40.Flowers Birthday

🌼📼

Quale giorno dell'anno avrebbe mai potuto essere il compleanno della sua piccolina?

Hopper si era posto fin dal principio quella semplicissima domanda.

Ben lontano dallo sperare che potesse andare in modo diverso da così, ben lungi dal credere che loro potessero aiutarlo, o quanto meno indirizzarlo in quel genere di scoperta, il capo della polizia di Hawkins aveva rinunciato ben presto a pretendere da parte del dottor Brenner e nella sua equipe qualcosa che somigliasse minimamente ad un certificato di nascita per la sua figlia adottiva.

Non che non ci avesse provato, per lo meno all'inizio, sinceramente sicuro di voler sapere di più di cosa era avvenuto fin dal principio dentro quelle quattro mura, in quale modo quella ragazzina fosse stata fatta nascere: da che cosa, o per meglio dire, da chi.
Ma perfino il più decido capo della polizia aveva dovuto rinunciare in quella sua crociata personale che non avrebbe mai potuto portare a nessuno dei due un granché beneficio.

Nessuno dentro quel laboratorio dell'orrore pareva saperne nulla, e, se mai avesse saputo, nessuno era men che meno disposto a parlarne.
Né il dottor Brenner con il suo ghigno sadico ed i suoi occhi freddi, né un più gentile ma sinceramente all'oscuro di tutto dottor Owens, dichiarando che, almeno per quanto lo riguardava, lui ed il suo team avevano iniziato a collaborare a quel "progetto" quando la piccolina era già venuta da qualche mese al mondo.

E Hopper non voluto nemmeno fermarsi ad immaginare che cosa avessero potuto fare ad un fagottino di appena pochi mesi, senza avvertite un brivido di freddo e di paura lungo la sua intera superficie corporea.

Nessuno sapeva come la piccola Eleven era venuta al mondo, né quando, né dove, né da chi.
Il capo Jim Hopper era solo e sempre stato sicuro di una sola cosa di tutta quella storia: dopo tanti, troppi anni di sofferenza, abusi ed orrori, a quella piccola cucciola di essere umano non sarebbe mai servito nulla se non semplicemente tutto l'amore del mondo.

"Happy birthday to you!
Happy birthday to you!"

Aveva iniziato a canticchiare sotto i baffi il capo della polizia fin dalle prime luci del mattino, sorridendo soddisfatto davanti ad un impasto preconfezionato di eggos ed una buona dozzina di tubi di panna spray già montata e pronta per l'uso.
Giusto per essere sicuro di non sbagliare, non proprio quella mattina speciale.

In fondo già sapeva che la sua bambina avrebbe apprezzato con il suo cuore gigante qualunque cosa le avesse messo davanti quel giorno come il più prezioso dei doni mai ricevuti: è tipico di chi non hai mai ricevuto niente l'essere grato infinitamente e genuinamente di tutto.
Ma Hopper non voleva accontentarsi di una sorpresa da nulla quella mattina: Hopper voleva che tutto fosse perfetto, più che perfetto, per lei che se lo meritava più di qualunque altra creatura vivente mai messa al mondo.

E quale giorno dell'anno avevano allora scelto?
Quale giorno avevano preso in prestito come pretesto per ricordarle insieme che c'era qualcuno che l'amava ed era grato che lei, un qualche giorno, fosse stata messa al mondo?

Quale sarebbe stato il giorno giusto del compleanno di El?
Non era stato dato a loro di scoprirlo.
Ma era stata proprio la sua piccolina a suggerire quel giorno, un giorno di metà marzo così simile a quello, appena un paio di anni prima.

"Questo" aveva suggerito El con un sorriso, gli occhi fissi ed il dito puntato sul calendario appeso sopra il lavandino della cucina, cogliendo il suo papà adottivo di sorpresa.
La risposta era sempre stata lì dopo tutto: ma come aveva potuto non pensarci lui prima?!

"Questo...questo è perfetto! Il 20 marzo, è scritto qui: è perfetto! Vorrei fosse questo, papà, possiamo scegliere questo?"
"Ce-certo, kiddo! Certo che sì!"

Il 21 marzo di ogni anno da quel momento.
Il giorno dell'equinozio di ogni primavera, il primo giorno di primavera.
Il giorno del compleanno di tutti i fiori.

"Happy birthday to you!
Happy birthday to you!" canticchiò il capo Hopper anche quella mattina, accennando un passo di danza nella sua cucina, spruzzando l'ultimo strato di panna bianca sulla pila di eggos trasudanti sciroppo d'acero e miele, annodato intorno alla sua vita il suo vecchio ed unico grembiule ormai logoro.

Nessun rumore era ancora giunto al suo orecchio dalla camera della sua piccolina, al di là della porta ancora chiusa, ma se Jim Hopper conosceva almeno la metà di quanto era sicuro di conoscere bene sua figlia, sapeva che nella cameretta dalla porta di legno verde, il suo piccolo fiorellino già lo stava attendendo impaziente da un buon quarto d'ora.

Non che non avesse tentato di non far rumore con le pentole ed i fornelli, pur di continuare a farla riposare una manciata di minuti in più, ma sapeva già bene che, per la sua piccolina, quello non era che il secondo compleanno che avesse mai avuto il piacere di festeggiare da quando era venuta al mondo.
E il tutto era troppo nuovo ed emozionante per lei perché non si sentisse esaltata e su di giri già di prima mattina.

"Compleanno..." le aveva spiegato il capo Hopper 2 anni prima, vedendola annuire con i suoi occhioni spalancati di stupore:
"Compleanno...cosa è un...compleanno?"
"È il tuo giorno, piccola! Un giorno dedicato solamente a te!" aveva risposto il capo con un sorriso, vedendola annuire con sguardo ancora più indeciso.
"Per-per me?"
"Si, esatto, per te!"

"Un giorno dove posso mangiare il dolce anche a colazione?"
"Oh si!"
"Un giorno dove guardare dentro quella scatola tutto quello che mi piace?"
"Dentro la tv, kiddo l? Sicuro!"
"Un giorno dove puoi restare qui con me e non andare sempre via con quella macchina rumorosa?"

Aveva sorriso Hopper annuendo ancora ed ancora, passando una mano tra i riccioli castani della sua piccolina, ancora troppo corti.
"Per un giorno posso prendermi una giornata libera da lavoro, sì piccola! Ne parlerò con Flo e troverò una soluzione, d'accordo? Potremmo fare insieme quel puzzle che ti piace tanto, kiddo: che ne dici?"
"E un giorno in cui posso...posso rimanere tutto il giorno...qui?" aveva concluso il piccolo fiorellino con un sorriso speranzoso, alla vista del quale al capo della polizia non aveva potuto che sentir stringersi il suo gran cuore.

No, quello proprio no.
Quella era l'unica cosa che non avrebbe mai potuto prometterle.

"Un giorno in cui posso non tornare lì? Solo per un giorno, papà..."
"Temo di no, kiddo..." aveva sospirato Hopper scuotendo infine la testa, vedendola abbassare con occhi tristi il suo sguardo fino ai suoi piedi nudi.
"Temo che questo non si proprio possibile, piccola...ma alla sera potrebbe ancora esserci una piccola sorpresa per te! Che ne dici, kiddo, di un bel pacchetto regalo?"
"...cosa-cosa è un regalo?"

"Happy birthday to you!
Happy birthday to you!" canticchiò quella mattina Hop con maggiore gioia e volume, sorridendo ancora tra sé e sé a quei ricordi, la mattina del 21 marzo 1986, una mattina di primavera e di sole.

Batté due colpi decisi con la mano libera ben aperta, reggendo nell'altra una pila di eggos traballanti ma dall'aspetto assolutamente squisito, attendendo un segno dall'interno da parte della sua figlia adottiva.

Non avevano avuto modo di discutere insieme a quattrocchi di quello che era avvenuto appena una notte di sonno profondo prima: erano stati lui e Joyce a prenderla in braccio dalla loro veranda e metterla dolcemente sotto le sue coperte, accarezzando i suoi ricci fradici e cullandola finché, sfinita, tra i singhiozzi, non aveva finito per crollare addormentata vinta dal sonno.

E quell'angelo di nome Joyce non aveva fatto domande, come suo solito, limitandosi solo ad insistere per rimanere da loro l'intera notte, caso mai lei avesse ancora avuto bisogno di loro.
E dopo averle ceduto il suo stesso letto, per una volta Hopper non si era svegliato così di malumore, neppure dopo aver passato l'intera notte sul divano del suo salotto, trovando l'amica già sveglia e intenta a fumare la sua prima sigaretta fuori dalla finestra aperta della cucina, al sapore di alba, rugiada e sonno.

"Grazie del letto, Jim..."
"Grazie a te, Joyce, per...tutto"
"Non provare nemmeno a dirlo, okay?" aveva scosso la testa la donna, passando una mano lungo la sua spalla con sguardo stanco ma dolce, la sola cosa di cui il capo credeva avrebbe avuto eternamente bisogno.
Avesse mai avuto lui la metà della dolcezza, forza e determinazione di quella donna piccola e minuta ma dal grande, tenace e coraggioso cuore.

"Tu solo...riguardati, Jim, e prenditi cura di lei! Non ti chiederò di dirmi cosa sia, ma tutto quello che ho visto non può essere un bene...di questo sono sicura"
"Vorrei così tanto poterti spiegare tutto, Joyce..." aveva abbassato lo sguardo il capo della polizia, sentendo la sua mano piccola raggiungere la sua guancia ispida.
"Lo so..." aveva annuito la donna con un ultimo sorriso, accarezzando la sua guancia con dita fredde ma immenso calore: cosa aveva fatto lui di buono per potersi guadagnare un tale Angelo a sorridergli così nella sua vita?
"Ma fino ad allora...chiama se hai bisogno, Jim, a qualsiasi ora"

"Happy birthday to you!
Happy birthday to you!" canticchiò ancora Hop un po' più forte, tendendo l'orecchio al di là della porta, in attesa di un segno da parte della sua piccolina che tardava ad arrivare un po' troppo quella mattina.
Che fosse davvero ancora addormentata?
Che si fosse perfino dimenticata di che giorno fosse?

