011.Pretty Beautiful

Oh baby you, turn gray to blue
Yeah, what you do is
wonderful, wonderful
Don't you know, oh you're so
beautiful, beautiful
You make pretty beautiful

📼🌼

Le ante dell'armadio bianco di una cameretta in una piccola casa in mezzo al bosco non erano mai state così piccole come in quel momento.
Le grucce appese non erano mai state così scarne, i tessuti estivi mai stati più banali, le parole cattive mai state taglienti a filo di mente, una piccola ragazzina dai riccioli chiari sciolti sulle spalle mai più assorta a torturare le sue povere mani in piedi di fronte al letto, consapevole che, per la prima volta in vita sua, era arrivato anche per lei il fatidico momento di pronunciare quelle semplici parole:
"Non ho niente da mettermi"

Il vento autunnale soffiava sferzante fuori dalle finestre chiuse quella sera di fine settembre, lasciando di sfondo un cielo limpido e sgombro da ogni nuvola e concedendo che le stelle brillassero consigliere e incoraggianti contro la trapunta notturna.
Ma quella sera la piccola Hopper, conclusa un'altra infinita settimana e un altro eterno pomeriggio chiusa in quel laboratorio, avrebbe volentieri preferito mettersi ad urlare in mezzo alla sua camera la sua gioia frammista a tensione rompendo quel silenzio e quella pace tutt'intorno.

Le parole di Mike erano ancora lì impresse nella sua mente, come appena giunte al suo orecchio, come appena lette pronunciate dalle sue labbra rosse e all'apparenza così morbide come due boccioli tutti da baciare:
"Forte! Allora…a domani!"
"A domani!"
"Vieni all'ora che vuoi…"
"Non farò tardi!"
"Ciao El!"
"Ciao Mike…"

El sorrise anche in quel momento, sola nel silenzio della sua camera, unendo le mani in preghiera di fronte alle sua labbra e prendendo un profondo respiro, sollevando le spalle magre sotto il leggero tessuto del suo vestito a fiori: oh sì, era successo, era sul serio successo per davvero!
Ce l'aveva fatta, aveva chiesto a Mike di trovarsi il mattino seguente per la ricerca e, cosa migliore di tutte, era stato lui poi a chiederle di più, di ampliare quel tempo insieme con un invito gradito tanto quanto inaspettato:
"D&D sabato sera, a casa mia…sono sicuro che ti piacerà!"

La piccola chiuse gli occhi, battendo le mani felice di fronte al suo viso, non potendo più trattenere l'entusiasmo che sentiva crescere in quel momento nel suo piccolo cuore, la miriade di fuochi d'artificio che stavano dando spettacolo da quella mattina direttamente nella sua pancia, che neanche un pomeriggio di freddo e paura erano riusciti quella volta a cancellare.
Cavolo, non avrebbe dovuto sul serio sentirsi sola un altro weekend, correndo nel vuoto della sua mente per raggiungere la sua camera e guardarlo studiare di nascosto, sorridendo nel buio e illudendosi che quello sguardo incerto fosse davvero rivolto a lei, come se lui avesse davvero potuto vederla.

No, quella volta no, non quel fine settimana.
Mike l'avrebbe vista sul serio, lì vera e reale nella camera dalle pareti tappezzate di poster che El già conosceva e che avrebbe dovuto fingere di non amare già: l'avrebbe vista perché sì, lui l'aveva invitata, quella volta era vero!
Ed El, da tutta la vita schiva e desiderosa di poter nascondersi e sparire, non avrebbe fatto altro tutta la vita che lasciarsi guardare da lui.

Ondeggiò sulle punte delle converse bianche ancora ai suoi piedi quel fiorellino, senza riuscire ad allontanare dalle sue labbra quel sorriso enorme ed incontenibile finalmente lasciato libero di illuminare il mondo attorno, ripensando per un secondo a quei due occhi scuri, a quel sorriso limpido, a quel viso dolce dalla pelle chiara ricoperta di puntini che El avrebbe voluto unire con la punta del dito come in uno di quei disegni sulle riviste dei programmi tv.
Oh sì, cavolo sì!
Si sarebbe seduta davvero a quella stessa scrivania dove l'aveva visto scrivere la ricerca a capo chino, si sarebbe potuta avvicinare davvero a quel viso e sentire quel suo profumo di buono e di pulito, avrebbe potuto sentire il suo stesso cuore perdere un battito forse, o forse due o forse cento, perdendosi tra le sue ciglia lunghe e nere e le sua labbra grandi e rosse, avvicinandosi lentamente come quella sera nel vuoto, ad un passo dal suo viso, ad un passo dal suo sorriso, fino a…
"Kiddo! La cena è sul fuoco!"

El sobbalzò a quella voce proveniente dalla cucina, rendendosi conto solo in quel secondo di aver trattenuto il respiro per tutto quel tempo, voltandosi di scatto verso la porta con le guance roventi e quel bel sogno lasciato mezzo aperto nella sua mente, un secondo prima di veder spalancarsi la porta della sua camera alle sue spalle e una figura alta e robusta comparire davanti a sé, lo stesso sguardo stanco e un'espressione leggermente, solo leggermente più tesa del solito.

"Piccola…mi hai sentito?"
"Sì…sì papà!" boccheggiò El deglutendo l'imbarazzo, non osando nemmeno immaginare di quanti grandi di rossore in più avrebbe potuto dipingersi il suo viso se mai quell'uomo gentile avesse avuto il potere sovrannaturale di leggere i suoi pensieri.
"Ho capito…la cena!"
"Sì, ecco…ho appena iniziato a preparare…" iniziò Hopper con un sospiro, abbassando lo sguardo e passando una mano sotto gli occhi con la stessa aria preoccupata che El aveva visto impossessarsi del suo viso appena poche ore prima.
"Un progetto, per il corso di chimica…a coppie"

El si morse il labbro, abbandonando il suo sorriso per un'espressione più composta, in attesa, vedendo il capo indugiare, come indeciso sul da farsi, sul come proseguire quella conversazione.
Non era certo felice di vedere il padre così, era troppo ovvio avesse qualcosa ancora da aggiungere, ma non sapeva lei stessa come introdurre un l'ulteriore discussione: in fondo aveva già risposto a tutte le sue più accurate domande: dove, per quanto tempo, con chi, perché, che altro avrebbe dovuto ancora dirgli in quel momento?

"Io…" lo vide sospirare prima di allargare le labbra in un piccolo sorriso che, per quanto tirato fosse, fece anche lei sorridere di rimando, sciogliendo in parte quella tensione,
"Io…devo fare una telefonata..va bene tra 15 minuti?"
"Va benissimo papà" annuì El con occhi grandi e felici, vedendolo annuire anch'egli piano prima di voltarsi di spalle richiudendo la porta dietro di sé:
"D'accordo, 15 minuti!"

