39.The Power Of Love

It's strong and it's sudden
and it's cruel sometimes
But it might just save your life

📼🌼

"Bicicles!
Bicicles!!
Bicicles!!!
I want to ride my..."

Nancy Wheeler aggrottò la fronte sui fogli del compito di trigonometria, facendo roteare impaziente la matita tra le sue unghie rosse smaltate di fresco.
La luce gialla proveniente della sua lampada rifletteva un fioco bagliore sugli opuscoli dei collage sparsi sulla sua scrivania, accanto alle decine di richieste di ammissione iniziate e non ancora finite, capaci quasi di gridarle in faccia quella temuta e sempre più concreta parola: adulta.

Quasi con sfrontataggine, quasi con derisione, e pure con un pizzico di cattiveria gratuita.
Non che avessero poi tutti i torti, in fondo in fondo.

La sua intera vita stava per cambiare, sarebbe dovuta cambiare comunque, in ogni caso: di lì a pochi mesi niente sarebbe più stato come prima, non avrebbe avuto senso per lei tentare inutilmente di rinviare ancora.
E allora...perché all'improvviso tutta quella immotivata... paura?

"Bicicles!
Bicicles!!
Bicicles!!!
I want to ride my..."

Era tutta la vita che si preparava per quel momento, per quel futuro sempre lontano per i suoi compagni di scuola, sempre troppo vicino invece per lei, quasi ad incombere alle sue spalle come il mostro cattivo in un film dell'orrore.
Era stata la studentessa modello fin da quando era venuta al mondo, puntuale, precisa, senza sbagliare mai un colpo, guadagnandosi le risatine e le prese per il culo dei suoi coetanei per quella ragione, capitanati da Steve Harrington in persona, fin dai tempi della loro Middle School, finendo poi per essere lei stessa, in qualità prima di sua ragazza e poi di sua migliore amica, ad aiutarlo nella stesura delle sue domande di ammissione ai collage.

Nancy Wheeler era sempre stata un passo davanti a tutti, non c'era stata mai alcuna eccezione.

Orgoglio di mamma Karen, lode per tutti i professori che avevano avuto il piacere di averla seduta in prima fila tra i banchi della loro lezione.
Eppure...

"Avrei solo voluto avere ancora un po' di tempo..." si era lasciata sfuggire con Jonathan la sera prima, seduti al loro solito tavolo di Benny's Burger, di fronte alla porzione di patatine fritte che il maggiore dei Byers si era offerto di finire al posto suo.

Gli occhi verdi di Jonathan erano schizzati fino al suo viso al suono di quelle insolite parole.
"Ti mancheranno i tuoi?"
"Mia madre e mio padre? Ti prego..." aveva scosso la testa Nancy con un'espressione di mezzo disgusto, pentendosi 2 secondi netti dopo per quella reazione.

Il suo orgoglio non glielo avrebbe mai fatto ammettere, ma le sarebbero davvero mancati tutti, dal primo all'ultimo.
Persino sua madre con le sue manie dell'ordine, perfino suo padre con i suoi bronci e malumori, perfino la piccola Holly che era finalmente diventata abbastanza grande da chiederle consiglio su quale vestito far indossare alla sua Barbie del cuore.

"E allora scusami ma non ti capisco, Nancs..." aveva scosso la testa Jonathan con il suo tipico sorriso, quello del "ci-penso-io-tu-non-ti-preoccupare" Byers, quello che l'aveva fatta innamorare di lui ormai due anni prima, in grado di trasmetterle sempre la stessa sensazione di pace e di protezione.
E la maggiore dei Wheeler non aveva potuto trattenersi dal sorridere a sua volta, davanti a quel sorriso, nemmeno in quell'occasione.

"Io andrò alla NYU, Barb a Yales, tu frequenterai ad Harvard dal prossimo autunno..."
"Se mi ammetteranno, vuoi dire..."
"Ti ammetteranno, Nancy!" aveva ribattuto Jonathan con un altro sorriso, ponendo fine alla questione.
"Non conosco nessuno di più qualificato di te per quel posto...E con un po' di fortuna perfino Steve troverà un collage che lo accetti!"

"Non è questo il punto..." aveva scosso la testa la ragazza con decisione, passando le dita tra i suoi ricci e portandoli all'indietro, una prerogativa dei fratelli Wheeler quando colti dall'ansia o da una preoccupazione.

Ed era fin troppo difficile da ammettere per lei, ma sapeva bene che, invece, era proprio quello il punto.
Quell'altro punto.

In fondo sarebbe stato proprio così, non vi sarebbe stato alcun minimo dubbio: il suo fratellino sarebbe stato quello che gli sarebbe mancato più di qualunque altra cosa, più di tutto.

"Che cosa ti preoccupa, Nancy?" aveva domandato il giovane Byers ancora una volta, allungando una mano attraverso il tavolo di plastica liscia fino a raggiungere la sua.
E Nancy aveva trattenuto un sospiro, stringendo a sua volta le dita nelle sue.

"Avrei solo voluto avere più tempo per...per stare con lui" Jonathan l'aveva finalmente sentita ammettere con voce sottile e rotta, quasi paurosa di ammetterlo a sé stessa e di dirlo ad alta voce.
In fondo la sua ragazza e suo fratello non avevano mai avuto il rapporto fraterno migliore del mondo, ma chi meglio di lui avrebbe mai potuto capirla?

Anche lui aveva uno scricciolo di appena 15 anni dagli occhi verdi vispi come i suoi che gli sarebbe mancato da morire, di lì al prossimo autunno.
"Avrei solo voluto avere più tempo per stare con lui, Jonathan"

"I want to ride my...
BICICLES!
BICICLES!
BICICLES!!!!"

Sospirò forte la maggiore di casa Wheeler, scagliando letteralmente la sua matita conto i suoi fogli pieni di scritte e numeri, chiudendo gli occhi per racimolare un ultimo briciolo di calma e concentrazione.

Si, il suo piccolo ma ormai cresciuto fratellino sarebbe stato quello a mancargli di più di tutti, complice una certa forma di nostalgia per quegli anni spesi in stupidi ed inutili litigi e il materno senso di colpa nell'abbandonarlo proprio nel bel mezzo della sua adolescenza. Proprio nel momento in cui avrebbe avuto, a suo dire, più bisogno di lei e del suo prezioso aiuto.

Come se Mike si fosse mai mostrato minimamente interessato ai suoi consigli, ma questo era un altro discorso...

In quell'ultimo anno lo aveva visto crescere come mai prima di allora: nell'arco di quegli ultimi mesi di scuola l'aveva visto più entusiasta, più maturo, a tratti perfino più attento a cosa sceglieva di mettersi addosso al mattino, invece che tirarsi addosso, come sempre, il primo orribile ed infeltrito maglione a strisce.

Ma, cosa più importante di tutte, l'aveva visto, finalmente, veramente, veramente felice.
Tutto quello che una sorella maggiore avrebbe mai potuto volere per il fratello minore.

Certo, complice, senza ombra di dubbio, una piccola ragazzina che da mesi gli girava attorno, così carina e dal così dolce sorriso che Nancy non avrebbe mai potuto desiderare nulla di meglio per lui.

E stava davvero per lasciarlo tutto solo, di lì ai pochi mesi futuri?
Stava davvero per lasciarlo sopravvivere solo contro mamma, papà, senza possibilità di coprire ancora le sue scappatelle notturne, quale ritardo giustificato, senza infilare di nascosto nuovi pacchi di preservativi (casomai ne avesse avuto bisogno...) nel cassetto più basso della sua scrivania, ovviamente, a sua insaputa?

"...BICICLES! BICICLES! BICICLES!!!"

"Mi mancherai più di quanto tu possa mai immaginare, piccolo scricciolo..." sorrise a se stessa Nancy Wheeler seduta nella luce fioca della sua scrivania, chiedendo gli occhi e portando d'istinto le mani sulle orecchie appena un secondo dopo quelle parole, udendo il volume dello stereo al di là della porta crescere ancora ed ancora di volume, facendo tremare la porta della sua camera chiusa.

"Ma finché sarò qui a condividere ancora il tuo tetto, non intendo cambiare registro..." la giovane donna scostò con poca grazia ed eleganza la sedia della sua scrivania , procedendo a passi veloci lungo il suo tappeto, aprendo come una furia la porta della sua camera da letto e prendendo un ultimo, profondo respiro:

"Finché non me ne sarò andata via di qui non ci sperare troppo, fratellino...intendo restare, almeno ancora per un po', il tuo unico e solo incubo peggiore"

"I WANT TO RIDE MY..."
"MICHAEL WHELEER!!!!!" urlò con quanto fiato aveva in gola Nancy sull'uscio della porta della camera del fratello sul corridoio, al di là della quale, anche con poca immaginazione, si sarebbe potuto dire che suo fratello stesse ospitando quella sera un concerto rock in piena regola.
Percussioni incluse.

"BICICLES! BICICLES! BICICLES!!"
"Abbassa quella dannata radio, Mike! Adesso!!!" ribatté più forte la maggiore di casa Wheeler, battendo con forza contro la porta di legno bianco identica alla sua.
"Tanto lo so che mi stai sentendo, cretino! Abbassa subito quel coso, immediatamente, ora!!!

"Scusa?!" la voce di Mike fece capolino sopra il suono della musica, leggermente ironica e beffarda, in grado di far saltare i nervi alla ragazza ancora di più.
"Non ti ho sentita, Nancs, che cosa mi hai detto? Hai forse detto che ti piace da morire questo pezzo e mi stai pregando di alzare ancora di più il volume?"

"Michael Teodor Wheeler, abbassa subito quel...!" iniziò Nancy con voce calma ma acuta, ripetendo a se stessa che almeno un abitante sotto quel tetto avrebbe dovuto pur comportarsi da persona matura, e che a lei era capitato quell'ignobile ed ingrato compito.
Nella prossima vita avrebbe voluto rinascere Holly, questo poco ma sicuro.

"Mike, ascolta, te lo sto chiedendo per favore, abbassa il volume di quel cos..."

Ma quando ebbe udito le note provenienti dallo stereo farsi improvvisamente ancora più assordanti ed acute, Nancy esasperata spalancò quella dannata porta senza tanti altri complimenti, ritrovando davanti ai suoi occhi inferociti il viso calmo e furbetto del suo fratellino, seduto a gambe incrociate sul suo letto dalla trapunta blu: una mano sulla manopola del volume dello stereo e sul viso un impertinente sorrisetto sghembo.

"Non ho capito, Nancs...più forte?"
"Se ti prendo è la buona volta che ti faccio male, piccolo sgorbio che non sei altro!!!"

Mike alzò le braccia in difesa di fronte al viso, vedendo la sorella maggiore gettarsi in modo scomposto contro di lui sul suo letto, ridendo sotto la pioggia improvvisa delle sue dita sopra la sua maglietta, come da anni non succedeva più in quella cameretta.

Ma nonostante tutto il tempo trascorso, quella bastarda di sua sorella si ricordava ancora i punti dove lui soffriva di più il solletico.

"Ferma, stronza!! Ah-ah, ti prego basta! Pietà!"
"Questa la prendo io!!!" sorrise soddisfatta Nancy sfilando con dita abili la casetta da dentro lo stereo, approfittando del secondo di vantaggio dato dal fratello intento a riprendere fiato sotto di sé.
E Mike avrebbe tanto voluto protestare, ma era più intento a non farsi venire un infarto in quel momento.

"Requisita finché non imparerai a tenere quel coso ad un volume decente!"
"Ridammela, stronza! Quella no, ti prego!!!" protestò Mike scuotendo i ricci neri dalla fronte, non appena fu di nuovo in grado di riprendere fiato e mettersi a sedere diritto, vedendo sua sorella procedere ad ampi passi verso la sua porta.