"Sei...sei sveglia, piccola? Posso entrare?"
"...entra pure, papà!" rispose da un luogo lontanissimo una voce piccola piccola, appena più forte di un sussurro, facendo stringere il cuore al capo della polizia, sentendosi improvvisamente mai più stupido di così: lí con il suo piatto di eggos a forma di torta, deciso a far finta che, per una mattina, niente di brutto potesse offuscare la gioia del compleanno della sua piccolina.

Hopper era semplicemente così stanco di vederla stanca, sfinita ed infelice.
Era poi così sbagliato credere di poter allontanare la sua mente da quell'incubo, almeno per poche ore di sincera allegria?

"Toc toc! È permesso?" si sforzò di sorridere Hop, spingendo la porta di legno verde già aperta dalla mente della sua bambina, volgendo uno sguardo alle pareti beige e lilla, alla scrivania piena di libri e vestiti in disordine, ritrovandola seduta, con ancora la sua camicia da notte indosso, sul cornicione della sua finestra in mezzo ai suoi vasetti colorati di fiori.

E sulle sue gambe, acciambellato nell'incavo del suo ventre, un micino dal manto a macchie nere, rosse e bianche intento a farle le fusa.

"Quella palla di pelo si è permessa di farti gli auguri di buon compleanno prima di me, El?!"
"Mr Darsy è da sempre più mattiniero di te, papà!"

Hop vide la piccola sorridergli con calore, uno sguardo felice dentro il quale solo lui avrebbe potuto scorgere un velo di stanchezza, di tristezza, di disperazione.
Ma non era quello il momento di darla vinta alle tenebre e al buio.

"Forse è vero, kiddo...ma sono sicura che il tuo amico pulcioso non sa prepararti il tuo dolce preferito per  la colazione del tuo compleanno, non è vero?"
"Mr Darsy non ha le pulci, papà!" ribatté indignata El ridendo insieme con lui, vedendolo avvicinarsi e prendere posto accanto a lei sul cornicione un po' troppo stretto per lui.

"Buon compleanno, piccolina!"
"Grazie papà, ha un aspetto magnifico!"
"E fossi in te non vedrei l'ora di dargli un morso!" le piede Hopper il piatto ed una forchetta tra le dita, vedendola sorridere stanca ma colma di sincera riconoscenza.
"Questa volta ti giuro di aver seguito la ricetta alla lettera! O almeno...spero che quella tonnellata di panna sia in grado di coprire qualsiasi cattivo sapore!"
"Non ce ne sarà bisogno, papà! Ma non dovevi alzarti presto per preparami tutto questo!"

"Sciocchezze, kiddo!" scosse la testa Hop vedendola addentare il primo boccone, il sole del mattino ad illuminare il suo viso come il più bello tra i boccoli di quel davanzale.
Per quanto scure e profonde fossero le sue occhiaie quella mattina, la sua pelle liscia e di pesca non avrebbe mai potuto apparire più luminosa.
Hopper riusciva quasi a capire quel dannato piccolo Wheeler: quale ragazzino al mondo non avrebbe potuto innamorarsi al primo sguardo della sua piccolina?

E chissà se El lo aveva detto ai suoi amici?
Chissà se anche loro le avevano preparato una sorpresa speciale per quel giorno speciale?

"Sei contenta di andare a scuola, oggi?"
"...è una domanda a trabocchetto, papà?"
"No no, kiddo, intendevo solo dire..." scosse la testa Hopper con un sorriso, vedendola prendere un altro boccone della sua pila di eggos con grande soddisfazione.
Forse quella volta non aveva bruciato l'impasto del tutto...

"Intendo dire...è il tuo compleanno, El! È il tuo giorno! I tuoi amici lo sanno? Credo sia bello poter passare del tempo con loro oggi a scuola, non ho ragione?"
"Si, lo sanno..." annuí El con un sospiro, masticando piano di fronte a lui.
"Joyce lo ha detto a Will che lo ha detto a Mike che lo ha detto a tutti gli altri, credo..."
"È fantastico, no? El?"

"Si si, sicuro! È solo che..." il capo la vide prendere un più profondo respiro, volgendo lo sguardo fuori dalla sua finestra in contro al sole al di là del vetro.
Avrebbe potuto leggere già da solo un abisso di tristezza al di là dei suoi grandi occhioni.
"...è solo che non mi sento molto in vena di festeggiare, papà...tutto qua..."

"Sciocchezze, piccola!" scosse la testa Hopper stringendo insieme le sue dita callose, seguendo il suo sguardo perso nel vuoto e non potendo non tornare con la memoria a quelle scene della notte precedente.
Il suo piccolo corpicino scosso contro il pavimento, la sua voce ad urlare così forte fuori dalla sua gola e le luci di casa impazzite intorno a loro.

"Lasciatelo andare! Gli state facendo male! Io lo sento, lo sento! Basta!! Papà lascialo andare, ti prego! Nooo!"

"Niente di brutto può succederti oggi, piccola, finché sei qui! Niente di brutto può impedirti di festeggiare il giorno del tuo..."
"Io non credo più che sia così, papà" ribatté secca El guardandolo fisso, i suoi occhioni immediatamente velati di lacrime di paura.
Al capo Hopper non poté che ammutolire all'istante al suono di quelle parole.

"Io non credo più che sia così, papà, non più!" riprese El con altro profondo respiro,
"Continuiamo a dire che sono al sicuro qui, che niente di brutto può raggiungermi qui...ma non è così, non è più così! Io...io ho qualcosa di brutto, papà, anche qui non sono più al sicuro! Perché è tutto qui, papà, tutto qui!" la vide continuare come un fiume in piena, portando le dita sulle sue tempie e stringendole con forza.
"È tutto qui, papà, qui! È nella mia testa, non posso fuggirvi!"

"El, ascoltami..." prese fiato il capo Hopper, ma El scosse la testa chiudendo gli occhi carichi di lacrimoni.
"Che cosa succederebbe se mi ricapitasse ancora un episodio come quello di ieri sera?" sussurrò la piccola con un filo di voce, torturando le dita strette sulla sua camicia da notte leggera.
Quanto avrebbe voluto soffiare via quei macigni dal suo cuore così come il vento le nuvole all'orizzonte.
Ma erano troppo pesanti per poterci sperare ancora.

"Che cosa succederebbe se mi capitasse di nuovo davanti a Joyce? Che cosa succederebbe se iniziasse a fare delle domande, papà? E tu, che cosa gli risponderesti?"
"Joyce non mi ha chiesto spiegazioni, El..." si affrettò a ribattere Hopper, ma la piccola non parve dargli ascolto.
"Che cosa succederebbe se capitasse di nuovo in mezzo ai miei amici, come quella volta sulla pista da ghiaccio, papà? Che cosa gli dovrei dire? Come lo potrei spiegare? Come potrei nascondere ancora la verità a tutti loro...e a Mike?!"

"Non succederà più, kiddo, credimi!" scosse la testa Hopper ribattendo con forza, ma entrambi già sapevano che non poteva avere ragione.
"Io...io non so più controllarlo..." scosse la testa El carica di tristezza, avvertendo la prima lacrima scorrere veloce lungo la sua guancia liscia.
Ed entrambi già sapevano che era così.
Più forti i suoi poterti, più forte il suo legame a quel posto, a quel buio, a quel freddo, al vuoto.
Più forte il legame con quel mostro di cui ora El conosceva la storia ed il nome.

"Non posso più controllarlo, papà...è più forte di me, sono più forti loro"
"No, El, questo non è vero!" rispose più forte il capo Hopper, prendendo infine le mani tremanti nelle sue, aspettando che i suoi occhioni si riaprissero nuovamente nei suoi.
E quella piccola scintilla di residua speranza non poteva che scintillare proprio da lì: dai loro sguardi e dalla loro mani strette strette così, da sempre loro due da soli contro tutti gli incubi e tutti i mostri del mondo.

"Tu sei forte, El, sei la più forte in assoluto" sussurrò Hopper lentamente e con la massima convinzione, pregando che le sue parole scendessero dalle sue orecchie direttamente al suo cuore.
"Lo sei sempre stata e continui ad esserlo, piccola! I tuoi poteri, le tue visioni...non c'è niente di loro, non sono loro, sono tue! Solo tue! E tuoi puoi controllarlo, El, solo e soltanto tu puoi farlo! E hai la forza per farlo, piccola, hai la forza per mandarli via dalla tua mente e dalle tue visioni!"

"Io non credo..."
"Io invece ne sono sicuro, El!" scosse la testa il capo della polizia senza lasciarle il tempo di rispondere.
"Sei diventata grande in questi mesi, kiddo, sei diventata più forte di quanto tu possa mai immaginare! Io ti ho vista, El, ti vedo ogni pomeriggio lí dentro: e non c'è nulla che possa non farmi credere che tu puoi fare davvero qualsiasi cosa!"

"...sono solo tanto stanca, papà..." sussurrò El con un filo di voce, tremante come le sue dita strette tra le sue:
"Sono stanca di provarci, stanca di fallire...stanca di deludere sempre tutti"
"Tu non stai deludendo proprio nessuno, El!" ribatté Hopper con un piccolo sorriso, vedendola aprire a sua volta una piccola curva sulle sue labbra rosse.
"Non me di sicuro, kiddo, e nemmeno Mike o nessuno dei tuoi amici! Ti vogliono tutti bene, El, e lo fanno perché tu sei semplicemente incredibile! Quanti altri al mondo credi che sarebbero in grado di gestire tutto questo come stai facendo tu?!"

"Papà..." mosse appena le labbra El, sentendo le sue guance incendiarsi di un puerile calore.
C'era una domanda che voleva fargli quella mattina: una domanda che non aveva mai attraversato nemmeno di sfuggita la sua mente, nemmeno per errore.
Una domanda che, dopo il film della sera prima al drive-in, quel piccolo fiore non riusciva a togliersi dalla mente e dal cuore.