El sospirò, di nuovo sola nella sua camera dopo quell'imbarazzante scambio di battute, lasciandosi cadere seduta sul letto e sfilandosi le scarpe con un piccolo scatto dei piedi contro il pavimento: unì le mani sul grembo, riprendendo a torturarsi le dita, il capo chino e la mente in subbuglio, riprendendo una dopo l'altra le battute che avevano riempito di tensione l'abitacolo dell'auto della polizia, appena una manciata di ore prima:

"Kiddo! Eccoti!"
"Buongiorno papà!" aveva sorriso El saltando sul sedile ed allacciando la cintura, raggiunta di corsa l'auto marrone al fondo del cortile affollato.
"E questo sorriso?" aveva chiesto Hopper curioso, volgendo lo sguardo alla strada dopo pochi istanti di silenzio nei quali la piccola non aveva smesso un secondo di sorridere, rigirando quel piccolo fiore bianco tra le due dita, prima di infilarlo con un semplice gesto della mano tra i suoi capelli ondulati,
"…è successo qualcosa di bello?"
Hopper l'aveva vista con la coda dell'occhio annuire, leggermente più rossa ed enormemente più felice, alzando su di lui due occhi così luminosi che non credeva di aver mai visto così belli sul viso di quella piccola ragazzina che ormai da due anni amava chiamare "sua figlia".
"Sì…" aveva sorriso El, vedendolo alzare un sopracciglio con aria ancora più curiosa e divertita,
"Qualcosa di molto, molto bello…!"

La piccola Hopper si scosse da quel torpore, sentendo un improvviso rumore rompere il silenzio della casa immersa nella quiete della sera: un rumore o meglio una voce, familiare e lontana, abbastanza da non poter essere sentita ma non abbastanza da non poter essere colta dalle sue orecchie più che attente in quel momento.
"Ehi…sì, sono io…sì, lo so che è tardi ma hai un minuto? I ragazzi possono sentirti? Okay sì, ti ringrazio…farò in un attimo"

El deglutì ancora, stringendo più forti le dita sul tessuto leggero sulle sue gambe, imponendosi di non ascoltare, di distogliere le orecchie, di non preoccuparsi.
Non poteva negare a se stessa che quella reazione non era stata proprio quella che si sarebbe immaginata e non poteva dare a se stessa una spiegazione logica né sul di quelle parole né sul perché di quello sguardo preoccupato, sapeva solo che sì, quel fiorellino ci avrebbe potuto mettere la mano sul fuoco, il suo papà le voleva un gran bene, non poteva che essere quello il motivo di tutta quella titubanza e preoccupazione.

"Una ricerca…in coppia…domani mattina?"
Sì, esatto papà! Una ricerca…in coppia…domani mattina"
"Avete scelto voi con chi svolgere la ricerca…?" aveva allora chiesto il capo della polizia, stringendo più forte le mani intorno al volante con aria fintamente serena ma sguardo teso, facendo la piccola tentennare, non avendo immaginato una reazione così fredda e certo non rilassata,
"O vi ha assegnato la professoressa nelle coppie?"
"No no, non abbiamo deciso noi, è stata la professoressa Leen…noi abbiamo deciso solo…"

"E chi è il tuo compagno di ricerca? Non me l'hai ancora detto mi sembra…" Hopper aveva preso un bel respiro, imponendosi la calma, di non far trapelare la paura impossessatasi in un momento della sua grande figura.
Certo avrebbe dovuto, avrebbe dovuto davvero aspettarsi che prima o poi sarebbe dovuto accadere: era stato lui a dirle di fare amicizia, non poteva lamentarsi ora di quel che sua figlia gli stava riferendo con occhi emozionati e pieni di gioia.
Non poteva reagire così, non poteva tradire in quel modo la sua fiducia, non era quello che quella bambina avrebbe mai meritato.
Doveva mostrarsi felice, non preoccupato, entusiasta come lei, non apprensivo ed agitato, era gioia quella che avrebbe dovuto trasmetterle, non paura irrazionale prima ancora di cominciare.
E il capo Jim Hopper sperava almeno che quel secondo elemento della loro coppia fosse una ragazza come lei, a modo e dall'aspetto gentile.

Ma quando quella piccola ebbe pronunciato quel nome, sconosciuto alle orecchie del capo salvo per un cognome sepolto nei ricordi della sua mente da liceale spensierato e con una decina di chili in meno ed anni sul groppone, Hopper dovette usare molto, molto del suo autocontrollo per non esclamare "No! Decisamente no!" nell'abitacolo dell'auto ferma al semaforo di fronte alla stazione di polizia:
"Mike…Mike Wheeler"

"Mike…Mike Wheeler" la piccola Hopper sentì ripetete quella sera appena poche ore dopo, scandendo le lettere di quel nome abbastanza da essere certo che arrivasse correttamente alle orecchie dell'interlocutrice dall'altra parte della linea:
"Sì, lo so, lo so che sarebbe successo poi, è solo che…Joyce, lo sai cosa ne penso, lei è…no, certo, lo so, è solo che…sì, ecco…avevo bisogno di parlartene…no certo, certo…ovvio che le ho detto di sì"

El saltò giù dal letto a quelle parole, richiudendo con la mente la porta rimasta semiaperta e lasciando definitivamente il resto del mondo fuori dalla sua stanza.
Era vero, il suo papà alla fine non aveva potuto che darle quella risposta, non aveva potuto che dirle di sì.
Sì, l'avrebbe accompagnata la mattina successiva a casa di quel ragazzo per la ricerca di coppia e sì, l'avrebbe riaccompagnata allo stesso indirizzo anche poche ore dopo per quel primo sabato sera lontano dallo loro tv e dal salotto della loro casetta in mezzo al bosco.

Il capo Hopper non aveva potuto che rispondere così, certo non con lo stesso suo entusiasmo che la piccola si sarebbe immaginata, ma rincuorato del fatto che, sì, almeno quell'impegno pomeridiano tanto odiato ma eppure tanto importante non sarebbe stato in alcun modo messo in discussione:
"Puoi fare di tutto, piccola, ogni cosa può trovare una soluzione, ma quello no, lo sai, per quanto non piaccia a me esattamente come a te è così, non possiamo farci niente. Ogni pomeriggio lì non puoi proprio rinunciare"

El scosse la testa, scacciando dalla mente quelle parole, lì in piedi di fronte all'armadio dalle ante per 3/4 vuote ancora spalancate ed in attesa di fronte a lei.
Non riusciva a spiegarsi il perché della reazione di suo padre, di quel mancato entusiasmo, di quella vena di preoccupazione nella sua voce, e i suoi primi pensieri scaturiti da quella discussione di poche ore precedenti in quell'auto non erano stati che quelli, proprio quelli che ora avrebbe voluto scacciare.
Di una cosa El era certa, almeno tanto quanto dell'affetto che quell'uomo grande e grosso nutriva nei suoi confronti: il suo papà sapeva sempre tutto, o almeno, ne sapeva sempre molto, molto più di lei.

Che fosse allora quello il motivo di tutta quella apprensione, quella la ragione di quel silenzio e della costante sensazione che volesse aggiungere qualcosa per poi non concludere niente?
Che il suo papà sapesse qualcosa in più di lei su quel ragazzo che El non poteva ancora dire di avere appieno conosciuto?
Che non sapesse come dirglielo, ma anzi avesse chiamato Joyce quella sera proprio per chiederle aiuto su come fare?

La piccola sospirò, facendo un passo in avanti verso le grucce appese, scostandole una per volta con gesti secchi della testa, nel tentativo di fare qualcosa per distrarsi e ricercando un po' di quel calore ancora presente nelle pieghe del suo piccolo cuore e del quale sentiva di non essere ancora pronta a separarsi così facilmente.