"Quella è importante, ti prego!! Me l'ha data Will ed è dell'ultimo concerto dei...!"
"Ah scusami tanto, fratellino!!!" rise ironica Nancy con sguardo fintamente in colpa:
"Se è una casetta del tuo prezioso gruppo allora te la restituisco subito! Trapanarmi pure i timpani mentre cerco di finire i miei dannati compiti, Mike, fai pure!!"

"È sabato pomeriggio, Nancy..." alzò gli occhi al cielo Mike portando le mani dietro la schiena sul materasso e lanciando alla sorella uno sguardo torvo.
"Anche il sabato pomeriggio devi rompere? Hai già il massimo dei voti in tutte le materie, cosa altro vuoi ottenere nello stare tappata in casa sui libri tutto il giorno?"

"Ci sarebbe una certa chiamata diploma..." scandí le lettere dell'ultima parola la maggiore, vedendo il fratello sbuffare fingendo di tagliarsi le vene del polso.
"Ma non mi stupisce che non ne avessi mai sentito parlare, Mike...in fondo questa è davvero roba da adulti!"

"Ridammela, dai!" mosse la testa Mike in direzione della sua cassetta, vedendo la sorella lanciargliela al volo fin lì sul suo letto.
"Com'è già che si chiama il gruppo tuo e di Will? King o Prince..."
"...Queen!" scosse la testa Mike senza speranze, rigirando la casetta nella mani per controllare con ci fosse nessun graffio.

"È la registrazione del loro ultimo tour, queste sono le loro ultime date..."
"Imperdibile, davvero, Mike..."
"Stronza." commentò Mike di tutta risposta, appoggiando la cassetta ripulita sul suo comodino ed ammirandola per un secondo come una reliquia.
"Già non potrò mai vederli dal vivo in un concerto dopo la fine di questo tour, concedimi almeno di sognare!"
"E chi ti impedisce di andare ad un dei loro ultimi concerti, Mike?"

"Mi ci vuoi accompagnare tu?" Nancy lo vide alzare un sopracciglio nella sua direzione, facendola impallidire al solo pensiero.

Forse era proprio quello che una sorella maggiore esemplare avrebbe dovuto fare per il suo fratellino minore, prima di partire per il collage, per colmare almeno in parte quel suo illogico ed irrazionale senso di colpa di quegli ultimi giorni.
In fondo anche Will e Jonathan avrebbero potuto andarci con loro: chissà se erano ancora disponibili alcuni biglietti al botteghino giù al Mall...

"Ah, già che sei venuta qui a rompere, Nancs..." la voce di suo fratello fece sbattere le lunghe ciglia alla giovane, risvegliandosi da quella sua assurda visione.
In fondo non sarebbe stato con lei che Mike avrebbe voluto andare a quel concerto dopotutto...
Eppure...davvero non ci sarebbe stato proprio nient'altro che lei avrebbe potuto fare per lui?

"Tra pochi giorni è il suo compleanno...di, di El" mormorrò Mike con una punta di porpora dietro le sue lentiggini, sotto lo sguardo di sua sorella maggiore improvvisamente più interrogativo e stupito.
"È il compleanno di El?"
"Si! Tra 3 giorni..."
"Fantastico! Quindi siete tornati di nuovo insieme?"

"Fatti gli affaracci tuoi, Nancs!!!" lo udí ribattere con tono di rimprovero, facendole sfuggire dalla mente in un attimo ogni inizio di buon proposito: eccolo lì il solito marmocchietto impertinente al quale avrebbe tanto volentieri voluto strappare ad uno ad uno quei ricci neri dalla testa a mani nude...

"Sei tu che me ne stai parlando, Mike..."
"Si, ma solo perché non so a chi altro chiedere consiglio: questo non significa che ti do il permesso di mettere il naso tra le mie cose!"
"Ad ogni buon conto..." sospirò la ragazza, incrociando le braccia sopra il ricamo della sua camicetta rosa.
"Che cosa le hai preso per regalo, Mike?"

"È proprio questo il punto..." mormorò il ricciolino con aria colpevole, giocherellando ansioso con una cucitura del piumino sotto di lui.
"Non ho la minima idea di che cosa prenderle, tabula rasa...non starei qui a chiedere a te se avessi anche solo una minima idea di cosa potrebbe farle piacere..."

"Perché non chiedi alla tua amica dai capelli rossi?" suggerí Nancy con un'alzata di spalle, venendo colta improvvisamente da una ben più chiara e geniale soluzione.
Ma era...era geniale, davvero, assolutamente geniale!!

In fondo, quale altra sua idea non lo era sempre stata, d'altronde...
Forse un po' folle, di certo un'avventura...
Ma chi meglio di lei avrebbe mai potuto aiutarlo in quell'occasione?

Il suo fratellino aveva bisogno di lei.
E lei non si sarebbe fatta trovare impreparata per lui.
Non quell'ultima volta.

"Chiedere consiglio a Max?!" ribatté Mike con aria inorridita, ignaro della mente diabolica di sua sorella già all'opera di fronte ai suoi occhi.
E il sorrisetto furbo ed astuto spuntato in un istante sulle sue labbra di fronte a lui, Mike non credeva di averlo mai visto prima indosso a sua sorella, parola sua.

Cosa stava tramando quella stronza?
Forse chiedere aiuto proprio a lei non era stata la sua idea migliore...

"Piuttosto che chiedere consiglio a Max preferirei chiedere altre mille volte a te...Nancs, ma perché mi stai guardando in quel modo?"
"Nulla, nulla, scusami!" scosse la testa Nancy con un ultimo sorrisetto innocente ma furbo, girando i tacchi e voltandosi di spalle verso il corridoio, non badando al fratellino ancora seduto sul suo letto con sguardo confuso.

"Devo andare ora, Mike! I miei compiti mi aspettano!"
"Ma il mio consiglio? Il regalo per El? Cosa dovrei fare, Nancy, aiutami!!!"
"Non ti preoccupare, Mike, ci penso io!" strillò la maggiore in direzione del corridoio, sbattendo la porta di camera sua e precipitandosi di corsa sulla cornetta del suo telefono sul suo comodino, componendo il numero senza stare a pensarci nemmeno un secondo di più.

Se quell'idea non le avesse fatto vincere il premio come sorella dell'anno, anzi, meglio ancora, del secolo, non sapeva che altro avrebbe potuto inventarsi in tutta la sua intera esistenza.
Mike lo avrebbe adorato, sarebbe stato davvero felice.
E lei, lei avrebbe potuto sul serio fare la differenza per aiutarlo, almeno un'ultima volta nella sua vita di adolescente innamorato.

Il telefono non squillò neppure per un secondo, prima che dall'altro lato della linea una voce ben nota rispondesse con tono gentile:
"Salve! Joe's Pizza,in cosa posso esserle utile?"

"Jonathan!" sorrise Nancy alla cornetta, sorridendo alla foto sul suo comodino ritraente lei e Mike a 10 e 15 anni rispettivamente, sorridenti ed in ospedale, con il fagottino della piccola Holly in braccio, nel giorno della nascita della loro piccola sorellina.

Quanto tempo era passato, quanto erano diventati grandi insieme, ma come erano cresciuti così velocemente?

"...Jonathan, sono io! Nancy!
Ho urgente bisogno del tuo aiuto"

*

Quel sorriso di sole le era morto sulle labbra di lì a pochi secondi dopo, non appena le sue gambe sottili avevano percorso quegli ultimi metri rimasti liberi del parcheggio vuoto, un'ultima occhiata carica di tristezza in alto verso il cielo azzurro, quasi come l'ultimo desiderio di un condannato a morte: che tutto fosse rapido, veloce ed indolore.

"Bentornato capo!" li aveva accolti il dottor Owens con il suo solito sorriso cordiale, ottenendo da quest'ultimo di tutta risposta uno sbuffo ed una mano stretta intorno alla spalla della sua piccolina, in segno di protezione.
Ma il dottore dai corti ricci brizzolati non era certo mai stato uomo da offendersi per quel tipo di cose, specie dopo anni dello stesso medesimo, immutato copione.

"Sempre di buon umore, ovviamente...e buon pomeriggio a te, Eleven!" il piccolo fiorellino aveva deglutito in silenzio abbassando lo sguardo fino ai suoi piedi, un'ultima stretta del suo papà ed una piccola silenziosa carezza tra i suoi ricci.

"Andrà tutto bene, vedrai..." le prometteva il suo papà adottivo ogni volta, varcando la soglia di quelle mura dell'orrore.
Ma tutto bene, ormai ne erano consapevoli entrambi, non andava a finire davvero mai.
Non lì dentro.
Non per lei per lo meno.

"Un bel respiro.." l'aveva invitata il dottore dai profondi occhi azzurri gentili, infilandole negli accessi venosi delle sue braccia i medesimi cateteri, aghi ed elettrodi, vedendola tremare in un sussulto, uno di troppo rispetto al solito quel pomeriggio.

Come aveva potuto non pensarci prima?
Un pensiero aveva attraversato la mente di El all'interno dello stanzino di preparazione, vedendo i dottori muoversi incuranti attorno a lei e al suo piccolo corpicino nudo, quasi ormai non la vedessero neppure.

Il suo costume grigio color perla sarebbe stato fin troppo spesso per lasciar trasparire neppure il più piccolo segno al di sotto sulla sua pelle, ma era davvero così sicura che nessuno si sarebbe accorto di niente?
E che nessuno avrebbe fatto la spia, una volta immersa in quella vasca già pronta per lei nell'altra stanza?
Che nessuno avrebbe detto o chiesto nulla...al suo papà incurante di tutto?

"Ma cosa c'è qui...?" aveva udito il dottor Owens esclamare a bassa voce come nel suo peggior timore, scoprendo la pelle del suo petto al di sotto del suo costume, con in mano ancora l'ultimo elettrodo da dover collocare proprio lì, sulla punta del suo cuore.

E quel piccolo fiore aveva trattenuto il respiro per un secondo, scrutando il volto di quel dottore e vedendolo osservare a sua volta quel fazzoletto della sua pelle macchiato di inchiostro nero scuro.
"Promesso" aveva visto le sue labbra muoversi per un istante, facendola tremare ancora più forte sul posto.
Ma quando, di lì ad un istante dopo, le labbra di quel dottore si erano aperte in un dolce piccolo sorriso, quasi di tenerezza, El si era ritrovata a sorridere timidamente a sua volta.

"Tranquilla, non dirò niente..." lo aveva sentito sussurrarle all'orecchio in un accenno appena percepibile, facendole tirare un sospiro di sollievo e muta riconoscenza per quell'unico uomo sempre mostratosi gentile nei suoi confronti.
"Non farò la spia" aveva concluso il dottor Owens ponendo l'ultimo elettrodo sulla due pelle e risistemando al suo posto il lembo di tessuto, lanciandole un ultimo sguardo di protezione.
"Sarà il nostro piccolo segreto, bambina...promesso"

"Siamo pronti a procedere"
"Chiudete il bocchettone!"

"Vai, El, trovalo" erano state le ultime parole che la piccola aveva udito come ordine, appoggiando una mano sulla superficie di vetro della vasca alta e stretta, come per raggiungere di fronte a sé il suo papà intento ad annuirle come per infonderle ancora coraggio e conforto.

"Andrà tutto bene, kiddo, tutto tutto bene...sarà finito prima che tu te ne accorga..."
Ma l'unica voce che El era in grado di udire era ormai solo più quella fredda e cattiva del dottor Brenner nella sua mente: nelle orecchie, nella sua testa, intorno a lei, ad avvolgerla completamente come un mantello di tenebre e di freddo.
"Trovalo, El, trovalo e portalo da me"

"...perché?" avrebbe quasi voluto domandare quella piccolina, sentendo le sue palpebre vibrare di paura, le lacrime già a mescolarsi all'acqua salata e satura tutt'intorno.

Perché proprio lui?
Perché proprio lei?
Perché quel mostro era tanto importante e perché solo lei poteva raggiungerlo?

