35.1/353
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"Salve amici radioascoltatori e bentornati sul canale di RadioShack!
Fuori dai vostri finestrini vedete la solita giornata nebulosa?
La primavera sembra essere ancora lontana?
Non temete, amici miei!
Il sole splende dentro i nostri studi questo venerdì mattina e nell'aria si avverte già il profumino di un nuovo weekend finalmente alle porte!
È quasi la fine di febbraio, ragazzi, e voi tutti sapete questo che cosa vuol dire, non è vero...?
Mi sembra quasi di sentirvi: no, Will, diccelo tu, per favore!"
Un sole timido e freddo accarezzava le nuvole in cielo alle prime luci del mattino di quel venerdì di fine febbraio, freddo e nebuloso, e il riscaldamento pigiato al massimo nell'abitacolo dell'auto della polizia pareva che a nulla potesse contro quell'umidità cattiva e persistente, decisa ad imbrattare il vetro del parabrezza e a far accucciare un omone baffuto e già di cattivo umore per vedere attraverso i pochi spiragli rimasti lucidi.
Hopper aveva sempre odiato l'inverno, il freddo, la nebbia e la pioggia.
"Questa stupida umidità, l'ennesima mattina...!"
Forse era stato sempre per quello che aveva amato da subito la sua piccolina, tutta fiori, primavera e colori.
"Questo stupido freddo non si decide a levarsi dal cazzo quest'anno..." boffonchiò il capo della polizia tra i denti, sterzando all'ultimo per evitare una lastra di ghiaccio fuori dal vialetto della radura, fallendo miseramente e facendo saltare per una manciata di secondi la voce del ragazzino alla radio, insieme alla connessione.
"Le parole, papà..." gli parve quasi di udire la sua piccolina protestare dall'altro lato del sedile, o forse inverno quella mattina se l'era solamente immaginato.
Non aveva parlato molto con lei lungo l'intero arco della settimana ormai agli sgoccioli, ed Hopper era quasi convinto di averne scovato la ragione.
Non che El avesse parlato molto in generale, ne con lui né con nessun altro, non almeno sotto il suo sguardo paterno sempre attento ed indagatore.
E se una motivazione doveva pur esserci per quell'attacco di mutismo improvviso, Hopper non era di certo l'investigatore migliore del mondo, ma di certo credeva di averne scoperto il motivo, o almeno, il presunto tale.
Almeno un indizio.
"Vuoi che cambi canale, kiddo?"
"No, no..." la udí rispondere all'istante allungando una manina bianca e fredda fino alla manopola di plastica del volume, alzandolo di un paio di punti e tornando indietro sul suo sedile avvolta nella sua sciarpona di lana come il bozzolo di un bruco a rischio congelazione.
Se non altro almeno le aveva risposto: c'era vita sul pianeta 011 anche in quel mattino privo di sole.
"Significa che la festa più pazza dell'anno è finalmente alle porte, ragazzi! La festa di Carnevale!"
"Mi interessa la trasmissione, papà, Will..." la udí continuare il capo della polizia, quasi a volersi sul serio convincere delle sue stesse parole.
"Will mette sempre dei pezzi interessanti tutte le mattine...non trovi?"
"Dicci un po', Mike Frogface, ha già deciso come festeggerai alla grande con tuoi amici quest'anno?"
"Oh si..." sospirò Hopper alzando un sopracciglio con sguardo impassibile, quasi convinto di averla avvertita stringersi ancora più forte nella sua sciarpona al suono di quella voce, quasi con la convinzione di potervi sparire all'interno, fino a nuovo avviso.
I pezzi e le canzoni...ma chi voleva prendere in giro?!
"Il piccolo Byers sembra che ti abbia proprio reso una vera appassionata di musica, El, non c'è che dire..."
"Non credo di essere dell'umore giusto per festeggiare, Will the Wize, ma grazie per l'invito..."
"Che muso lungo questa mattina, caro il nostro Mike! Sii aperto a nuove idee e proposte, chissà! Magari qualche sorpresa che ancora non ti aspetti giungerà presto da te!"
"Sicuro, Will, sicuro..."
Un sospiro dall'altro capo della linea fu tutto quello che i due radioascoltatori ottennero come risposta, mentre le ruote scorrevano veloci lungo la strada principale imboccando i primi negozi del centro, lungo i marciapiedi ancora deserti ad eccezione dei pochi negozianti intenti a raggiungere le loro saracinesche ancora abbassate e dormienti di tutta fretta.
Era più che palese dalla voce del suo co-conduttore quella mattina che Will avesse dovuto insistere parecchio perché Mike si decidesse a condurre con lui la trasmissione, almeno quella unica mattina di quell'intera settimana di scuola.
La sola voce di Will the Wize aveva fatto compagnia agli amici di Radio Shack quelle mattine, ed El era più che certa di saperne già il motivo.
Si era collegata ogni mattina lungo il tragitto di strada per recarsi a scuola, non che lo facesse ormai da mesi come abitudine, ma in quei giorni era stata davvero, più che per una scelta, quasi come per una supplica di disperazione.
Almeno in quel piccolo spazio di un quarto d'ora avrebbe potuto sul serio sentire la sua voce, quasi come stesse parlando proprio con lei, almeno per finta, anche solo per un minuto.
Come poteva mancare di lui veramente tutto, a partire dal semplice suono della sua voce?
"Okay.....diciamo forse che il nostro Mike Frogface ha deciso di non essere di troppe parole questa mattina..." tentò di recuperare il silenzio Will, con il suo tono come sempre vivace ed allegro, al di là del quale solo i più esperti avrebbero potuto cogliere una certa punta di imbarazzo e perfino di rimprovero.
"Ma come sempre, amici radioascoltatori, quando le parole non sono sufficienti, lasciamo spazio alla vera protagonista del nostro show: alla nostra buona musica! Hai portato un pezzo per noi questa mattina, non è vero, Mike?"
"Esatto, Will!"
Hopper sospirò ancora, frenando bruscamente all'incrocio, concedendo la precedenza ad una mamma intenta a correre lungo le strisce per mano con il figlio, ignorando completamente il semaforo rosso dall'altro lato del marciapiede.
Lanciò uno sguardo alla sua piccolina con la coda dell'occhio, ritrovando come sempre il suo viso pallido ed inespressivo, due occhi puntati alla strada di fronte a sé vuoti, palesemente poco attenti a ciò che aveva intorno.
Pareva che nessun altro tipo di espressione potesse comparire sul volto della sua bambina da una settimana a quella parte, e Hopper aveva perso il conto delle occasioni nelle quali si era ritrovato ad aprire la bocca per dire qualcosa, salvo poi ritrovarsi a mordersi la lingua, ripetendosi di non essere impiccio e di farsi decisamente gli affari propri.
"La tua paternale è proprio l'ultima cosa di cui ha bisogno in questo momento, Jim..."
"Ma io non ce la faccio...non ne posso più di vederla soffrire così!"
