonno il valoroso piccolo paladino quella mattina, decidendo infine di alzarsi dal suo letto ormai umido e poco accogliente, iniziando a percorrere il perimetro della sua camera, per concedere almeno libero sfogo ai suoi piedi iperattivi per l'ansia ed i troppi pensieri.
E all'ora di pranzo, il piccolo Wheeler, avrebbe potuto già aver scavato un piccolo vallo nel suo pavimento.

Non ci stava capendo davvero niente, per quanti sforzi ci stesse mettendo per riuscire a capire.
Non riusciva a mettere in ordine e dare un senso alle parole del suo fiorellino di poche ore prima: suo papà? Per quale motivo avrebbe dovuto avercela così a morte con il suo papà?
E che colpa poteva mai aver avuto Hopper per farla sbraitare ed urlare fino a quel punto?
Non aveva mai sentito El parlar male del capo, mai prima...
E, sopratutto, per quale motivo aveva voluto comportarsi in modo così stupido e bere così?

"Non so da cosa tu stia cercando di scappare, El, ma non ci riuscirai così..."
"Io non voglio solo pensare più a niente, Mike..."

Certo, quella non era stata la prima volta che El si era comportata in modo strano prima di allora, e Mike avrebbe dovuto mentire a se stesso se non avesse ammesso di essere ormai quasi abituato alle stranezze della sua piccola principessa.
Dalla sua quasi completa incoscienza del mondo attorno a lei, delle sue bellezze e dei suoi pericoli, dai suoi misteriosi ed oramai sempre più frequenti piccoli svenimenti, fino a quel numero sibillino che ormai aveva preso l'abitudine a ritrovare sul suo polso senza più farci quasi attenzione: 011.
Per non parlare del punto di tutta quella storia ancora più inquietante, misterioso ed in grado di farlo letteralmente uscire di testa anche dopo mesi di ormai muta accettazione: dove diavolo spariva il suo piccolo fiorellino ogni giorno, ogni stupido, singolo, fottutissimo pomeriggio?

"Tu non sai niente, Wheeler..." gli aveva ringhiato contro Hopper la mattina dopo il concerto di un mese prima, come se fosse stata quasi colpa sua.
"Ci sono tante cose che ancora non sai di me, Mike..." gli aveva sussurrato El appena poche ore prima, come una silenziosa richiesta di aiuto, in grado di far sentire il povero paladino ancora più impotente ed inutile di così.

Perché tutti non facevano altro che dirgli che non sapeva nulla e che non poteva capire?
Perché nessuno si prendeva piuttosto la briga di spiegargli cosa stesse succedendo una volta per tutte, in modo che potesse finalmente capire?!
Il capo Hopper lo riteneva forse troppo stupido? Troppo ingenuo ed infantile per poter riuscire a capire?
Ma perché lo stesso trattamento gli era rivolto anche da lei, da El, facendolo sentire così inutile nella sua vita da non essere nemmeno degno di una più piccola spiegazione?!

"Fanculo, io vorrei solo capire come poterti aiutare, El!"

Aveva preso a calci per la frustrazione le coperte del suo letto sfatto il giovane Wheeler, stringendo i pugni e i suoi ricci tra le dita per la frustrazione accumulata e la rabbia repressa, sentendo per la prima volta, dopo mesi e mesi passati a mettersi da parte e da accettare passivamente quella situazione, di essere davvero giunto infine al capolinea.

Aveva già tentato una volta di spingere El a raccontargli tutta la verità una volta per tutte: aveva sbagliato di sicuro i modi e le tempistiche, forse non aveva usato tutto il tatto di cui era dotato quella volta, ma non aveva potuto resiste.
Non era per mera e stupida curiosità che voleva che El gli raccontasse anche quella parte della sua vita, quella che da sempre era stata un fitto mistero per lui.
Non era per fare il ficcanaso che voleva sapere di lei ogni cosa, tutto.

Era stato sempre e solo per proteggerla, per aiutarla, per offrirle il suo aiuto da paladino innamorato nel modo più sincero possibile.
Era così difficile per Hopper da credere?
Ed era così difficile anche per El da capire?
Ma aveva capito qualcosa di lui in tutti quei mesi che avevano trascorso insieme, felici?!

L'ultima volta che aveva tentato di capire cosa stesse succedendo ad El, non era andata a finire bene.
Lo aveva allontanato da sé come un animale ferito, non in grado nemmeno più di riconoscere la mano che è tesa in suo aiuto da quella che invece è in grado di provocargli dolore.
Mike non avrebbe più voluto rischiare di perderla di nuovo, non era un'ipotesi nemmeno da prendere per lui in considerazione.
Ma per non impazzire e rischiare di uscire di testa del tutto, qualcosa doveva essere fatto, e doveva essere fatto subito.

Mike Wheeler non ne poteva più di tutti quei misteri e tutte quelle bugie.
Non ne poteva più di sentirsi così inutile e superfluo nella vita del suo fiorellino.

"Stai uscendo, Mike?" esclamò la signora Wheeler con la padella già sul fuoco e il suo grembiule da cucina, i profumi del pranzo già a riempire la piccola casa al numero 11 di Maple Street quel sabato mattina, vedendo il figlio sfrecciare fin sotto le scale con i riccioli neri scossi nella corsa.

