2.Into The Wood
📼🌼
Hopper richiuse la porta del frigo con un rapido colpo di bacino, reggendo tra le mani in bilico uova fresche, farina, latte e tre tubetti ancora sigillati di panna spray.
Trattenne il fiato, chiudendo gli occhi per non lasciarsi accecare da un raggio di sole che dalla finestra penetrava tagliente illuminando la piccola cucina, e solo quando ebbe appoggiato al sicuro tutti gli ingredienti sul piano cottura di fianco ai fornelli si concesse infine di tornare a respirare.
Lanciò un'occhiata all'orologio a cucù appeso alla parete sopra la piccola tv:
7:15
Sì, Hopper aveva tempo quella mattina, aveva ancora tempo per preparare ogni cosa, per fare in modo che quello fosse un buon risveglio, fosse davvero un inizio speciale.
Sorrise, aprendo delicatamente le uova tra le mani grandi, mescolando con un rapido movimento del polso e una forchetta le uova tra loro in una terrina, dopo aver separato il bianco dal rosso del tuorlo: non si spiegava come il tempo fosse volato in un soffio fino ad arrivare a quel giorno tanto atteso e tanto temuto, quel giorno così importante per entrambi, ma forse un po' di più per lei.
Hopper sperava solo che entrambi fossero pronti ad affrontarlo nel modo migliore possibile.
"Kiddo!" alzò la voce posizionando dalla padella su un piatto la pila di eggos dorati ed ancora fumanti.
"È pronto! La colazione è pronta!"
Ma non ottenne risposta.
La piccola casa di legno nel bosco ancora un po' immersa nel sonno era silenzio e quiete, ad accezione dei pochi cinguettii dei passerotti appollaiati sui rami di fronte alla finestra del salotto.
Il capo scosse la testa con un piccolo sospiro: no, era assolutamente impossibile che lei stesse ancora dormendo, se la conosceva almeno la metà di quanto sapeva di conoscerla, era sicuro che lei, in quel momento, era agitata almeno quanto lui.
Si passò pensieroso una mano tra i capelli chiari, slacciando il primo bottone della divisa della Hawkins Police e concedendosi di respirare tranquillo ancora qualche secondo.
Non poteva credere che fosse passato così tanto tempo: sembrava trascorso un giorno da quella notte di pioggia nella quale da quel posto d'inferno aveva percorso a ritroso la strada portandola fino a quella casetta sperduta nella radura, pregando che nessuno li vedesse, pregando che niente andasse storto.
Ed invece già due anni erano passati da quella notte e lei era crescita così bella, così grande, così intelligente, così…meravigliosa.
"Kiddo, esci! Farai tardi!" sbuffò Hopper iniziando a spazientirsi, versando il caffè fumante nella sua tazza da colazione preferita e bevendone un lungo sorso, respirando piano e ripetendosi di calmarsi, di non agitarsi perché non era proprio il caso di essere severo proprio quel giorno.
"Kiddo…" sussurrò Hopper più titubante, dopo aver atteso qualche secondo in silenzio, vicino al tavolo della cucina con gli occhi fissi a quella porta di legno, avvicinandosi piano con l'orecchio teso a cogliere ogni più piccolo segno di vita al di là di essa.
"Posso…posso entrare?"
Hopper non sapeva bene cosa dire: il suo primo giorno alla Hawkins High School era un ricordo così lontano ed offuscato nella sua mente che il capo della polizia si era addirittura domandato se ne avesse mai davvero avuto uno. E se anche si fosse ricordato, era sicuro che sarebbe stato diverso per lei nella maniera più assoluta.
Hopper non aveva mai amato particolarmente studiare, lei invece era un talento nato, Hopper sapeva che avrebbe avuto i suoi amici di una vita al suo fianco durante quella nuova avventura, lei non avrebbe avuto nessuno, lui aveva sempre saputo a cosa stava andando incontro, lei invece non ne aveva idea nella maniera più assoluta.