"Certo che anche io avrei voluto conoscere i nostri genitori da giovani!"
"Sarebbe stato decisamente forte! Troooppo forte!"
"Chissà come erano...i miei"

"Tu credi...tu credi che anche la mia mamma possa fiera di me, papà?"

"...la tua mamma?!" avrebbe quasi voluto esclamare Hopper per lo stupore, trattenendo il fiato di fronte a quella richiesta così inaspettata ed insolita.
El mai aveva chiesto una volta di sua madre, mai aveva posto domande su quando, come, da chi era mai venuta al mondo.
Perché proprio in quel momento quella curiosità?
Ma non era poi davvero quello il punto più importante?

"Io...io sono sicuro di sì, piccola" annuí Hopper con un enorme sorriso, vedendola sorridere a sua volta, i suoi occhioni marroni nei suoi azzurri e gentili.
Cosa altro avrebbe mai potuto rispondere alla richiesta di quella sua piccolina?
Quella, in fondo, non poteva già che essere una sconosciuta ma reale verità.
Il capo Hopper voleva con tutte le credere che fosse così dopo tutto...

"Io sono sicuro che la tua mamma sia fiera di te e della donna che sei diventando...ovunque lei si trovi, piccola"

*

Doveva essere assolutamente fuori di testa.
Non ci sarebbe potuta essere altra logica spiegazione.

Dopo aver afferrato al volo le chiavi dell'auto di suo padre "rubata" da sua sorella quella mattina, lanciate nelle sue mani dall'altra parte del marciapiede insieme ad un'ultima strizzata d'occhio ed un sorriso furbetto, ancora un abbraccio stretto stretto ed un bacio tra i suoi ricci e neri, vedendola la maggiore sparire infine veloce dentro all'auto di Jonathan lungo la via, Mike Wheeler si era ritrovato lí fermo immobile su quel marciapiede come uno stoccafisso, i piedi ancorati a terra ed il cuore a mille nel petto, la mente insonne dalla notte precedente, troppo su di giri per riuscire a mettere in ordine le idee e a chiudere occhio, nella mente una sola frase in loop continuo senza interruzione:
"Devo essere totalmente, completamente fuori di testa"

"Ripetimi ancora una volta come diavolo hai fatto, Mike!" aveva esclamato Lucas saltando sul sedile posteriore della vecchia automobile della famiglia Wheeler, un viso sconvolto che avrebbe potuto essere definito quasi "pallido", se mai si fosse potuto.
"Merito di Nancy? Quella Nancy?!" aveva ribattuto Dustin con il suo sorriso sdentato ed incredulo, aggrappandosi con entrambe le mani alle spalle dell'amico seduto al posto del guidatore.
"Nancy la tua sorella maggiore? La stessa sorella stronza che in questi anni non ha mai perso occasione per prenderci per il culo ogni sabato sera di sessione, chiamandoci "nerd senza speranza" e ridendo di noi?!"

Il piccolo Wheeler non aveva potuto che sorridere tra sé e sé, il cuore colmo di adrenalina, immensa gioia e gratitudine.
Ogni fratello minore avrebbe meritato di avere una Nancy Wheeler nella sua vita: Mike quella mattina ne era assolutamente sicuro.
"Oh si, Dustin...proprio quella sorella maggiore!"
"...porca di quella miseria!"

"Ma tu sei sicuro di saper guidare questo affare, Mike?!"
"E come dovreste arrivarci tu ed El a Chicago entro questa sera, amico?!"

"Tutta questa storia è una follia..." scosse la testa Steve Harrington quella mattina, passandosi per l'ennesima volta una mano tra i capelli e sistemandosi il ciuffo nello specchietto retrovisore, nella macchina ferma nella stradina laterale vicino al parcheggio della scuola dove il ragazzo dell'ultimo anno non aveva voluto nemmeno sapere come il branco di nerdini fosse riuscito ad arrivare su quel trabiccolo senza provocare un incidente mortale lungo le vie del centro di Hawkins.

Lui era la loro unica speranza, Steve lo sapeva bene quella mattina.
E dallo sguardo determinato di quel piccolo nerdino dai ricci neri, seduto al lato del guidatore con le due mani sudate ma ben ancorate sul volante dell'auto di suo padre, il vecchio babysitter non aveva potuto rifilare loro un "no" per risposta.
E il senso di colpa per averlo lasciato guidare per oltre 200 miglia senza avergli concesso una lezione di guida lo avrebbe perseguitato per tutto il resto della sua vita.

"Non so chi sia più folle, Wheeler: se te o quella fuori di testa di tua sorella, sono ancora indeciso!"
"Ho già guidato con mio padre una volta, Steve! Mi serve solo un rapido ripasso!"
"È una follia, una follia...Tutta questa storia è una follia!"
"Meno parole e più spiegazione, Steve!"
"Già, amico, non abbiamo tutto il giorno!"
"Diamoci una mossa!"

"Okay okay, quello a è l'acceleratore, quello sinistra il freno e…quanto tempo avete detto che abbiamo a disposizione, mocciosetti?"
"Ehm...non lo abbiamo detto!" rispose per tutti Lucas seduto sul sedile posteriore, vedendo l'amico senza denti consultare l'orologio digitale al suo polso:
"Esattamente…15 minuti, prima che suoni la campanella della prima ora!"

"Cristo santo, ragazzi...siete veramente fuori di..."
"…Steve!"
"È già tanto se riuscirete ad uscirete dal cortile della scuola, Wheeler!"
"Devo arrivare a Chicago al Wrigley Field!" scosse la testa Mike muovendo i ricci dalla fronte, girando la chiave e premendo fino in fondo l'acceleratore, sentendo il motore ruggire impazzito sotto i loro sedili.
"A qualunque costo!"

Non c'era molto da commentare.
Non c'era nemmeno tempo di ripetere ancora quanto folle ed assurda fosse stata l'idea di sua sorella e lui ad averla seguita.
Non c'era tempo per tornare indietro, non c'erano strade laterali da imboccare lungo la corsia per poter eseguire un'ultima disperata inversione ad U.

Quello era il suo momento quello.
Era la sua unica occasione.
Mike non aveva intenzione di sprecarla.
Non aveva la ben che minima intenzione di lasciarsi prendere dalla paura, o per meglio dire, da una realistica dose di onestà del tutto superflua quella mattina.

Le speranze che tutta quella storia andasse a finire per il verso giusto raschiavano appena un 4-5%, ad essere ottimisti: il calcolo era stato fatto niente meno che da Dustin stesso, appena una manciata di minuti prima.

Che El accettasse di seguirlo, tanto per cominciare...
Che Mike riuscisse a guidare quella vecchia auto fino a Chicago senza commettere un incidente mortale, per continuare...
Che non si perdessero lungo la strada, che nessun addetto alla sicurezza si accorgesse dei loro documenti falsi e, infine, solo per concludere...che il capo Hopper non mandasse l'FBI in persona a cercarli per l'intera superficie terracquea della nazione!

L'aveva già detto che era folle?
Perché si, lo era, lo era sul serio: era completamente, totalmente folle, da cima a fondo!
E nel suo cuore a tremila nel petto, seduto davanti al volante di quell'auto quella mattina di primavera, con accanto il buon vecchio Steve ad urlargli il nome dei pedali ed in che ordine premerli per portare avanti quel trabiccolo, Mike avrebbe solo voluto che sul sedile posteriore, in mezzo a Dustin e Lucas, con le dita ancorate alle maniglie di sicurezza, vi fosse in quel momento un altro nerdino in più.

Il suo eterno, fidato migliore amico.
Mike prese un altro profondo respiro.

"E io mi sto rendendo complice di questa follia…"
"Il concetto è chiaro, Steve! Possiamo procedere ora, per cortesia?"
"Okay, Wheeler: lascia andare quel piede dalla frizione...piano piano...con calma"

"...così?"
"Si, esatto, così!" annuí re Steve sporto verso di lui, vedendo il piede del nerdino tremare di tensione contro il pedale della frizione.
"Vedi che l'auto si sta muovendo da sola anche se non pigi come un disperato quel dannato pedale dell'accelerazione?!"
"Ma se voglio arrivare in tempo per il concerto di questa sera, non dovrei..."
"Oh no, Mike! Stammi bene a sentire! Guida piano e fermati ogni tot nella corsia di emergenza se non ti senti sicuro! Non superare i 50km/h e non fare cazzate, mi hai capito?!"
"...capito, mama Steve!"

"Okay, ora, mostrami quello che sai fare, mocciosetto!" Mike lo vide ancorarsi alla maniglia di sicurezza sopra la porta del passeggero, appiattendosi contro il suo sedile e portando lo sguardo dritto di fronte a sé:
"Fai arrivare i nostri culi sani e salvi di fronte all'ingresso della scuola...e voi due, lí dietro: reggetevi forte ed allacciate le cinture!"

"Non devi ripetermelo due volte, amico!" il paladino udí Dustin bisbigliare dietro il suo sedile, facendogli alzare gli occhi al cielo tra i suoi ricci.
Quanto poteva essere difficile riuscire a guidare quell'affare per più di mezzo metro?
In fondo avrebbe compiuto 16 anni di lì ad un anno, quella non poteva essere che una...prova generale, non era vero?

"Piano così...piano..." avvertí Steve guidarlo lungo la via, una mano sul volante accanto alla sua, aiutandolo ad imboccare la via del parcheggio.
"Ora cerca di non fare strike con i tuoi stessi compagni di classe, Wheeler, così...parcheggia qui, di lato, non vorrai mica che il capo Hopper ti sequestri il veicolo ancora prima di aver fatto la proposta a sua figlia!"

"Sarebbe l'unico modo per evitare di rimetterci la vita..." sussurrò Lucas senza potersi trattenere, incenerito dallo sguardo del suo amico al posto di guida.
"Di grande aiuto, Lucas, davvero!"
"Scusa, Mike...Non credevo riuscissi a guidare e a sentirmi contemporaneamente!"

"...wow! Sono colpito!" batté una mano sulla sua spalla Steve con sguardo ammirato, vedendolo frenare dolcemente accanto al lato lungo della struttura di mattoni, in un lato del parcheggio lontano da sguardi curiosi.
"Devo ammettere che per essere la prima volta ci sai fare, Wheeler...chissà, con un po' di fortuna tu e la tua signora potreste quasi raggiungere il cartello d'uscita della città incolumi!"
"...devo interpretarlo come un complimento, Steve?"