Ma Mike, in quel momento, non era quasi stato nemmeno a sentirla.
Voleva delle risposte e le avrebbe ottenute quella volta, fosse stata quella la più grande cazzata della sua intera vita.
Non avrebbe mai voluto perderla, non avrebbe mai voluto insistere, ma non trovava altra soluzione possibile.
Se voleva amare El, e se El diceva di amarlo, voleva sapere come poterla aiutare davvero, fino alla fine, non gli bastava più venire relegato in un singolo angolo della sua vita.
Qualcosa di brutto era successo alla sua ragazza, qualcosa che la faceva piangere, la rendeva triste e le faceva fare cose stupide come poche ore prima: lo rendeva davvero il fidanzato peggiore del mondo il voler capire una volta per tutte il perché per poterle offrire il suo aiuto in modo finalmente concreto?

No, Mike Wheeler non lo credeva affatto, non quella mattina.
E non gli interessava un fico secco di Hopper ed i suoi misteri: El era parte della sua vita e non sarebbe stato un grosso e grasso capo della polizia a portargliela via.
Non più.

"Michael Wheeler! Ti degni di rispondere a tua madre, per cortesia?!" strillò Karen Wheeler dalla cucina, in direzione del figlio intento a lanciarsi letteralmente sulla maniglia della porta d'ingresso, senza dare intenzione di volersi fermare nemmeno per un secondo per starla a sentire.
"Si, mamma, esco, vado...da Will!" urlò il ricciolino in direzione della cucina già con piede al di là del tappetino d'ingresso del suo piccolo portico, nel medesimo istante nel quale il telefono del salotto aveva iniziato a suonare interrompendo la conversazione con i suoi squilli:
"Casa Wheeler, sono Nancy: con chi parlo e come posso esservi d'aiuto?"

"Da Will?! Ma se Joyce mi ha detto che suo figlio sarà impegnato tutto il pomeriggio con lei da Malvald's per aiutarla a fare l'inventario..." chiuse gli occhi il giovane Wheeler ripetendo a raffica nella sua mente parole irripetibili:
"Fanculo, Will...Fanculo!"

"Che diavolo stai combinando, Mike?!" chiese minacciosa Karen Wheeler dalla porta della cucina:
"Non sto combinando un bel niente, mamma, davvero! Sto solo uscendo per un secondo, ti prego non fare così!"
"Non mi piace per nulla come ti stai comportando di questi ultimi tempi, signorino..." continuò la signora Wheeler con sguardo serio che non ammetteva discussioni, incrociando perentoria le sue braccia sotto il seno con aria più che mai minacciosa:
"Hai passato la notte fuori con gli altri avvisandomi a cosa già decisa, e dopo appena essere uscito dalla tua punizione per essere scappato via rubando la macchina di tuo padre per andare chissà dove!"
"Non l'avevo rubata, mamma, l'avevo semplicemente presa in prestito!" tagliò corto Mike con uno sbuffo, incapace in quel momento di mediare senza alzare gli occhi al cielo per l'esasperazione:
"E l'ho fatto per accompagnare El al concerto per il suo compleanno, quante volte ancora te lo devo dire?!"
"Non osare alzare gli occhi davanti a me, Michael Wheeler, o finisce davvero, davvero male questa volta, ti ho avvertito!"

"...capo Hopper?!" la voce di Nancy Wheeler alla cornetta del telefono del salotto fece ammutolire madre e figlio in un secondo al suono di quel nome, pronunciato dalle labbra della maggiore di casa Wheeler con tono allarmato e confuso, muovendo gli occhi con aria incerta attraverso la stanza fino al fratello minore, dipinta sul suo viso la stessa medesima espressione:
"Mike ha detto? Si, è...è qui...stava giusto uscendo, ora glielo passo...glielo passo subito..."

"Il capo Hooper?! Michael Wheeler, ma che diavolo stai combinando?!" Mike udí la voce di sua madre inseguirlo attraverso il suo salotto, ma quella volta suo figlio non poteva davvero starla a sentire.
C'era solamente una ragione per cui il capo Jim Hopper avrebbe potuto chiamare a casa dei Wheeler chiedendo di lui, e Mike credeva già facilmente di poterla intuire.

E il suo cuore a mille nel petto ed il suo fiato immediatamente corto, strappando la cornetta dalle mani della sorella a quelle parole, parevano già aver capito che qualcosa di brutto doveva essere accaduto, già prima di lui.

"Pronto?! Capo Hopper? Sono Mike! Sono io!"
"...Mike" il piccolo paladino udí la voce del capo della polizia raggiungerlo da lontano dall'altra parte della cornetta, quasi come se provenisse da lontano, quasi come se provenisse da un'altra dimensione.
E lo sguardo di Mike doveva essere abbastanza sconvolto in quel momento che né Karen né Nancy Wheeler ebbero più il coraggio di chiedergli cosa diavolo stesse succedendo quel pomeriggio.

"Capo mi sente?! Io la ricevo malissimo!" tentò di rispondere Mike piegandosi sulla cornetta e portando una mano sull'orecchio per riuscire a sentire, ma la voce di Hopper proveniva da lontano, da troppo lontano perché lui riuscisse a capire.
"Capo, mi sente?! È successo per caso qualcosa ad El, qualcosa di brutto? Sta male? Ha bisogno di aiuto? Capo, mi sente? Mi sente?!"