"Dovremmo chiamare Joyce ed invitarla a cena con i ragazzi una sera di queste, che ne dici?" aveva tentato un approccio una sera con tono propositivo, convinto che, come in tutte altre occasioni, dove non era riuscito ad arrivare lui, ben altro tipo di successo avrebbe di certo ottenuto la loro comune amica di gran vecchia data.
"Non so...deciti tu..." erano state tuttavia le parole di risposta che aveva ottenuto, vedendo le spalle di sua figlia curvarsi davanti al lavello pieno di piatti e di schiuma, se possibile, ancora di più.
Aveva evitato accuratamente Mike, Will, Max e tutti i suoi amici quella settimana, ignorando le chiamate della rossa e i saluti dell'amico senza denti dall'altro lato del corridoio, più che convinta che tutti la odiassero, senza provare nemmeno ad accertarsi che la verità fosse davvero quella, optando per un auto esilio più facile e sicuro di un confronto.
Mike non si era mostrato intenzionato a rivolgerle la parola, per quale motivo avrebbe dovuto volerlo fare Max, Will o uno di quelli che comunque erano stati da sempre i suoi amici?
"…a me questa settimana non va molto di vedere nessuno..."
"Ci hai promesso un pezzo che spacca, Frogface, dico bene?"
"Sicuro, Will, ci puoi scommettere!"
"Di che pezzo si tratta?"
Hopper vide la manopola del volume ruotare lentamente verso l'alto apparentemente da sola, decidendo di ignorare per una volta l'uso improprio dei poteri almeno in quella occasione, vedendo la sua piccolina portarsi una mano sotto il naso quasi di nascosto, convinta di non essere vista.
Era palese che stava male, era palese che stesse soffrendo in quella situazione: cosa avrebbe mai potuto dirle che non risultasse banale, superfluo e perfino inopportuno?
"È il pezzo che ho ascoltato e riascoltato di più in questa settimana, amici! Sono sicuro che ciascuno di voi, prima o dopo, vi sarete ritrovati nella mia stessa situazione..." El deglutí, udendo le parole ostili di Mike scandite così precise dall'altro lato del microfono che per un secondo le parve quasi che sul serio, per davvero, fossero rivolte a lei e a lei sola dall'altra parte della linea.
Era stata tutta la settimana sospesa, domandandosi se Mike la odiasse tanto, poco, o giusto un pochettino.
Una canzone era sempre valsa più di mille parole, giusto?
Non era sempre stato quello il motto del loro show?
"Perciò, amici, questa canzone è per tutti coloro che sono stati delusi da quella gigantesca puttanata che ci propinano tutti come amore! Questa è per noi! "
Non era forse questa, quella mattina, la sua risposta?
"Fantastico, decisamente fantastico, El..."
Shot through the heart
And you're to blame
Darlin', you give love a bad name
Quanto la odiava Mike in quel momento?
Tanto...decisamente troppo.
"Ora posso cambiare, El? Vorrei sentire le previsioni per il weekend..." boffonchiò Hopper con l'ennesimo sospiro, non potendo ignorare due lacrimoni più densi e pesanti infrangersi all'istante sulla sciarpona, in caduta libera, direttamente dalle ciglia scure della sua piccolina.
Come aveva potuto essere stata così ingenua da aver creduto si potesse trattate di una canzone d'amore?
Mike non era uno stupido, si era sentito ferito, preso in giro, umiliato, e i meriti di tutto quello schifo El li poteva attribuire non di certo a lui, ma solo e soltanto a se stessa.
Cosa si era aspettata? Una serata strappa lacrime sulla potenza del perdono?
El credeva di non essersi mai sentita così stupida nell'arco della sua intera vita.
An angel's smile is what you sell
You promise me heaven, then put me through hell
Chains of love got a hold on me
When passion's a prison, you can't break free
"Posso cambiare, El?"
"Puoi proprio spegnere?" sussurò El con la voce rotta dei singhiozzi repressi, vedendo il suo papà annuire, premendo con una manata il tasto di spegnimento della radio.
"Meglio così, tanto questo fine settimana il tempo sarà ancora uno schifo..." sbuffò il capo svoltando verso destra ed imboccando l'ultima via in direzione della scuola, già affollata di automobili, bici e moto.
Shot through the heart
And you're to blame
You give love a bad n...
"Stai bene, kiddo?"
"...una meraviglia!" mosse gli occhi al cielo per non rispondere El con ironia, maledicendo la colonna di automobili e rendere ancora più lungo il suo supplizio, non vedendo l'ora di poter solo correre dentro un bagno e piangere lì dentro tutte le sue lacrime fino alla prima campanella di lezione.
"Sto bene come una che ha deciso di prendere e gettare la sua intera vita nel cesso in una sola settimana, con tanto di tiro di sciacquone!
Si, papà, sto una favola davvero, non c'è che dire!"
"Si papà, sto bene, davvero..."
"Non si direbbe proprio..." non riuscì proprio a trattenersi in tempo il capo Hopper quella mattina, sperando per un attimo di averlo solo pensato, non detto ad alta voce.
Ma tanto valeva ormai affrontare l'argomento, che senso aveva anche girarci intorno fingendo che fosse tutto okay?
"Non si direbbe proprio che tu stia bene, El..."
"Papà, sono solo..."
"…stanca?" azzardò a concludere per lei Hopper con tono sarcastico, tirando un sospiro al di sotto dei suoi baffoni.
"Ma a chi vuoi darla da bere, El? Ti conosco come le mie tasche ormai..."
"Possiamo...possiamo non parlarne?" la udí pregarlo con voce piccola e muta, facendogli stringere ancora di più il cuore.
"Non vuoi parlarne, El? Io credo che, non lo so...potrebbe esserti utile sfogarti con...con qualcuno..."
"Non c'è niente di cui sfogarsi, papà, davvero!" replicò El con tono più deciso, passandosi con decisione entrambe le mani sotto gli occhi, asciugando due lacrimoni neri carichi di trucco.
Il capo strinse i pugni, ripetendosi che quella doveva già essergli sufficiente come risposta.
Ma che stupido era?
Davvero non si ricordava come ci si sentiva in quel genere di situazioni?
Convinti di essere soli al mondo, sicuri che mai nessuno avrebbe potuto capire?
L'ultima persona con la quale la sua piccolina avrebbe mai potuto parlare dei suoi problemi di cuore era lui, il suo vecchio padre brontolone.
"Non vuoi parlarne, El?"
"...no"
"E va bene, allora dovrai solo ascoltarmi, ho io questa volta qualche cosa da dire!"
El strinse d'impulso più forte le braccia intorno alle sue ginocchia, avvolta nella sua sciarpa a mò di coperta dentro la quale aveva già tentato troppe volte di nascondersi e di sparire, ritrovandosi inesorabilmente ancora lì.
Lí alle porte dell'ennessimo giorno di scuola eterno e faticoso, sola come non si era mai sentita, in compagnia solo dei suoi rimorsi e sensi di colpa.