"...stalker?!" i quattro ragazzi sobbalzarono sul posto, sentendo una mano battere decisa contro il vetro posteriore del veicolo e una voce ben nota esclamare a gran voce:
"Dustin! Mike! STEVE?! Ma che diavolo ci fate voi 4 lì dentro?!"

"Mike sta per rapire El e portarla a Chicago entro questa sera per il concerto dei Queen!" urlò l'amico senza denti balzando fuori dall'auto prima di tutti, immediatamente raggiunto dallo sguardo assassino del suo amico dai capelli scuri.
"Dustin, shit! Vuoi abbassare quella dannata voce?! Vuoi che ti senta l'intera scuola?!"

"Il concerto dei Queen? Chicago?! Sta sera?!" scosse la testa Max passando in rassegna uno ad uno i visi degli amici, boccheghiante nella sua felpa giallo limone ed il suo skate ancora sotto il braccio, occhi spalancata ed increduli dallo stupore.
"Mi state...mi state prendendo in giro, non è vero? E quella non è l'auto di tuo padre, Mike?!"
"Bingo, MadMax!" sorrise Mike soddisfatto appoggiando un gomito alla carrozzeria con aria da padrone, vedendo la rossa alzare gli occhi al cielo con un sorriso ironico.
"Come vedi presto non sarai più tu l'unica ad essere considerata la nostra zoomer!"
"Risparmia il fiato, Wheeler! Resterò sempre e per sempre una guidatrice migliore di te!"
"...quante volte dovete infrangere ancora la legge, mocciosetti, prima che io perda la pazienza e dia una bella lezione ai vostri culi impertinenti?!"

"Oddio, Mike! Che idea!! El lo adorerà!" il giovane Wheeler vide l'amica dai capelli rossi sorridere entusiasta, facendo sciogliere i suoi nervi tesi di un piccolo sospiro di speranza e tensione.
"Lo credi...lo credi davvero, Max?"
"Certo che si!" annuí l'amica con occhi verdi e luminosi, facendo sorridere a sua volta il suo cuore di paladino.
Mike non credeva di aver mai visto la sua amica più entusiasta di così, almeno non per merito suo...che quella così folle non fosse poi stata una brutta idea dopo tutto?

"Nessun dubbio a riguardo, questa volta hai superato te stesso, Wheeler!"
"Questo sarà il più bel regalo di compleanno del secolo!"
"Lo spero...lo spero davvero!"
"Ma...avete detto per caso concerto dei Queen?" domandò infine la rossa con tono indeciso, muovendo lo sguardo dal ricciolino ai restanti due amici.
"I Queen...quei Queen?! E che cosa ha detto di questa idea invece Wi...?"

"…Will!" le gambe di Mike si mossero da sole a quella vista, lo sguardo al di là del parcheggio affollato da studenti intenti a varcare la soglia d'ingresso dell'edificio.
E tra tutte, una bassa figura dai capelli lisci ed una bici stretta tra le mani, del tutto intenzionata a girare al largo dal punto dove erano riuniti i suoi migliori amici.

"Will! Aspetta! Will!"
"...cazzo" soffiò a fior di labbra la rossa, vedendo i due amici annuire in silenzio di fianco a lei, gli occhi puntati al ragazzo dai ricci neri intento a correre di fronte a loro, in direzione del giovane Byers del tutto intenzionato ad ignorare le sue grida con tutte le sue forze.

Mike e Will non avevano mai litigato prima, non in modo serio per lo meno, non che nessun elemento del party ne conservasse un ricordo preciso.
Non fino a quel momento, non fino a quella mattina, per lo meno...

"...qui si mette male, ragazzi"
"…è l'apocalisse!"

"Will! Aspetta, ti prego...Will!" corse Mike dall'altra parte del parcheggio, frenando appena in tempo per non finirgli addosso del tutto, vedendo la figura del suo migliore amico agganciare la ruota della sua bici nella rastrelliera, concentrato sul non rivolgergli nemmeno uno sguardo di sfuggita.

"Will! Ehi!"
"...ehi..."
"Sei arrivato tardi oggi, amico! Niente trasmissione?"
"Affari miei, Mike" ribatté monotono il ragazzo dai capelli lisci, sistemandosi lo zaino in spalla e guardando fisso le sue scarpe da ginnastica ai suoi piedi, tutto pur di non alzare lo sguardo fino agli occhi del suo migliore amico in piedi accanto a lui.

Mike strinse forte i pugni lungo i suoi fianchi, prendendo un primo più profondo respiro: era davvero troppo presto per dargliela vinta così.
Era davvero troppo importante il suo migliore amico per non tentare di migliorare le cose di persona con lui.
Almeno un tentativo.

"Io e gli altri ti stavamo chiamando da laggiú..."
"Che strano, non vi ho sentito..."
"Will, ti prego..." alzò gli occhi al cielo Mike trattenendosi dall'impulso di tirarlo per le spalle verso di lui, continuando a vedere il suo sguardo muoversi ovunque pur di non intercettare il suo.

Dopo la chiamata al supercomm della sera prima, terminata dall'altra parte della sua linea senza una risposta, senza una minima parola da parte sua se non un silenzio lungo l'intera notte, il giovane Wheeler non aveva sperato nemmeno per un minuto che sarebbe stato facile: non aveva alcun diritto di pretendere che Will non ce l'avesse a morte con lui.

In fondo, Mike stesso come si sarebbe sentito al posto suo?
Ferito, tradito, preso in giro...

"Amico, ti prego...possiamo almeno parlarne un minuto, per favore?"
"Non so a cosa ti stia riferendo, Mike..."
"Sai benissimo a cosa mi sto riferendo, Will..." gli lanciò Mike uno sguardo torvo, vedendolo muovere lo sguardo lungo il parcheggio già meno affollato di studenti, auto e bici.

I suoi occhi erano freddi, ma le sue guance rosse come due tizzoni ardenti: di collera, di rabbia, di parole non ancora dette e trattenute, di delusione.
Che lo insultasse, che gli urlasse contro, qualsiasi cosa!
Qualsiasi cosa pur di rompere quello stupido silenzio in mezzo a loro!

"Ti prego, Will...dimmi qualcosa!" scosse la testa ricciuta Mike con sguardo supplichevole, passando una mano tra i ricci neri sulla fronte e chiudendo gli occhi per un ultimo secondo.
"Non posso partire sta mattina per Chicago sapendo che tu ce l'hai a morte con me, Will...non posso guidare fino al concerto sapendo che tu..."
"…e va bene, Mike! E va bene! Adesso parlo io!!"

Il piccolo paladino riaprí gli occhi di colpo a quelle parole, ritrovando gli occhi verdi del suo migliore amico fissi fissi nei suoi.
Non gli stessi occhi ai quali confessare tutto, non gli stessi nei quali sentirsi a casa e al sicuro, da anni ed anni porto accogliente per lui, da prima che ne conservasse il ricordo.
No.
Gli occhi del suo migliore amico non erano nemmeno arrabbiati quella mattina, nemmeno furiosi come Mike avrebbe immaginato e creduto, no.

Gli occhi di Will in quel momento erano solo gonfi e carichi di tristezza e di delusione.
La cosa peggiore che il giovane Wheeler potesse augurarsi da parte sua nella sua intera vita.

"Ti dirò che cosa penso, Mike, e va bene! Ma non venire poi a piangermi addosso solo perché avrò rovinato il mood della tua scampagnata fuori porta!"
"Non sono io che ho preso questi biglietti per me e per El, Will, è stata Nancy!" cominciò Mike scuotendo la testa, ma Will lo interruppe prima che potesse proseguire nel suo discorso.

"Stronzate, Mike, stronzate!" scosse la testa Will con sguardo feroce,
"Nancy ti ha dato due biglietti, Mike: stava a te poi decidere con chi andarci a quello stupido concerto!"
"E che cosa avrei mai dovuto fare secondo te, Will? Che cosa?!"
"...tu avresti dovuto chiedere a me di andarci con te, Mike!"

Urlò Will nel mezzo del parcheggio, ignorando gli sguardi dei pochi studenti ancora fuori dalle mura della scuola, vedendo le labbra di Mike tremare a quelle parole cercando una risposta, ma richiudendosi immediatamente in una espressione di muta rassegnazione.

Non c'era proprio risposta a quell'ultima affermazione.
Will, quella mattina, aveva solo, solo ragione.

"Questo era il nostro sogno, Mike..." continuò Will muovendo le braccia intorno a lui, facendole ricadere a peso morto lungo la sua camicia a quadrettoni, scuotendo la testa ancora una volta, senza parole.
Per la prima volta in vita sua senza parole da rivolgere al suo migliore amico di tutta un'intera vita.

"Il nostro sogno fin da quando eravamo bambini, Mike...nostro, solo nostro, di nessun altro! Non posso credere che tu abbia scelto di farmi questo! Non posso credere tu abbia scelto di andarci con..."
"Noi non siamo più bambini, Will"

Sussurrò Mike scuotendo la testa ed osservandolo da sotto i suoi ricci scuri, vedendolo aprire gli occhi a quelle parole, colpito in un modo che mai Mike avrebbe osato immaginare, non contro il suo amico, non da parte sua.

Come poche parole potevano essere in grado di spezzare un legame per sempre, se pronunciate al momento giusto?

"Noi non siamo più dei bambini..." ribatté Mike avvertendo un pizzichio ai lati del suo occhi, e vedendo quelli di Will diventare lucidi di colpo a sua volta, esattamente come i suoi, odiando se stesso per quello che gli stava dicendo, ma non potendo che lasciare che quelle parole uscissero dal suo cuore da sole.