Ma in un secondo nessuna domanda aveva più importanza, così come nessuna possibile risposta.

In un secondo tutto era ritornato di nuovo nero, freddo, morto.
Vuoto.

"Continua a far battere il tuo cuore, El..."

"Lo senti?" aveva sussurrato El con una punta di stupore, vedendo gli occhi innamorati del suo ricciolino raggiungere immediatamente i suoi, cercando di decifrare la sua espressione.
"Che cosa?"
"Il mio cuore!" aveva semplicemente risposto El con un sorriso, prendendo la mano di Mike nella sua e portandola più in alto sopra il suo petto, sopra il suo cuore, nel basement semi buio illuminato solo dalle lucine di natale del piccolo fortino sopra di loro.
"Sembra che mi stia per uscire dal petto, Mike"
"Dovresti sentire il mio quanto sta battendo forte in questo momento, El!"

"Concentrati El, concentrarti...continua a far battere il tuo cuore"
"...Mike"

Era fredda la superficie di quel lago nero ghiacciato sotto i suoi piedi: nero, freddo, vasto ed infinito, esattamente come tutte le altre sere.
Ma quella volta El non procedeva a tentoni nel buio, no.
Quelle volta i suoi piedi non tentennavano ad ogni passo con la paura di cadere nel vuoto.
No.

Quella volta El correva.
Correva gridando con quanto fiato aveva in gola.
Correva fino a sentire il cuore esploderle nelle orecchie, correva fino ad aver male alle gambe, calore lungo le braccia, sudore freddo a colarle lungo la fronte.
Correva pur rimanendo immobile, sospesa, gelata all'interno di quella vasca e sul punto di svenire in quel luogo desolato freddo e vuoto.
Quel luogo dove, per quanto tempo avesse già trascorso dentro quel mondo, nemmeno una volta aveva una via d'uscita, una luce, un piccolo bagliore.

"Che cosa vuoi da me?" urlava la piccola singhiozzando nel buio, sentendo le lacrime scorrere lungo le sue guance e confondersi con le acque scure sotto di sé a macchiarle la pelle di pece.

Era profondo quel buio, profonda quella superficie, ma non abbastanza da potercisi truffare, annegare, morire.
Perché per quanti sforzi lei potesse fare ogni volta lí dentro, per quanto veloce lei potesse correre, quanto forte gridare, non sarebbe stata mai lei a riuscire a trovare lui, mai lei a porre fine a tutto quell'incubo sempre nuovo e mai mutato, ogni singolo pomeriggio.

Perché se lei lo avesse trovato, lo avesse liberato e reso a loro, come loro le continuavano chiedere come ordine, una volta per tutte, sarebbe forse stata la fine tutto, la fine di tutta quella storia?
Ma El non poteva, non vi riusciva, non sapeva nemmeno da dove cominciare.

Perché per quanto lei lo potesse cercare, era sempre e solo quel mostro a trovare lei, lui a palesarsi alla sua vista balzando fuori da quel buio.

Forse era lei ad essere ancora troppo debole, forse non sarebbe stata mai sufficientemente forte?

"Solo tu puoi farlo, Eleven, solo tu sei abbastanza forte" rispose la voce del dottor Brenner nella sua mente, quasi come avesse potuto sentirla nell'urlo silenzioso della sua mente, facendola sobbalzare di paura nel vuoto.
"I tuoi poteri si stanno facendo più forti, lo vedi? Tra poco, molto poco sarai davvero pronta"

Ma non c'era dolcezza né amore in quel suo incoraggiamento, quasi una qualche forma cattiva soddisfazione nel vederla piangere, correre, disperarsi in quel buio non sapendo come muoversi ed in quale direzione.

"Basta, per favore!" urlò El portando le sue mani sulle orecchie, sentendo i battiti del suo cuore rallentare, le sue forze abbandonarla, una voce più lontana e più concreta ordinare a gran voce:
"Altra adrenalina, ora!"

"Per...per favore" sussurrò El sentendo il suo corpo scosso dagli spasmi, il suo cuore riprendere immediatamente a battere più forte, il sangue tornare a battere più deciso in circolo trasmettendole calore.

Ma a che cosa sarebbe servito?
Quanto tempo ancora avrebbe dovuto restare incastrata lì?
Quanta ancora paura avrebbe dovuto sentire?
Quanto freddo avrebbe dovuto ancora respirare?

"Hai freddo?"
"No..." aveva scosso la testa El sorridendo, la guancia calda appoggiata al petto nudo del suo ricciolino, in mezzo a quel fortino di cuscini e di coperte, scorrendo con il dito e creando linee tra i puntini più scuri di mille piccole lentiggini lungo il suo petto.
E le braccia calde e forti del suo ricciolino attorno alle le spalle, alla sua vita, a stringerla con amore e protezione ancora più vicina a sé.
Nessuno dei due avrebbe avuto più freddo quella notte.
Non finché si sarebbero stretti così vicini, ed ancora di più.
"Nemmeno io, El...non più"

Dove era Mike in quel momento?
Dove erano le sue braccia a stringerla, il suo calore a proteggerla?
E perché El ancora si trovava lì bloccata in quel luogo freddo, senza che lui lo sapesse nemmeno, senza che lui mai potesse venirla a salvare fin lì?

"Dove sei?!" urlò El con quanto fiato le restava ancora in gola, guardandosi attorno con occhi pieni di lacrime in cerca di lui, del mostro che tanto aveva temuto di incontrare in passato e che ora era il solo a poterla salvare e trascinare via da lì, da quel buio e da quel vuoto.

Che lo trovassero, che vincessero loro.
Che avessero finalmente ciò che volevano e che la lasciassero finalmente libera da tutto quell'incubo.

"Trovalo Eleven"
"Dove sei?!"
"Trovalo, portalo da me"
"Dove sei, ti prego! Fatti vedere da me!"

E come un miracolo in quel luogo vuoto e freddo, un ruggito squarciò improvvisamente il silenzio sopra di lei.

"Eccolo!!!" urlò El balzando sul posto, muovendo gli occhi disperati intorno a sé.
"L'avete trovato, è qui! Ora, vi supplico, fatemi uscire da qui!"

Ma una risata cattiva fu tutto quello che El ottenne come risposta, seguito da un ruggito ancora più feroce, ancora più vicino.
Troppo, troppo vicino.
Dietro di lei.

Ed El trattenne il fiato girandosi lentamente di spalle e chiudendo gli occhi, ma già sapendo cosa vi avrebbe trovato.
Ed il mostro, proprio come lo aveva sempre immaginato, come lo aveva sempre visto solo al di dietro di quella parete sottile ed impenetrabile, quella che li aveva sempre divisi proteggendola da quell'essere mostruoso
Quella creatura dalla pelle liscia e nera e dalla faccia di zanne aperte in una bocca mostruosa, lo stesso mostro che ora era lì, di fronte a lei, immobile ed in piedi, alto come tre uomini e con delle braccia lunghe e sottili, al termine del quale altri artigli e squame brillavano nel buio davanti ai suoi occhi.

Ed El tentò di urlare ancora una volta quella sera, ma la voce le era sfuggita del tutto dalla gola.

I suoi piedi erano immobili, congelati, incapaci di accettare i comandi della sua mente, incapaci di sfuggire il più velocemente possibile, di correre via da lì.
Nemmeno le sue mani la stavano più a sentire, congelate ed incapaci di coprire i suoi occhi e di proteggerla da quella vista.

El avrebbe voluto soltanto scappare in quel momento, urlare e correre via da lì, ma non ci riusciva.
C'era qualcosa che la stava bloccando quella sera, nel vuoto e di fronte a quel mostro, quasi una calamita a trattenerla ancorata a lui.

Ed una voce nella sua testa, una voce mai udita prima.
Non erano le sue urla, non erano nemmeno le voci del suo papà, del dottor Owens, nemmeno di Mike, nemmeno gli ordini del dottor Brenner nella sua mente.

Erano delle urla sì, delle urla spaventate, supplichevoli, strazianti, urla mescolate a dei singhiozzi, così simili, troppo simili ad i suoi.

Una voce umana, infantile.
Quasi quella di un uomo, anzi, per meglio dire, quasi quelli di un... bambino?

E non proveniva dalle pieghe della sua mente.
No.
Non proveniva nemmeno da un altro luogo remoto.
No.
Proveniva dal mostro che ora El vedeva chiaramente, per la prima volta, di fronte a sé.

"Aiutami...ti prego, aiutami"

"Che cosa vuoi tu da me?!" pianse El congelata sul posto, attendendo che il mostro attaccasse quella sera, senza che lei potesse difendersi nemmeno quella volta, nemmeno con i suoi poteri ora più forti.

Ma il mostro non attaccò, non ruggí.
Soltanto quella voce nella sua testa, sempre più chiara, sempre più precisa, sconosciuta ma viva continuando a chiamarla per nome, ancora ed ancora, come una litania.

"Aiutami, Eleven, aiutami..."

"Che cosa vuoi tu da me?!"

"Ti hanno preso, Eleven, come hanno preso anche me"

"No..."

"Tu sei mia, Eleven, non puoi più nasconderti a me..."

"No..."

"Tu...tu sei già come me"

"...No!!!"

*

"Ed ecco a voi, pubblico in studio, il nostro fortunato vincitore!" squittiva la tv rimasta accesa nel piccolo salotto, trasmettendo una qualche puntata registrata di un quiz serale che nessuno ormai seguiva più.

"Montepremi da 50.000$, un bell'applauso amici che ci state seguendo da casa, fateci sentire il vostro calore!"
Ma nessuno, quella sera, nella piccola cabin di legno in mezzo al bosco stava applaudendo più.

Il silenzio al di là delle pareti di legno era irreale quella sera di inizio marzo, così profonda la pace da essere turbata solo da un venticello leggero ed ancora freddo a scuotere le cime degli alti pini, il verso in lontananza di qualche solitario gufo, il cantare lieve delle prime coraggiose cicale.

Sarebbe stata la serata perfetta per fermarsi a pensare, a respirare, a riprendere fiato e forze dopo una lunga e pesante settimana di lavoro, a condividere pensieri, speranze, riflessioni, seduti sulla veranda da cui, alzando ben in alto gli occhi al cielo, non sarebbe poi stato così difficile intravedere tra le nuvole le prime stelle luminose.

Sarebbe stata la serata perfetta per respirare l'aria di primavera a pieni polmoni, carica di promesse di future gioie, sorrisi, di future storie d'amore.

E allora perché, in quella piccola cabin in mezzo al bosco, più che di speranza e di sogni, quel silenzio denso pareva piuttosto carico di paura, di freddo, di terrore?

Espirò una boccata di fumo il capo della polizia, gettando il suo fidato cappello sulla poltrona e chinandosi a spegnere quella dannata tv, direttamente dalla spina, lasciando che il silenzio piombasse su di lui in modo definitivo e profondo.

Che senso avrebbe avuto riempire l'aria di inutili parole, se erano i pensieri nella sua mente a stare già gridando più forte, a gran voce?
Quel senso di impotenza, di terrore, di panico, quello che già aveva imparato a riconoscere come un vecchio amico da anni or sono, senza mai riuscire ad abituarsi del tutto alla sua presenza, mai fino in fondo?

Tossí fumo e tristezza il capo Hopper, spegnendo il resto della sua sigaretta direttamente nel lavandino colmo di piatti vuoti, non che nessuno dei due abitanti di quella cabin avessero avuto poi molta voglia di cenare nell'ultima mezz'ora.

Quanto appena poche ore dentro quello stupido laboratorio erano sempre di più in grado di annullare ogni felice giornata di sole?
Quanto ancora avrebbe dovuto durare?
Quanto ancora avrebbe dovuto aspettare?
Quanti pomeriggi ancora avrebbe dovuto portarla lui stesso fuori da lì, in braccio e senza forze, quasi al pari di quel magro e piccolo fagottino che anni prima gli avevano consegnato semi-svenuto?