La scenata di suo padre quella mattina era l'ultima, proprio l'ultima nella lista delle cose di cui credeva di aver bisogno in quel momento.
Che cosa voleva ancora dirle?!
Di fare attenzione?
Di conservare il loro segreto con tutti a costo della vita? Perché tutte queste cose El già le conosceva ed era solo per quel motivo che aveva mandato a puttane tutto!
Che per quanto ignobile, era pur sempre quello il suo destino?
Che nessuno avrebbe mai dovuto sapere della sua vera natura perché nessuno avrebbe mai capito?
Perché nessuno l'avrebbe mai accettata come il mostro che in realtà era e che sarebbe sempre stata fino alla fine?
"Papà, per favore, io credo..."
"…tu meriti di essere felice, kiddo"
"...come?" mimarono le labbra rosse del piccolo fiorellino a quelle parole, facendo nascondere al capo Hopper un sorriso di soddisfazione.
Certo ancora sapeva sorprendere la sua piccolina con qualcosa da dire.
"Come? Vuoi che lo ripeta, kiddo?" ripeté più deciso il capo della polizia con un sorriso, riportando lo sguardo alle macchine in coda davanti a sé, per concentrarsi e non permettersi di lasciarsi andare alle emozioni.
"Tu meriti, meriti e stra meriti di essere felice!"
Per quale motivo di avrei mai portato via quella notte da quel posto infernale se non per questo, El? Tanto valeva lasciarti marcire lì!" lo vide continuare con un'alzata di spalle, sincerità e schiettezza così chiare nella sua voce che si sarebbe quasi potuto dire stesse parlando in quel momento davvero da solo.
"Ho passato anni a dirti cosa fare e cosa non fare, a ripeterti sopra tutto e tutti di dover mantenere fede al tuo patto, di difendere a costo della tua vita il tuo segreto.." lo vide accennare con un improvviso cenno di rimprovero:
"E non fraintendermi, kiddo, guai a te! A quel laboratorio ci devi andare e quel segreto lo devi mantenere, costi quel che costi!"
"Sí, lo so papà!" abbozzò un sorriso El scuotendo la testa, rivolgendogli uno sguardo dolce: ora sí, finalmente rivedeva il suo solito papà brontolone.
"Ma a parte questo, El, credimi, te lo dico davvero..." riprese il suo discorso Hopper con tono più delicato e gentile, prendendo un lungo sospiro e chiudendo gli occhi azzurri per una frazione di secondo:
"Non c'è niente, niente a questo mondo che potrebbe rendermi più felice ed in pace con me stesso di vederti sul serio felice"
"Io..." balbettò El con le lacrime agli occhi per ben altro tipo di emozioni, cercando le parole più giuste per replicare, ma vedendolo alzare una mano come a chiederle di non aggiungere di più.
"Sei grande abbastanza per scegliere quale sia la tua vera felicità, kiddo, ne sei stata privata così tanto e così a lungo, piccola, che io credo che questa vita abbia da dartene in cambio tanta, ma proprio tanta tanta di felicità..."
"Non so...io non so come fare, papà..." Hopper la udí deglutire abbassando lo sguardo ai suoi piedi, apparendo in un singolo istante così piccola e fragile da aver quasi paura di romperla anche solo a guardarla.
"Io ero felice, papà, davvero felice, è solo..." continuò El avvertendo un nodo alla bocca dello stomaco, lo stesso medesimo, familiare e fastidioso, lo stesso che pareva deciso a non abbandonarla da giorni e giorni, nemmeno per un secondo.
Non era facile parlarne, non era facile mostrare alla luce le sue ferite con qualcuno, eppure, solo in quel momento, si stava rendendo conto di quanto in fondo ne avesse davvero un gran bisogno.
"...solo che poi...ho fatto un casino, papà, un casino: forse non sono fatta per tenere insieme in equilibrio tutto!"
"Hai più forza di quanto tu credi, kiddo, non devo essere certo io a ricordartelo, non è vero?" sorrise Hopper portandole una manona tra i ricci e scompigliandoglieli con dolcezza, un gesto così semplice ed intimo che per un attimo parve loro che l'intero mondo potesse restare in bilico anche così, lì nell'abitacolo di quel vecchio e puzzolente furgone.
"Non è facile, certo che non lo è! Ma tu non sei stata fatta per le cose semplici, El. Ti è stata data una forza incredibile, hai già dentro di te il coraggio per affrontare tutto!" continuò Hopper con un sospiro, vedendo le macchine ripartire dalla colonna davanti ai cancelli della scuola, una rapida occhiata alla saracinesca di Malvalds dall'altro lato della strada, come tutte le mattine, con la vana speranza che un volto noto facesse capolino da dietro le vetrine.
Un sospiro.
"El, tu sai già cosa devi fare, ne sono sicuro: ma se mai avessi un dubbio, ricordati solo di questo: la vita è troppo breve per non permettersi di essere felici, kiddo...e tu lo meriti, tu meriti di essere felice"
"Papà...?" sorrise El a quelle parole, non potendo ignorare, come tutte le mattine, quello sguardo furtivo a quel negozio dall'altro lato dell'incrocio, sperando forse, come tutte le altre volte, di non essere visto.
Ma El, invece, lo aveva sempre visto.
Forse non era solo lui a conoscere lei ormai come le sue tasche.
Forse, più che solo a lei, le sue parole quella mattina parevo più rivolte anche a lui stesso...a loro.
"Papà...?"
"…sì, El?"
"Noi tutti meritiamo di essere felici"
*
"You give love a bad name, Mike?
Ma sul serio?!" scattò Will con tono ironico, rotolando con la sua sedia a rotelle più vicino all'amico, vedendolo togliersi con un unico brusco gesto le cuffione dai ricci neri, lanciandole sul tavolo dello studio di registrazione.
"Go your own way non andava bene?
Non lo so, amico...non l'hai trovato un po' estremo?"
"Mi hai chiesto di scegliere un pezzo, Will!" ribatté Mike stizzito impilando un torre di cassette e alzandosi dalla sedia di tutta fretta, allungando un braccio ed afferrando lo zaino ai suoi piedi per allontanarsi il prima possibile da lì.
Gli era puzzato l'invito di Will a partecipare alla trasmissione fin dal principio, scegliendo proprio quel brano per due semplici e ben chiare ragioni: la prima, nel caso in cui mai El avesse potuto sentirla, e, seconda, per rendere chiara una volta per tutte la sua risposta alle insistenti domande del suo migliore amico.
Sí, era incazzato, era di pessimo umore ed era deluso.
E no, non aveva intenzione di parlare dell'argomento per nessuna ragione al mondo.
"Ed io l'ho fatto!"
"Ma dove corri, Mike! Ma fai sul serio?!"
"Ho lezione, Will: un compito di punizione per un ritardo è tutto ciò di cui non ho bisogno in questo weekend.."