Se il suo papà pensava di sapere qualcosa su quel ragazzo gentile e dagli occhi grandi, qualcosa che avrebbe potuto farle cambiare così radicalmente idea su di lui, la conclusione per lei non poteva essere che una: il suo papà quel ragazzo non l'aveva mai conosciuto.
Come poteva un sorriso così dolce nascondere qualcosa di cattivo, come poteva essere tradita dalle sue stesse emozioni, come poteva essere un'illusione la serenità e la pace, sperimentata così poche altre volte nella sua vita, che provava quando lo aveva vicino, quando i loro sguardi si fondevano in un mix completo di emozioni?

El era certa che il suo papà adottivo avesse sempre ragione, così era stato da due anni a quella parte e da quando lei ne conservava memoria, ma quella volta no, El non avrebbe potuto che dissentire: quel ragazzo era un angelo e glielo aveva dimostrato già più volte in quel breve lasso di tempo dal loro primo incontro.
Era corso da lei attraverso il cortile nell'intervallo solo perché l'aveva vista da sola, le aveva dedicato una canzone alla radio davanti all'intera scuola, l'aveva difesa da quella stronza di Lucy e si era perfino offerto di darle la sua ricerca al posto suo: come poteva una persona in grado di compiere dei gesti così gentili essere in realtà qualcuno dal quale era giusto tenersi alla larga?

El sbattè le ante, nervosa, richiudendo l'armadio con un rumore secco e facendo tremare leggermente i vetri della finestra circondata da colorati vasi di fiori: mancavano poche ore a quell'appuntamento, a quel combino di studio che più che una punizione avrebbe più potuto essere da lei definito un premio da jackpot milionario alla tv, ma se l'entusiasmo era schizzato alla stelle almeno quanto l'agitazione, facendo un giro della morte e rituffandosi in picchiata giù in caduta libera, quel fiorellino quella sera aveva un cruccio nel petto molto più urgente e grave di ogni possibile superflua discussione.
Che cosa…che cosa mai avrebbe potuto indossare per presentarsi di lì a poche ore di fronte a quel ragazzo direttamente a casa sua?

Eleven Eleonoir Hopper non si era mai posta quella domanda, limitandosi a prendere ogni giorno da dell'armadio uno di quei vestiti leggeri e a fiori che quella sua cara amica le aveva regalato e portato in dono in quegli anni e che lei aveva sempre amato per indole e in quanto suoi regali, ma le parole cattive di quella bulla davanti al suo armadietto non potevano che tornare a torturarla quella sera, facendo tremare quel suo piccolo cuore ancora di vergogna, di rabbia, di paura:
"Con quei vestitini a fiori…credi che un ragazzo potrebbe mai essere interessato a te?"

El sbuffò, afferrando il cuscino e premendolo sul viso, scaricando in parte quell'ansia ed esasperazione: era vero, Mike aveva ribattuto che quei suoi vestiti erano invece "semplicemente adorabili" e la piccola aveva sorriso e ci aveva creduto eccome.
Ma quella sera l'unica cosa che quel fiorellino avrebbe voluto sarebbe stata di poter sparire ed annullare quell'incontro piuttosto che dover anche solo lontanamente immaginare che quel ragazzo potesse pensare qualcosa di diverso il mattino seguente aprendo quella porta di casa:
"…ancora adorabile?!"

La piccola Hopper riemerse da quella federa con occhi socchiusi, sentendo solo in fondo al suo stomaco crescere la consapevolezza che sì, doveva fare qualcosa.
Forse sì, il suo papà non era ancora del tutto convinto quella potesse essere davvero una buona idea, ma sicuro in quel modo avrebbe avuto un chiaro segno che invece sì, per lei l'indomani mattina sarebbe stato a tutti gli effetti un incontro più che importante…non era forse vero?

E c'era solo una persona alla quale El avrebbe potuto chiedere aiuto in quel momento, e certo non indossava nel tempo libero solo camice a quadrettoni non stirate e fuori dai pantaloni.

La piccola aprì silenziosamente la porta con la mente, camminando un passo dopo l'altro fuori dalla sua cameretta, leggera fino in salotto per non essere vista, per poter ancora origliare ancora per un attimo quella loro discussione:
"Joyce, lo sai che non posso controllarlo, lo so che hai ragione, ma io…non posso, non ci riesco" sentì il suo papà ripetere con un sospirò, passando nervoso ancora una volta la mano tra i radi capelli sulla nuca, facendole abbassare lo sguardo e stringersi di più contro la parete alle sue spalle:
"Non posso non preoccuparmi per lei"

El deglutì, chiudendo gli occhi un ultimo secondo e appoggiando la testa al muro, ritrovando di fronte a sé il soffitto buio del corridoio nella penombra: non era quello il momento di farsi vedere timorosa ed incerta, doveva anzi mostrarsi sicura, sicura che quell'incontro non sarebbe stato altro che una piacevole mattina di studio.
Così doveva fare!
Se il suo papà iperprotettivo era preoccupato per lei avrebbe dovuto ricredersi vedendola così entusiasta e felice.
Quel fiorellino ne era assolutamente, completamente sicuro.

"Papà…?" abbozzò El timidamente con un passo fuori dall'ombra, camminando alle spalle del suo papà di fronte alla parete con la cornetta attaccata al filo ancora in mano, di spalle senza averla vista o sentita:
"Lo so che hai ragione, non c'è bisogno tu lo ripeta…lo so, lo so, ci sto provando, okay? È solo un compagno di studio, ho solo bisogno di…"
"Papà?"
"È che è così piccola ed i ragazzi alla sua età…cioè, ti ricordi come ero io, no?"
"Papà!"

El vide quell'uomo grande e grosso sobbalzare, richiamato dalla sua piccola voce, rivolgendosi di scatto verso di lei e trovandola di fronte a sé in piedi e più vicina, i piedi nudi e la gonna del suo vestito leggermente ondeggiante intorno alle sue ginocchia.
"Oh, kiddo!" balbettó Hopper colto alla sprovvista, arrossendo vistosamente sotto i baffi, con sguardo colpevole e confuso,
"Non ti avevo sentito arrivare!"

"Posso parlare con lei?" prese fiato El con un sorriso, vedendo il suo sguardo mutare in sorpresa e stupore, portando avanti una mano tesa nella sua direzione,
"Posso parlarle anche io un attimo? Posso parlare...con Joyce?"

"Con…Joyce? Oh, certo!" si affrettò ad annuire Hopper, allungando la cornetta nella sua direzione,
"Ecco a te!"
"Grazie…" sorrise El nella sua direzione, sciogliendo in parte il suo rossore così come la parte più tenera del suo grande cuore.
"…pronto?" Hopper la vide chiedere con voce titubante alla cornetta, non potendo trattenersi dal sorridere all'esplosione di allegria proveniente dalla voce dall'altra parte della linea:
"Tesoro! Sei tu? Oddio che bello sentirti! Come stai la mia piccolina?"

El sorrise, riscaldata da quella voce da quell'immancabile calore, vedendo il papà annuire tra sé e sé ancora pensieroso ma certo più sorridente, prima di allontanarsi a grandi passi verso la cucina, lasciando loro un po' di tranquillità per procedere nella discussione.
"Tesoro, non sai quanto mi mancano le nostre mattine insieme!" sentì quella voce femminile continuare con un entusiasmo sincero e puro,di quelli che non è proprio possibile simulare, facendola ridere improvvisamente più serena, senza più nuvole ad oscurare lo sfondo.
Quel fiorellino non poteva vantare certo grandi compagnie e un numero esagerato di persone da chiamare "amici", ma era certa che, di quei pochi che aveva, El si era sempre ritenuta una ragazza fortunata: la ragazza più fortunata del mondo.