"Posso entrare..?" ripeté con un sospiro, quando d'improvviso la porta si aprì con il rumore metallico della chiave nella toppa ed un fresco e dolce profumo di fiori arrivò dritto alle sue narici, facendolo sorridere.
Sì, lei aveva infine aperto davvero quella porta.
Il capo si mosse velocemente, entrando infine dentro la stanza e richiudendo dolcemente la porta alle sue spalle, dando una rapida occhiata intorno alle pareti beige a strisce lilla, come le aveva volute lei, alle tende leggere mosse dal vento dalla finestra aperta, dalla scrivania di legno piccola ed in ordine, sulla quale i libri erano stati accuratamente sistemati in pile simmetriche di fianco ad uno zaino bianco, vuoto.
"Credevo avessi già preparato lo zaino per il primo giorno…" constatò Hopper con tono leggermente canzonatorio, ma con un piccolo sorriso sulle labbra, girandosi verso di lei, dove sapeva l'avrebbe trovata, nella camera ripiena di profumo di fiori e di luce.
"Mi avevi detto che l'avevi preparato ieri sera…"
In un secondo, non appena ebbe finito di pronunciare quelle parole, Hopper vide i libri dalla scrivania elevarsi in aria, piroettare su se stessi con un gesto fluido ed aggraziato per infilarsi infine uno dopo l'altro nello zaino candido e bianco, la cui zip si richiuse con uno scatto richiudendoli all'interno.
"Fatto!" fu la risposta acuta e decisa della voce dolce e solo lievemente divertita proveniente dalla ragazzina seduta a gambe incrociate sul suo letto dalle lenzuola color panna, ancora con indosso una camicia da notte gialla tenue lunga fino alle ginocchia con il viso nascosto dietro un grande libro dalla copertina rigida.
Lo sceriffo scosse la testa, trattenendo a stento una risata e avvicinandosi di più a quel letto, prendendo posto di fronte a lei, a quella piccola figura dal dolce ed aggraziato viso immerso tra quelle pagine leggermente ingiallite, ad accezione di pochi ciuffi di ricci castani che spuntavano ribelli al di sopra della carta.
Hopper si prese qualche secondo per ammirare la sua figura in contro luce, di spalle alla finestra dalla quale filtrava calda la luce del sole di quel mattino di inizio settembre: la sua pelle luminosa e di pesca, leggermente dorata dal sole, i suoi ricci castano chiaro e ormai lunghi fino alle spalle.
Il capo sorrise, vedendo il viso concentrato di quella bambina spostarsi da una pagina all'altra, seguendo le righe scritte fitte fitte, facendo ondeggiare appena i capelli che contornavano le sue guance rosee.
Quei ricci erano stati delle prime "conquiste" che Hopper aveva orgogliosamente ottenuto, uno dei suoi primi riscatti contro chi l'aveva sempre e solo considerata "la loro piccola cavia da laboratorio", solo il primo dei tanti passi che avevano fatto insieme per renderla "la ragazzina normale" che ora sperava lei fosse pronta davvero ad essere.
Non poteva non essere felice, non poteva non essere fiero, non poteva non essere emozionato in quel momento.
Quella mattina era l'inizio di tutto, l'inizio della vita alla quale Hopper l'aveva cercata di preparare con tutta le sue energie in quei due anni, lunghi, ma sempre troppo brevi.
Il tempo per loro non era mai, mai stato abbastanza, e lo sceriffo sospirò, tornando con lo sguardo allo zaino nuovo appoggiato alla scrivania, perfettamente preparato in pochi secondi davanti ai suoi occhi, sentendo crescere dentro un piccolo sentore di ansia, di paura, di preoccupazione: come poteva pretendere in fondo che quella ragazzina crescesse come una sua coetanea "normale", se aveva passato metà delle sue giornate in quella casa da sola e l'altra metà…
"Kiddo, senti.." iniziò Hopper con un sospiro e tornando con lo sguardo a lei, ma la ragazzina, senza abbassare il libro da davanti al viso, lo bloccò:
"Lo so, lo so…niente poteri quando sarò la fuori! Lo so.."