Quanto ancora avrebbe potuto mentirle dicendole che sarebbe andato tutto bene, se ormai lo sapeva anche lui che non sarebbe stato così, se tanto ormai anche lui lo sapeva che sarebbe stata sempre e solo un'ennesima bugia?

"Ehi..." sospirò il capo chiudendo la porta dietro di sé, strizzando gli occhi per ritrovare la sua piccola figura nel buio, vedendola muoversi appena avvolta nella sua coperta, seduta a gambe strette al petto sul suo dondolo, una tazza ormai fredda attorno alle sue dita pallide quanto il suo volto ed un paio di occhi puntati fissi di fronte a sé nel nulla, nel vuoto.

E il cuore di Hopper si strinse ancora una volta a quella vista, un'altra volta ancora.

Dove era finito il sorriso della sua piccolina, quello di appena poche ore prima, la sua gioia per quella bella mattinata di sole, la spensieratezza che le colorava le gote?

"Kiddo..." sussurrò Hopper prendendo posto vicino a lei sul dondolo, vedendola deglutire senza muoversi di un centimetro, quasi non si fosse accorta neppure che lui fosse lì.
"L'hai bevuto tutto?" chiese allungando la mano sulla tazza ancora stretta tra le sue dita, piena per metà ma ormai fredda, sfilandola dalle sue mani e vedendola solo in quell'istante voltarsi confusa verso di lui.

"Mi...mi hai spaventato" la udí balbettare con sguardo confuso, vedendola stringersi nella sua coperta e facendolo sospirare di più.
"Non ti avevo sentito arrivare, papà, scusami..."

"Come ti senti?" domandò Hopper guardandola fissa, tentando di interpretare la sua espressione.
"Bene...meglio" annuí la piccola sforzandosi di sorridere.
Non sarebbe stata nemmeno quella la sera nella quale El Hopper avrebbe finalmente ammesso di non stare bene, di non stare bene per niente, da tempo.

"Ho solo...solo più un leggero mal di testa..."
"Non devi mentire proprio a me, El..." scosse la testa Hopper con un sospiro, vedendola ammutolire senza osare replicare.
Non quella sera.
"Mentire è da stupidi e noi..."

"...noi non siamo stupidi" completò ubbidiente El, annuendo e tornando con lo sguardo fisso alla radura vuota al di là della veranda di fronte a loro.
"Scusami, papà"

"Non devi chiedermi scusa" scosse la testa Hopper avvicinandosi al suo fagottino, portandole una mano sulla spalla e lanciandole un bacio tra i ricci sulla fronte: il modo più delicato per accertarsi che non stesse ancora tremando dal freddo o dalla febbre.

"Non vuoi ancora raccontarmi cosa è successo prima?" continuò in punta di piedi, lanciandole un'occhiata di sottecchi e vedendola trattenere il fiato attraverso le sue labbra secche e livide, viola.
Hopper avrebbe potuto anche giurarlo a chiunque: non l'aveva mai vista uscire da quella vasca infernale nello stato un cui vi era uscita quella sera.

"No, no, NOOO!!!" continuava a dimenarsi come impazzita, muovendo le braccia e le gambe contro quelle dei dottori intenti ad estrarla poche ore prima dall'acqua, gli occhi spalancati, opachi e lividi, quasi li stesse osservando ma non li vedesse, come se la sua mente non fosse tornata indietro con lei ma fosse invece ancora lì, nel vuoto.

"Lasciami andare, ti prego! Vai via da qui!!!"
"El, El! Piccola sono io!" continuava a ripetere papà Hopper tenendole la mano stretta nella sua, vedendola scossa da mille fremiti lungo le braccia, le gambe, il petto, guardandola con occhi lucidi ed impotenti, mai stati più preoccupati di così.

Doveva svegliarsi, doveva farlo immediatamente, doveva tornare alla realtà, dovevano riportarla indietro da lì.
"No, no, non voglio! Ti prego, lasciami andare, no!!!"
"El, ti prego svegliati! EL! Kiddo, sono qui, apri gli occhi!"
"Noo!"

"L'ho rivisto..." sussurrò El con un filo di voce, interrompendo quella sfilza infernale di ricordi,
"L'ho rivisto prima, il mostro...lì, nel vuoto"
"Era quello che volevano, no?" domandò Hopper guardandola fissa, vedendo i suoi occhi rimanere fissi di fronte a lei, persi lungo gli alberi fitti attorno alla radura.
"Ti era già capitato di vederlo no, El? Allora perché...?"

"No, questa volta è stato diverso..." scosse la testa El, chiudendo gli occhi per un secondo e deglutendo con fatica,
"Perché?" chiese solo il capo con sguardo fisso, vedendo le mani della sua piccola tremare ancora in un piccolo spasmo di paura.
"Questa volta lui...lui mi ha parlato. Ha parlato con me, papà"

"Come?!" domandò confuso Hopper aggrottando la fronte, vedendola scuotere la testa nel buio.
"Non lo so, papà, non lo so...non era mai successo prima, non avevo mai udito sul serio la sua voce..."
"Ma era come...?"
"Come se fosse stata nella mia testa, come se riuscissi a sentirla anche ora..." singhiozzò El portando le mani sulle sue orecchie, immediatamente raggiunta dalle braccia forti di papà Hopper a stringerla forte.

"Come se potesse raggiungermi ancora, papà, anche qui, anche ora..."
"È passato, El, è finita...non ha il potere di raggiungerti fuori dal vuoto, non fino a qui"

Per ora.

"Era come se lui mi stesse chiedendo aiuto..." mormorò ancora la piccola, stringendosi debolmente nelle braccia del suo papà e tremando ancora per un secondo.
"Come se lui volesse che lo aiutassi, papà, come se lui volesse che io facessi qualcosa per lui"

"Che intendi dire?" domandò la voce di Hopper improvvisamente più confusa,
"Cosa potresti mai fare tu per lui, El?"
"Lui mi ha detto...che sarei diventa anche io come lui" concluse El con un filo di voce, talmente flebile che per un attimo Hopper si chiese se avesse compreso appieno il significato di quelle orribili parole.

E per un secondo, fu il capo quello a tremare di paura in quella veranda al buio.
No, non era vero.
Non era possibile.
Non sarebbe mai potuto cadere, non con lui.
Non finché ci fosse stato lui.

"Non pensare a tutto questo ora, El...non ha importanza" prese fiato Hopper scuotendo la testa, scogliendosi dal loro abbraccio e ripetendosi di essere forte in quel momento, almeno quanto lei, almeno per lei.
Doveva essere lui la sua roccia, non poteva farsi vincere dalla paura.
"Ora sei qui, El, sei al sicuro...e non potrà mai raggiungerti qui"

"Ho paura, papà..." la sentí sussurrare muovendo finalmente lo sguardo fino a lui, gli occhi rossi contornati da piccole occhiaie blu.
Così fragile e così piccola di fronte ai suoi occhi.
"Ho paura papà e non capisco...non voglio più tornare lì, non voglio più vederlo...non voglio diventare davvero come lui!"

"Non succederà, piccola, non succederà!" scosse la testa Hopper stringendola nuovamente forte, lasciandola appoggiare la sua fronte sul suo petto ampio e forte, e appoggiando a sua volta la punta del mento tra i suoi ricci color nocciola.
Lasciando che fosse lui a sostenere lei ancora una volta: la roccia, lo scudo.

E chi lo sarebbe stato a sua volta per lui?
Non era quello il momento per chiederselo.
Quello era il momento della sera nel quale continuare a credere che tutto i suoi sforzi di quegli ultimi 2 anni di vita sarebbe valsi pure a qualcosa.
Per quella piccolina, per la sua felicità.

Per la libertà in avvicinamento attraverso gli alberi del sentiero fino alla loro piccola radura, il rumore delle ruote lungo il selciato e i suoi acuti dei campanelli ad annunciare l'arrivo di 4 nerdini in sella alle rispettive bici.

"Woah, non ero mai arrivato in questa parte della città!"
"Ma sei sicuro che non abbiamo sbagliato completamente direzione, Wheeler?"
"Fidati, è di qui! Ci sono già stato altre volte, ragazzi!"
"Risparmiaci i dettagli, Mike..."
"Forza, ragazzi, muovetevi! O perderemo l'inizio della proiezione!"

"Non ti succederà nulla di male finché ci sarò io qui, kiddo, te lo prometto"

"El!" papà e figlia videro un piccolo nerdino dall'altro lato della radura alzare un braccio al cielo in segno di saluto, capelli ricci scomposti dalla corsa e dal vento ed un sorriso così felice sulle labbra che perfino il capo Hopper si ritrovò per un attimo a sorridere a sua volta.

"Il suo principe ed il suo nobile destriero la stanno attendendo, o mia principessa!"
"...papà..."
"A Wheeler conviene portarti via da me prima che mi ricordi dove ho lasciato il mio fucile da cecchino..."
"...papà!"

Rise El colpendogli scherzosamente il petto: la sua forza era quella di una piuma, ma almeno il suo viso aveva riacquistato un tono di colore.
"Te la senti di andare?" chiese ancora Hopper con sguardo premuroso, vedendola annuire alzandosi lentamente in piedi, come temendo di poter perdere l'equilibrio da un momento all'altro.

"Certo, papà! Starò benissimo!"
"El, fai..."
"...attenzione!" la vide continuare scendendo i gradini della veranda a passi svelti, attraversando la piccola radura di corsa, i riccioli nel vento, in direzione di un piccolo nerdino ora intento ad allungare la vista fino a lui con un sorriso sornione.

"Buona serata, capo Hopper! Ha visto che clima mite?"
"Riportamela a casa non appena finisce la proiezione, Wheeler, puntuale!" ribatté il capo con aria torva, tirando sú con il naso e vedendoli sparire nel vento, le sue parole a confondersi con le loro risate e gli ultimi cenni di saluti.

"Ma certo, capo, ha la mia parola!"
"L'ultimo che arriva alla cava è un troll di montagna rammollito!"
"Torno presto, papà, a dopo!"
"...ehi, un momento! Non avevo ancora detto via!!!"

"Bada a mia figlia, Mike..." si ritrovò a sussurrare Hopper rimasto da solo nel buio, non appena le voci del gruppo di ragazzini si furono fatte troppo lontane per poter distinguere le loro parole.
Ed il capo si lasciò ricadere a peso morto sul dondolo, in silenzio e da solo.
Ancora una volta solo.
"...fa che non le succeda nulla di brutto"

E in quella sera di inizio marzo in quella piccola radura, con l'ultimo vento freddo a sferzare con decisione le fronde, il capo della polizia di Hawkins si concesse finalmente di togliersi la maschera, di lasciarla cadere al suolo ai suoi piedi, insieme all'ultimo mozzicone di sigaretta.
Di smettere di essere un eroe, di concedersi di essere un uomo, di essere fragile, di avere paura.

Di piangere in silenzio, senza che nessuno potesse finalmente vederlo, tutto il suo dolore.

La paura di perderla, la paura di non aver saputo fare abbastanza, di non essere riuscito a proteggerla da tutti quegli uomini cattivi, da tutti i mostri di quel mondo che lui non aveva mai potuto vedere, se non attraverso l'orrore dipinto negli occhi della sua piccolina, ogni singolo pomeriggio, fin da quando ne aveva il ricordo.

La paura di fallire ancora una volta, di fallire un'altra volta anche con lei, come era stato con la sua piccola Sarah, ormai troppi anni prima.
Anche con lei era stato lui a non averla saputa difendere da un mostro cattivo, un mostro ugualmente terribile ed invincibile, un mostro che alla fine gliela aveva portata via.

Si era ripromesso che con quel piccolo fiorellino non sarebbe stato più così, che lei non avrebbero mai potuto portargliela via così.
Ma come fare quando l'orrore intorno sembra sovrastare e vincere su ogni altra cosa?
Come fare a sopravvivere alla paura, all'angoscia, al buio, all'impotenza, alla morte?