"Come è andata questa settimana? E la scuola? Quando vieni a trovarmi?"
"Joyce!" la interruppe El all'improvviso, prendendo un bel respiro prima di pronunciare quella frase, ripetuta una decina di volte nella sua mente prima di scaturire dalle sue labbra:
"Ho bisogno di un aiuto…"
"Che succede piccolina?" rispose immediatamente quella voce improvvisamente apprensiva,
"Stai male? È successo qualcosa di brutto?"
"No no, niente di brutto, non volevo dire questo…" scosse la testa El chiudendo gli occhi, sentendo il cuore accelerare, battere veloce come la lancetta dell'orologio a scandire il tempo mancante a quell'incontro di vitale importanza quella sera nel salotto della sua piccola casa,
"Non ho bisogno di aiuto, ho bisogno…di una mano!"

"Una mano? Certo tesoro, anche due!" riprese la voce di Joyce più allegra e sollevata, bucando la cornetta come se avesse potuto abbracciarla forte in quel preciso istante,
"Come posso esserti d'aiuto? Di cosa hai bisogno, tesoro?"

El chiuse gli occhi, prendendo un respiro e tornando con la mente a quel suo bel sogno, ad un'altra porta sconosciuta di fronte a sé, ai secondi di palpitante attesa di fronte a quel campanello, al meraviglioso sorriso che l'avrebbe infine accolta unito a due occhi vispi e, la piccola ci avrebbe potuto giurare, i più grandi e luminosi che lei avesse mai visto.
"Io avrei bisogno…"

Sì, sarebbe stato così, sarebbe stato tutto perfetto, quel ragazzo era perfetto, perfetto, perfetto per lei, perché mai quel fiorellino si era sentita così ansiosa, quasi come se lo stomaco si stesse per bucare dalla tensione, ma allo stesso tempo così felice, come se il cuore fosse davvero sul punto di esplodere dalla gioia.
Sorrise El a quella cornetta, riaprendo gli occhi e sbattendo le ciglia come se avesse potuto averlo davvero già di fronte a sé in quel momento, lì in bilico tra i sogni rimasti mezzi aperti ed una nuova realtà, quasi come se avesse potuto davvero dirgli in quel salotto poco illuminato quelle semplici parole:
"Era una vita che lo aspettavo, era una vita che aspettavo di essere così felice…e ora sei arrivato tu"

"…io avrei bisogno…di un'amica"

*

Mike Wheeler si era alzato presto quel sabato mattina.
E il che era già sembrato strano.

"Già in piedi, Michael?" aveva esclamato Karen Wheeler distrattamente da dietro ai fornelli, reggendo con un braccio a sé la piccola Holly che quella mattina voleva saperne di tutto tranne che di finire il suo biscotto alla cannella senza fare capricci.

"Tesoro coraggio, per favore…lo finisci il biscotto per la mamma?" chiese Karen con sguardo compassionevole, guardando la sua figlia più piccola indugiare per un istante con un sorriso furbetto, prima di infilare in modo molto convinto il biscotto nella bocca non sua, ma della madre di fronte a lei.
"Holly!!!" protestò la signora Wheeler con la bocca piena di biscotto, muovendosi spazientita lungo il pavimento della sua cucina, depositando infine sul seggiolone la piccola ridente con aria soddisfatta.

Karen aveva avvertito dei passi veloci precipitarsi dalle scale fin dentro la sua cucina, ed il suo cuore non aveva avuto dubbi, nemmeno per un secondo: quella marcia concitata e frettolosa non poteva che essere quella tipica del suo figlio minore.
"Tesoro, buong…" iniziò con un sorriso, sollevando lo sguardo intorno, un istante prima di notare che no, con la stessa rapidità e prontezza di un piccolo ninja dal passo rapido e silenzio, suo figlio non si trovava in quella stanza.
Non più.

"È risalito…" boffonchiò distratta Nancy senza alzare lo sguardo dalla sua rivista, portando alle labbra la tazza di caffè e bevendone un sorso,
"Ha solo balbettato qualcosa a proposito di una maglietta…non ho capito molto bene mamma, forse è il caso di…"
"Mike!!" urlò Karen da sotto le scale, con gli occhi puntati al pavimento del piano superiore con tono spazientito:
"Se sei sveglio potresti degnarti di venire a fare colazione tutti insiem…?"
"Non posso!" esclamò improvvisamente Mike da sopra le scale, cogliendo la madre di sorpresa, lanciandosi letteralmente a rotta di collo lungo i gradini fino ad atterrare con un balzo sul pavimento della cucina, ad un centimetro dalle gambe della sorella maggiore.

"Stai attento Mike, per la miseria!" protestò quella con aria scocciata, mentre la più piccola dei Wheeler rideva deliziosamente sul suo seggiolone divertita dal rocambolesco ingresso sulla scena del fratello maggiore.
"Mike Wheeler" iniziò Karen con le mani puntate sui fianchi, approfittando del secondo silenzio nel quale Mike, i ricci scompigliati e con indosso ancora la maglietta del pigiama, si fu piegato per un istante in avanti per riprendere rapidamente fiato.
"Si può sapere, tesoro, che diavolo stai…?"

"Dove l'hai messa, mamma?" chiese Mike interrompendola a metà frase, rialzando su di lei due occhi scuri come i suoi, ma più spalancati e concitati:
"Dove l'hai mamma? Mi serve! Credevo fosse già in camera pronta ed invece…"
"Che cosa, Mike? Che cosa?!" ribattè concitata la madre, scuotendo la testa e i ricci bene in piega già di prima mattina sulle spalle:
"Che cosa non trovi, tesoro?"
"La maglietta mamma! La maglietta!" allargò le braccia Mike con aria ovvia, sbuffando vistosamente senza badare al lamento del padre seduto dal lato opposto del tavolo della cucina,
"Abbassa i toni, figliolo, non rispondere così a tua madr…"

"Quale maglietta, Michael?" chiese Karen alzando un sopracciglio ed incrociando le braccia sul petto, il suo chiaro segnale di quando sì, stava ufficialmente per perdere la pazienza:
"Di che cosa stai parlando?!"
"La maglietta a righe mamma, la solita! La mia preferita, dai!" ribattè esasperato il minore di casa Wheeler, alzando gli occhi al cielo, scorgendo con la coda dell'occhio la sorella maggiore voltarsi verso di lui, improvvisamente attenta alla discussione.
"Credevo di averla messa da lavare settimane fa, ma ora non la trovo e…"

"L'ho vista io, fratellino!" esclamò Nancy con un sorriso furbo, alzando un sopracciglio e vedendo Mike voltarsi verso di lei con sguardo stupito frammisto al sospettoso,
"Tu?! E dov'è Nancs?!"
"Sì, io!" ripeté la sorella maggiore annuendo compiaciuta, alzando in piedi e chiudendo la rivista sulle sue ginocchia, voltandosi verso il fratellino non prima di aver regalato alla madre uno sguardo di mutua intesa:
"Ma non ti dirò dove è prima di averti sentito dire perché è così importante trovarla proprio adesso!"