"Esatto.." sospirò anch'egli scuotendo la testa con una smorfia, incenerendo con lo sguardo la copertina di "Cime Tempestose" che lo separava dal volto della sua figlia adottiva.
"Scusa papà…" aggiunse lei con la voce dolce e sinceramente dispiaciuta, facendo sciogliere il cuore dello sceriffo un poco, ma solo per un secondo: Hopper non si era ancora davvero riabituato a sentirsi chiamare di nuovo in quel modo dopo tanto tempo.
"Eleven, senti, non credi che abbiamo molte cose di cui parlare in questo momento?" chiese il capo alzando un sopracciglio con aria lievemente scocciata, puntando lo sguardo su quel libro ancora ben alzato di fronte a lui.
"Non puoi davvero chiudere quel dannato coso per un momento?"
"Oh ti prego, un attimo solo, per favore!" supplicò la ragazzina scuotendo la testa e facendo ondeggiare i ricci sopra le pagine aperte.
"È il punto dove Catherine confessa finalmente a Heathcliff di essere sempre stata innamorata di lui!"
"Kiddo…l'avrai letto una decina di volte!" alzò gli occhi al cielo Hopper, con tono sempre dolce ma ora leggermente spazientito.
"Ma ogni volta è come la prima.." ribattè con aria romantica la vocina al di là delle pagine, facendolo involontariamente sorridere di più.
"Eleven…"
"E va bene, va bene, ci sono, papà.." rispose infine la ragazzina con un sospirò, chiudendo il libro di scatto con un gesto della testa e lasciandolo volteggiare qualche secondo ancora davanti al suo viso.
Hopper vide il volume sollevarsi delicatamente mosso dalla sua mente per atterrare leggero sul comodino di fianco al letto, rivelando al di dietro un viso luminoso, fresco, dalle gote leggermente rosate, una fronte ampia e liscia, labbra rosse incurvate in un sorriso furbo e due occhioni grandi e nocciola vispi a fissarlo intensamente.
"I poteri…" scosse la testa Hopper con un sospiro ma sorridendo di più, vedendola ridere con aria colpevole e divertita.
"Ops!"
"E va bene, non abbiamo molto tempo…devi prepararti!" iniziò Hopper con uno sguardo all'orologio appoggiato alla scrivania e tornando rapidamente a lei, osservando finalmente il suo viso per non perdersi nessuna espressione.
"Come stai? Agitata?"
Hop vide le labbra di sua figlia tremare per un attimo, solo per un attimo, prima di riaprirsi in un piccolo sorriso tirato. Ma Hopper no, non poteva nascondere a se stesso di averlo notato.
"Dovrei esserlo?" chiese lei con una risata acuta che nascondeva solo in parte la sua ansia, scuotendo i ricci dal viso e stringendo le mani tra di loro sul suo grembo.
Il capo sospirò: doveva esserlo?
Sì, no, forse?
"Credo sia normale essere nervosi il primo giorno…" sussurrò Hopper vedendola abbassare lo sguardo, torturando la piega della sua camicia da notte sulle gambe.
"…sono sicuro che domani andrà già meglio"
La ragazzina annuì, con un lungo sospiro, mordendosi il labbro inferiore e mantenendo gli occhi bassi sulle sue mani, mentre quelli di suo padre non smettevano un attimo di guardarla in viso.
"Allora.." proseguì Hopper distogliendo infine lo sguardo sulle pareti della camera, sforzandosi di dimostrarsi più risoluto di lei in quel momento così delicato:
"Ripassiamo ancora una volta, va bene? Dunque, il tuo nome è…"
"Eleonoir.." rispose obbediente Eleven, senza alzare lo sguardo dalle sue mani strette al tessuto giallo,
"…Eleonoir Hopper"
"Esatto! E se ti chiedono dove hai studiato rispondi.."
"…dalla mia prima famiglia d'adozione a Chicago.."