"Ti sento, Mike, ti sento..." rispose lontana la voce di Hopper con voce calma ma decisamente tesa, in grado di far battere il cuore di Mike nel suo petto ancora di più.
"Adesso calmati, Mike, devi stare a sentirmi..." il ricciolino lo udí continuare scadendo una parola dopo l'altra piano, troppo piano per non riuscire a mandarlo ancora più in apprensione.
"Ho bisogno che tu mi aiuti a fare una cosa, Wheeler..."

*

"Ha idea di dove possa essere andata?!" aveva urlato Mike nella sua cornetta, incapace di obbedire ai comandi del capo della polizia dall'altra parte della linea:
"Calma, ragazzo, devi restare calmo...tutta questa agitazione non ci aiuta!"
"Fanculo ciò che ci aiuta!" si era lasciato sfuggire Mike battendo un pugno contro il muro del suo salotto, ignorando il rimprovero dell'uomo baffuto dall'altro lato della conversazione:
"Ehi! Le parole, ragazzino! Un po' di rispetto!"
"El è scappata e non ha la minima idea di dove possa essere finita?!" aveva strillato Mike ancora più forte per la paura e l'esasperazione, vedendo sua madre dell'altro lato del salotto rivolgergli uno sguardo furioso:
"Michael! Ma ti sembrano i modi?!"

"Vado a cercarla, parto subito!" aveva chiuso la conversazione il giovane Wheeler lasciando ricadere la cornetta sul suo ripetitore, ignorando gli sguardi preoccupati di sua madre e di sua sorella intente ad inseguirlo a passo conciato lungo il salotto di casa Wheeler:
"Ma dove vai, Mike?!"
"Ma ti sembrano questi i modi di rispondere al capo della polizia?!"
"Non puoi uscire con questo tempo, Mike! Sta diluviando là fuori!"
"Mike! Mike!"

"Levatevi tutti dai coglioni..." aveva ringhiato Mike non abbastanza forte perché potesse sentirlo, ma correndo abbastanza veloce da afferrare la sua bici lasciata caduta sul prato, saltandoci sopra e pedalando velocemente via, lungo la strada allagata e sotto le gocce dell'acquazzone a bagnare per l'ennesima volta i suoi vestiti.

Pareva non ci fosse modo per lui di mantenere calma la sua mente quel giorno per più di 5 minuti.
Né di mantenere i suoi vestiti asciutti troppo a lungo.

"Dove sei, El? Dove sei finita?!" pedalava Mike come una furia quel pomeriggio sotto l'acquazzone violento e primaverile, non fermandosi a pensare verso che parte della città si stesse muovendo, troppo concentrato a continuare a far muovere le sue pedaline per chiedere a se stesso dove fosse conveniente iniziare a cercare per prima.

Le gocce di pioggia cadevano dai suoi ricci ormai fradici sulle sue mani strette sopra il manubrio della sua bici, lungo la sua schiena solcata dai brividi di freddo e di paura, le sue gomme lisce contro l'asfalto allagato con il rischio di fargli perdere l'equilibrio ogni 3x2.
Ma a Mike non importava più nulla in quel momento.

El era scappata?
Scappata?!
E da dove?!
Da che cosa?!

Era scappata forse da Hopper?
Avevano avuto ancora da discutere ed El gli aveva detto che lo odiava come aveva detto a lui la sera prima?
E per qualunque motivo mai era scappata, dove diavolo era ora...dove era El in quel momento?!

"Se dovessi nasconderti, Mike, dove lo faresti?!" mormorò tra sé e sé il piccolo Wheeler quel pomeriggio, tirando i freni della sua bici e puntando i piedi per terra per non cadere a peso morto giù, alzando gli occhi lentamente in mezzo alle gocce di pioggia, agli alti e fitti alberi minacciosi davanti a sé.
Poteva essere fuggita ovunque, sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio in quel momento.
E lui era uno da solo, ma per quale motivo non aveva chiamato prima gli altri e chiesto loro aiuto, prima di fuggire da casa sua senza ricetrasmittente come un deficiente per la fretta?!

O, almeno, erano lui ed il capo Hopper...ma che grande consolazione!
Se il capo muoveva quel suo culo flaccido e si dava una mossa a cercarla a bordo del suo furgone, Mike in bici avrebbe potuto cercarla meglio iniziando dal bosco: da qualche parte avrebbe ben dovuto cominciare dopo tutto!

"El...El!" prese coraggio Mike spingendo la bici oltre i primi alberi al limitare di Bosco Atro, pregando se stesso di non trovare El da sola lì dentro un'altra volta, ma allo stesso tempo di trovarla lì dentro il più in fretta possibile.
Quanto poteva essere corsa lontana la sua principessa?
E se si fosse persa lì dentro ancora una volta?Se stesse morendo di paura senza più sapere dove muoversi ancora una volta, nel buio di quel pomeriggio di pioggia, quasi notte dentro quel dannato bosco, sotto le fronde degli alberi scossi sopra di loro?

"El, mi senti? Dove sei, El? El!"

Gli veniva da piangere a Mike quel pomeriggio, procedendo a passo d'uomo sopra la sua bici lungo quei sentieri mai apparsi ai suoi occhi tutti uguali come in quel momento, tentando di evitare ogni sasso, ogni radice, ogni ostacolo davanti alle sue ruote tenendo gli occhi ben fissi sul sentiero appena battuto, ma sforzandosi allo stesso tempo di alzare lo sguardo attorno a sé, cercando nel buio pesto un segno, un indizio, qualunque cosa, tendendo l'orecchio cercando un rumore al di sopra dalle gocce di pioggia.
"El ti prego, rispondimi, El! Rispondimi!"