Lasciò che i suoi passi lo guidassero da soli attraverso il suo salotto silenzioso e vuoto, seguendo un istinto e non chiedendosi più se fosse giusto, sbagliato o inopportuno, quando la sua mano ebbe sollevato la cornetta nel telefono appeso al muro, già sapendo quale numero comporre.

In fondo c'era sempre stata una sola persona da chiamare in quelle situazioni, una sola in grado di essere per lui il salvagente in mezzo a tutto quel mare di angoscia.
Hopper non teneva più le domande, non temeva più nemmeno le risposte.
Aveva solo bisogno di qualcuno a cui supplicare un po' di calore, quasi fosse stato lui quel pomeriggio a riemergere da quella vasca di puro terrore.
Qualcuno che non aveva mai chiesto nulla di più se non di stargli accanto ogni qual volta lui ne avesse avuto il bisogno.

E non ebbe fatto in tempo ad accendersi neppure una sigaretta il capo Hopper quella sera, tenendo in bilico sulla spalla la cornetta ed udendo una voce amata e ben nota rispondere prontamente dall'altra parte della linea.

"Casa Byers, sono Joyce! Con chi parlo?"
"Joyce! Sono Jim!" sorrise Hopper alla cornetta, prendendo un profondo tiro di sigaretta, sapendo che quello sarebbe stato solo il primo di una lunga serie.
Ma, con un po' di fortuna, almeno non più da solo.

"...hai impegni per le prossime, diciamo...2 ore?"

*

Una bandiera a stelle e strisce sventolava sull'arco d'ingresso dello Starcourt Mall quella sera, ed El non aveva credeva di aver mai visto un parcheggio più gremito in tutta la sua vita.
Non che avesse potuto vantare un'assidua frequentazione di quel centro commerciale a dirla tutta, ad eccezione della mattinata di shopping con Joyce di ormai mesi e mesi prima, la serata al cinema del suo primo bacio con il suo paladino, il pomeriggio a pattinare sulla pista da ghiaccio con i suoi amici e le corse lungo i corridoi affollati con Max la sera prima della loro partenza per la gita sulla neve di inizio anno, ma la piccola Hopper era più che certa di non aver mai immaginato potessero esistere così tante macchine prima.

Non in una cittadina piccola come Hawkins per lo meno.
Non che lei fosse salita poi su molte altre se non sul furgone della polizia del suo papà adottivo.

"Per di qua!" li guidò Dustin a capo della fila, seguito dai nerdini in sella alle rispettive bici, con El sulle pedaline di Mike, come d'abitudine, varcando l'arco d'ingresso davanti allo sguardo ostile di una guardia posta al servizio d'ordine.

"Si paga il biglietto per assistere allo spettacolo, ragazzini!"
"Nessuna macchina? Nessun biglietto!" ribatté Max pedalando via, non attendendo una risposta alla sua impertinente provocazione.
"Non è questa la regola dei drive-in?"

"Film gratis sotto le stelle...e pure in prima fila!" gongolò il nerdino senza denti prendendo posto con gli amici nella striscia d'asfalto lasciata libera dalle macchine parcheggiate in file e file alle loro spalle, proprio davanti all'enorne schermo ancora spento a pochi metri dalle bici lasciate cadere intorno a loro.
"Provino a dirci che siamo degli sfigati, li sfido! Abbiamo guadagnato la postazione migliore di tutte, parola mia!"

"Non credo loro la pensino così..." commentò Mike muovendo lo sguardo indietro alle macchine parcheggiate alle loro spalle, su una delle quali, poco lontano, Troy, Lucy e gli altri loro amici erano intenti a fumare e a ridere a gran voce, seduti sulla carrozzeria tirata al lucido della loro auto dalla vernice color mattine.
La macchina di Steve, ovviamente.

"Lasciali perdere, Mike, sono degli idioti" rispose Lucas con una pacca sulla sua spalla, vedendo il ricciolino fremere digrignando i denti e stringendo i pugni.
Non aveva mai desiderato più che in quel momento di alzarsi in piedi e mettere a tacere quegli stronzi, magari tirando un bel pugno a quel bulletto e facendo andare di traverso a Lucy quell'odioso big-bubble rosa ciliegia.

Specie dopo l'ultimo incidente sul campo di atletica di pochi giorni prima: l'idea che Troy avesse anche solo potuto toccare il suo fiorellino con un dito era sufficiente per fargli ribollire il sangue nelle vene.
E per quella volta la storia si era concluso con un niente di fatto, ma dai sorrisetti cattivi e strafottenti con cui Troy aveva salutato lui ed il resto del party lungo il corridoio quella settimana, al suono di "ecco a voi gli sfigati!", Mike era quasi certo che quello stronzetto stesse solo cercando il momento opportuno per mettere a punto la sua vendetta.

E che non lo avesse già trovato era già stato qualcosa.
Mike non aveva più voglia di avere sempre paura di lui.

"Ti piace qui?" abbandonò i suoi malumori il giovane Wheeler, tornando con lo sguardo alla sola cosa importante in quel momento, alla piccola ragazzina seduta accanto a lui intenta a muovere lo sguardo da una parte all'altra intorno a loro, gli occhi spalancati e felici per lo spettacolo tutt'attorno.

Alle loro spalle, decine e decine di macchine parcheggiate in file ordinate, ragazzi di ogni età e diverse famiglie con i finestrini abbassati intenti a godersi la serata mite, alcuni perfino seduti sui cofani o sui tettucci delle loro automobili, intenti a ridere e a chiacchierare prima dell'inizio della proiezione.

Sentiva il suo cuore leggero, felice, come se le ore di quel pomeriggio non fossero mai esistite: gli capitava da sempre quando era vicino a Mike ed ai suoi amici, ma in quegli ultimi giorni ancora di più.
Come se il tempo passato lontano da lui non avesse fatto altro che rafforzare la sua convinzione: quel ricciolino dal sorriso dolce era davvero l'unica luce in grado di mettere a tacere, almeno per poche ore, tutte le sue paure ed i suoi timori.

"È...è incredibile, Mike!"
"Proiettano un film al mese, dalla primavera fino all'autunno!" sorrise Mike al suo entusiasmo, vedendola accoccolarsi più vicina a lui,
"Mi piacerebbe avere già compiuto 16 anni ed averti portata in macchina questa sera...sarebbe stato decisamente meno da sfigati, suppongo..."

"Assolutamente no! Non hai sentito Dustin?" rispose El con una strizzata d'occhio, allungando lo sguardo sui suoi amici, intenti a discutere su quale scena del film fosse la più epica in assoluto.
Ed ovviamente, Will, Dustin e Max non si trovavano affatto concordi.
"Possiamo vedere il film gratis, e pure in prima fila!!"

"Si...giusto!" annuí Mike con un sorriso, abbassando lo sguardo alle converse bianche ai suoi piedi, non potendo che pensare per l'ennesima volta che quella ragazza fosse semplicemente, incredibilmente meravigliosa.

Era più facile non sentirsi uno sfigato quando la ragazza con il sorriso più dolce del mondo non perdeva occasione per farlo sentire semplicemente a posto così com'era, senza dover tentare di essere qualcun altro per fare buona impressione.

"Spero ti piaccia veramente il film: quando è uscito al cinema la scorsa estate io l'ho trovato assolutamente incredibile!"
"Già! Siamo andati a rivederlo 5 volte di fila in un mese!" si uní alla conversazione Lucas con occhi sognati, persi in ricordi nostalgici e felici.

"Steve non ne poteva più di farci passare dal retro la scorsa estate...credo gli avessimo fatto rischiare di perdere sul serio il posto due o tre volte!
"Già, bei tempi quando lavorava da Scoops Ahoy, davvero!"
"Cono King-size gratis ogni volta che volevo!"
"Ehi! Perché invece a me non hai mai fatto nemmeno uno sconto? Non è affatto giusto!"
"Beh, essere me ha i suoi vantaggi, MadMax: non per niente è stato per anni il mio baby-sitter!"
"Sempre il solito paraculo, Dusti-Bon!"

"...ehi, ragazzi, zitti!" ordinò Will puntando un dito allo schermo, dove le prime immagini cominciavano a prendere forma e colore, unite ad una musica ritmata in grado di scatenare un urlo di giubilo nella folla dietro di loro.

"Inizia la proiezione!"
"Gesù, quanto adoro questa canzone!"

"Buona visione!" El udí Mike sussurrarle all'orecchio, lasciandole un dolce bacio tra i ricci e facendole avvertire un brivido lungo tutta la schiena.
Era più facile prendere fuoco per lei dopo la notte passata insieme nel suo basement il weekend scorso, specie ora che la piccola si domandava quando sarebbe stata per loro la successiva occasione.

Ma non era quello il momento per pensarci: magari, chissà, quella sera, dopo...
In quel momento gli occhi di El erano solo per le immagini proiettate sullo schermo, un ragazzo dallo smanicato imbottito arancione in sella al suo skateboard a sfrecciare per le strade della sua città facendo lo slalom tra le automobili.

E di sottofondo, una canzone ritmata che già il resto del party, Mike compreso, erano intenti a cantare a gran voce, così come il pubblico dietro di loro.

You don't need money, don't take fame
Don't need no credit card to ride this train
It's strong and it's sudden and it's cruel sometimes
But it might just save your life
That's THE POWER OF LOVE!

E il resto del film non era certo da meno, mentre le immagini scorrevano minuto dopo minuto davanti agli occhi degli spettatori e la trama iniziava a prendere forma nella mente di quel piccolo fiore.

Capiva ora perché Mike si fosse vestito come quel buffo scienziato all'ultima festa in costume: quel Doc era veramente un tipo forte!
Un visionario..un folle!
Anche se, per lei, la versione del suo piccolo nerdino con i ricci neri imbrattati di borotalco bianco restava sempre la migliore.

Era affascinata dall'idea di poter tornare indietro nel tempo e cambiare le cose, specie se dentro una DeLorean come quella di Doc!
Chissà quante cose avrebbe potuto cambiare della sua vita, riscrivendola da capo fin dal principio...

"Ma quella ragazza ci sta provando...con suo figlio?!" non riuscì a trattenersi dall'esclamare El ad un certo punto, in mezzo alle risate degli amici e del pubblico all'ennesima scena buffa.
"Woah, ci è arrivata prima di quanto ci fossi arrivato tu la prima volta!" rise Will di risposta, tirando una gomitata a Lucas seduto vicino a lui.
Il nerdino dalla pelle color cioccolato alzò gli occhi al cielo in disappunto.
"Scusami se ero troppo preso dalla trama generale per poter notare questi dettagli insignificanti, Byers!"

"Certo che anche io avrei voluto conoscere i nostri genitori da giovani!" mormorò Dustin con una nota di delusione:
"Sarebbe stato decisamente forte! Troooppo forte!"
"Io non ci terrei proprio, ragazzi!" rispose per prima Max indignata, scuotendo la chioma di capelli rossi.
"Mia madre è una stronza ora, non poteva che esserlo già da giovane..."
"Ben detto, MadMax..."
"Ehi! Solo io posso insultare mia madre, stalker!"
"Io con la mamma di Mike ci avrei anche potuto provare invece! Senza offesa, ma la signora Wheeler doveva essere un bello spettacolo già da giovane!"
"Dustin! Ehi, amico, sono Mike, ti ricordi di me? Sono ancora qui e ti sto sentendo, sai?!"

"Chissà come erano...i miei" si trovò a pensare El sospirando silenziosamente.
Non si era mai fermata molto a chiedersi chi fossero stati i suoi veri genitori: aveva chiamato due uomini nella sua vita "papà", e solo l'ultimo dei due per reale affetto ed amore.
E tanto le bastava e credeva le sarebbe bastato per sempre.