Poteva anche essere uno stronzo di fronte ai suoi occhi, ma Will non poteva capire, non lo aveva mai fatto per davvero fino in fondo.
Will non poteva sapere che cosa voleva dire fare qualcosa di così folle ed assurdo solo per rendere felice qualcuno, a qualunque costo, anche a costo di ferire tutto e tutti.
Tutto pur di rendere felice qualcuno di più importante di ogni promessa, di ogni legame, di ogni patto tra fratelli, tra due bambini.
Will, tutto quello, non avrebbe mai potuto capirlo fino in fondo.

"Ma cosa credevi? Che avremmo continuato per tutta la vita così?" continuò Mike con un sorriso amaro ed il cuore gonfio, vedendolo deglutire trattenendo a sua volta un singhiozzo, reggendo il suo sguardo a mò di sfida, ma già meno minaccioso e deciso.
Più sul punto di star per crollare a piangere di fronte a lui, esattamente come lui.

"Ad ascoltare le cassette registrate dei concerti seduti in camera tua sul tuo letto per il resto della nostra vita?"
Mike avrebbe tanto voluto che Will si mettesse ad urlargli contro, a spintonarlo, a tirargli un ceffone, invece di continuare ad incassare, colpo dopo colpo, parola dopo parola, vedendo il suo viso sempre più sul punto di cedere proprio di fronte a lui.

Non si poteva litigare con Will: Will non era mai stato il tipo di persona a rispondere ad un insulto con un altro insulto.
Il silenzio era la sua arma peggiore: profondo, estenuante, letale, molto più delle parole e degli insulti di chiunque altro.

Ma Mike non aveva tempo per chiedergli di replicare quella mattina: non aveva il tempo e non aveva il cuore se non per dirgli tutto quello che doveva prima di partire, fin tanto che lui fosse rimasto lì ad ascoltarlo.

"Sentimi, Will, ascolta..." continuò Mike con le lacrime agli occhi, vedendolo passare un dito sotto le sue ciglia, abbassando lo sguardo ai suoi piedi per un secondo.

Una merda.
Davvero, Mike Wheeler non si era mai sentito più una merda di così.

"Questo biglietto è tuo Will, è sempre stato tuo..." sussurrò Mike vedendo il suo migliore amico ridere in modo sarcastico sarcastico, ma zittendolo prima che potesse aggiungere altro.
"Certo, sicuro...risparmiami almeno questo discorso, Mike, ti prego!"
"Dico sul serio, Will! Meriteresti molto di più di andarci tu di me! E sono serio!" ribatté Mike con convinzione, non potendo fare a meno di sorridere a quel ricordo.

"Io non ero che un bambino di 5 anni che conosceva mezzo ritornello di una canzone, sei tu che mi hai permesso di conoscere tutto il resto del testo! Sei tu che mi hai permesso di conoscere il resto delle loro canzoni!" il ricciolino avrebbe quasi potuto giurare di aver visto l'ombra calda di un sorriso sormontare le labbra fini del suo migliore amico a quelle parole.

Due bambini con la passione per la musica: ecco cosa loro due erano sempre stati.
Ecco che cosa sarebbero per sempre rimasti nonostante tutto.
E quella era la sola certezza che tra loro mai sarebbe cambiata, nonostante qualsiasi altra cosa.
Nonostante tutto.

"Sei tu che mi hai fatto appassionare alla musica, alla vera musica...tu e Jonathan!" sorrise Mike felice, passando la lingua sulle sue labbra ormai secche:
"E, questo..." Will lo vide tirare fuori dalla sua tasca un biglietto, quello che tanto entrambi avevano sognato per tanti mesi senza più sperare di poterlo raggiungere: il biglietto per l'ultimo concerto dei loro idoli del cuore.

"Questo biglietto dovrebbe essere tuo, Will...Dovresti andarci tu a quel concerto, non io, dico sul serio! Ma io...io devo andarci, Will, mi capisci? Io devo andarci solo per portarci lei con me, per portarci El..." continuò Mike vedendolo osservarlo fisso, pregando nel suo cuore che potesse perdonarlo, se non sul serio fino in fondo capirlo.

"Will, lo devo fare...Io lo devo fare per lei, per El...Io…" concluse Mike chiudendo gli occhi e sentendosi forte nel pronunciare quelle parole, non un cretino come avrebbero potuto dire tutti i suoi migliori amici, compreso quello in quel momento di fronte a lui, no.
Non c'era forza più grande se non quella, Mike già lo aveva capito fino alla fine, Mike già lo sentiva bruciargli dentro fino al midollo.
Mai nulla avrebbe potuto renderlo più felice ed entusiasta di così.
Mai nulla avrebbe potuto renderlo più vivo di sapere di aver reso felice la persona ormai più importante della sua vita.

Nemmeno la musica, neppure il suo amico, non più.
Nulla ora avrebbe mai potuto essere più importate di lei, di El.
E non era stato Mike a deciderlo, semplicemente...era così che erano andate a finire le cose, era questo quello che aveva tenuto da parte per lui il destino.
E Mike non poteva più fingere che non fosse quella la sua più grande proprietà: la sola, l'assoluta.

"Ed io farei qualunque cosa pur di renderla felice, Will...mi capisci?"

Will aprì la bocca per replicare, e Mike trattenne il fiato per appena un secondo, sapendo che nulla avrebbe più potuto dire in sua difesa, consapevole di non avere più davvero altro da aggiungere in quel momento.

"Ti prego fa capisca, che almeno ci provi, cazzo..."
"…Mike! Will!"

Ma non appena una voce dall'altro lato del piazzale vuoto ebbe fatto girare i due amici all'unisono alle loro spalle, furono solo le braccia alzare di Dustin e Lucas a catturare la loro attenzione, le loro mani indicati l'ingresso dall'altro lato del parcheggio.
E una sola ultima autovettura a varcare il cancello da sola, targata Hawkins Police.
In ritardo, come sempre.

"Mike, c'è El! Sta arrivando!"
"...cazzo"

"Buon concerto, Mike..." udí Will sussurrare prima di girare i tacchi ed andarsene, spingendo la porta a vetri dell'ingresso della Hawkins High e lasciando l'amico così, immobile, con il groppo alla gola ed il cuore a mille, muovendo per un secondo lo sguardo da lui al furgone in avvicinamento verso di loro, ancora troppo lontano per poterli scorgere chiaramente.

"Will, andiamo...!" protestò ancora il giovane Wheeler in un ultimo tentativo, passando una mano lungo la fronte pallida e le guance ricoperte di lentiggini, indugiando un ultimo istante prima che i suoi piedi si muovessero da soli.
E il suo cuore già sapeva da che parte muoversi, in che direzione.
"Okay, vi da lí ragazzi, via! El non ci deve vedere qui!"

Non era questione di giusto o sbagliato, non era questione di chi fosse presente nella sua vita e da quanto tempo, non era questione di scegliere tra amore o amicizia.
Per Mike non ci sarebbe potuto essere nemmeno paragone.

"Okay, noi andiamo allora..."
"Buona fortuna, Mike...ne avrete bisogno!"

"Will ti perdonerà..." gli posò per ultima una mano sulla spalla Max un ultimo secondo, mentre già Dustin e Lucas correvano verso la porta a vetri e il suono acuto della prima campanella riecheggiava nel parcheggio ormai deserto, ad eccezione di loro.
Mike non poté che sorridere di gratitudine nella direzione della ragazza dai capelli rossi, a quelle parole, con un ultimo sospiro e lo sguardo ancora lucido.
"Spero di cuore che sarà così..."
"Gli occorre solo un po' di tempo, Wheeler...ma gli passerà, ne sono sicura"

"MadMax! Muoviti!"
"Arrivo, Dusti-Bon, arrivo!"

"Okay, okay, ci siamo..." prese un lungo respiro il paladino aprendo la portiera e sedendosi al posto del guidatore, lanciando un ultimo sguardo al furgone al di là del parcheggio attraverso lo specchietto retrovisore.
Era quello il momento della verità: now or never.

La fautrice del futuro delle sue prossime 24h stava seduta al di là del parabrezza di quel furgone della polizia in mezzo allo spiazzo ormai vuoto ad eccezione di loro due.

Loro...ed un paio di occhi indiscreti e curiosi, nascosti al di là della macchina dai vetri oscurati di suo fratello maggiore:
"Che cosa mi combini questa volta, FrogFace...?"

"Passa una buona giornata, kiddo!" esclamò Hopper frenando il furgone a due metri dalla porta d'ingresso, vedendola scendere dal lato del passeggero di corsa, lo zaino bianco sulle spalle e i ricci scossi dal venticello primaverile.
"Ci vediamo qua fuori alla solita ora! Puntuale, piccola, mi raccomando!"
"Puntuale, sí, papà...anche oggi..."

"Ma questa sera a casa ti aspetta una sorpresa!" il piccolo fiorellino vide il suo papà sorridere un ultimo istante, lo sguardo misterioso ma ai suoi occhi soltanto adorabilmente buffo.
Quanto avrebbe mai potuto fare quell'uomo pur di vederla serena e felice, fosse stato anche per un solo singolo giorno?
Quella piccolina non avrebbe mai potuto sentirsi più fortunata di così.

"Sbaglio o qualcuno non ha ancora ricevuto il suo regalo di compleanno?"
"Non vedo l'ora di aprirlo, papà!"

"A dopo, piccola!" Mike udí Hopper concludere dal finestrino abbassato del suo furgone, dando gas e sfrecciando via lungo il parcheggio, nella direzione opposta, il suo fiorellino intento a lanciare uno sguardo attorno a sé a tratti deluso e confuso.
I suoi amici non l'avevano aspettata prima di entrare a scuola insieme?
Non l'avevano aspettata...proprio quel giorno?
"Okay, ci siamo, ci siamo, piccolo fiore..."

"Forse sono già ad aspettarmi agli armadietti..." fu tutto quello che la piccola Hopper poté rispondere a se stessa quella mattina, prendendo coraggio e muovendo veloci passi verso le porte a vetri della scuola, deglutendo un groppo dolce amaro di delusione...

…prima che un rumore alle sue spalle, acuto ed improvviso, le facesse sobbalzare d'istinto il cuore fino in gola.