"È venerdì, Mike, abbiamo entrambi lezione di francese alla prima ora..." sospirò Will con uno sguardo di sufficienza, per nulla deciso a farsi intimorire dal pessimo umore dell'amico.
Non che Mike avesse avuto altri tipi di umore possibili nell'arco dell'ultima settimana di scuola.
La situazione cominciava a diventare insostenibile, era giunto il momento di passare alle maniere forti.
"E no, hai ragione! Un compito di punizione è l'ultima cosa di cui hai bisogno questo weekend, specie dopo che avrei sentito la mia meravigliosa proposta per domani sera!"
"Non sono dell'umore, Will, per nulla" scosse i ricci neri dalla fronte Mike, avvertendo un fastidioso nodo alla bocca dello stomaco al pensiero di quale era stato il pessimo, orribile modo in cui aveva trascorso il suo ultimo sabato sera, appena una manciata di giorni prima: era passata davvero solo una settimana da quella sera?
A lui sembrava passata l'intera vita o, invece, a tratti, nemmeno un'ora da quella folle corsa in bici.
Gli sembrava assolutamente fuori di testa.
Una settimana trascorsa della lunghezza di un anno intero.
Dove era finito il suo trofeo per aver mantenuto la calma e la mente fredda fino a quel momento?
Gli pareva quasi di aver trascorso una settimana in apnea: senza luce, senza ossigeno, senza amore.
Una settimana senza El.
"Non vuoi nemmeno sapere quale sarebbe stata la mia proposta, Mike?!"
"Passo, Will, sul serio, grazie lo stesso..."
"E no, Mike, che cazzo! Ora ti siedi e mi resti a sentire!"
Il giovane Wheeler si sentì tirare letteralmente di peso sulla sedia dietro le sue spalle, sentendo l'amico girarlo sulle rotelle della sua sedia come si fosse trattato niente meno che una bambola di pezza, ritrovano i suoi occhi verdi e brillanti di fronte ai suoi neri e cupi.
Aveva sempre apprezzato quel lato di Will: la sua capacità di reagire di petto ad ogni situazione, di non lasciarsi apparentemente mai buttare a terra da nulla, al contrario suo del resto, che si era sentito lungo quei giorni come preso sotto da un tir a tutta corsa almeno 6/7 volte al giorno.
Ogni volta che gli era capitato di incrociare il suo fiorellino ad essere sincero, che fosse stato all'uscita, nella sala mensa, in palestra o accanto ai loro armadietti in corridoio.
"Sai che festa è questo weekend, Mike?"
"Il 4 luglio, Will?"
"Spiritoso "Mr faccia da zombie", ma questa volta non voglio sentire ragioni!" continuò Will come se non avesse detto nulla, inchiodandolo con le mani alla sedia di fronte al suo sguardo.
"È Carnevale, Wheeler! Carnevale! La seconda festa più figa dopo Halloween sulla faccia del pianeta terra!"
"Mi pareva che quest'anno Halloween fosse stata la madre di tutte le feste di merda..." alzò un sopracciglio Mike con voce ironica, avvertendo un altro battito volare via a quel ricordo dolce ma ormai doloroso.
Come poteva cambiare la percezione di un solo ricordo così del tutto...che merdoso loop infinito di autocommiserazione.
"Non avevamo finito con le aspettative per le feste in costume?"
"Può il Mike-emo andarsene a fanculo per un minuto e far tornare in vita il Mike razionale, per cortesia?!" esclamò Will esasperato alzando gli occhi al cielo è prendendo un lungo respiro, invocando la stessa pazienza necessaria per rivolgersi al un capriccioso bambino di 5 anni.
"Mio fratello Jonathan è stato chiamato a mettere musica ad una festa questo sabato sera, una festa privata a casa di gente della scuola, niente di incredibilmente esagerato, ma ha detto che può farci entrare senza problema ed io, Lucas e Dustin abbiamo stabilito all'unanimità di costringere il tuo bel culo a venire insieme con noi!"
"Oh no, non se ne parla, scordatevelo!" esclamò Mike indignato facendo come per andarsene via, ma Will lo fece ricadere in un secondo giù.
"Will, ma che cazzo?!"
"Mike, per favore, ascoltami..."
"Non potete obbligarmi, non ne ho voglia! Non mi va!" scosse i ricci neri dalla fronte pallida Mike con aria stizzita, non sapendo se sentirsi più offeso incazzato per tutta quella pantomima.
Sapeva che i suoi amici non avevano capito un emerito cazzo di quello che era successo: come avrebbero potuto se a tratti credeva di non averci capito un cazzo nemmeno lui?
Ma obbligarlo a prendere parte ad una stupida festa credendo che quella messa in scena potesse farlo stare meglio...ma perché?!
Continuare a fingersi morto sotto le coperte per il resto della settimana non era un piano decisamente migliore e più efficace per sentirsi meglio, almeno fino alla cerimonia del diploma?
"Come potevate pensare di trovarmi entusiasta ad andare ad una festa del cazzo! E di chi sarebbe poi questa festa?!"
"Di una ragazza del quinto...che ne so...è davvero questo il punto?"
"Non mi va, Will, davvero no..."
"Mike, per favore, stammi a sentire..."
"Will, ho detto..."
"…MIKE!"
Alzò di scatto la testa Mike a quel tono improvvisamente più deciso, ritrovando di fronte a sé un paio di occhi decisamente meno delicati o gentili.
"Lasciami parlare, Mike, cazzo!" strillò Will con tono intimidatorio, facendo strisciare la sua sedia più vicina alla sua lungo il pavimento della stanza da registrazione.
"Ti ho lasciato fare il bambino e piangerti addosso per tutta la settimana, cazzo, accettando il fatto che tu non volessi dare ne a me, ne a Dustin e Lucas e tanto meno a Max un briciolo di spiegazioni, ma ora la mia pazienza è finita e non ho intenzione di starmene qui a vedere il mio migliore amico fare l'ameba merdosa e piagnuccolosa per il resto dell'anno scolastico, sono stato chiaro?!"
"Non sono cazzi tuoi, Will, lasciami in pace!" urlò di tutta risposta Mike liberandosi dalla sua stretta, restituendogli lo stesso sguardo di fuoco.
"Tu e gli altri dovreste solamente farmi i cazzi vostri e non preoccuparvi dei miei! Forse se non vi ho detto un cazzo è perché non c'è proprio un cazzo da dire, porca puttana!"
"E va bene, Mike, va bene!" ribatté Will alzandosi in piedi di fronte a lui, ignorando la manciata di centimetri che da sempre aveva reso l'amico ricciolo più alto di lui.
"Non dirci un cazzo, mi può star bene! Ma almeno smettila di ignorarci e lasciati aiutare da noi!"
"In che modo obbligarmi ad andare ad una stupida festa in costume potrebbe farmi sentire meglio, Will? Ma quanto poco mi conoscete?!" strillò Mike fuori di sé, muovendo un passo indietro, deciso più di prima a troncare lì la discussione.