"Fatti gli affari tua, stronza!" fu la prima risposta che uscì a fior di labbra dal piccolo Mike, guardando storto la sorella al di sotto della coltre di riccioli neri sugli occhi.
Mike vide Nancy alzare un sopracciglio, ad un passo dallo scoppiare a ridere e capì immediatamente di essersi mosso in fallo, mordendosi la lingua per proseguire la seria infinita di insulti accumulati in quel momento nella sua mente.
Quella volta nel più religioso dei silenzi.

"Michael!" protestò alle spalle di Nancy sua madre con tono sconvolto, muovendosi verso di lui e vedendolo abbassare la testa ai piedi, sconfitto.
"Ti sembra questo il modo di rivolgerti a tua sorella?!"
"Mi serve, perché…" prese un profondo respiro il piccolo Mike, risollevando davanti a sé due occhi mortificati, incrociando quelli spazientiti di una e quelli derisori dell'altra.
Come un piccolo topolino incastrato nell'angolo contro la parete, Mike Wheeler non aveva scelta.

Aveva indugiato l'intero pomeriggio procedente fino a quel momento, credendo in qualche modo di poterla fare franca, di non dover spiegare nulla a nessuno, di non dover dare giustificazioni di alcun genere perché, in fondo…cosa mai avrebbe dovuto spiegare?!
Aveva solo invitato una sua compagna di corso a studiare a casa con lui, per lavorare insieme sulla ricerca che era stata ad entrambi affidata, manco se la fossero cercata!
Era stata una speranza così assurda quella di non avere da aggiungere nulla se non un "Lei è El!" frettoloso, passando di corsa dalla cucina ed invitando quel fiorellino a seguirlo veloce su per le scale fino al primo piano e alla sua stanza?

Mike già sapevano come andavano quelle cose, l'aveva sempre saputo e non avrebbe potuto essere diverso in quell'occasione: la curiosità di una e l'apprensione dell'altra, le due donne di casa Wheeler non gli avrebbero certo fatto passare così liscio quel momento fonte di una così innata e morbosa curiosità.

"Mi serve perché…devo mettermela!"
"Ma che perspicace il nostro Michael! Qualcuno si è svegliato intelligentone questa mattina?" sorrise Nancy annuendo compiaciuta, con occhi ridotti a fessure che avrebbero potuto urlare:
"Ti puoi scordare di prendermi così per il culo, fratellino"
"Ti prego, Nancs!" sbuffò Mike facendo ricadere le braccia lungo i fianchi, tentando di muovere un passo laterale ma vedendola allungare un braccio appoggiando una mano sulla tavola, bloccando ogni possibile via d'uscita.

"Allora?" la vide alzare un sopracciglio compiaciuta, facendolo deglutire di fronte a lei,
"Dove devi andare di così importante, Mike?"
Mike aprì la bocca per replicare a tono, non resistendo più alla tentazione di mandarla definitivamente a quel paese, ignorando lo sguardo truce di sua madre accanto alle spalle della figlia maggiore, ma la richiuse pochi secondi dopo, più lentamente e coscienziosamente, cercando di riflettere nel minor tempo possibile a sua disposizione la cosa migliore da fare:
"Da…da nessuna parte!"

"Ah ma davvero?!" chiese ancora più ironica Nancy con un cenno della testa alle scale del piano superiore,
"E si può sapere perché allora alle 6 eri già in piedi a fare tutto quel casino in camera tua?!"
"Stavo solo riordinando Nancy, lasciami in pace..." boffonchiò sulla difensiva Mike sentendo una scarica di adrenalina percorrergli la spina dorsale.
Beccato.
"Ordinando?!" esclamò Karen Wheeler spalancando gli occhi di sorpresa, un secondo prima che Mike, con uno scatto fulmineo delle gambe, si piegasse in ginocchio sotto il tavolo per risbucare al di là delle due urtando al seggiolone di Holly facendola ondeggiare e ridere divertita.

"Scusa piccola!"
"Mike!" strillò Karen voltandosi di spalle e seguendo la sua schiena fino al di là della cucina, verso la lavanderia e il cesto di panni ancora da stirare impilati con cura sull'asse da stiro.
"Mike aspetta qualcuno di importante oggi!" annunciò pomposamente Nancy voltandosi anch'ella con aria divertita e seguendo le mani del fratello in mezzo alla pila di vestiti.
"Non credo che per i suoi amici nerdini si darebbe tanto da fare…c'è qualcosa che vuoi raccontarci, fratellino?"

"Trovata!" strillò il piccolo Mike all'improvviso, reggendo tra le mani l'oggetto della sua ricerca, quella t-shirt a righe bianche, nere e rosse, la sua preferita, quella "porta fortuna".
La stessa indossata da lui sempre nelle occasioni speciali, la stessa indossata da lui il primo giorno di liceo e il primo intervallo nel quale aveva visto lei, il suo fiorellino dal vestito rosa davanti agli armadietti della Hawkins High.
Sorrise il piccolo Wheeler, ripercorrendo nella sua mente i ricordi ancora vividi di quel loro primo incontro: i libri a terra, la sua aria scocciata, quello sguardo che per primo era stato in grado di scuotere il suo cuore senza dargli altro scampo.

Non aveva deciso lui di innamorarsi di quella ragazzina quel giorno, era semplicemente…successo.
E il più piccolo di casa Wheeler, ancora scalpitante nella sua cucina con i ricci spettinati sugli occhi e poche ore di sonno addosso, doveva ammettere che, suo malgrado, l'unico che aveva saputo pronunciare quella parola per primo non era stato lui, nemmeno Will, nessuno di quelli che Mike si sarebbe mai aspettato.
Era stato invece il suo migliore amico dalla pelle color cioccolato, a modo di sfida o forse di presa in giro, a Mike non era importato in quel momento: aveva ragione, Lucas aveva avuto completamente e totalmente ragione.

Mike Frogface Nerdino Wheeler era davvero innamorato, per la prima volta in vita sua.
I

nnamorato di una ragazzina, o meglio ancora di un fiorellino.
Di Eleonoir El Fiorellino Hopper.

"Michael!" lo riportò alla realtà il grido della madre, facendolo sobbalzare sul posto con la maglietta stretta tra le mani e due paia di occhi puntati fissi nella sua direzione.
"Sì?"
"Vuoi avere la decenza di spiegarmi che diavolo sta succedendo qui?!"

La voce seria e perentoria di sua madre lo fece deglutire rumorosamente quando, per la seconda volta nell'arco di una sola mattina, Mike si fu sentito mettere al muro da quelle parole e da quegli occhi fissi.
Sì, Mike doveva parlare come non aveva avuto intenzione fino a quel momento di fare, ma quello era davvero il momento, non sarebbe più stato possibile tornare indietro: era il momento nel quale era strettamente necessario dichiarare anche solo il minimo sindacabile per potresti liberare da quel brutto impasse.

"Ehm…" iniziò Mike titubante facendo un passo in avanti e mordendosi il labbro inferiore, fermandosi di fronte alle scale del piano superiore di fronte alle due, decisamente poco intenzionate a farlo passare così facilmente:
"Io…"
"Tu?!"
"Insomma tra poco…"
"Che cosa, Michael?!" allargò le braccia esasperata Karen sull'orlo di scoppiare ad urlare tutta la sua incazzatura:
"Cosa sta succedendo in questa casa?! Cosa diamine…?!"