Tonight I'm gonna have myself
a real good time
I feel alive

"...che cosa?" balbettò El voltandosi lentamente alle sue spalle in direzione di quella voce, sentendo il cuore nel suo petto già battere più forte, senza una più apparente ragione.
Non era solo per lo spavento, non era solo quella la ragione.
Sentiva quasi che, al di là delle sue spalle in mezzo al parcheggio vuoto, lei già sapesse che cosa stava ad attenderla, come se una parte del suo piccolo cuore ne fosse già consapevole, come se lo avesse sempre saputo.

Come una promessa compiuta già molto tempo prima.
Come una vera, autentica magia!

And the world
I'll turn it inside out, yeah!
I'm floating around in ecstasy

E dai finestrini abbassati dell'auto alle sue spalle, al di là della quale un'auto radio già riempiva il vuoto di quel parcheggio con le note di quella canzone, El già credeva di sapere chi vi avrebbe trovato.
Ma il sorriso che esplode sulle sue labbra alla vista del suo piccolo, romantico paladino, non avrebbe mai potuto per quel motivo apparire meno felice ed emozionato di così.

Al di là di quei finestrini abbassati, seduto al posto del guidatore, con i ricci più spettinati che mai e il sorriso più grande e luminoso del mondo, Mike era lì ad attenderla, come una visione.

Il suo primo amico.
Il suo primo bacio.
Il suo primo per sempre.
Il suo solo ed unico "promesso".

"Ehi fiorellino! Stai andando da qualche parte?"
"Mike?! Che ci fai seduto lì?!"

"Buon compleanno, fiore!" sorrise così forte Mike che credette i muscoli delle sue guance potessero strapparsi in quel preciso momento, vedendola avvicinarsi all'auto già in moto con sguardo confuso ma un sorriso luminoso.
Mentre l'autoradio ancora trasmetteva le note di quella canzone scelta appositamente per quella occasione: non c'era più nulla che potesse fermare il cuore di quel paladino innamorato quella mattina.
Mai nessuna forza al mondo.

So, don't stop me now!
Don't stop me!
'Cause I'm having a good time,
having a good time!

"Salta sú, El!" la piccola lo vide esclamare, aprendo dall'interno la portiera dell'auto dal lato del passeggero, vedendo lo sguardo della sua ragazza farsi immediatamente ancora più confuso:
"Salire, Mike?! Qui?! Ma tu sai guidare, Mike?!"
"Su questo non posso giurarti nulla, fiorellino! Ma tu solo fidati, fidati di me! Vieni via con me!"
"...venire via con te? E dove?!"

"A Chicago, naturalmente!" rispose Mike sorridendo al suo tono confuso, mostrando davanti ai suoi occhi increduli due biglietti stretti tra le sue dita, alla vista dei quali persino El non impiegò più di una manciata di secondi ad esclamare:
"Ma quelli!! Quelli sono...?"

"Proprio così, El! Andiamo dai Queen!!!" urlò Mike con quanto fiato aveva in gola, suonando il clacson come un idiota e dimenticandosi di dove si trovavano ancora in quel momento, nel parcheggio della sua scuola.
Non gli importava più niente: non era sangue quello a pompare quella mattina nelle sue vene, era puro fuoco, pura adrenalina liquida.

E il soggetto di tutti i suoi sogni era lì ad un passo da lui, a sorridergli timida ed ancora incerta di fronte ai suoi occhi.
Ma non ancora per molto.
Il suo fiorellino quella mattina doveva solo più dirgli soltanto di sì.

Fin da quella prima tacita promessa tessuta tra gli spalti del cortile della scuola, passando per la dedica attraverso la stazione radiofonica della scuola: attraverso le canzoni ascoltate insieme alla radio in camera sua, le parole dei testi appuntati sul loro libro di chimica nelle ore di lezione.
Quel concerto insieme era sempre stato la loro promessa.
Quel concerto quella sera era lì per loro.

"Un uccellino di primavera oggi mi ha detto che è il compleanno di un certo fiore..."
"Tu sei pazzo, Mike Wheeler...questa veramente le supera tutte!"
"Sarà un'avventura, El! La nostra..." concluse solo più Mike vedendola trattenere il respiro, le gambe sottili sotto la sua gonna leggera a fiori ad indugiare accanto alla carrozzeria dell'auto di suo padre ancora un secondo.
Un ultimo, eterno secondo.

Il cuore di El già le stava urlando che cosa rispondere a quell'invito.
Il cuore di quel fiorellino non avrebbe mai potuto rispondere altro al suo piccolo nerdino se non così.

"Allora, fiorellino, che cosa mi dici? Ti va di vivere questa follia...con me?"

Don't stop me
'Cause I'm having a good time,
having a good time!

*

I'm a shooting star
leaping through the sky
Like a tiger defying the laws of gravity
I'm a racing car passing
by like Lady Godiva
I'm gonna go, go, go
There's no stopping me!

Se alla piccola Hopper avessero domandato quale fosse stato il suo primo ed unico pensiero a quelle parole, di certo non avrebbe potuto rispondere che così.

Non era stato nulla di razionale, anzi.
Nella sua intera vita non credeva di aver mai compiuto nulla di più irrazionale di così.

Il suo primo pensiero non era stato quanto pericolosa ed assurda fosse quella follia: non era stata la mattina di scuola persa, nemmeno l'appuntamento al laboratorio di quel pomeriggio e quanto il suo papà sarebbe semplicemente impazzito urlandole contro al suo ritorno, dopo essere scappata via senza lasciare un biglietto o spiegazioni, svanita nel nulla per quelle future 24h.

Non era stato nemmeno il pensiero che il suo ragazzo non avrebbe nemmeno dovuto guidare una macchina da solo, né che nessuno dei due avrebbe dovuto entrare a quel concerto, lontani entrambi dall'aver compiuto i 16 anni richiesti, e nemmeno come Mike si fosse procurato quei tanto famigerati ed agognati biglietti che ora stringeva in pugno.

Nessuno di quei pensieri razionali erano passati nella mente di quel piccolo fiorellino in quel momento, in piedi in mezzo a quel parcheggio vuoto, ad eccezionale sua e di quel paladino folle e coraggioso al di là del finestrino di quell'auto rubata, lì ad osservarla impaziente e pregandola di salire, intento a sorriderle come se non esistesse nessun altra cosa al mondo.

Era stato un sentimento profondo ad avvolgere i suoi interi sensi, a muovere i suoi passi fino alla portiera già aperta per lei da lui, a farla sedere su quel sedile del passeggero, un secondo prima di gettarsi tra le braccia del suo ricciolino premendo con immensa gioia e gratitudine le sue labbra rosse sulle sue.

Un senso di libertà, di leggerezza.
Di infinite, immense e sconfinate possibilità.
La sensazione di avere, anche solo per un fugace secondo nella sua intera esistenza, veramente la sua vita in pugno.

Ma veramente per una volta, sul serio, non solo per finta.

L'illusione di poter decidere, di poter scrivere di sua iniziativa il suo destino,di avere una scelta.
La speranza di poter decidere che cosa fare della sua giornata, a partire proprio da quelle 24h di quel giorno che le avevano detto essere speciale, essere suo, soltanto suo.

Le 24h del suo compleanno parevano un buon punto di partenza per iniziare a respirare quella libertà a pieni polmoni attraverso le sue narici, quel profumo più buono e prezioso di qualsiasi altro profumo di fiore.
Quello che credeva di non aver mai assaporato fino a quel giorno nell'arco della sua intera esistenza, quello che ora le stava facendo girare la testa assuefatta come una droga o la più potente delle medicine.

E che le facesse bene o male non aveva quasi più importanza in quel momento.

Il profumo della sua libertà, della loro, solo loro, mentre, pigiando quel clacson come non ci fosse stato un domani, l'auto del signor Wheeler, con Mike alla guida, procedeva, strattonando appena un pochettino, fuori dal cancello della Hawkins High School ed imboccando la prima strada fuori dal centro.

El non si era mai sentita più felice di così.
El non si era mai sentita più viva di quella mattina.

"Chicago, stiamo arrivando!!!"
"Queen, stiamo arrivando!!!"

I'm having such a good time
I'm having a ball
Don't stop me now!
If you wanna have a good time
just give me a call!

La sua vita l'avrebbe attesa comunque al suo ritorno: al ritorno alla vita reale, il giorno dopo.
Ma fino ad allora, quella piccola aveva deciso per una volta di continuare a crederci, di continuare a sognare, di continuare a correre.
Di lasciare tutti i suoi incubi, le sue incertezze, le sue paure alle sue spalle, sfrecciando lungo la strada a multiple corsie insieme con lui, accanto al suo ragazzo con i ricci neri scossi dal vento in corsa attraverso il finestrino, un sorriso che non aveva mai accennato a spegnersi dal suo viso, le loro dita ben strette sul cambio di quell'auto lanciata ben oltre il limite di velocità e sulle labbra di entrambi ancora le note di quella canzone, loro inno di follia e liberazione.

Don't stop me now
Don't stop me now
'Cause I'm having a good time!

E metro dopo metro inghiottito nell'asfalto dietro di loro, El sentiva alle sue spalle tutte le sue preoccupazioni farsi sempre più piccole, e sempre più grande di fronte a loro la loro avventura, nel suo petto una più viva, enorme emozione.

Non c'era più nulla, assolutamente nulla che avrebbe potuto fermarli quella volta.
Nessuna incombenza, nessun appuntamento, nessun impegno che avrebbe potuto separarli per la prima volta da quanto ne avevano memoria.
Quel giorno era davvero per loro, solo per loro.
E non c'era assolutamente nulla che avrebbe potuto separarla da lui quella volta.

Don't stop me now
Yes, I'm havin' a good time
I don't want to stop at all!

"Così!" le aveva mostrato Mike come fare benzina, usando i soldi che Nancy gli aveva lasciato sul cruscotto apposta per lui, ridendo di El che aveva insistito per voler fare da sola, ma troppo debole per allungare da sé la pompa fino al serbatoio.
"Ce la posso fare da sola, Wheeler!"
"Ne dubito, Hopper!"

"Tu credi..." aveva ribattuto El sorridendo nella sua mente, tacendo il fatto che, se solo avesse voluto, con un colpetto della sua testa avrebbe perfino potuto far esplodere quella stazione di rifornimento davanti ai suoi stessi occhi.