"Esatto! E verrò a prenderti dopo le lezioni alle 3:15 e ti accompagnerò…"
"Lo so papà, lo so…" annuì Eleven con un sospiro, sorridendo appena tirando le sue labbra rosse in una piccola curvatura,
"…e mi accompagnerai da loro"
Il capo annuì a sua volta, guardandola fisso e notando le sue dita che non avevano smesso un attimo di tremare strette alle pieghe del vestito.
"Ehi…" si affrettò ad aggiungere con un sorriso, allungando una mano grande e raggiungendo le sue più piccole ed esili, stringendole entrambe nella sua presa, vedendola alzare gli occhi marroni e preoccupati nei suoi azzurri e sereni, dolci e pieni d'amore:
"Andrà tutto bene, ne sono sicuro! Non c'è nulla che.."
"E se non sarò abbastanza brava?" sussurrò lei deglutendo, senza rompere quel contatto visivo:
"Se mi vedranno tutti diversa, tutti...strana?"
Hopper scosse la testa, con un altro sorriso, stringendo più forte le mani nelle sue per trasmetterle coraggio:
"Ma tu sei diversa, kiddo! Tu sei speciale! Che cosa ti ha detto Joyce? Che è incredibile quante cose tu abbia imparato in così poco tempo! Che è straordinario come in pochi mesi tu abbia imparato quello che uno studente comune impara in anni ed anni!"
Eleven annuì e ad Hop si strinse il cuore di gioia, vedendo il suo viso illuminarsi a quel nome, il nome di quella donna, la sua unica compagnia di quegli anni insieme a lui, la sola amica, la sua vecchia compagna di liceo a cui aveva affidato il loro segreto, chiedendole di aiutarlo a insegnare a sua figlia tutto quello che doveva sapere per essere pronta ad affrontare il primo anno di liceo insieme tutti i suoi coetanei.
Joyce Byers aveva sempre amato i bambini e aveva desiderato diventare maestra fin da quando era piccola, abbandonando infine gli studi all'arrivo inaspettato del primo figlio, Jonathan, ma conservando uno sconfinato amore per l'insegnamento.
Sì, decisamente quella donna aveva saputo farsi amare e, conservando religiosamente quel prezioso segreto, aveva svolto davvero un ottimo, ottimo lavoro con lei.
"Perché non metti uno dei vestiti che ti ha portato lei?" sorrise ancora il capo con un cenno della testa all'armadio dall'altra parte della stanza.
"Magari quello rosa, quello che ti piaceva tanto…ti stava bene!"
Vide la ragazzina, stringendo ancora le mani nelle sue come aggrappata a quel contatto, annuire infine sorridente, lasciandogli uno sguardo dolce e colmo di gratitudine, solo più in parte sporcato da un velo di preoccupazione.
"Grazie papà.."
"Ti aspetto di là…preparati ma non ci mettere troppo, la colazione è già pronta!" disse Hopper con un ultimo sorriso, alzandosi infine dal letto e lasciandola lì a fissarlo allontanarsi verso la porta, ancora immobile con le gambe lisce e sottili incrociate sulle lenzuola color crema.
"Ah, kiddo! Niente pot…" aggiunse Hop con un ultimo sospiro, volgendosi verso di lei, vedendo le ante dell'armadio aprirsi ed un vestito rosa cipria volteggiare per aria verso di lei.
Il capo sospirò, scuotendo la testa e vedendola arrossire fino alle orecchie con aria colpevole:
"Ops!"
"…niente poteri!"
Eleven sospirò, non appena la porta si fu rinchiusa alle sue spalle, alzandosi infine dal letto per raccogliere il vestito leggero lasciato cadere dalla sua mente sul pavimento di legno.
Inspirò lentamente, chiudendo gli occhi per un secondo e stringendo al petto quel tessuto tra le dita: era tutto vero, il momento era arrivato, il momento al quale tutti l'avevano preparata per tutto quel tempo, quello che si era sentita ripetere così tante volte che ora le sembrava incredibile fosse reale e non più solo un miraggio.