"Sta mattina viene una mia compagna…di corso…qui…a studiare" farfugliò Mike di getto chiudendo gli occhi e riaprendoli un secondo dopo, ritrovando di fronte a sé a fissarlo le stesse paia di occhi spalancati come se avesse detto la peggiore delle assurdità.
Ma gli occhi sconvolti di Karen non erano niente, niente se paragonati a quelli divertiti ed incuriositi di Nancy al suo fianco.
"Dobbiamo fare una ricerca insieme, e così…"
"Mio fratello con una ragazza?! Impossibile!" esclamò la maggiore volgendo gli occhi al cielo con una risata, facendo ricadere sulle spalle i ricci scuri schiariti dai colpi di sole:
"Questo è uno spettacolo che non voglio proprio perdermi!"

"Zitta tu!" tentò Mike con un passo avanti verso le scale, ma la madre fu più veloce, afferrandolo per un polso e trattenendolo a sé, facendolo voltare di scatto con espressione sofferente e scocciata:
"Ti prego, mamma!"
"Una visita per te? Qui, in casa mia?! Una tua compagna di corso e…e quando diavolo pensavi di dirmelo, Mike?!"
"Beh, ora lo sai, no?" tagliò corto Mike facendo spalluce e liberandosi dalla sua presa, avanzando un paio di passi in avanti verso il primo gradino, non prima di aver sentito la seconda domanda del suo interrogatorio raggiungere le sue orecchie:
"E chi è questa ragazza? La conosco?! Era una tua compagna alla Middle?!" chiese Karen ancora incapace di darsi pace, vedendolo allontanarsi con passo lento ma incisivo desideroso solo di concludere il più velocemente possibile quella discussione.

"No è nuova, si è…si è trasferita da poco!" scosse la testa Mike un ultimo istante prima di voltarsi, ritenendo più che conclusa la discussione, non prima di aver sentito Nancy sussurrare, abbastanza forte da poter essere udita:
"Una ragazza con Mike?! Poverina, deve essere stato certo un compito di punizione, non c'è alcun dubbio…"

"Senti brutta stronza, ma tu non hai proprio niente di meglio di…"
"Michael!!"
"Ha cominciato lei!!"
"Smettetela subito, tutti e due!!" esclamò Karen agitando le braccia per dividerli ai due lati della scala, Nancy con un sorrisetto irriverente sul viso e Mike con i ricci neri scossi dalla rabbia:
"Finitela con questa parole! Non sono ammesse sotto il mio tetto, è chiaro?!" proseguì la signora Wheeler, passando lentamente con lo sguardo da un figlio all'altra con occhi di fuoco.
"Mike, chiedi scusa a tua sorella"
"Ma ha iniziato lei!"
"Niente "ma" Mike, subito!"
"Scusa Nancy…"

"E Nancy…" proseguì Karen con un sospiro, volgendosi verso la maggiore con un sorriso vittorioso sul viso magro e sfilato,
"…chiedi scusa anche tu!"
"Io non ho detto nulla!" si difese quella alzando le mani in segno di innocenza, facendo scuotere la testa alla madre con aria spazientita:
"Ho solo detto la verit…"
"Subito Nancy!"
"Scusa, Mike…"

"Bene…" prese un profondo respiro la signora Wheeler chiudendo gli occhi e tentando di mantenere la calma, estraendo dalle riserve personali un grande sorriso e rivolgendosi ora verso il foglio minore, ancora con la t-shirt a righe strette in pugno e il capo chino per l'umiliazione e la rabbia.
"Come si chiama questa tua compagna, Mike?"
"El…cioè, Eleonoir!" si affrettò a correggere Mike con una smorfia, stringendo le labbra desideroso solo di poter rintanarsi nella sua camera il più velocemente possibile:
"…Eleonoir Hopper"

"Hopper? Quell'Hopper?!" chiese dalla cucina la voce di Ted in lontananza, facendo roteare gli occhi di Mike al cielo seguito da un profondo sospiro.
Sì, quell'Hopper…per quanto ancora sarebbe continuata quella tortura?!
"E quando arriverà questa Eleonoir, si può sapere?!" chiese infine Karen portando una mano sotto gli occhi e stropicciandoli pensierosa:
"Avrei potuto preparare qualcosa se mi avessi informato, magari una torta! Avresti potuto invitarla a colazione se solo mi avessi detto…"

"Giusto! La colazione!" esclamò Mike annuendo vigorosamente, colto da un'improvvisa illuminazione sulle scale del suo salotto.
Certo, la colazione! Gli eggos con panna e cioccolato!
"Le ho detto che avremmo fatto colazione qui insieme! Le ho detto che avresti preparato…"
"Mike!!!" urlò Karen allargando nuovamente le braccia, facendo Mike sobbalzare un ultima volta su quelle scale, un secondo prima di voltarsi ed iniziare a correre, decretando che era assolutamente, completamente ormai l'ora di darsela a gambe levate.

"E tu me lo dici solo or…?"
"Eggos panna e cioccolato, grazie mamma!"
"Ma Mike!!"
"Sarà di certo una nerdina come lui tutta brufoli e sale giochi…"
"Sicuramente più bella di te, stronza!"
"Moccioso!"
"Ora basta!!"

Ma le parole raggiunsero l'orecchio di Mike lontane, troppo lontane perché potesse ancora darci peso, quando, al termine dei gradini verso il piano superiore di casa Wheeler, Mike ebbe spalancato la porta di legno della sua camera richiudendola pesantemente alle sue spalle.

Sospirò, finalmente solo, sentendo provenire dalla cucina ancora pochi strilli attutiti dalla lontananza e dalla musica alla radio, lasciata accesa e a tutto volume pochi istanti prima.
Mike sorrise, scostandosi da quella porta, ammirando la tshirt ancora stretta tra le sue mani, e non del tutto stirata, come un trofeo, come un simbolo, un passpartu capace di garantirgli già solo con quel piccolo gesto un successo garantito.

Oh sì, mancava poco, mancava decisamente, decisamente poco, e se il piccolo Mike avesse dovuto dare un punteggio da 1 a 10 alla ansia frammista alla più grande emozione, la sua risposta non avrebbe potuto che essere una: 011.

Chiuse gli occhi Mike, muovendosi a tempo di musica con la batteria e la chitarra ritmata proveniente dal cubo nero sulla finestra della sua camera, allungando una mano per alzare la manopola del volume, lasciando che quella musica doppante invadesse l'aria intorno infondenfogli coraggio:

I'm looking for a complication
Looking 'cause I'm tired of trying
Make my way back home
When I learn to fly

Mike allargò le braccia a tempo di musica, come sempre gli capitava quando una musica lo prendeva, lo prendeva sul serio, muovendole ad occhi chiusi sentendosi un po' anche lui sulla cima di una montagna, sulla cima del mondo, tra il vento e le nuvole, come un uccello liberate le ali in volo in picchiata sapendo di non poter cadere al suolo.
Oh sì, anche Mike ci stava provando, stava imparando a stare in bilico tra tutte quella miriade di emozioni, tra l'ansia e la tensione, la gioia ed emozione, sfidando se stesso ed il vento sferzante contro il viso per imparare anche lui cosa voleva dire, per imparare anche lui la sua verità.
Per imparare a volare, per imparare ad amare.