Era tutto, tutto inutile.
Loro non lo potevano, non lo potevano capire.
"Begli amici che siete..."
"Di sicuro migliori di te che fai di tutto per essere mandato a fanculo, Mike! Ce la stai proprio mettendo tutta!" rise di esasperazione Will con un ultimo sguardo supplichevole di rassegnazione.
"Mike, ti supplico...almeno pensaci, per favore..."
"Davvero? Le sto provando tutte?! E allora mandatemi, Will, mandatemici tutti in coro! Mandatemi a fanculo ma poi lasciatemi vivere e levatevi tutti dai coglioni!"
La porta della sala di registrazioni chiusa con un tonfo sordo alle sue spalle fu il giusto punto posto alla fine della sua imprecazione, sancendo la fine di quella penosa discussione.
Aveva sempre creduto che, qualunque cosa gli fosse successa nella vita, i suoi amici sarebbero sempre stati lì presenti per lui e per tirarlo fuori dai casini, ma ora non gli sembrava più di esserne così sicuro.
Forse aveva ragione Will, era lui troppo cieco per vedere quello che avevano cercato in tutta quella settimana di fare per lui, tutti i modi nei quali avevano tentato inutilmente di stargli vicino, sempre respinti dal suo polo magnetico di negatività più forte di una calamita.
O forse era semplicemente lui a sentirsi perso e sparito, come una bussola in un campo magnetico impazzito, persa la stella polare, perso il nord, persa la rotta.
Persa la sua El.
Forse era solo colpa sua a credere che nessuno avrebbe mai potuto comprendere tutto quel dolore, quel senso di impotenza, di perdita, quella incapacità di rassegnazione.
Forse davvero nessuno avrebbe mai potuto capirlo.
Aveva passato 5 giorni ed evitare di pronunciare il suo nome, impedendosi perfino di pensarlo ad alta voce, più che deciso di far finta che lei non ci fosse, che lei semplicemente non fosse mai esistita.
Come fosse stata cosa facile da farsi senza rischiare sul serio di impazzire.
Ogni cosa nella sua vita gli parlava di lei, dalla più grande e profonda alla più piccola.
Dalla sua camera dove ora si pentiva di averla invitata a studiare quel sabato mattina insieme, l'inizio della fine, dai suoi libri di scuola ricoperti di scritte e disegni, del tratto leggero della sua matita, fino alle sue scarpe, bianche e sporche dove ancora però troneggiava fiera una scritta: M+E, scritto con un pennarello nero ed indelebile.
Che emerita puttanata che era l'amore.
Soltanto una grande, enorme, gigantesca fregatura.
Scemo lui ad averci creduto.
Ingenuo lui ad aver creduto potesse essere eterno.
Proprio a lui, poi? A lui?!
Che cosa ne rimaneva di lui?
Masticato, sputato, uscito con le ossa rotte e già senza più forza, dalla sua prima assoluta storia d'amore?
Cosa ne rimaneva di lui?
Lui non era fatto per queste cose, lo aveva sempre saputo.
Non era fatto per le cose belle che inesorabilmente sono destinate alla fine, tanto valeva non iniziarle neppure!
Una faccia da rospo, ecco cosa rimaneva.
Una faccia da rospo che non ci avrebbe creduto, che non sarebbe mai più caduto nella trappola dell'amore.
E passando di fianco alla fila degli armadietti suoi e dei suoi amici quella mattina, Mike, perso nei suoi pensieri e nel suo umore più infelice e cupo, per un attimo quasi non si accorse del paio di occhioni immobili su di lui dall'altro lato del corridoio.
Ma il suo cuore si, oh si che se ne accorse.
Il suo cuore non avrebbe potuto smettere di accorgersene nemmeno un'altra settimana, un mese, un anno dopo.
"...ciao!" una parte primitiva e primordiale di sé avrebbe quasi voluto esclamare a quegli occhioni belli fissi su di lui dall'altro lato del corridoio: la sua parte più irrazionale, più nascosta, più vera, quella slegata da tutte quelle sovrastrutte, le maschere, le prese di posizione dettate dall'orgoglio.
Quella che le avrebbe sorriso, come tutti gli altri giorni, dall'altro lato della sala mensa, della palestra, dall'altro lato del corridoio.
Quella che le avrebbe detto semplicemente "Ehi! Sono ancora qui, ti sto ancora aspettando. Ti amo come prima, anzi...forse adesso ti amo fino un po' di più".
Ma quella parte non vinse in Mike Wheeler quella mattina, troppo schiacciata dall'orgoglio, che così poco bene fa rima con la parola amore.
La vide avvicinarsi piano al suo armadietto, quasi al rallentatore, il suo armadietto accanto al suo fin dal loro primo giorno, posto lì da quel destino così beffardo che proprio di fronte a quel l'armadietto li aveva voluti far incontrare, la prima campanella del primo giorno di scuola.
"Come sarebbe buffo se ti cadesse un libro anche ora ed io ti aiutassi a raccoglierlo, vero fiorellino?" gli venne quasi da sorridere abbassando lo sguardo fino ai suoi piedi, vedendo le sue converse bianche sopra il pavimento rosso del corridoio, identiche alle sue, procedere lentamente accanto a lui, ognuno di fronte alla sua antina di metallo rossa, così in silenzio e muti, pur in mezzo al rumore di sottofondo del corridoio, da poter quasi contare i respiri leggeri ed i rispettivi battiti di cuore.
El lo sentí far scattare il lucchetto e così fece lei, deglutendo un groppo in gola, trovando così assurdo averlo così vicino e non potergli parlare, così ad un passo e così vivo il suo respiro e non poterlo sfiorare.
E chi lo aveva detto poi che non poteva?
Cosa sarebbe mai successo se l'avesse sorpreso e ci avesse provato, dopo una settimana di silenzi inutili che avevano portato nessuno dei due a stare meglio in fondo?
E quanto era intenso e buono il profumo di fiori che continuava ad emanare il suo fiorellino anche quella mattina, quasi assurdo e stonato in quel clima di buio, freddo, nebbia e nuvole, dentro e fuori di loro.
Portava davvero con sé la primavera, ovunque, per tutto l'anno, e Mike era così stufo dell'inverno e del freddo, avrebbe dato qualunque cosa e qualunque sogno in quel momento per poterla chiamare ancora una volta semplicemente così, con il suo nome.
Con quel nome che lui aveva inventato appositamente per lei, mai stato più azzeccato per nussun altro al mondo: il suo piccolo, piccolo fiorellino.
"Non avrei valuto farti del male così, Mike..."
"Ti amo ancora tanto, El...non può finire davvero così..."
"Meritiamo tutti di essere felici...perfino noi"
"...Mike?"
Ma quando El ebbe preso fiato e chiuso lo sportello rosso del suo armadietto verso di lui, anche lui aveva fatto lo stesso, ma appena un accenno di secondo prima.