Un fruscio di fronde improvvise dietro di lui fece balzare Mike di soprassalto sulla sua bici, perdendo l'equilibrio e cadendo ginocchia a terra, urtando con forza le radici di una quercia sporgenti da sopra il terreno:
"Ahia, cazzo! Merda!" imprecò il ricciolino a gran voce, alzando gli occhi intorno a sé ed avvertendo un profondo ruggito provenire da un punto imprecisato degli alberi davanti a sé.
"Merda!" si lasciò scappare ancora Mike muovendo le braccia all'indietro e tentando di rimettersi in piedi facendo perno contro le radici scivolose.
Ma il tocco di qualcosa di freddo e liscio contro la sua mano, sopra quelle radici, gli fece improvvisamente emettere un grido di terrore.

"Oh cazzo, oh cazzo!" balzò in piedi Mike ritraendo la mano e portandosela al petto con il cuore a mille, lanciando un primo sguardo nella direzione dalla quale era appena provenuto il ruggito, ma non riuscendo a trovare nulla tra i tronchi neri e minacciosi intorno a lui.
Solo silenzio, silenzio interrotto solo dalle gocce di pioggia.

Ma davanti a sé, accanto al punto nel quale era appena caduto, un fagottino bianco rannicchiato come un cucciolo ferito, bianco e pallido nelle sue braccia e gambe nude, bianco e lucido nel suo piccolo e stretto costume.

E Mike, a prima vista, non credette nemmeno di riconoscerlo.
Tanto era piccolo, rannicchiato su se stesso, sbattuto a terra come un animale ferito intento a tremare nel buio dalla paura.

Ma ad osservarlo meglio, Mike Wheeler, riuscì a riconoscere in lui qualcosa che la sua mente gli aveva suggerito fin dal principio, e che una parte di sé aveva rifiutato di credere fino in quel momento.
E quando se ne rese improvvisamente conto, il piccolo paladino, pregò quasi di starsi ancora sbagliando.

"E...El? Sei...sei tu?"

Si mosse appena il cucciolo ferito, alzando lentamente i suoi ricci bagnati dalle ginocchia nelle quasi aveva affondato la sua testa, reagendo a quel suo richiamo confuso, ma sufficiente perché il cuore del giovane Wheeler perdesse un battito, e poi un altro ancora.

Quel fagottino era davvero, era davvero la sua El.
Piccola fragile, tremante e nuda sotto la pioggia, in un modo che mai Mike avrebbe immaginato di poterla vedere, tanto da non averla subito nemmeno riconosciuta.

E Mike non poté che lasciar cadere le sue ginocchia di nuovo a terra a quella vista, i suoi occhi piangere lacrime di angoscia che non avrebbe potuto trovare altro modo per poter esprimere, le sue braccia raggiungerla da sole, stringendola forte, forte, ancora più forte a sé.

"El...El, ti ho trovata! Ma come...?
Che cosa...? Come ci sei arrivata fino a qui?
E chi...cosa...cosa ti ha ridotto così?"
"...Mike?" la udí mormorare un primo secondo quasi con timore, immobile per un primo istante prima che le sue braccia si muovessero a loro volta da sola, aggrappandosi alle sue spalle e stringendolo a sé, quasi facendolo cadere su di lei, come un naufrago nei flutti contro il suo scoglio.
"Mike...Mike..."

"Ci sono io qui, El, sono qui..." ripeté Mike stringendola più forte che mai a sé, sentendola stringersi tremando e singhiozzando contro di lui, sotto la pioggia, piccola, fragile, nudi i suoi piedi, le sue gambe, le sue braccia, le sue braccia strette attorno ad un tessuto sottile e bianco, simile a quello di un costume, macchiato di fango, di foglie e di una miriade di piccoli schizzi rossi.

Mike non sapeva la sua mente quanti dettagli stesse acquisendo ogni secondo di più, quante domande a fluire impazzite nella sua mente, urlando con forza contro le sue orecchie, contro il suo cuore, a battere a mille impazzito contro il suo petto.
Cosa ci faceva El lí, da sola?
Perché mai era vestita, o meglio, svestita così?
Perché ancora una volta piangeva, senza freni e senza riuscire a calmarsi stretta forte a lui?
E perché lui stesso non riusciva più a trattenersi dal piangere a sua volta con lei tutta la sua rabbia, la sua paura, la sua frustrazione di non riuscire a capire e la sua tristezza di essere solo costretto ad accettare di vederla un'altra volta ridotta così?!

"El, sono qui...sono qui...cazzo..."
"Mike...Mike..." singhiozzava ancora El stringendolo più forte, incapace di fermarsi né di dire altro di più.
Gli occhi di lei fissi nel punto al di sopra della spalla di Mike dove il riflesso della sua mamma era appena sparito nel buio.
Quelli di lui puntati nel punto alle spalle di lei da dove era prevenuto, pochi istanti prima, quel terribile, terribile ruggito.

Dovevano andarsene via da lì dentro, dovevano raggiungere la strada e cercare un modo per raggiungere Hopper.
Non potevano restare così e non sopratutto El, non ridotta così.
Doveva farsi forza, almeno lui, lui anche per lei. E con tutta la forza di un paladino innamorato e coraggioso, Mike Wheeler, quel pomeriggio, si rimise lentamente e faticosamente in piedi, reggendo nelle sue braccia la sua piccola, fragile principessa, ben stretta a sé.