Il primo giorno di liceo.
Il suo primo giorno di scuola.
Il primo giorno della sua nuova vita.
La ragazzina sorrise, portando il tessuto al viso e respirandone il profumo dolce per farsi forza, il profumo dei fiori che riempivano i piccoli vasi sparsi ovunque per la sua camera, sforzando di calmarsi, cercando il coraggio, la forza per affrontare tutto quello che le stava capitando.
"Ce la puoi fare, ce la puoi fare tesoro!" le aveva sussurrato Joyce stringendola forte il mattino precedente, uscendo dalla piccola casa in mezzo al bosco dopo l'ultima mattinata di studio insieme,
"Sei molto più forte di quanto tu possa immaginare!"
"Di quanto tu possa immaginare…"
Ripetendo nella mente quelle parole come un mantra, la ragazzina dai ricci castani e gli occhi grandi sfilò la camicia da notte gialla dalle braccia, lasciandola cadere distrattamente sul materasso e vincendo l'impulso di piegarla in un attimo con un gesto della mente.
"Niente poteri", così le aveva detto Hopper almeno un milione di volte, insieme a frasi del tipo "È per il tuo futuro", "sarai libera", "non sarai altro che una ragazzina normale come tutte le altre!"
Eleven sospirò, infilando dalle braccia il vestito rosa cipria dalle maniche lunghe, un piccolo colletto tondo e bianco e una gonna morbida e leggera sopra il ginocchio: sì, avrebbe finalmente visto con i suoi occhi quello di cui tutti parlavano, quelle "ragazzine normali", sue coetanee a cui tutti tanto aspiravano di omologarla.
Il punto era: ne sarebbe davvero stata in grado?
Sarebbe riuscita per una volta a sentirsi davvero "normale", a farsi credere davvero "Eleonoir" e a nascondere la vera sé, la vera "Eleven"?
Alla ragazzina qualche volta girava la testa se si fermava a pensare a tutto quello che era successo nella sua vita in quegli ultimi due anni.
Da un giorno all'altro era stata strappata dalla sua casa, o almeno, dal posto che aveva sempre ritenuto tale, poco importava che fosse in realtà la fredda cella di un laboratorio con un materasso piccolo e duro: lei, invero, non aveva mai conosciuto niente di meglio.
All'inizio aveva avuto paura, paura di quell'uomo che l'aveva portata via da tutto quello che conosceva, che, pur con modi gentili e mai sgarbati, le aveva chiesto all'inizio le cose per lei più assurde: dal mangiare con delle posate ad imparare degli stupidi "segnali segreti" prima di aprire la porta di casa.
Eppure, con il tempo, la bambina aveva imparato a fidarsi di quell'uomo dall'aspetto a volte burbero ma dal sorriso sempre gentile, che oltre a tante regole strane e bizzarre, le aveva insegnato anche cose che lei non avrebbe mai osato immaginare, cose meravigliose.
Hopper le aveva insegnato che nessuna cena si può definire tale se non termina con un buon dolce, che il sole brucia d'estate e si placa in inverno, che ogni fiore della radura intorno alla loro casa aveva un profumo diverso e che poteva portarli tutti con sé, se li coglieva e posava in un vaso con un po' d'acqua per continuare a farli fiorire.
Eleven sorrise, sistemando con un gesto della mano le pieghe del vestito rosa e volgendo lo sguardo altrove lungo la stanza, sfiorando con lo sguardo uno dopo l'altro i fiori profumati e riposti nei vasetti sparsi nei piccoli vasi: tulipani, gelsomini, papaveri, rose selvatiche, la ragazzina aveva imparato a riconoscere ed amare ogni tipo di fiore, qualcosa di così fragile ma in grado di riempire di profumo e meraviglia lo spazio intorno.
Hopper le aveva detto una volta che anche lei era come quei fiori: piccola e fragile, ma meravigliosa, ed quella bambina, circondata da tutti quei piccoli colori, si era sentita sempre meno sola.