E quanto alla sua mamma: le sarebbe piaciuto sul serio averne una.
Il suo papà le aveva risposto una volta che di certo anche lei doveva averne avuta una, ma non aveva saputo dirle di più.
Certo, se fosse dipeso da lei, l'avrebbe voluta immaginare dolce, in gamba e gentile come la sua amica Joyce.

"Hai visto quanto è carino Marty, El?" la richiamò Max al presente, indicandole con occhi sognati il primo piano del ragazzo sullo schermo.
"Dio mio cosa non darei per avere anche io un ragazzo che sa andare sullo skate..."
"Ehi, signorina! Ti ho sentito!!!"
"...niente di personale, scusa stalker!"

"Direi che il film ti sta piacendo!" rise Mike vedendo El sorridere allo schermo l'ennesima volta, troppo concentrata a non perdersi nemmeno un secondo.
"Ora capisco perché è il tuo preferito!" annuí El con entusiasmo nella sua direzione.
"Devo dire a papà che voglio anche io una coperta con la locandina del film, come la tua!"
"Starebbe bene in camera tua, ne sono sicuro!"

"Mike! C'è la nostra scena!" El sentí Will chiamare il ricciolino dall'altro lato del gruppetto, vedendo i due amici annuire con sguardi complici.
E non appena il protagonista Marty McFly si fu esibito sul pacchetto del ballo studentesco nella palestra della scuola, brandendo la chitarra elettrica e dimenandola sulla note di Johnny Be Good, anche i due amici amanti della musica diedero il loro spettacolo ai restanti attorno a loro, fingendo di suonare un'immaginaria chitarra elettrica a loro volta e muovendo le dita come per pizzicare delle invisibili corde.

Dustin applaudí e così El, entusiasta, e perfino Max si trattenne dal rivolgere loro un fragoroso "needs!!!", limitandosi a sorridere alzando gli occhi al cielo.

"Probabilmente è quello il famoso ballo della scuola..." sorrise tra sé e sé El ammirando una palestra simile alla loro gremita di studenti vestiti di mille colori.
Si ricordava quando Mike l'aveva invitata con fin troppo anticipo, mesi e mesi prima, la notte di Capodanno, e anche se lei allora ignorasse cosa volesse dire, non aveva potuto che rispondergli di sì.
Ma ora che capiva, che vedeva con i suoi occhi quelle immagini sullo schermo, non poteva che vedere l'ora di essere sotto quelle luci colorate con lui.

Anzi, con lui e con tutti i loro amici.
Con loro.

"Che pezzo amici: questa canzone è un totale capolavoro!!!"
"Penso che ancora non siete pronti per questa musica..." vide Mike ripetere la battuta a memoria, lanciando un'occhiata a Will come apprestandosi ad eseguire la schiacciata finale a due secondi dal doppio fischio di fine incontro.

E il giovane Byers non avrebbe potuto che farsi trovare già pronto:
"...ma ai vostri figli piacerà!"

El rise di cuore, non potendo fare altro che sentirsi felice, dannatamente felice, vedendo la scena sullo schermo cambiare in una frazione di secondo.

E tutto avvenne così velocemente che quasi non riuscì a rendersene immediatamente conto.

Al di là della palestra della scuola, del ballo, delle luci, ecco apparire una scena molto diversa, nel parcheggio del cortile pieno di macchine chiuse e semivuote.
Ma, fra tutte, ecco la telecamera zoomare su una, e un'immagine diversa apparire davanti ai suoi occhi.

"Biff lasciami, lasciami!!!" urlava la ragazza dentro la macchina, dimenandosi dalla stretta del bullo intento a ridere del suo inutile tentativo di sfuggire dalle sue grinfie.
"Lasciami, lasciami, ti prego!" pregava quella piangendo, cercando di allontanare il ragazzo che non voleva saperne di levarle le mani di dosso.

El non riusciva a capire del tutto cosa stesse succedendo.

Quel ragazzone era solo un bullo, un prepotente, ma perché stava facendo così? Perché non lasciava andare quella poveretta?
Che cosa mai avrebbe voluto farle se lei avesse smesso di urlare e chiamare aiuto con tutte le sue forze?

"Andatevene via idioti! Questo non è uno spogliarello per voi!"
"Nooo!"

Tra pochi minuti sarebbe arrivato certo il papà di Marty, il suo futuro marito, anche se lei ancora non poteva saperlo: l'avrebbe salvata, l'avrebbe fatta vedere a quel bullo di nome Biff.
El ne era sicura, avrebbe potuto metterci la mano sul fuoco.

Ma fu invece il suo corpo a reagire quella volta, come se la parte razionale di sé fosse stata momentaneamente spenta e messa fuori gioco.
Come se in lei in quel momento regnasse solo la rabbia, la frustrazione, la paura.

Un dolore antico, pungente, alla bocca dello stomaco.
Un brivido lungo la sua spina dorsale come di freddo, uno spasmo di un'angoscia mai provata, ma in qualche modo, allo stesso tempo, già conosciuta.

Un ricordo che non poteva essere suo, ma che allo stesso tempo le apparteneva, che era viscerale così come quel dolore acuto, dentro di lei.

Perché si sentiva tremare El in quel momento?
Perché sentiva la voce di quella ragazza rimbombare come in una cassa di risonanza nella sua mente, divenendo più disperato ed orribile ogni volta?

"Lasciami, ti prego, lasciami!
Non voglio!
Fammi andare via! Voglio andare via da qui!!!"

Perché era l'unica tra i suoi amici che stesse piangendo in quel momento?
Perché sentiva il suo petto tremare fuori dal suo controllo, scosso dai singhiozzi?

"Ehi, ehi! El! Va tutto bene?!" la voce di Mike venne in suo soccorso, un braccio intorno alle sue spalle come uno scudo di difesa e protezione.
"Che succede, El? Che ti prende?"

"Non...lo so..." ammise El sentendosi stupida ad essere scoppiata a piangere in quel modo senza un'apparente ragione, sentendoti ancora addosso quel senso di angoscia, paura e freddo, ma già mitigata dal calore dell'abbraccio di Mike intorno alle sue spalle.

Non aveva motivo di piangere: quello era solo un film, quella solo una triste scena della storia.
Ed ecco già il ragazzo arrivare in soccorso della sua amata, tirando un pugno sul naso di quel deficiente e facendo partire un applauso del pubblico spettatore.
"Ehi tu, porco! Levale le mani di dosso!"

Appoggiò la testa alla spalla del suo paladino il piccolo fiore, sentendolo accarezzarle dolcemente la schiena con piccoli ghirigori, tirando sú con il naso e lasciando che le lacrime si seccassero lungo la pelle morbida delle sue guance rosse.

L'angoscia già stava lasciando posto al senso di pace e protezione, ed El si impose di sorridere allo schermo, non volendo concedere ad una stupida, temporanea ed immotivata brutta sensazione di cancellare tutta la gioia e la felicità di quella sera.

Ma quel ricordo non vissuto ed antico non sarebbe stato cancellato dalle sue viscere quella volta, non sarebbe potuto essere altro che messo da parte, mutato, messo a tacere fino alla successiva occasione.

E la piccola non avrebbe potuto fare altro che unire tutti i puntini poco, davvero poco tempo dopo.

*

"Dovevamo girare alla prima a destra"
"Non è vero, cazzata! Dobbiamo girare adesso a sinistra!"
"No, ora a destra!"
"Era prima a sinistra, ve lo dico io!"
"...ragazzi!"

Rise El abbracciata alle spalle del suo ricciolino, con i piedi sulla pedaline della ruota posteriore della sua bici e i suoi boccoli neri ad accarezzarle dolcemente il viso.
Davanti a loro, il gruppetto di piccoli nerdini intenti a discutere su qualche fosse la direzione giusta per raggiungere la sua cabin in mezzo al bosco ed, alle sue spalle, la ragazza dai capelli rossi intenta a sbuffare nella loro direzione.

"Potete tacere un secondo e lasciare dire ad El quale è la giusta direzione?!"
"E la prossima a destra!" rise El sentendo il vento freddo della notte scuotere la gonna del suo vestito, i suoi amici riprendere a pedalare non risparmiandosi dal protestare ancora.

"Ecco, vedete! Era come avevo detto io!"
"E ci credo, Mike! Scusami se non sono io quello ad intrufolarsi in casa del capo una sera si..."
"...e l'altra pure!"

"Sei sicura di star bene?" sussurrò Mike al suo fiorellino una stradina sterrata dopo, sentendola scendere dalla sua bici ed avvertendo già la prima nota di tristezza nella sua stessa voce.
Era sempre triste lasciarla andare, specie dopo una serata come quella: il film era stato decisamente incredibile, nonostante fosse passato quasi un anno dalla prima volta in cui lo aveva visto e nonostante ne conoscesse ormai a memoria quasi tutte le battute.

Non per niente si era guadagnato un posto tra i suoi preferiti, fin dalla prima visione.

Anche ad El sembrava piaciuto, l'aveva vista ridere e sorridere per tutto il tempo!
Tranne per quella piccola manciata di minuti che ancora non riusciva a togliersi dalla mente e da davanti agli occhi.

"Sicura?" le domandò ancora vedendola annuire in risposta, passando il pollice nella fossetta sotto i suoi occhi come a raccogliere una piccola lacrima che in quel momento non vi era più, lasciato il posto ad una piccola occhiaia viola di stanchezza e di sonno.
"Sto bene, Mike, davvero..." sussurrò El ancora, vedendolo sporgersi nella sua direzione lasciandole un dolce bacio sulla fronte.

Ed ai loro amici, restati poco distanti dall'altro lato della radura, non sarebbe servito altro segnale più evidente di quello.

"E va bene, piccioncini, abbiamo capito!"
"Immagino non ti dispiaccia farti la strada da solo, non è vero, Mike?"
"Tanto già conosci la direzione..."
"Buonanotte, El!"
"Ci vediamo lunedì a scuola!"

"Ciao a tutti!" li salutò con la mano la piccola, sentendo in un attimo ripiombarle addosso tutta la stanchezza di quella giornata, tutta in una sola volta.
Insopportabile tenere quasi gli occhi aperti e mettere in fila le ultime 3 parole.

"Quella è la macchina della signora Byers!" commentò Mike l'auto verde parcheggiata dall'altro lato del portico, un sorriso sghembo sulle labbra rosse.
"...e bravo il capo Hopper!"

"Per una volta forse sarò io quella di troppo..." scoppiò a ridere El insieme con lui, vedendolo rivolgerle uno sguardo carico di speranza, un luccichio a brillare nei suoi occhi scuri.
"Potrei...potrei venire io a farti compagnia, magari...dopo..." cominciò Mike con tono timido ma speranzoso, sorridendo con un altro sorrisetto furbo:
"...sai, ormai sono diventato piuttosto bravo ad arrampicarmi sulla tua finestra, El, anche se è davvero da troppo che non risalgo fin lassú...Ma qualcuno dovrà pur controllare che il tuo tatuaggio stia guarendo...giusto?"

"Mike..." deglutí El scuotendo la testa prima di riuscire a rendersene conto.
Non avrebbe mai voluto essere scortese o dire di no, specie non a lui.
Non che lei non lo avesse pensato, non che lei non volesse a sua volta restare un po' di tempo da sola con lui.
Ma più di tutto quel desiderio, la piccola Hopper si sentiva stanca come se un treno le fosse passato addosso.
Andata e ritorno.

Così stanca da non riuscire a stare in piedi.
Così stanca da non riuscire a connettere le ultime funzioni nervose.
Così stanca stanca da stare per svenire di fronte ai suoi stessi occhi...

"Mike, io..."
"Oppure..." udí il suo ricciolino sospirare deluso a sua volta, ma nascondendo in fretta la sua tristezza dietro ad un sorriso ancora più luminoso.
Mai avrebbe voluto minimamente farla sentire in errore, mai neanche lontanamente in colpa.
"Oppure potremmo fare la prossima volta! Va bene? Anzi, anche meglio in effetti!"