"Reggiti, El, reggiti forte: ti porto via, ti porto fuori da qui"

E quando i rami si furono diradati intorno a loro, e la pioggia sopra le loro teste ebbe ricominciato a scrosciare più forte sopra di loro, cancellando via le lacrime dai loro volti, ma schiacciandoli a terra sotto il peso delle loro paure, le gambe sfinite del povero paladino cedettero, facendolo cadere a terra, reggendo forte la sua principessa stretta a sé per proteggerla nella caduta.

Mike era sfinito, era senza fiato, senza più forze per gridare e chiedere aiuto.
Senza più forza per aprire nemmeno i suoi occhi davanti a sé, per riconoscere la luce improvvisa di due fanali puntati contro di loro nella loro direzione.

"Salite, forza!" ordinò loro una voce in controluce, puntando una torcia contro un ragazzino caduto in ginocchio con il suo piccolo fiorellino ancora stretto stretto a sé.
E di primo acchito, sotto la pioggia, Mike non credette di aver mai sentito prima quella voce.

"Sali, Wheeler, veloce!" ordinò la voce del capo della polizia, prendendo dalle braccia di Mike il corpicino della figlia, troppa luce dei fanali puntati intorno a loro perché Mike potesse riuscire a riconoscere la sua espressione.

Pura, autentica, profonda e, mai vista prima su di lui, paura.

"Dobbiamo andarcene tutti da qui, ora"

*

"Non mi importa se lei è suo padre, io sono il suo ragazzo, cazzo!"
"Modera il linguaggio, ragazzino, non intendo ripetertelo un'altra volta..."
"E non me ne frega nemmeno più un cazzo delle sue stupide minacce!"

Le gocce di pioggia battevano più dolci e meno decise contro il parabrezza del furgone della polizia parcheggiato davanti al numero 11 di Maple Street quel sabato sera di fine aprile, davanti agli occhi di un piccolo, debole fiorellino intento ad osservarle scendere lentamente giù.

Il suo corpicino nudo era stato coperto dalla felpa di Mike lunga fino alle sue ginocchia, e sopra a questa dalla giacca da sceriffo del suo papà capo della polizia, ma nonostante tutti quegli strati in più, l'intera superficie corporea della piccola Hopper non aveva smesso di tremare quella sera, stretta nel suo sedile.
Nemmeno per un singolo secondo.

"Io non ne posso più di vederla ridotta in quello stato, mi ha sentito?!"
"È complicato, ragazzo..."
"Sono certo di essere abbastanza intelligente da riuscire a capire"
"Non dipende solo da me, Mike..."
"E da chi altro allora?!"

El udiva le urla concitate di Mike e di suo padre al di là della portiera chiusa accanto a lei appena una manciata di minuti prima, quando, fermato il furgone al di là della strada davanti al giardino dei signori Wheeler, il capo Hopper aveva preso parola per primo, rompendo il silenzio con una frase che più che una richiesta era parso quasi un ordine in quel momento.

"Scendi Mike...e prendi con te El: questa notte chiedo a te ed alla tua famiglia di ospitarla a dormire qui da voi, se non reca troppo disturbo...per piacere..."
"...cosa?!"

"Certo che non darà nessun disturbo!" si era affrettato a rispondere Mike dopo un primo istante di incredulità, vedendo il capo della polizia aprire la sua portiera dal lato del guidatore ed uscire sotto la pioggia, senza degnarlo di un'ulteriore risposta e aprendo la sua portiera a sua volta, seguendolo con fare conciato.
"Certo che non recherà nessun disturbo e certo che El può rimanere...ma prima lei mi deve delle risposte, capo, e me le deve ora!"

"Sono cose che non ti riguardano, Mike..."
"Mi riguardano eccome, invece!"
"Ti stai comportando come un ragazzino..."
"...e lei come una vero idiota!"

El chiuse gli occhi stanchi deglutendo piano, muovendo la testa all'indietro ed accoccolandosi contro il sedile del suo furgone.
Si sentiva come se fosse sopravvissuta ad un terremoto, e forse davvero in parte era realmente così: come se il suo intero mondo stesse precipitando un frammento alla volta interamente ai suoi piedi, e lei si trovasse sotto le macerie incapace di urlare, chiudere aiuto, o anche solo continuare a respirare.

Aveva distrutto la vasca, era scappata dal suo laboratorio: forse era quello davvero il primo momento nel quale se ne rendeva finalmente conto.
Aveva liberato il mostro dal vuoto, lo aveva fatto uscire nel mondo reale attraverso quella strana crepa nel muro.
Aveva uccido il dottor Owens, aveva visto sua madre uccisa dagli uomini del laboratorio subito dopo averla data alla luce.
E Mike l'aveva trovata a piangere nel bosco nello stesso punto dove i suoi piedi si erano fermati incapaci di proseguire, ed ora il suo papà li aveva condotti entrambi lì.