Ed al posto che il suo viso sorridente e puntinato di lentiggini, El ritrovò quella mattina di fronte al suo armadietto chiuso solo le sue spalle magre e curve, il suo maglione di lana dalla fantasia imbarazzante di fronte ai suoi occhi e le sue gambe lunghe in marcia lungo quel corridoio, nella direzione opposta.
Lontano da lì, lontano da lei.
Lontano dalla sua speranza disillusa.
Lo rimase a guardare, El, sentendo tutte le lacrime represse premere in quel momento per uscire, più furenti e deluse di prima, sentendosi stupida ad averlo sperato, ad averlo anche solo immaginato per un minuto.
Meritavano anche loro di essere felici, ma forse non insieme, forse non più: il loro tempo ormai era scaduto, era finito.
Non restava per loro alcun tipo di futuro.
E Mike non sentí stranamente più figo, sicuro o soddisfatto di sé quella mattina, voltatosi andandosene senza nemmeno salutarla per l'ennesima mattina di fila, chiedendosi se i suoi occhi lo stessero seguendo per davvero, o fosse anche quella solo l'ennesima illusione.
Forse era vero, non era fatto per l'amore: era troppo stupido, troppo immaturo.
O forse era davvero solo troppo ferito, troppo ancora deluso.
In fondo loro erano solo due ragazzini troppo feriti ed orgogliosi, e, quella era solo un'ennesima mattina di un inverno freddo e buio.
*
"Pronto, Will...mi ricevi?"
"Sì, Mike, ti ricevo..."
El non avrebbe proprio dovuto farlo.
Se lo era riproposta tutta la settimana, resistendo a quella sensazione, a quella chiamata silenziosa, a quella voglia irrefrenabile, quasi più simile ad un vero e proprio impulso, ad un prurito sotto la pelle.
Se lo era ti ripromessa e ci era riuscita, complici le serate pigre, infiniti pomeriggi al laboratorio nei quali non aveva più rivisto il mostro, ma non per quel motivo meno pesanti e terribili da quando aveva messo piede in quel posto a quando ne era riuscita.
Aveva deglutito le sue lacrime la prima sera, lanciando occhiate dubbiose al suo supercomm, quello vecchio di Will che le era stato impestato da Mike mesi e mesi prima, come se il solo guardarlo avesse avuto il potere di farlo squillare davanti ai suoi occhi, lì all'improvviso, nel breve triangolo disegnato dalle lancette dell'orologio sulla parete che da sempre lei ed il suo ricciolino avevano destinato ad uno dei loro momenti della giornata preferiti: la chiamata della buonanotte prima di andare a dormire.
Ma il supercomm non aveva trillato la prima sera, non per le sue suppliche e nemmeno per magia, e la voce calda ed accogliente di Mike non aveva fatto capolino nemmeno la sera dopo, ne tanto meno quella dopo ancora, fintanto che El aveva spento definitivamente l'apparecchio, lanciandolo con la mente dietro al letto dopo avergli tolto le batterie.
Che cosa si doveva aspettare in fondo?
Che diritto aveva di aspettarsi che non fosse altro che così?
Mike l'aveva già inseguita una volta: lei lo aveva ascoltato ma non gli aveva risposto, era rimasta soltanto in silenzio.
Ed ora, il silenzio pareva essere rimasto l'unico amico con il quale condividere ogni sera la sua lunga attesa del sonno con la testa già sul cuscino ed i pensieri lanciati nella testa a 3000/h.
"El è in casa? Me la può passare?" aveva sentito la voce di Max al telefono di casa un paio di sere ad ora di cena, ma Hopper già si era arreso a rispondere la stessa frase che El lo aveva obbligato a ripetere senza obbiettare.
"El é molto impegnata con i compiti sta sera, ti richiamerà più tardi"
Ma El non aveva mai richiamato.
Eppure si era imposta di non farlo, di non mancargli di rispetto in questo modo, non a Mike, non a lui.
Se Mike non le voleva più rivolgere la parola, che fosse in presenza lungo i corridoi o nemmeno attraverso un filo o quella scatoletta luminosa, non era giusto che fosse lei quella ad imporgli di farlo, non sarebbe stato giusto imporgli la sua presenza così.
Conosceva bene il potere della sua mente, sapeva che avrebbe potuto raggiungerlo in qualsiasi momento, anche lì, proprio in quel preciso istante, ma non sarebbe stato giusto, non sarebbe stato corretto.
Ed ancora, più di tutto, El aveva paura di che cosa avrebbe potuto trovare.
Se Mike non la chiamava e non le parlava, di certo l'aveva già dimenticata, non poteva che essere così.
Forse era stato più facile per lui che per lei: in fondo lui aveva un mondo di amici intorno a sé, una famiglia, passioni, hobby, esperienze che erano esistiti già prima di lei, non aveva dovuto fare altro che farvici ritorno.
Non era come lei che aveva perduto in un solo sabato sera, insieme con lui, anche il resto delle cose belle e luminose dell'intero suo mondo.
Non poteva che essere così, non c'era altra spiegazione: lei non sarebbe mai potuto mancare a lui tanto quanto lui mancava a lei in quelle sere, e per questa e per tutte quelle altre ragioni, El non aveva mai ceduto a quella curiosa tentazione.
Mai, nemmeno una volta.
Nemmeno una volta tranne quella sera.
"Mi senti?"
"Si, Mike, te l'ho detto, ti sento...che c'è?"
"Ehi, amico..mi dispiace per sta mattina, sono stato una testa di cazzo...scusami"
La stanza era buia e silenziosa, forse leggermente più in ordine di come El se la ricordava: intorno, dal corridoio, dal piano di sotto, nessun rumore, solo calma e quiete, una porta rimasta aperta come El mai credeva di averla vista, lungo i contorni della camera appena abbozzati nel buio del vuoto, rimasta immobile la piccola sullo stipite di quella porta invisibile come a fermare se stessa dal procedere di un passo in più, dall'entrare veramente dentro quella camera nella quale da sempre si era sentita la benvenuta.
Ma il suo cuore quella sera le suggeriva non potesse essere più così.
Nessun vociare della signora Wheeler dalla cucina, nessuna sigla sei cartoni animati della piccola Holly in sottofondo: solo in quel momento ad El sembrò di ricordare quello che le aveva detto Mike il weekend prima, riguardo quella settimana di Carnevale, il viaggio dei suoi genitori con la sorellina minore, la casa vuota tutta la settimana e libera per lui, per loro.
Quanti bei momenti aveva immaginato Mike di poter trascorrere con lei in quella settimana, quanti lei non gli aveva concesso di vivere insieme per colpa sua: quello fu il primo nodo alla gola della piccola quella sera, pentendosi immediatamente di averlo raggiunto fino a lì.
Spiarlo nel vuoto era qualcosa che non aveva mai fatto.
O che, per lo meno, si era sempre imposta di non fare, con qualche rara eccezione.
Ma dopo quella mattina, quella volta, non aveva potuto resistere.