"Sono tanto, tanto stanca, Mike, scusami..." sussurrò El abbracciandolo forte, poggiando la fronte sul suo petto, lasciando che le sue braccia la avvolgessero con il suo calore.
Non avrebbe mai voluto sciogliersi da quella stretta, ma qualcosa le suggeriva che, se lo avesse fatto restare con lei quella notte, non sarebbe stata davvero una semplice notte di sonno...

Ed una bella dormita era tutto quello di cui sentiva di aver bisogno in quel momento.
Solamente un bel sonno, senza incubi.

"Mi dispiace, scusami..."
"E di cosa dovresti mai scusarti, fiore?!" scosse la testa Mike separandosi da lei solo per poterla guardare in viso, sollevando dolcemente il suo mento con un dito.
"Ti amo"
"Ti amo anche io"

Sorrise El ammirando la sua bellezza, i suoi riccioli neri ricaduti fin sulle sue ciglia, forse il vero primo dettaglio che aveva notato la prima volta di lui.
Quello che lo aveva fatto innamorare per primo, già dal loro primo sguardo imbarazzato davanti ai rispettivi armadietti nel corridoio della loro scuola.

E quanto tempo era passato da allora, quanta vita e quanti ricordi che ora potevano chiamare "loro".
Ma una cosa non sarebbe mai cambiata di certo.
La sua meraviglia davanti a quel sorriso, prima più timido, ora più sicuro, capace di illuminare le guance del suo piccolo nerdino, ricoperte di lentiggini a spiccare sulla sua pelle resa ancora più lattea dalla luna.

"Buonanotte, El"
"Buonanotte, Mike"

Un ultimo bacio leggero ma profondo sigillò quell'ultimo istante di pura poesia nella piccola radura, e Mike attese che El salisse lentamente gli scalini della sua veranda fino alla porta d'ingresso di legno, e lei che lui la salutasse nel buio un ultima volta, vedendolo pedalare via, lanciando nel vento lo sciocco di un ultimo bacio nella sua direzione.

E voltandosi lentamente verso la porta d'ingresso, quel piccolo fiore, per un ultimo istante di gioia, sorrise felice, prima che accadesse di nuovo.

Ma quella volta, fu davvero diverso.
Diverso da tutte le altre volte.

Improvvisamente, sulla piccola veranda della sua cabin del bosco, le sue gambe cedettero, sbattendo violentemente le ginocchia fino al suolo.
Le mani tese automaticamente davanti a sé come protezione, ad attutire la sua stessa caduta, la sua vista offuscata, il mondo improvvisamente nero intorno ai suoi occhi.
E la sua mente non più lì, non più nel presente, ma laggiú.

Nel vuoto.

"No, ti prego...no" sussurrò El con la guancia appoggiata al legno del pavimento polveroso, sentendo le sue dita stringersi debolmente davanti al suo viso in cerca di qualcosa.
Ma era troppo debole per cercare un appiglio, troppo debole per gridare, per richiamare Mike ormai troppo lontano da lì.
Troppo debole perché il suo papà potesse udirla, anche con una sola parete a dividerli.

E il suo corpo era immobile, paralizzato, ma la sua mente invece già correva, correva lontano lontano da lì, a mille mila miglia all'ora.
Ma quella volta era diverso: non era buio e freddo quel vuoto.

Quella volta un miliardo o più di colori e luci vorticavano davanti agli occhi della sua mente, come centinaia di flash sparati su di lei da tutte le direzioni.
Come frame di immagini proiettate a super velocità all'indietro, come se quello fosse il nastro di una cassetta riavvolta e proiettata su di uno schermo enorme, grande come quello del Mall.
Grande come la sua mente, enorme come il vuoto.

E nessun dettaglio era troppo vivido e lineare per poterlo riconoscere, come se in quel pozzo dei ricordi nei quali stava cadendo la piccola non riuscisse a coglierne nemmeno uno.
Non potendo fare altro che continuare a cadere, a cadere, a cadere ancora, attendendo la fine di quel tunnel, aspettando di trovare l'acqua ad affogarla al termine di quel pozzo.

"A...aiuto...Mike...papà...aiuto"

Ma, improvvisamente, ad accoglierla al termine della sua caduta, un'immagine più chiara e più visibile di fronte ai suoi occhi, quasi cristallizzata, al rallentatore, la diapositiva bianca e nera di una vecchia foto.

Quello...quello era il suo laboratorio, lo riconosceva, ne era sicura.
Identiche le mura di cemento, identica la sua vasca, identici tutti gli schermi e tutti gli odiati monitor.

Ma c'era qualcosa che era diverso in quella scena.
Un dettaglio, anzi, per meglio dire, due.

La figura alta e longilinea di fronte alla vasca riempita fino all'orlo, e l'ombra della piccola, immobile figura al suo interno.

Un grido uscí dalla gola di El prima che lei stessa potesse rendersene conto, portando le mani d'istinto in alto a tapparle la bocca.

Quello di fronte alla vasca era il suo papà, era il dottor Brenner, era il suo dottore: identico il suo completo giacca e pantalone scuro, ma con una massa di capelli scuri e non bianchi come El aveva sempre visto su di lui.

E la figura all'interno della vasca non era lei, per quanto fosse allo stesso modo piccola e tremante e non vi fosse tra loro differenza alcuna.
Ma quella non era lei, non era El.
Si trattava invece di qualcun altro: di un ragazzino, o, per meglio dire...di un bambino.

Un bambino poco più piccolo di lei, le stesse sue flebo attaccate su tutta la superficie delle sue braccine.
El non credeva di averlo mai visto prima, El era sicura di non conoscerlo neppure.
Eppure non poteva che sentirsi morire nel vederlo così, in quello stato, lì a dimenarsi impotente picchiando i palmi delle sue mani contro le pareti di vetro, con dipinta sul viso la stessa identica espressione.

La stessa identica espressione di dolore che lei credeva di conoscere, credeva di sentire anche in quel momento insieme con lui.
Il suo grido di angoscia a mescolarsi in quel momento al suo.

"Ti prego, no! Basta! Lasciami andare, lasciami andare...Papà!"

El lo vide supplicare con le lacrime agli occhi, sentendo il suo cuore perdere un colpo al suono di quella unica ultima parola.
"Papà...".
Papà.

Il bambino dentro quella vasca aveva chiamato il suo dottore...papà.

"Papà!!!!"
"Papà!!" urlava El davanti a quella scena straziante nella sua mente e accucciata sulla veranda della sua piccola cabin in mezzo al bosco, agitando le braccia e le gambe al pari di quello stesso bambino, in trans ed incosciente, inconsapevole della presenza di Hopper e di Joyce ora a lei vicini, richiamati lì fuori dalle sue grida di terrore.

"El! El!! Kiddo, riesci a sentirmi?
"El, piccola, svegliati!"
"El!!"

"Papà!!!"
Urlava El senza controllo piangendo lacrime su lacrime nella realtà e nella sua visione, incapace di svegliarsi, incapace di muoversi, come una bambola di pezza o di porcellana caduta a terra, rotta.
"Papà, lascialo andare! Lui..lui sta morendo! Gli state facendo male, io lo so, io lo sento...papà, ti prego! Ti prego!"

"Io non lo trovo papà, non lo trovo!" il grido del bambino cambiò all'improvviso, i suoi occhi spalancati ed iniettati di rosso, così vicini a quelli di El senza che lui potesse vederla nel vuoto.
Ed El già credeva di conoscere il vero significato di quelle sue parole, continuando a guardalo assorbendone la sua paura ed il suo dolore.

Anche lei era chiesto di cercarlo, anche lei era chiesto di trovarlo.

"Io non lo trovo, papà, non lo trovo! Non trovo il mostro, ti prego, basta...fammi uscire da qui, per favore!"

"Non dovrai più aver paura del mostro, mai più" scosse la testa il dottore, sorridendo e mostrando lo stesso ghigno cattivo e compiaciuto.
Ed ad El si gelò il sangue nelle vene a quelle parole:
"Non c'è nessun mostro, non ancora...tu sarai il mio mostro, Four, ormai sei pronto, ormai manca poco. Tra poco sarà tutto finito, non aver paura. Tra poco avrà fine tutto il tuo dolore"
"No!!"

"No!!" il grido di El si mescolò a quello di quel bambino nel vuoto, più acuto il suo urlo da sopra a sotto, da dentro a fuori, mentre la mente della piccola correva veloce e le immagini iniziavano di nuovo a vorticare più veloci intorno.

Non poteva essere successo...
Non era vero!
Non era altro che un'immagine, non era reale, non lo era mai stata!
Non poteva essere successo sul serio, non poteva essere diventato quel bambino il mostro, il mostro che lei conosceva, quello che aveva visto così tante volte, quello dal quale era scappata via ogni singola volta.

Quello che proprio quel pomeriggio le aveva chiesto, con la voce supplichevole di un piccolo bambino, "aiuto"...
Con la voce del bambino il cui grido di disperazione le stava per bucare i timpani delle orecchie, spaccandole il cuore.

"Noooo! Ti prego, papà! Ti prego, no!!!"
"E tu sarai il primo, ma non di certo l'ultimo..." sussurrò il dottor Brenner con un ultimo ghigno, voltandosi lentamente nella sua direzione, fissando i suoi occhi di ghiaccio su di lei, su di El rimasta immobile in contemplazione di quella visione.

Ed El fu certa quella volta che lui la potesse vedere davvero in quel momento, che la stesse vedendo attraverso il vuoto, attraverso quella dimensione.
Attraverso il passato ed il presente, attraverso quella memoria reale di anni ed anni prima, nel medesimo laboratorio.

E il sorriso di gelo che rivolse nella sua direzione, El fu certa essergli sceso dentro, fino al centro delle sue ossa.

"E la prossima sarai tu, Eleven, sarai tu...molto, molto presto"
"Nooo!!" urlò El con tutta la voce che ancora aveva nella sua gola, portandosi le mani sulle orecchie per non udire lo stesso suo grido di dolore, insopportabile da sostenere, chiedendo gli occhi per non vedere, per andarsene via da lì.

Le lacrime scorrevano incessanti attraverso i suoi occhi, e a niente stavano servendo le voci di Hopper e Joyce a chiamarla a gran voce, le loro mani a stringere le sue tentando di riportarla indietro, di riportarla da loro.

Doveva svegliarsi, doveva interrompere quell'incubo.
Doveva a tutti i costi.

Ma quando ebbe riaperto gli occhi di fronte a sé, erano ancora quelli di ghiaccio del suo papà ad osservarla cattivi e compiaciuti.

"Tu hai una ferita, Eleven..."
"No..."
"Una terribile ferita..."
"No!"
"E così che andrà a finire, è sempre stato questo il tuo destino"
"Ti prego, basta...smettila!"

"Tu sei nata per questo!"
"No!"
"Sono stato io a crearti per questo!"
"No!!!"

"Tu sei mia Eleven, sei mia!!!" un ultimo grido si mescolò ad un più forte rumore: vetri rotti che andavano in frantumi, una luce accecante proveniente dalla vasca di fronte a loro.

E poi silenzio.
Un ultimo urlo.
Un ruggito.
Il primo ed il più mostruoso che la piccola avesse mai udito.

E poi improvvisamente tutto buio.
Niente più luce.
Niente più orrore.

Solo la voce dolce ma spaventata di Joyce, le mani di papà Hopper in mezzo ai suoi ricci, la sua fronte madida di sudore.

"Kiddo, sono qui, sono qui! Di' qualcosa!"
"Papà..." sussurrò più El in un ultimo secondo, prima che le forze la abbandonassero di nuovo facendola precipitare in un sonno profondo.

Un sonno dal quale, da quel momento, nulla sarebbe mai più stato come prima, mai più.

"Papà...ora so cosa è il mostro"

*

Quando Mike fu di ritorno a casa, dopo aver pedalato in sella alla sua bici nel buio, si rese subito che qualcosa non andava.