Credeva che quelle fossero troppe informazioni da riuscire ad essere elaborate nella sua mente in quel momento, sentendosi solamente così stanca, così sfinita da non riuscire neppure a prendere sonno.
Aveva liberato i suoi poteri come mai prima, come una furia distruttiva ed assassina, e si sentiva solamente sfinita, stanca, morta a sua volta, dentro e fuori di lei.
Di una semplice cosa era però consapevole e del tutto certa, perfino in quel momento di confusione: niente sarebbe mai stato più come prima dopo quel pomeriggio.
Di questo poteva esserne sicura.

"Non mi interessa cosa pensa sia meglio per lei: se vuole il mio aiuto per aiutare lei ed El non mi tirerò certo indietro, ma ho bisogno di avere delle risposte, credo di potermele meritare dopo tutto questo tempo, non crede?! Abbia un briciolo di fiducia in me!"
"Non è tanto questione di fiducia, ragazzo, ma di sicurezza!"
"Di sicurezza?! Ora vuole dirmi che non mi vuole dire niente per motivi di sicurezza?! E la sicurezza di chi poi: mia, sua o quella di El?!"
"Buon Dio, Mike...!"

El vide Hopper sospirare sotto la pioggia, passando una mano grande lungo la sua faccia, la sua camicia già completamente fradicia di pioggia: le stava evitando lo stesso discorso che Mike avrebbe altrimenti rivolto a lei appena rimasti soli, appena una manciata di minuti dopo, prendendo tempo ed evitando, per l'ennesima volta, di dare a quel ragazzo le risposte che reclamava da troppo tempo a gran voce: e Mike se le sarebbe meritate quelle risposte, se le sarebbe meritate fin dal primo giorno senza ombra di dubbio.

Ed El già tremava alle parole del suo papà rivoltale poche ore prima, ancora dentro al vuoto:
"Credi che il tuo Mike ti vorrebbe ancora, una volta visto che il suo fiorellino non è fatto altro che di spine?"

Spine, sì.
Lei era fatta solamente di spine.
Era lei la causa di tutto quel casino.
Era lei l'assassina.
Era lei che aveva liberato il mostro.
Era lei il mostro.

"Le sta succedendo qualcosa, non è vero?" vide le labbra rosse del suo ricciolino tremare, in contrasto con la sua pelle pallida sotto la pioggia, ricoperta di puntini scuri.
El avrebbe tanto voluto sparire in quel momento per non vedere e non sentire il suo povero ricciolino ridotto in quel momento così.
"Le sta succedendo qualcosa...qualcosa di brutto?"
"Per questa sera le mie risposte finiscono qui, Wheeler, non insistere di più!"
"Risposte?! Quali risposte, capo?! Ma se non me ne ha data nemmeno una!"
"Lasciami parlare con mia figlia, Mike, un minuto..." El udí la portiera dal lato del guidatore aprirsi di scatto accanto a lei in un secondo, il rumore delle gocce di pioggia invadere l'abitacolo, prima che fosse richiusa alle spalle di suo padre e alla sua faccia scura, non abbastanza veloce da non cogliere un ultima imprecazione del ricciolino nei suoi confronti:
"...pezzo di merda!"

"Resterai dai Wheeler fino a domani mattina..." sospirò Hopper con tono serio, pratico e preciso, ma al di là del quale perfino El sfinita in quel momento non avrebbe potuto non cogliere tutta la sua tristezza, stanchezza e paura.
"È più sicuro restare qui, almeno per il momento...prima che io mi inventi una migliore soluzione..."

"Perché non posso tornare a casa con te?" mormorò El con un filo di voce, strette le sue braccia alle sue spalle in segno di protezione, vedendo Hopper rivolgerle un piccolo sguardo carico di apprensione:
"Perché ti cercheranno, El, ti cercheranno...e, seguendo me, la cabin sarà il primo posto dove andranno"

El rabbrividí a quelle parole, stringendosi più forte nel cappotto del suo papà e nella felpa di Mike fradicia come lei in quel momento: non aveva nemmeno pensato a quella opzione, non aveva nemmeno avuto il tempo di riflettere sulle conseguenze delle sue azioni folli di quel pomeriggio.
Dio quanto era stata stupida...
Ma non era stato possibile per lei trattenersi di più.
E anche volendo, in quel momento, El non avrebbe mai potuto cambiare che cosa era successo, per quanto lo avesse voluto.

"Ma ci metteranno un po' ad iniziare a cercarti..." annuí Hopper a se stesso più che a lei, vedendola sprofondare ancora di più nel suo giaccone troppo grande per lei, senza riuscire a rispondere alle sue parole, pietrificata dalla paura:
"Hai creato un bel casino lì dentro, kiddo...non ti cercheranno prima di domani mattina, credo, non prima di..."

"...e il Dottor Owen?" lo interruppe la piccola con un filo di voce, temendo di conoscere già la risposta.
Ma il suo piccolo cuore non poté che stringersi nel suo petto comunque alla vista del volto del suo papà farsi improvvisamente più scuro:
"Mi dispiace tanto, piccola...non è stata colpa tua..."
"Tu l'hai...? L'hai visto?" deglutí El sentendo due lacrime calde e sincere colare veloci lungo le sue guance, vincendo tutte le sue ultime difese, portando velocemente una mano sotto gli occhi ad asciugarsele, per impedire che il suo ragazzo potesse scorgerle, al di là del parabrezza rigato di pioggia.
Il suo papà non aveva ragione, non quella volta.
Era stata davvero colpa sua.
Era tutta colpa sua.