Doveva solo capire se l'aveva già dimenticata, se la odiava davvero così tanto come non perdeva occasione per dimostrarle con disprezzo ogni volta che la vedeva, e se aveva sul serio voltato pagina del tutto con lei come voleva farle credere.
Non le serviva altro, El voleva solo capire.
E non avrebbe fatto meno male, certo, ma almeno El avrebbe saputo: meritavano tutti di essere felici, come aveva detto il suo papà quella mattina.
Doveva lasciare Mike libero di esserlo, senza di lei.
"Credo di esserlo stato per tutta la settimana, in effetti, Will..."
"Asserisco, amico, sei stato decisamente una testa del cazzo più del solito!"
El udí la sua risata giungere alle sue orecchie, così leggera che parve quasi una folata di vento fresco in una mattina di sole: troppo breve per essere sincera, troppo bella nonostante tutto per non farla soffrire.
"Credo di essermelo meritato, Will...mi dispiace!"
"È tutto a posto, Mike, sul serio...non parliamone più!"
El si mise a sedere sul tappeto ai piedi del letto, non osando avvicinarsi di un centimetro di più, non osando sedersi sul suo letto insieme con lui, come aveva fatto tante altre volte senza porsi il minimo dubbio, come la pareva essere decisamente troppo quella sera in quella stanza priva di pareti ed immerse nel buio.
Lì dal basso lo poteva veramente vedere, lo poteva osservare così da vicino come non le pareva di aver potuto fare per una vita, non per una manciata di giorni appena.
Erano così pallide le sue guance, quasi iridescenti alla luce fredda ed irreale del vuoto intorno a loro, così lunghe le ombre dei suoi zigomi, così spenti i suoi occhi, privati e svuotati di ogni scintilla di vitalità e di gioia.
Del Mike che ricordava non pareva essere rimasta quella sera altro che l'ombra, come un involucro vuoto cavo e privo di luce.
Ed era stata lei a renderlo così, non era altro che colpa sua.
"A proposito, Will, per quel discorso di sta mattina..." udí distrattamente El, affondando la testa nelle ginocchia strette al petto per non vedere di più.
Faceva troppo male, ci stava troppo male, era troppo, troppo...
"...cosa dicevi a proposito di quella festa?"
El rialzò la testa di scatto a quella parola, convinta che si fosse sbagliata, che dovesse sul serio esserci un errore.
Una...una festa?
E il suo Mike voleva...oh no, no, non era possibile...
"La festa di Carnevale di domani sera?"
"Sì, amico, quella..."
"Ci sarà una piscina, un buffet, tanta musica..." El mosse le labbra appena nel buio, udendo la voce di Will continuare titubante dall'altro lato della linea e Mike sospirare portando una mano sulla fronte, scostando i ricci neri come la notte.
Una festa?
Una festa di Carnevale?
E i suoi amici ci stavano...
Ci stavano andando senza dirle niente?
"E perché avrebbero dovuto dirtelo? Che scema che sei, El..." rispose puntuale e fastidiosa una vocina nella sua testa, vicino al suo orecchio.
"È tutta la settimana che ignori tutti loro, che declini tutte le chiamate di Max: forse non sono loro a comportarsi da stronzi, El: sei tu quella a volere a tutti i costi essere esclusa dal resto del mondo!"
"...e il costume è obbligatorio all'ingresso, pensi sia un problema così all'ultimo?"
"Penso di potermela cavare in qualche modo..." vide Mike sforzare un piccolo sorriso, come per autoconvincersi del suo entusiasmo, quasi Will avesse potuto sul serio vederlo in quel momento.
Chissà quante altre volte aveva sorriso, dall'altro lato di quel supercomm, lungo quelle loro chiamate tutte le sere, si maledisse El per quel pensiero, chiudendo gli occhi e riaprendoli sulla sua figura di fronte a sé.
Forse non era stata davvero una buona idea raggiungerlo lí, forse aveva già ottenuto così la sua risposta.
"Mike, sul serio...se pensi che non sia una buona idea io non voglio insistere di più..."
"Ci sarò, Will, come hai detto tu! Può essere una buona occasione per....per divertirmi e ritirarmi su!" vide Mike annuire con tono più deciso, non potendo fare altro che scuotere la testa, ripetendosi di doversene andare via immediatamente da lì.
Faceva male, tanto, troppo.
Lo aveva raggiunto con il cuore spezzato e tutto quello che aveva trovato era lui ad organizzare con i suoi ex-amici il modo di divertirsi quel weekend senza di lei.
Se questo non le bastava per capire che Mike aveva deciso di voltare pagina con lei, non sapeva che cosa altro le sarebbe mai servito.
"Come vuoi tu, amico, vedrai...ci divertiremo!"
"A domani, Will"
Lo udì chiudere la trasmissione lasciando cadere il suo supercomm sul letto, tirando su con il naso e passandosi una mano suoi ricci con aria pensosa, un veloce cenno di sguardo all'orologio sul suo comodino, quella a forma di Morte Nera in miniatura.
Una nuova ruga più profonda e cupa parve solcare il suo viso pallido in una frazione di secondo, e fu quello il momento nel quale El si decise ad alzarsi in piedi, convinta più di prima di non poter resistere di più.
Era troppa la voglia di avvicinarsi e toccarlo, di avvolgere le mani intorno al suo viso, di stringerlo ancora una volta più stretto a sé.
Chissà se la poteva sentire piangere anche da lì nel vuoto?
Chissà se, come per magia o per una maledizione, potesse avvertire in qualche modo il suo dolore fin da lì.
"Non dovevi venire qui, El, sei stata una stupida! Cosa ti aspettavi di trovare? Cosa pensavi di ottenere? Si merita di essere felice, lascia che lo sia! Sparisci dalla sua vista, non era quello che volevi fin dall'inizio?"
"Pronto El...mi ricevi?"
I passi di El si bloccarono di colpo nel vuoto al suono di quelle parole, lasciandola impietrita e congelata sul posto.
Un brivido lungo la sua intera spina dorsale, forse di freddo, forse invece di calore, di amore, di paura.
Se l'era solo immaginato o lo aveva sentito per davvero?
Aveva...aveva davvero pronunciato il suo nome?
"Certo che non mi ricevi, ma che stupido che sono..." lo vide scuotere la testa lasciando cadere i suoi ricci sulla fronte.
Si voltò nuovamente verso quel letto la piccola, rimanendo in piedi immobile e bloccata di fronte a lui, portando una mano aperta sulla sua bocca come se anche il suo stesso respiro potesse tradirla in quel momento.
La stava chiamando sì, ma la sua rice era spenta.
E anche quella di Mike, in quel momento, girava a vuoto su di un canale sconosciuto, non di certo quello da loro scelto e concordato: 011.
Mike le stava parlando già sapendo che lei non avrebbe potuto sentirla.
Quello che mai il suo paladino avrebbe potuto immaginare era che lei, quella sera, lo stava sentendo eccome, oh se lo stava sentendo in quel momento.