Ma sentire le sue braccia a stringerla dietro di sé, le sue mani strette sopra le sue sulla pompa dentro il loro serbatoio, ed il suo respiro in mezzo ai suoi ricci vicino al suo orecchio era di certo una più piacevole sensazione.

E per un giorno El avrebbe potuto non essere altro che una ragazzina identica a tutte le altre, intenta a vivere una folle, adolescenziale avventura per il giorno del suo compleanno, in compagnia del solo ragazzo che da sempre le aveva fatto battere così forte il cuore.

"Ti ho già detto: buon compleanno, amore mio?"
"Almeno un migliore di volte, Mike!"
"Una in più non farà di certo male allora!" aveva ribattuto Mike portando la sua mano sulle sue labbra, gli occhi ben fissi sulla strada ed un bacio a fior di labbra sulla pelle di pesca del suo polso.
"Buon compleanno, fiorellino"
"Ma grazie, mio valoroso paladino!"

"Sei sicuro di sapere quale sia l'uscita?" domandò El dopo buone 6 ore di viaggio consecutive, giusto il tempo di fermarsi a pranzare con il panino al burro di arachidi di Karen Wheeler, diviso, ovviamente, per due.
"È la prima uscita di Chicago, El: non dovrebbe essere ancora lontano!" rispose Mike puntando il dito sulla cartina aperta davanti agli occhi della sua piccola, seguendo il percorso tracciato a matita da lui stesso la notte prima.
"Una ventina di km e dovrebbe esserci lo svincolo!"
"E da quando in qua sei un così provetto guidatore, Mike?"
"Da dove esce fuori questo tono stupito, signorina? Il tuo è un ragazzo dalle mille risorse!"

"Eccolo, è lì!!" esclamò a qualche decibel di troppo El, facendo sobbalzare il ricciolino e sterzando pur di rimanere in corsia, seguendo con lo sguardo la direzione indicata dal suo dito.
Al di là del loro parabrezza, proprio sotto il cartello dell'uscita "Chicago sud", ecco comparire all'orizzonte una struttura imponente in mezzo alla pianura, circondata da spianate di prati da perdersi a vista d'occhio, dove già mille e mille auto erano parcheggiate ordinate per fila, una folla umana di persone ad accalcarsi da ogni dove.

"Wow...quante...persone..." deglutí El sentendo un brivido di angoscia percorrerle le gambe nude, immediatamente raggiunta dalla mano di Mike sopra la sua.
"Già, da non credere..." mormorò Mike mettendo la freccia e svoltando verso l'uscita, vedendola deglutire in modo più rumoroso.

"Stai bene?"
"...sí" si affrettò a rispondere la piccola, stringendo più forte la sua presa tra le sue dita e rivolgendogli un più caldo e sincero sorriso.
Non vi era persona al mondo che avrebbe mai potuto renderla più sicura, da sola con lui anche in capo al mondo.
"Se sono con te, Mike...sí!"

"Da questa parte, signori!
Parcheggi ancora liberi!"
"Finalmente!" sospirò il giovane Wheeler aprendo la portiera della sua auto e trattenendosi dall'impulso di baciare la terra ferma sotto i suoi stessi piedi.
Ma come diavolo facevano gli adulti a guidare per tante ore dentro quello strumento di tortura?!
"Cara, amata terra ferma..."

"Siamo arrivati!" saltò El giù dall'auto con un salto, non potendo trattenersi dal battere le mani e saltellare felice intorno a lui.
Una meraviglia per lui da ammirare, nonostante le sue gambe indolenzite e la sua schiena rotta.
"Già...e siamo ancora entrambi vivi, El!"
"Avevi dubbi su questo punto, Mike?"
"Ora che siamo arrivati sani e salvi posso confessartelo, El...ne avevo moltissimi!"

"Andiamo! Forza!!" lo tirò per la mano lei, in direzione della folla in movimento verso lo stadio enorme di fronte a loro, al termine di una strada ampia ed asfaltata, piena di gente di tutte le età e di bancarelle di ogni tipo.
Mike lanciò uno sguardo al suo orologio da polso, non tentando neppure di nascondere un sorriso soddisfatto ed orgoglioso: appena le 4 del pomeriggio, wow!
Tempo record per lui, per davvero!
Quanto avrebbe voluto vedere la faccia di Dustin e Lucas quando glielo avrebbe detto...

E quella di Will...si, anche la sua.

"Andiamo, Mike, muoviti!"
"Arrivo!" si affrettò a seguirla il ricciolino, vedendola saltellare nella sua gonnellina a fiori davanti a lui, quasi dei due fosse lei quella ad aspettare da tutta la vita di essere lì, a quel concerto.
Quanto aveva desiderato di vederla così: così felice da non riuscire a stare ferma per due secondi e a smettere di sorridere da quella mattina.
Quel suo sorriso così bello e così puro nel giorno del suo compleanno, nel giorno del compleanno suo e di tutti i suoi amati fiori.

Che strana meravigliosa coincidenza che il suo piccolo fiore fosse nato proprio il primo giorno di primavera, quasi che il mondo e l'universo già sapesse della venuta al mondo di quel bocciolo, scegliendo proprio per lei il giorno giusto.

Mike non si era fermato a pensare a quella confidenza fino a quel momento: se solo gli fosse stato dato di conoscere la verità fino alla fine...

"Sei felice, fiorellino?"
"Moltissimo!" sorrise la piccola stringendosi forte a lui, le loro dita intrecciate e le gambe a procedere veloci lungo quella strada in mezzo alla folla, le bancarelle piene di dolci, hamburger, corn-dog e panini, ma sopratutto di gadget, bandane e magliette raffiguranti il volto dei loro idoli.
Ed in ogni superficie spaziale ancora libera a disposizione, poster raffiguranti i 4 membri della band, scalette delle precedenti tappe del tour, foto in bianco e nero e a colori, bandiere dallo sfondo nero e un'unica scritta in rosso bordata d'oro: Queen.

"E non ti ho ancora dato il mio regalo di compleanno, El!"
"Ma come? Un altro regalo, Mike?!" balbettò El confusa vedendolo sorridere con aria furbetta, fermandosi in mezzo alla strada e lasciandole un dolce bacio tra i suoi ricci sulla fronte.
"Ma non era già questo il tuo regalo, Mike?!"
"Aspettami qui, El...torno subito!"
"...ma come?!"

"Una XS ed una L!" chiese Mike al ragazzo dietro alla bancarella lungo la via, puntando lo sguardo alla maglietta appesa ad una gruccia: la più semplice e classica, la migliore!
Grigio scuro con il logo del gruppo stampato a colori.
Una fenice e due leoni rampanti, una corona posta al centro sopra la scritta, lo stesso logo che Freddie Mercury in persona aveva disegnato di suo pugno come copertina per quel cd leggendario per la storia stessa della musica: Bohemian Rapsody.

"Spiacente, amico! Abbiamo finito la XS di questa!"
"Due L andranno più che bene allora, ti ringrazio!" pagò Mike felice come un bambino, porgendole in una volta sola tutti i risparmi del suo ultimo anno intero di paghette, ma per una buona, valida ragione.
El alle sue spalle stava ad osservarlo sulla punta delle converse bianche ai suoi piedi, non riuscendo tuttavia a scorgere un bel nulla sopra la folla intorno a loro.
E Mike non vedeva l'ora di stupirla ancora una volta quel giorno con quella sorpresa dell'ultimo minuto.

"Vuoi un sacchetto o indossi subito, amico?"
"Indosso subito! Ma che domande!!"

"Cosa hai lì dietro, Mike?" chiese El con sguardo stupito, vedendolo tornare indietro da lei con le sue mani nascoste dietro la schiena.
"Niente, El! Niente altro se non il tuo regalo di compleanno!"
"Mike!!! Ma non dovevi farmi un altro regalo!!"

"Chiudi gli occhi e solleva le braccia..." sorrise Mike vedendola lanciargli un ultimo sguardo fintamente indignato, prima di chiudere gli occhi ed alzare le braccia al cielo, come da lui indicato.
E Mike non poté trattenersi dal mettersi a ridere davanti a lei, vedendola sprofondare in quella t-shirt troppo grande per lei di almeno 3 taglie.

"Posso riapirli ora, Mike?"
"Non ancora, El, ancora un secondo..."
"Mi hai comprato una maglietta?"
"Più che una maglietta, El...ti ho comprato un vestito!" ribatté Mike infilando a sua volta la sua maglietta, passando una mano tra i suoi ricci e portando le mani nelle sue:
"Okay, ora...puoi riaprirli!"

"...oddio!" esclamò El felice dopo appena un secondo di realizzazione, passando con lo sguardo dalla t-shirt del suo nerdino di fronte a sé, a quella indosso a se stessa, lunga almeno da arrivarle a metà coscia.
"Ma queste sono le vostre t-shirt, Mike! Come quelle tue e di Will!"
"Meglio ancora, El! Queste sono nostre!" sorrise Mike di risposta, non potendo fare a meno di avvertire una piccola punta al cuore a quelle parole.

Ma non era quello il momento di pensarci in fondo: Max aveva ragione, Will lo avrebbe perdonato, prima o dopo...
Non era quello il momento di lasciarsi prendere dalla tristezza, per nessuna ragione al mondo.

"Ora direi che siamo ufficialmente pronti per questo concerto, El!"
"Oddio, Mike! Ma è gigantesco! Tu hai mai visto un posto grande come questo prima?!" mosse lo sguardo la piccola attorno a sé, osservando da ogni dove ragazzi di ogni età, etnia e colore, tutti intenti a correre felici con il loro stesso sorriso sulle labbra nella stessa direzione, l'eco di qualche coretto intonante una canzone in mezzo alla folla.

Mike scosse la testa, gli occhi spalancati come quel bambino di 5 anni dai capelli neri e ricci, di fronte a quella TV del suo salotto, le urla di Karen Wheeler di sottofondo:
"Spegni quel dannato coso, Mike! Quella non può essere nemmeno considerata musica, è solamente spazzatura!"