"Quando sei uscito da lì dentro...il dottore...era ancora lì?"
"Quando sono arrivato in quel corridoio lo stavano portando via..." rispose Hopper con tono poco convinto, puntando lo sguardo davanti a sé pensieroso.
"Quando l'ho visto non era messo molto bene ad essere sinceri: stava perdendo molto sangue ma era ancora vivo, El...ma poi, quella cosa, quel mostro...e sbucato fuori all'improvviso, kiddo, ed io sono scappato via..." El fu percorsa da un brivido al suono di quelle parole, stringendo forte le sue braccia intorno alle sue spalle ancora di più.
Che casino.
Aveva combinato davvero un gran casino.

"Non so cosa sia successo dopo, kiddo...mi dispiace"
"E riguardo il mostro?" domandò El con voce fina, chiudendo gli occhi e sentendo ancora rimbombare nelle sue orecchie il suo ruggito feroce.
"È là fuori in questo momento, papà, io l'ho sentito..."
"Non lo lasceranno andare troppo lontano, lo troveranno..." scosse la testa Hopper con un altro sospiro, passando una mano sugli occhi con voce stanca e sfinita:
"Quel dannato coso è troppo importante per loro e non lo lasceranno scappare così facilmente...se ne occupano loro, non è un nostro problema per ora...o almeno credo..."

"Io vorrei solo poter tornare a casa con te, papà..." mormorò El deglutendo a fatica, sentendo la mano di suo padre raggiungere la sua spalla con dolcezza e apprensione:
"E lo farai kiddo, credimi, te lo prometto..." lo vide annuire sforzandosi di sorridere, aggiungendo un sospiro pesante ed amaro prima di proseguire:
"Lo farai presto, ma non prima che si siano aggiustate le cose: non possiamo permetterci di essere stupidi"
"Aggiustate le cose..." scosse la testa El venendole quasi da mettersi a ridere a quelle sue parole.

Come avrebbero potuto aggiustarsi le cose dopo quel pomeriggio?
Quali cose restavano ancora da aggiustare?
Quali pezzi della sua vita erano rimaste ancora in piedi e non franate inesorabilmente giù?
Le era sempre sembrato tutto più grande di lei, troppo complicato per lei sola.

Ma mai nulla lo era stato sul serio fino a quel punto, mai prima d'ora.

"Il ragazzo è preoccupato..." la voce di Hopper la riportò indietro dai suoi pensieri volgendo lo sguardo lungo il vialetto dove il suo ricciolino era intento ad aspettarla seduto sul gradino del suo portico: i suoi ricci fradici e neri quanto il suo umore:
"Il ragazzo è preoccupato per te, El...e ne ha davvero tutte le ragioni"
"Presto o tardi dovrò dirgli tutta la verità, papà..." chiuse gli occhi El distogliendo lo sguardo e sentendosi morire, sentendo più forte la voce del suo papà nelle sue orecchie:
"Credi davvero che resterebbe ancora con te se sapesse tutta la verità su di te, Eleven?"

"Non puoi permetterti di coinvolgerlo così, El..." scosse la testa Hopper con un sospiro, con sguardo teso ed ancora più preoccupato di prima:
"Non puoi permetterti di metterlo in mezzo, El, non ora...conosci quelle persone: sarebbero capaci di fare qualunque cosa, qualunque cosa..."

"Non posso perderlo di nuovo..." scosse la testa con un ultimo sospiro, mettendo un punto a quella discussione ed aprendo la portiera nella poggia e nel buio.
Udí il capo sospirare un'ultima volta, aggiungendo prima che la portiera si richiudesse alle sue spalle con un tonfo:
"Troverò il modo di venirti a prendere domattina, tu fino ad allora resta qui: e ti prego, El, non fare niente di stupido...fai attenzione"

"Ehi, stai bene?" domandò Mike balzando immediatamente in piedi sotto il suo portico, vedendola avanzare lentamente lungo il suo vialetto, a piedi nudi, stretta nella sua felpa e nel cappotto di suo padre a far apparire la sua piccola figura ancora più piccola in quel momento.
"Stai bene, El?"
"...no" la vide sussurrare scuotendo la testa con un singhiozzo, avvicinandosi a lui e lasciando che le sue braccia la avvolgessero forte ancora, ancora una volta. Apparentemente tutto ciò che lui potesse fare quel pomeriggio per lei: reggere e sorregge lei e le sue paure sopra di sé.
"Ma sono felice che tu sia qui con me, Mike"

"Vieni, passiamo da sotto, dal mio basement: mia madre non può vederti così..." seguì Mike reggendola per le sue spalle, seguendolo i suoi passi accanto a lei fino al retro di casa Wheeler attraverso il suo cortile, vedendolo aprire una porticina sul retro, facendole strada attraverso una stanza dalle pareti rivestite di assi di legno che immediatamente le sembrò di riconoscere.

"Se ti vedesse vestita e bagnata così ti riempirebbe di domande e non è proprio il caso in questo momento, dico bene? Tieni, mettiti questi: sono miei sono asciutti. Io vado di sopra e cerco di spiegarle che cosa è successo e che il capo mi ha chiesto se puoi restare a dormire qui da noi, va bene?"

"Va bene..." annuí El con voce piccola, reggendo tra le braccia i vestiti caldi e puliti di Mike, stringendoli al suo petto.
Una felpa blu scuro ed un paio di pantaloni della tuta larghi e grigi.