"Giorno 5, una brutta giornata..." deglutí El sentendo gli occhi diventare umidi in un secondo, vedendo le sue spalle curve sollevarsi piano piano lentamente, facendo ondeggiare i ricci neri davanti ai suoi occhi, nascondendoli alla sua vista.
Eppure, El ci avrebbe potuto scommettere, non li avrebbe trovati poi tanto diversi dai suoi in quel momento.
"Oggi ti ho vista, El, come tutti gli altri giorni del resto, e, di nuovo...e di nuovo mi sono comportato come un coglione e non ho avuto le palle nemmeno di dirti ciao o di guardati da vicino..." tirò su con il naso Mike, ringraziando sul serio di ritrovarsi da solo in quel momento come tutte le altre sere di quella settimana infinita.
Faceva male far finta di niente tutti i giorni per tutto il giorno, non avrebbe mai potuto non concedersi quei pochi, piccoli minuti da solo con sé stesso, a tu per tu da solo con il suo dolore.
Che fosse giusto o sbagliato, che fosse utile o addirittura controproducente non aveva più importanza per lui a quel punto.
Ne aveva bisogno, aveva bisogno di dirlo, di essere sincero con se stesso almeno per un minuto.
Almeno per un minuto ogni giorno per continuare a far finta per il resto del tempo che lei non ci fosse, che lei non fosse mai esistita.
"A volte mi sembra davvero di sentirti...a volte vorrei solo che fossi qui e stessi sentendo sul serio tutto quello che ho da dirti..."
El portò anche l'altra mano sul viso, incapace di trattenere di più i suoi singhiozzi.
Era forse sollievo quello che avvertiva nel petto?
Era forse una gioia timida, mescolata alla luce flebile di una nuova speranza, sottile ma già in grado da sola di squarciare le tenebre intorno?
Allora...davvero non la odiava?
Davvero anche lui avrebbe solamente voluto ancora averla vicina?
Davvero non era forse poi tutto perduto?
Davvero non era forse del tutto troppo tardi per tornare indietro e chiedere perdono?
"È che continuare ad averti così vicina e non poterti parlare mi sta facendo impazzire, El..." continuò Mike alzando finalmente la testa e prendendo un ultimo più profondo respiro, mostrandole finalmente alla luce fioca i suoi occhioni lucidi come i suoi.
Tristi, bui, vuoti, ma ancora disperati come solo gli occhi dei veri innamorati.
"È che ti amo così tanto, così tanto, El...anche più di prima! E non te lo posso più dire...e vorrei solo tu mi potessi sentire..."
"Mike...sono a casa!"
La voce di Nancy alla porta d'ingresso fece sobbalzare i due ragazzini di fronte a quel letto, facendoli trattenere il fiato ai due lati opposti delle due dimensioni.
"Arrivo!" urlò Mike con voce immediatamente meno morbida e dolce, passando velocemente una mano sotto agli occhi e saltando giù dal letto a piedi nudi.
"Scendi, Mike, ho comprato qualcosa di pronto per la cena!"
"Arrivo, arrivo!"
"...Mike..." sussurrò El con un filo di voce, vedendolo passarle vicino, abbastanza da poter allungare una mano per sfiorarlo, senza poterlo toccare.
E appena per un secondo Mike rimase impietrito sulla porta della sua camera al suono del suo nome, alzando la testa con aria pensierosa come se per davvero l'avesse udita fin da lì.
Ed El tranne il fiato a sua volta per quel secondo, sentendo il cuore battere più forte ancora nel suo petto al punto di poter scoppiare proprio lì, di fronte a lui.
Non avrebbe saputo dire nemmeno lei quella sera se di gioia, di tristezza, di solitudine, di speranza, di sicuro di amore.
Lo amava tanto, lo amava tanto anche lei ed avrebbe voluto urlarglielo a sua volta proprio lì, non importava se lui non capisse, non importava se lui non sentisse.
Se anche lei meritava di essere felice, lei meritava di essere felice con lui: era lei a poter scegliere la sua vera felicità, e tutta quella che aveva provato fino in quel momento nella sua vita era sempre stata solamente quella con lui!
Tutto il resto avrebbe trovato un senso, tutto il resto avrebbe trovato un posto.
Se lei amava lui e lui ancora amava lei non credeva ci potesse essere altro al mondo di più importate, niente altro di vero in quel momento.
Erano lontani il laboratorio ed i suoi orrori, le sue bugie, i suoi errori: era solo un nuovo sorriso quello a scaldarle il cuore, così carico di speranza e di una nuova luce da far invidia alla luna di quella sera, da far invidia al sole.
Ed in un secondo, El aveva fatto già ritorno nella sua cameretta nel bosco, gettata a terra la sua fascetta nera sopra gli occhi, impegnata di lacrime di tristezza e d'amore.
Una mano sotto il suo naso a nascondere un piccolo rigagnolo rosso, nessun secondo da sprecare, nemmeno più uno, non più.
La porta aperta di scatto dalla sua mente dalla sua camera al salotto, dove già un buon profumino si diffondeva lungo l'intera stanza dai fornelli già in azione.
"El, siediti a tavola, la cena è quasi pronta!" annunciò il capo Hopper al di sopra del rumore della televisione, ma la sua piccolina era già sparita.
Appena il tempo di afferrare il telefono e di inserire la prolunga per poi risparire al di là della porta di legno della sua camera chiusa alle sue spalle.
"Kiddo! Ma che cazz...?!"
"Pronto, Max! Sei tu?"
"...El?!" domandò stupita e sconcertata la voce della sua amica dai capelli rossi dall'altra parte della linea, nascondendo un visibile tono di gioia ed emozione.
"Wow, ehm...che sorpresa! Alla fine hai richiamato sul serio! È da un po' che non ti fai viva, ma che bello sentirti!"
"Max, ho bisogno del tuo aiuto..." scosse la testa El con tono risoluto: ci sarebbe stato tutto il tempo per quello, ci sarebbe stato tutto il tempo per decidere che cosa dire, per decidere quanta fetta di verità raccontare.
Ma per il momento El non aveva tempo da perdere, doveva solamente agire.
Ed El già aveva un piano quella sera.
El già sapeva che cosa doveva fare.
"Spara, amica, dimmi pure! In che modo posso esserti utile?"
"Max...tu ne sai niente di una festa in maschera domani sera?"
🌼📼
Ciao amici!!!
Allora, sono riuscita a trasmettervi in questo capitolo tutte le vibes di una delle mie scene Mileven preferite in assoluto: la chiamata nel vuoto della s2?
💔
Straziante ma meravigliosa...la adoro!
Cosa combinerà la nostra El prossimamente sui nostri schermi?
Si sa, la determinazione è femmina, perciò, aspettatevi di tutto!
Non ho veramente idea di quando potrà uscire il prossimo capitolo, perciò, questa volta più che mai, vi invito a seguirmi su Instagram per non perdere i futuri aggiornamenti!
A presto 🙃
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