Una folla così grande da poter riempire uno stadio come quello fino all'orlo, un oceano di persone come lui, ragazzi e ragazze che non avrebbero mai potuto essere più diversi tra di loro, ma accomunati dallo stesso identico amore e dalla stesse medesima passione.
Era come sentirsi parte di un mondo a sé stante, come sentirsi in compagnia tra mille sconosciuti ma intenti a cantare a squarciagola lungo quelle strade le stesse identiche canzoni.

Era così che lo aveva sempre sognato.
Era così che lo avevano sempre immaginato lui e Will.

"No, El, non ho mai visto nemmeno io niente di simile...ma è proprio così che l'ho sempre immaginato, parola mia!"

"Benvenuti al Chicago Wrigley Field! Biglietti per favore!" un armadio a due ante con una maglietta con scritto "security" sbarrò loro la strada all'ingresso dello stadio, 500 metri dopo.
Ingresso Nord-est, come segnato sui biglietti procurati da Nancy.

Mike rabbrividí.

"Ce-certo!" balbettò il giovane Wheeler tirando fuori i due biglietti dalla tasca dei suoi jeans blu, i documenti falsi di Jonathan e Nancy nella tasca posteriore quasi a bruciare contro la sua stessa pelle nuda: aveva promesso a se stesso e a sua sorella che non li avrebbe tirarti fuori se e soltanto se non fosse stato strettamente necessario, ma erano arrivati davvero fino a lì, ad un passo da quel dannatissimo concerto!
Non era quello il momento per gettare la spugna così facilmente.

"Non siete un po' giovani per avere 16 voi due?" domandò l'addetto alla sicurezza osservandoli con sguardo attento, facendo tremare il piccolo paladino sul posto.
"16...16 anni anni appena compiuti, amico!" rispose Mike con il tono più convincente che poté, vedendo El alle sue spalle annuire con foga, reggendogli il gioco.
"Anzi, oggi è proprio il giorno del suo compleanno!"

"Auguri" rispose alzando un sopracciglio l'omone, porgendo il palmo della mano aperto di fronte a loro:
"Documenti allora, ragazzi! Vediamo se non mi state prendendo semplicemente per il culo..."
"Documenti?! Ce-certo...!"

Balbettò Mike imponendosi di continuare a sorridere con tono convinto, muovendo la mano lentamente nella tasca posteriore dei suoi pantaloni e lanciando rapide occhiate intorno: c'era folla ovunque, davanti, dietro, di fianco a loro.
Se avesse semplicemente preso la mano di El e dato uno strattone a quell'armadio, cogliendolo di sorpresa, sarebbero mai riusciti a filarsela mescolandosi nella ressa?

"Ti sei incantato, ragazzino? Ho detto documenti, ora!"
"Subito, si...solo un secondo..."
"O hai per caso invece qualcosa da nascondere?"

"...ehi amico, un codice rosso!" il ricciolino vide un altro addetto alla sicurezza accostarsi all'omone in piedi di fronte a lui, facendogli trattenere il fiato ad occhi spalancati, come di fronte ad un angelo salvatore.
"All'ingresso a nord-est un gruppetto di quattro sfigati stanno tentando di intrufolarsi con dei biglietti falsi: servono rinforzi, resto io qui!"

"D'accordo..." ringhiò tra i denti l'armadio a due ante, volgendo un ultimo sguardo ai due ragazzini pietrificati di fronte a lui:
"È il vostro giorno fortunato, poppanti! Filate dentro, godetevi il concerto e girate a largo da me all'uscita, sono stato chiaro?"
"...trasparente, signore!"

"Stavo per farmela davvero, davvero sotto..." riprese fiato Mike solo due metri dopo, appoggiandosi con le mani alle sue ginocchia e riprendendo fiato come se fosse rimasto in apnea sott'acqua per mezz'ora, accanto ad El intenta a passargli una mano sulla schiena di consolazione.
"Sai stato più che coraggioso, Mike! Un vero paladino di fronte al suo dragone!"
"La principessa avrebbe potuto darmi una mano con la sua magia buona!" strizzò un occhio Mike nella sua direzione, facendola arrossire a sua volta.
La piccola abbassò lo sguardo ai suoi piedi, limitandosi a lasciargli prendere la sua mano nella sua.

Non era mai stata fuori dalle mura del suo laboratorio a quell'ora del pomeriggio: le giornate potevano apparire così lunghe, se per metà non venivano trascorse prive di sensi all'interno di una vasca di deprivazione sensoriale, con monitor e fili attaccati sulla sua intera superficie corporea.

El prese un più profondo respiro a quella semplice realizzazione: quello era davvero il suo primo pomeriggio libero dalle mura del suo laboratorio, il primo, o per meglio dire, il secondo: il secondo dopo quello passato tra le cime innevate delle montagne alla sua prima gita fuori porta.
Ma quel pomeriggio tra i monti, El lo aveva passato con i suoi amici chiusa dentro il loro chalet, senza neppure accorgersi del tempo che scorreva intorno a loro.

Quello era invece il suo primo pomeriggio trascorso interamente all'aria aperta, senza mura a separare la sua pelle dal quel vento del primo giorno di primavera, dalla temperatura sempre più fresca e dal cielo lentamente sempre più buio.

El era sempre entrata nel suo laboratorio con la luce, uscendone ore ed ore dopo con il buio.
Sembrava forse sciocco, ma era davvero così.
El non si era mai domandata prima come facesse a spegnersi il sole, al termine di ogni giorno, all'arrivo della notte: doveva trattarsi come si un interruttore o qualcosa di simile, prima su ed un secondo dopo giù, prima luce e poi improvvisamente buio.
El non avrebbe potuto immaginarsi altro di diverso da così.

"Ci siamo, El, ci siamo!"
"Non ci posso credere, Mike! Siamo dentro!"
"E guarda che spettacolo..." sussurrò il paladino all'orecchio della sua principessa, stringendola alle sue spalla in mezzo alla platea, di fronte a quel palco immenso ed ancora buio, chitarre, batteria e microfoni già al loro posto, mille mila testa intorno a loro, e loro due abbracciati come fossero stati gli unici al mondo.

E sopra le loro teste, quella sera, al confine tra la luce e il buio, il vero spettacolo era soltanto uno solo: il cielo rosso al tramonto sulla la spianata di quel concerto sopra di loro.

"Hai visto che cielo, El?" sussurrò Mike ancora con entusiasmo, puntando un dito in direzione dell'orizzonte e vedendola aprire le labbra rosse di stupore al suono di quelle sue parole:
"Hai visto che tramonto?"
"...tramonto..." sussurrò la piccola a bocca aperta e con gli occhi lucidi spalancati di meraviglia, sentendo il fiato caldo del suo ricciolino vicino al suo orecchio, le sue braccia dietro di lei a stringerla forte per le spalle sopra la sua maglietta troppo lunga, con tutto l'amore del mondo.

Gli occhi di quel fiorellino non potevano che essere rivolti a quello spettacolo incredibile di fronte a loro, così come tutti i suoi interi sensi, proiettati verso quella meraviglia così ignota e sconosciuta.

Il cielo era in fiamme: rosse, rosa, gialle le nuvole a squarciare il cielo come tante piccole ferite, come tante piccole corolle di fiori.
Come le tante piccole cicatrici che la piccola custodiva nel suo cuore.
El non sapeva tante cose della vita, altre non ne aveva mai viste, molte non ancora conosciute: ma di una cosa era del tutto certa quella sera.
El non aveva mai visto un cielo più meraviglioso di così.
"In-incredibile..."

Cosa si era persa in quei suoi 15 anni di vita?
Quanti soli non aveva visto morire in modo così maestoso ed incredibile all'orizzonte?

Quale era la parola che aveva appena usato Mike, appena una manciata di secondi prima...?
Ah si, giusto, quella!
Tramonto.

Quanti tramonti i suoi occhi si erano persi fino ad allora?
Quanti belli come quel suo primo, lì in mezzo a quella spianata dello stadio di Chicago in un attesa del suo primo concerto, stretta tra le braccia dello stesso ragazzo che da sempre le aveva mostrato inconsapevolmente tutte le bellezze del mondo, quelle di cui era stata privata in tutti quei suoi anni di vita?

"Tramonto..." ripeté El a fior di labbra, desiderando di poter condividere con lui la sua inaspettata meraviglia, ma rimanendo invece in silenzio e limitandosi a stringere a sua volta le sue mani nelle sue.

Non importava che lui lo sapesse.
El già lo sapeva, ed il suo cuore non avrebbe potuto essere più colmo d'amore e di gioia di così.
Tramonto.

Quello di quella sera era per lei davvero il suo vero primo tramonto.

Insieme con lui.

🌼📼

La Mileven che taglia scuola (di nuovo) per andare al concerto è ufficialmente una delle mie cose preferite di tutte😍
Una di quelle idee che mi erano venute davvero, davvero fin dal principio: l'amore, la musica, i fiori sono le basi di Let me Love you, perciò non potevo non unirle tutte in un unico capitolo prima o dopo! 🎶🌼❤️
Avete capito che giorno è "il compleanno dei fiori"? Il primo giorno di primavera, naturalmente! Ed anche il giorno scelto da Hopper come compleanno di El😄
Ma la vera domanda è...vi è piaciuto il dialogo tra Mike e Will? 🙊
Ho cercato di ispirarmi al famoso dialogo della s3 "We're no kids anymore" (sinceramente una delle mie scene preferite): è stato come lo immaginavate?
E Steve che insegna a Mike a guidare...un mio canon TOTALE!
Ed El che non ha mai visto un tramonto nella sua vita (perché sempre chiusa di pomeriggio nel lab) e che vede il suo primo con Mike? :')
Fatemi sapere se queste mie trovate vi sono piaciute!
❤️❤️❤️
Ma, sopratutto...chi non vede l'ora di vedere un capo della polizia infuriato dare di matto davanti ad una certa banda di piccoli nerdini...?🙊
Al prossimo capitolo ci sarà da cantare a squarciagola, arrossire, piangere e ridere, perciò...

A presto!🌻

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