"Torno in un secondo, El, okay?"
"Mike...!" il ricciolino udí chiamarlo ancora un secondo il suo fiorellino, facendolo voltare di scatto già con un piede sulle scale verso il piano di sopra:
"Si, El? Hai bisogno di qualcosa?"

"Grazie, Mike..." la vide sorridere con un sorriso piccolo e timido, capace di cancellare nel cuore del piccolo Wheeler almeno una parte della sua rabbia e della sua incazzatura.
"Non dirlo, El, davvero..." sorrise Mike a sua volta nella sua direzione, voltandosi veloce e risalendo lungo le sue scale di corsa, fino a sparire al di là della porta del suo basement.

Ed la piccola Hopper restò a guardarlo in silenzio alle sue spalle, finché la porta non si fu richiusa dietro le urla della signora Wheeler:
"Cos'è tutta questa storia, Mike? Non capisco! E per quale motivo sei fradicio come uno straccio e stai gocciolando sul mio tappeto?!"
"Il capo me lo ha chiesto, mamma, te lo assicuro!"
"E credi che io sia così ingenua da crederci, Michael Wheeler?"

Deglutí il piccolo fiorellino, lasciando cadere sul pavimento il giaccone del suo papà, la felpa di Mike ed il suo costume, infilandosi veloce i vestiti caldi ed asciutti di Mike, mai sembrati ai suoi sensi più morbidi di così.
Abbastanza velocemente perché Karen Wheeler, spalancando la porta del suo basement, non la ritrovasse lí nuda, faticando così ancora di più a credere che fosse stato in realtà davvero il suo papà in persona a chiederle di restare lì.

"Domani mattina puoi chiamare il capo Hopper e chiedere di persona!"
"Domani mattina?? Io lo chiamo adesso!"
"Fai un po' come ti pare, mamma!"

Si strinse forte nei vestiti di Mike il piccolo fiorellino, muovendo passi lenti lungo il pavimento di coperte fino tavolo di d&d, dove ancora la china di Will brillava nera nella sua boccetta.
Pareva passata una vita da quella sera: avrebbe mai potuto rivivere una notte così?
Libera, spensierata, felice?
Sarebbe mai tornata indietro la sua vita che aveva sempre ritenuta imperfetta, e che pure adesso le mancava già così tanto, da morire?

"Eccomi, El!" urlò Mike scendendo di corsa le scale del suo basement indietro, scuotendo i ricci ancora un po' umidi via dai suoi occhi:
"Non chiedermi come ma sono riuscita a convincerla...credo che non farà altre domande, ma domani mattina..." si bloccò Mike al termine delle sue scale, lo sguardo rivolto al fortino di coperte dall'altro lato del suo piccolo basement, lo stesso montato da lui da mesi, con le lucine di natale e tutto il resto.
E al di sotto del quale, sfinita, piccola e fragile ma bellissima come la principessa delle fiabe, la sua piccolina con i suoi vestiti troppo grandi per lei indosso era caduta tra quelle coperte.
Addormentata.

"Fai pure bei sogni, principessa..." sussurrò Mike facendosi a lei più vicino, silenziosamente e senza fare rumore, allungando un dito a scostare dolcemente un ricciolo dal suo viso.
Sentiva forte sulle sue guance bruciare l'ingiustizia, la rabbia, la voglia di sapere, il bisogno di risposte.
Ma, ancora di più, bruciava nel suo cuore di paladino l'amore, il senso di protezione: il bisogno che mai, finché ci fosse stato lui con lei, le succedesse nulla.

Non importava chi fosse il mostro dal quale lei stava scappando.
Non importava quanto potesse fare paura.
Molta, molta più paura di quanto lui avrebbe mai potuto credere in quel momento.

E il paladino se ne sarebbe dovuto accorgere molto presto, ma non poteva ancora saperlo quella sera.

"Fai bei sogni, principessa...ci sono io qui: ti proteggo io. Abbi fiducia in me"

📼🌼
Have a little faith in me,
signori e signore!
.
Credo che dopo questo capitolo il nostro Mike sia sempre più vicino ad un esaurimento nervoso😅
Non manca molto perché tutte le sue domande trovino una risposta, non manca davvero più molto perché la verità venga davvero fuori...
Beh, che dire, capitolo tranquillo vero?
🙈
El ha aperto la porta del vuoto, il mostro è scappato e mezzo laboratorio è stato distrutto da El nella fuga, ma niente di serio, figurati!
🙈🙈🙈
Alcuni di voi mi hanno chiesto come in appena altri 5 capitoli dalla fine si potrà risolvere tutto e, credetemi, a tratti me lo chiedo pure io, ma "abbiate fiducia in me"!
-5 capitoli dalla fine...ci siamo davvero, davvero questa volta!
.
Ndr: se tutto va come spero, questa sarà la mia ultima estate sui libri ed il prossimo anno dovrei riuscire a laurearmi🍀
È fondamentale per me che i prossimi esami vadano bene, ecco perché vi anticipo che il prossimo capitolo non uscirà prima di fine giugno.
Perdonatemi, so che é molto tempo, ma ho davvero bisogno di concentrarmi al massimo!
Vi lascio però un piccolo spoiler nell'attesa, che spero vi faccia accendere un po' di curiosità in più: il prossimo capitolo avrà un titolo emblematico, un titolo che da tanto tempo tutti aspettiamo di leggere (Mike sopratutto): THE TRUTH





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