"Sei innamorato!" lo aveva deriso Lucas il giorno precedente nella palestra della Hawkins High, e per quanto quelle parole fossero risultare a lui quasi più un insulto che un complimento, si erano sedimentate nel petto del piccolo Mike come una piccola radice, trovando la strada per arrivare in superficie solleticandogli i sogni ancora molte, molte ore dopo.

Mike non aveva dormito quella notte, non sentiva di averne bisogno, come se per sognare non gli servisse più tenere gli occhi chiusi.
E sul soffitto bianco quella sua camera Mike aveva dipinto mille volte quella notte, a colori chiari e scuri come i carboncini di Will, il suo profilo fine e da bambina, arricchito dalle due perle luminose dei suoi occhi suoi grandi e meravigliosi.

Oh sì, Mike Wheeler non sapeva cosa volesse dire essere innamorato, ne benché meno cosa volesse mai significare amare, ma sì, di una cosa ne era completamente sicuro.
Mike aveva scelto definitivamente per innamorarsi la ragazza più bella del mondo che mai avrebbe potuto immaginare.

Sorrise il piccolo Wheeler, sentendosi agitato come un bambino la sera di Natale, non osando riaprire gli occhi per non perdere quella visione, allungando invece le dita quasi come per cercarla, per afferrarla, per non lasciarla andare via.
Tra poche ore l'avrebbe avuta davvero lì, vicino a sé, ad un passo dalla sua pelle liscia, ad un passo dalle sue labbra rosse, ad un passo dal suo cuore, dal suo profumo buono e da quell'inconfondibile profumo di fiori del quale non vedeva l'ora di sentire inebriata la sua intera camera.
Giusto…la camera.

Quando la canzone si fu interrotta sull'ultima nota con un colpo di batteria, dando lo spazio agli spot pubblicitari, Mike riaprì gli occhi piano, lentamente, come chi teme di svegliarsi da un sogno, ritrovando davanti a sé ad aspettarlo un disordine che invero no, nemmeno la levataccia di quella mattina era servita in alcun modo a rimediare.
"Fortuna che le hai detto di venire quando vuole, Mike…" si congratulò mentalmente per quella intuizione, scuotendo sconsolato la testa e grattando i ricci sulla nuca, prendendo un ultimo profondo respiro ripetendosi di farsi coraggio.

Oh sì, come per innamorarsi, così per volare, e perfino per mettere in ordine quel casino in poche ore quella mattina, il piccolo Mike aveva ancora molto, molto lavoro da fare.

*

"Eccoci arrivati, sweetheart! Vieni, ci siamo!"

El non aveva mai visto così tante persone insieme, di questo ne era completamente certa.
Ricordava di aver pensato quelle medesime parole già una volta, non troppe settimane prima, quando aveva varcato i cancelli della Hawkins High la prima volta, carica di ansia ed aspettativa e rimanendo spaesata di fronte alla varietà dei colori, dei vestiti, delle fantasie di quegli outfit così diversi che l'avevano lasciata senza parole e con gli occhi spalancati dallo stupore.
Ma quella mattina, di fronte alle porte ancora chiuse dello Starcourt Mall e alla folla di cittadini di Hawkins già in fila per poter varcare quell'ingresso da poco innaugurato, la piccola Hopper dovete rimangiarsi una per una le sue parole.
Quello che aveva davanti agli occhi era di certo lo spettacolo più grande e colorato che mai avrebbe potuto immaginare.

Joyce sorrise al suo sguardo sorpreso e al suo ingenuo stupore, richiudendo lo sportello della macchina insieme a lei e restando ad osservarla poco più in là, in attesa, ammirando il viso così bello e luminoso di quella ragazzina che da due anni a quella parte aveva preso posto nel suo cuore al pari di una vera figlia.
Una figlia molto, molto speciale.

"Andiamo tesoro!" El vide sorridere quella donna gentile, allungando una mano nella sua direzione con un invito a seguirla, a non avere paura.
Ma El non aveva paura, non ne aveva nemmeno un briciolo in quel momento: El già sapeva che con quella sua prima ed unica amica non c'era mai stato nulla di più semplice di quello: sorridere.
"Vieni, non dovremmo trovare molto affollamento..." proseguì la mamma Byers stringendole dolcemente le dita tra le sue, precedendo a passo svelto verso le porte di vetro in apertura proprio in quel momento di fronte a quella folla di curiosi e potenziali acquirenti,
"So che è stata una levataccia, ma non potevamo permetterci di perdere tempo! A quest'ora del mattino i negozi saranno ancora vuoti e potremmo trovare facilmente qualcosa di carino e arrivare in tempo per il tuo…appuntamento!" sorrise quella donna accompagnando quell'ultima parola con un occhiolino d'intesa che fece El arrossire fino alla punta del naso.

"A…appuntamento"
El non sapeva se quella fosse la parola giusta da utilizzare per definire quello che stava per andare a vivere, una mattinata di studio per un compito di punizione assegnato in coppia, a casa di un ragazzo così carino che El non si poteva dar pace di come tra tutte le ragazze avesse scelto proprio lei quella mattina poche settimane prima tra quegli stessi banchi di scuola:
"Ciao..è libero questo posto?"

"Da questa parte!" Joyce sorrise tirando la mano di El rimasta indietro immersa in quei ricordi, allungando in passo e varcando infine le porte a vetri che si aprirono di fronte a loro scivolando lateralmente, scompigliando appena i loro capelli con un getto di aria calda proveniente dai bocchettoni dell'aria condizionata.
"Tutto quello che potresti mai cercare lo troverai qui!" proseguì sorridendo e lasciandole un'occhiata carica di entusiasmo.

Ci sarebbero state tante cose che la piccola Hopper avrebbe voluto dire in quel momento, altrettante da chiedere.
Avrebbe voluto raccontare a quella sua amica quanto ansiosa ma dannatamente felice si sentisse in quel momento, quanto stessero tremando le sue gambe nude sotto il vestito rosa che stava per abbandonare quella mattina per qualcosa di più "giovanile", di più "appropriato", di meno "patetico".
Avrebbe voluto già ringraziarla anche solo per il fatto di essere lì con lei in quel momento, per aver accettato la sua richiesta di aiuto, il suo "code red" lanciato poche ore prima al telefono nella sua piccola cabina in mezzo al bosco, per aver acconsentito ad accompagnarla a cercare qualcosa di carino almeno la metà di quanto lo era lui, per aiutarla a sentirsi pronta, più bella, speciale, come sempre volevano essere le protagoniste dei suoi racconti alle loro prime uscite ufficiali con i giovani uomini che più facevano loro battere più forte il cuore.
Al primo appuntamento.

Già, El avrebbe voluto infine chiedere a Joyce anche quello: che cosa era un appuntamento e cosa avrebbe dovuto fare di lì a poche ore, ma quando la piccola folla si fu diradata difronte a loro e la mano sicura della sua amica la ebbe tirata dolcemente fino al centro di quell'atrio grande, luminoso ed affollato, El capì che di tutte le parole e domande che avrebbe potuto pronunciare, nessuna sarebbe stata in fondo così necessaria in quel momento.