Perché la luce della camera di sua sorella era ancora accesa?

Non aveva troppo tardi quella sera, o meglio, non abbastanza per attirare su di sé le urla di mamma Karen, per una volta, ma non abbastanza presto perché sua sorella non fosse rientrata a casa prima di lui.

In fondo era sabato sera anche per quella secchiona...perfino lei per una sera si sarebbe dovuta concedere una pausa...giusto?

"Nancs?" salì in punta di piedi le scale fino al piano superiore il giovane Wheeler, lanciando un'occhiata sospettosa alla camera della sorella, ancora chiusa.
"Nancs...ci sei? Come mai sei già qui?"

Ma non appena la porta si fu aperta di scatto facendogli fare un balzo all'indietro, mostrando la figura di sua sorella con indosso ancora la sua amata vestaglia e gli stessi vestiti di quel pomeriggio, Mike non poté che sollevare un sopracciglio con disappunto.

"Non dirmi che sei rimasta tutta la sera a studiare qui, Nancy..."
"Mike! Fratellino! Finalmente sei tornato!!"

Esclamò la ragazza con fin troppo entusiasmo rispetto al solito, correndo verso di lui, a metà strada sul loro pianerottolo.
"Sospetto...tutto troppo sospetto..." pensò il ricciolino lanciandole un'occhiata torva.
Era da tempo che non vedeva indosso a sua sorella un sorriso così ampio e luminoso nei suoi confronti, e l'ultima volta era stata quando, ai suoi 12 anni, aveva inavvertitamente rotto l'orecchio verde della sua miniatura di Joda, cercando di convincerlo che la neonata Holly lo aveva preso in mano per errore, supplicandolo di non fare la spia alla mamma per quella volta.

Ma quella sera, Mike non aveva più 12 anni e non c'era più nessun decapitato personaggio in miniatura per cui chiedere perdono.
Perché sua sorella lo stava fissando in quel modo, quasi elettrizzata, decisamente soddisfatta?
E perché teneva entrambe le mani dietro la sua schiena con quel fare sospetto e misterioso?

"Sono rimasta a casa, sì! Ma per una buona ragione, Mike!"
"Cosa sta succedendo, Nancy? Perché mi stai guardando in quel modo? Cosa hai combinato in camera mia questa volta?"

"Sempre questo tono sospettoso..." rise la ragazza scuotendo i ricci dalla fronte, vedendo il fratellino sospirare incrociando le braccia sul petto a quelle parole:
"Questa volta almeno non andare ad incolpare Holly..."
"Non ho rotto niente, Mike! Non questa volta!"
"E dunque?"
"E dunque sono stata qui a casa da oggi pomeriggio fino ad ora: un paio di chiamate...una scappatina al Mall...ma credo di essere proprio riuscita a trovare quello di cui avevi bisogno!"
"...e sarebbe?!"

"...il regalo perfetto per El, è ovvio!" esclamò Nancy alzando gli occhi al cielo come se fosse la cosa più ovvia del mondo, vedendo lo sguardo di suo fratello accendersi immediatamente di una maggiore attenzione.
"Cos? Davvero? E cosa hai pensato, Nancs? Fammi vedere!"

"In realtà è più un regalo per... entrambi!" sorrise la ragazza abbassando lo sguardo alla moquette sotto i loro piedi, muovendo lentamente le mani nascoste dietro la sua schiena fin davanti ai suoi occhi, mostrandogli una busta il cui contenuto Mike non capí subito.

E come mai avrebbe potuto?

"Aprila!" lo invitò la sorella con voce dolce, vedendolo osservare la busta con aria sospettosa.
"...un assegno?"
"Che imbecille che sei, Mike! Aprila e guarda prima che possa cambiare idea!"

E quando il giovane Wheeler ebbe aperto davanti ai suoi occhi quella dannata busta, intravedendo al suo interno un primo disegno stampato su di un foglio, credette, in un solo secondo, di avere appena avuto quella sera una vera, autentica visione.

No.
Non era possibile.
Non era assolutamente, fottutamente possibile.

"Ti confesso che non è stato facile trovarli..." sussurrò Nancy più che mai soddisfatta, convinta di stare parlando ad un altro essere vivente parlante e pensante di fronte a sé.
Ma quello che aveva in quel momento non era che la proiezione di suo fratello, incapace di parlare, pensare e connettere in testa i due restanti neuroni.

Gli veniva solo una gran voglia di mettersi a piangere come un bambino: di incredulità, di pura gioia!
Perché quello si, era davvero il suo sogno di bambino, tutto quello che il Mike di 8 anni aveva sempre sognato e che mai avrebbe creduto possibile!

Perché quella era davvero un'aquila ad ali spiegate, quelli davvero due leoni rampanti e quella era davvero una fottuta corona: perché quelli erano davvero due fottutissimi biglietti per il concerto dei Queen dentro a quella busta!

"Come..come hai fatto?" balbettò Mike credendo di stare per mettersi a piangere sul serio a quel punto, ma non prima di essere saltato al collo di sua sorella e di averle dato un bel bacio sulla fronte.
"Erano tutti sold out...da mesi!"
"Merito di Jonathan, non mio! Vedi, lui ha un amico, che ha a sua volta un amico, che conosce..."

"No, non ci posso credere! Oddio! Nancs, sei stata...sei stata mitica!!!"
"Portaci El per il suo compleanno, Mike!" sorrise la ragazza tra i ricci neri del suo fratellino, stringendolo a sua volta in un abbraccio forte, non ricordandosi più l'ultima volta nel quale suo fratello le aveva gettato in quel modo le braccia al collo.

Anzi, a dirla tutta, forse non era davvero mai successo prima di allora.

"Il concerto è a Chicago, tra 2 giorni! È il giorno giusto del compleanno di El, sembrava fatto apposta!"
"Ma come possiamo entrarci...? Non abbiamo 16 anni! E come ci arrivo io a Chicago?!"

Domandò Mike confuso, sciogliendo quell'abbraccio fraterno ed iniziando ad avvertire il primo brivido di adrenalina nelle sue vene, frammista ad una certa qual dose di paura.
Era tutto magnifico, si...
Tutto un sogno che si realizza...ma lui non poteva.
Loro, loro non potevano.

Era assurdo, era una follia, era...
"Nancs, io...io non posso!"

"Ho pensato io a tutto!" rispose prontamente Nancy portando una mano nella tasca della sua vestaglia, estraedone due documenti e sporgendoglieli con fare pratico.
"Sono i documenti miei e di Jonathan: nella confusione all'ingresso non vi controlleranno neppure! E se mai dovessero farlo ho stampato ed incollato le vostre foto sul retro al posto delle nostre...certo è un po' casalingo come metodo, ma stiamo parlando della sicurezza all'ingresso di un concerto, non della FBI, per l'amor del cielo!"

"...e come ci arrivo a Chicago?!" chiese Mike in un soffio, sentendo il cuore martellargli nel petto e la sua mente schizzare più veloce di una trottola.
Doveva sedersi immediatamente o gli sarebbe di certo venuto un infarto in quel momento.

"Ho pensato anche a questo!" cantilenò Nancy lanciando un'occhiata lungo il pianerottolo vuoto e abbassando la voce per non poter essere sentita da nessuno:
"Papà parcheggia sempre la sua auto fuori dal garage negli ultimi tempi, appena fuori dal vialetto! Non esce mai di casa prima delle 7 e sarà facile, per una volta, dirgli che la macchina è servita urgentemente a me per arrivare prima a scuola a consegnare con urgenza una ricerca..."

"Tu sei...tu sei..." balbettò Mike a metà tra lo sconcertato e l'ammirato, vedendo la sorella rispondere al mancato complimento con un inchino soddisfatto.

Documenti falsificati, macchine rubate, bugie ai loro genitori che sarebbero costate loro punizioni lunghe quanto le loro stesse esistenze terrene...
"Ho sorpreso anche me, fratellino, devo ammetterlo! Ma cosa è la vita senza qualche avventura di tanto in tanto?"
"...chi sei tu? Cosa ne hai fatto di mia sorella?!

La maggiore di casa Wheeler rise di cuore a quelle parole, e Mike non poté che continuare a sorridere ebete ancora a sua volta, troppo emozionato e su di giri per rendersi conto dell'assurdità di quel piano folle.
Era troppo bello credere ancora per 5 minuti che tutto potesse succedere, che tutto fosse realmente vero!

"Nancy io...io non so che cosa dire!"
"Promettimi solo che farai attenzione, fratellino, okay?" sorrise la ragazza, passando una mano e scompigliandogli i ricci, come da bambini.
"E che ti comporterai bene con questa ragazza, sempre! Anche quando io me ne sarò andata e non sarò più qui!"
"...e che stai mica partendo per il Vietnam, Nancs?!"

"Ora vai, Mike, a letto di corsa, cerca di dormire!" rise Nancy allungando lo sguardo alla sua porta, vedendolo annuire da bravo bambino obbediente, i suoi biglietti stretti in pugno come il suo più prezioso tesoro.
"Lunedì sarà una giornata impegnativa...per tutti! Cerca di dormire ora!"

"E chi dormirà sta notte?!" rise Mike a sua volta sullo stipite della sua porta, rivolgendo alla maggiore un ultimo sguardo carico di profonda gratitudine.
"Grazie di cuore, Nancy, davvero...per tutto!"
"Te lo meriti, fratellino...in fondo in fondo" alzò Nancy lo sguardo al cielo un ultimo secondo, prima di risparire dietro la sua porta.
"Buonanotte!"

"Oh cazzo, oh cazzo, oh cazzo!!!" saltellò su se stesso Mike facendo una gitavolta, atterrando di schiena sul suo materasso e baciando uno alla volta i due biglietti con un forte schiocco.
El lo avrebbe adorato, le sarebbe piaciuto un sacco!
Il miglior regalo di compleanno del secolo, anzi, di sicuro del millennio!
E un quanto a lui...lui sarebbe semplicemente svenuto per il troppo entusiasmo se non si dava subito immediatamente una calmata, cazzo!

"Hai soltanto una cosa da fare ora, Mike..." ordinò a se stesso il giovane Wheeler, tuffandosi con una mano sotto il suo letto ed afferrando al volo il suo supercomm.
Lui...lui lo avrebbe sicuramente odiato...e come avrebbe potuto dargli torto, in fondo?!
Sperava solo che il suo migliore amico potesse capirlo e perdonarlo, prima o dopo...

"Will, mi ricevi? Will! Mi ricevi?"
"Mike..." rispose come dall'oltretomba una voce impastata dal sonno.
"Ma ti rendi conto di che diavolo di ore sono?! Cos'è, ti sei perso nel bosco?"

"Will, amico...sono serio, è urgente!" prese un lungo sospiro Mike, passandosi una mano tra i ricci nervosamente.
La musica aveva sempre unito quei due amici, era stata proprio la musica a farli incontrare e conoscere.
Il giovane Wheeler sperava solo che non sarebbe stata proprio la loro amata musica a dividerli, quella volta.

Ti prego fa che mi capisca...fa' che almeno ci provi!

"Amico...devi perdonarmi in anticipo per la cazzata per cui mi odierai di più per il resto della tua vita..."

📼🌼
E buonasera a tutti quanti amici!!!
Allora, piaciuto questo capitolo? Io sinceramente mi sono divertita molto nello scriverlo! Chi di voi aveva già intuito che regalo avrebbe presto Nancy per aiutare Mike?
Siete pronti ad assistere nei prossimi capitoli al concerto del secolo? 🎉
Era un'idea che non vedevo l'ora di arrivare a scrivere fin dall'inizio😊 amo come la musica sia parte integrante di questa storia❤️

E per quanto riguarda il laboratorio...cominciate finalmente a capire? E riguardo alla scena del film...riuscite già ad intuire?
🙊
Presto tutti i puntini saranno uniti, ma fino ad allora...a presto!

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