Scendendo da una mensola all'altra, lo sguardo di Eleven incontró i libri, sistemati con cura su di una piccola libreria appena sopra il suo letto dalle lenzuola chiare.
Sorrise, scorrendo con gli occhi i titoli che in quei mesi, in quelle giornate di solitudine, in quelle notti di incubi e paure, le avevano tenuto compagnia e dato una grande forza: sì, Hopper le aveva insegnato tutte quelle cose, ma Joyce le aveva forse dato il regalo più grande.
Joyce le aveva insegnato a leggere.
Eleven non si era mai più sentita sola, da quando le era stato concesso di sognare i mondi meravigliosi dove quei racconti la potevano portare, spinta dalla più fervida immaginazione.
Dalle colline nebbiose della Scozia dalle coste più soleggiate alle spiagge più bianche, non c'era paesaggio e non c'era storia che quella piccola non avesse potuto rappresentare davanti ai suoi occhi con la sua fantasia.
Ma il suo mondo in quegli anni non era stato solo luci e colori e qualcos'altro aveva caratterizzato ogni sua giornata, ogni singolo giorno, anzi ogni singolo pomeriggio.
Ogni giorno di sogno e di incubo.
Ogni giorno di paradiso e di inferno.
Sospirò, lanciando un ultimo sguardo allo specchio e sistemando con le dita i capelli più lunghi e arricciati fin sulle spalle: era quello il suo personale prezzo da pagare per lei per essere anche lei "una ragazzina normale" come tutte le altre?
"Kiddo! La colazione!"
"Arrivo!!" urlò Eleven in risposta, aprendo con la mente il cassetto della scrivania dopo aver verificato che il padre non potesse vederla dalla cucina, trattenendo il fiato, ed avvicinando al viso lo scovolino nero dai dentini sottili del mascara, quello che le aveva portato Joyce insieme ad alcuni vestiti nuovi, dicendole di provare, che l'avrebbe fatta sentire speciale, ancora più bella.
"Pretty…really pretty!"
"Allora è così che appaiono le ragazzine normali?" si chiese con ultimo sguardo preoccupato alla sua intera figura riflessa nello specchio, chinandosi per allacciare le Converse bianche alla caviglia, regalo di Hopper e Joyce per il suo primo giorno di scuola.
Si sentiva carina, veramente carina.
Hopper aveva ragione, quel vestito la faceva davvero sentire bene e più coraggiosa e, in fondo in fondo, Eleven davvero non vedeva l'ora di sfoggiare quel suo nuovo look ad un pubblico più grande di quello che era sempre stato il suo papà adottivo sdraiato sul divano davanti alla tv con indosso una delle sue immancabili camicie a quadrettoni.
Sforzandosi di sorridere, dopo aver afferrato al volo lo zaino dalla scrivania, la ragazzina aprì infine la porta della camera con la mente senza pensarci, distrattamente, troppo distrattamente, pentendosene immediatamente quando vide Hopper dalla cucina lasciarle uno sguardo di rimprovero accompagnato ad una piccola risata.
"Kiddo…"
"Ops!" rise El allargando le braccia con sguardo innocente e prendendo posto con due balzi sulla sedia di fronte tavola, spalancando gli occhi alla porzione di eggos impilati in più strati e guarniti di abbondante panna spray: la colazione speciale del suo papà, quella delle grandi occasioni.
Forse in fondo il suo primo giorno di scuola non era poi iniziato così male.
📼🌼
Ed eccoci qua!
A voi il secondo capitolo di
Let me Love you!🎉
Spero che vi sia piaciuto questo primo contatto con la nostra "Eleven" e fossi in voi non crederei di averla già capita perché...quella ragazzina nasconde molti segreti!
Curiosi di sapere cosa succederà ora, di buttarsi nella mischia lungo i corridoi della Hawkins High?
Non perdetevi il prossimo capitolo!
Ari🌻
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