"Wow…" sussurrò solo quel fiorellino con gli occhi spalancati, alzando lentamente lo sguardo attraverso i due piani di spettacolo che si stagliava davanti a sé, dai tavolini dell'Ahoy Scoops già gremiti di milkshake e gelati, dalle vetrine brillanti di colori e scritte luminose, dalle scale mobili in movimento verso il piano superiore delimitato da un'alta balconata, fino al soffitto alto e ricoperto da una vetrata luminosa e circolare nel mezzo.
"Oh sì, sweetheart! Hai ragione!" sorrise Joyce seguendo il suo sguardo, alzando anche lei gli occhi tutt'intorno a quello spettacolo nuovo in parte anche a lei, così diverso e immensamente più grande rispetto ai suoi soliti bassi scaffali disordinati di Melvald's.
"…wow!"

El deglutì, stringendo di riflesso più forte le dita di Joyce nelle sue, seguendo con lo sguardo altre coppie di amiche e madri con figlie per mano come loro avviarsi spedite verso i piani superiori attraversando l'atrio di corsa.
Anche Joyce strinse più forte la sua mano, vedendola esitare, per farla sentire protetta, per metterla di più a suo agio.
Sapeva poco di quella bambina che il suo vecchio amico d'infanzia le aveva presentato come sua nuova figlia di adozione, sapeva solo che le aveva chiesto di aiutarla, di insegnarle tutto quello che sapeva in tempi record, di renderla pronta e preparata in poco più di due anni ad affrontare il primo anno di liceo ma anche che, cosa più importante di tutte, le insegnasse ad essere semplicemente…una ragazza.
Una ragazza normale di 15 anni come tutte le altre.

Joyce trattenne una risata a quel pensiero, immaginando il suo amico capo della polizia di Hawkins più sperso e confuso che mai, perfino di più della figlia che ora aveva accanto, se mai fosse stato lui ad accompagnarla in quel luogo a scegliere qualcosa di carino per quel suo primo appuntamento di studio.
Sorrise più forte Joyce Byers, volgendo lo sguardo verso di lei e vedendola ancora a bocca aperta con gli occhioni spalancati dallo stupore: oh no, decisamente no.
Alcune cose non avrebbero potuto che essere vissute così, con la complicità femminile che mai nessun ragazzo o uomo di nessuna età avrebbe potuto comprenderne.
A quella piccola serviva una consigliera, una complice, un'amica.
Nessuno avrebbe potuto sapere meglio di lei quanto a quella piccolina servisse sul serio una mamma.

"Sei pronta?" El si sentì risvegliare dal suo incanto, voltandosi a sua volta verso di lei e vedendola annuire con aria incoraggiante,
"Andiamo?"
"Sì.." annuì El deglutendo la tensione e lasciando posto all'emozione, stringendo più forte la sua mano e sentendola tirare il suo braccio iniziando a correre lungo quell'atrio, facendo lo slaloom tra i tavolini e i curiosi fermi come loro in contemplazione.
"Corri tesoro, forza! Per di qua!" la vide sorridere con viso luminoso, dirigendosi verso un corridoio laterale seguita da El e dal suono limpido della sua risata.

El sentiva i ricci sbattere leggeri sulle spalle e sulle spalline del suo zaino bianco già carico di libri, i lembi della sua gonna sollevarsi ritmicamente con la sua corsa e per un secondo sentì come se niente potesse servirle di più al mondo.
Quanto poteva essere fortunata ad essere lì con lei, con quella donna che da sempre aveva rappresentato una presenza così sicura, dolce e materna nella sua vita?
Quanto poteva essere già meravigliosa quella mattina anche solo per quel momento, per quella corsa lungo i corridoi di quel centro commerciale paragonabile agli occhi della piccola come il più grande dei castelli incantati delle sue storie?

"Eccoci, questo dovrebbe essere il posto giusto!" quel fiorellino vide la sua compagna di corsa esclamare, rallentando i piedi fino davanti alle vetrine ampie e pulite di un negozio dalla grande insegna rossa luminosa e scaffali alti e pieni di manichini dai vestiti sgargianti e colorati.
"Questo è il nostro posto! Qui troverai di sicuro qualcosa di carino!" le strizzò l'occhio Joyce vedendola prendere un profondo respiro, ammirando la piccola folla femminile già all'interno tra gli scaffali e i camerini.
"Entriamo?"
"Entriamo!"

Joyce lasciò andare la sua mano ed El rabbrividì, muovendo i primi passi dentro quel negozio ripieno di un profumo dolce di vestiti nuovi e puliti, alzando immediatamente al soffitto gli occhi stupita ed incuriosita per quella musica vivace ed acuta che riempiva l'aria tutt'intorno.
Nessun altro sembrava essersene accorto ma solo a lei veniva voglia di saltare e ballare su quelle note sconosciute ma così allegre che non avrebbe potuto davvero più trattenersi?

"And girl just wanna have fun!"

"Comincia a cercare qualcosa che ti piace…" sussurrò Joyce con un ultimo sorriso, sparendo infine dietro il primo scaffale, lasciandola sola nel mezzo del corridoio con un ultimo sospiro,
"Se hai bisogno di me, fammi un fischio!"

La piccola El girò su se stessa tutt'intorno, stringendo più forti tra le dita le bretelle del suo zaino per farsi forza e vedendo un gruppo di ragazze poco più avanti ridere con risate acute e divertite di fronte ad un espositore ripieno di camicette leggere e tshirt di tutti i colori.
"Questa mi piace, me la provo!"
"Ma ce l'hai già dello stesso identico colore!"
"Scherzi?! La sfumatura è decisamente diversa!"
"E ammettilo che questa ti piace solo perché ti segna le tette!"
"Se sei gelosa non è un problema mio, c'è già chi mi apprezza!"

El le vide allontanare ridendo verso i camerini, le braccia piene di tessuti e grucce e la piccola fece un passo in avanti nella direzione di quell'espositore, allungando con aria incerta la mano verso quella stessa tshirt della ragazza di pochi istanti prima ed aprendo di fronte a sé una maglietta rossa con un profondo scollo a cuore sul petto.
Provò per un secondo ad immaginarsi con quello indosso la piccola Hopper, rivedendo in un secondo di fronte ai suoi occhi il suo riflesso nello specchio della doccia appena 24h prima, il suo fisico magro, asciutto, quello delle sue compagne tutte curve senza troppa fantasia ed immediatamente scosse la testa, lasciando cadere quella maglietta insieme alle altre e facendo un passo indietro come se avesse potuto morderla lì sul posto.
No, decisamente non era quella la cosa "carina" che l'avrebbe fatta sentire a suo agio.

"Joyce!" le veniva già da chiamare la sua amica cercandola con lo sguardo intorno tra gli scaffali colorati, sentendo crescere familiare quella punta di ansia ed inadeguatezza che tanto conosceva e a cui tanto era abituata, mentre già un paio di occhi di ghiaccio tornavano alla sua memoria facendole tremare le gambe di freddo e paura.
"Joyce…dove sei?"
Si guardò intorno la piccola, non riuscendo a scorgere quella figura familiare in nessun angolo di quel negozio affollato, stringendo più forte le mani sul suo zaino e camminando a passo incerto lungo i corridoi.
"Joyce?! Joyce!"

El si bloccò improvvisamente, giunta al termine di uno dei corridoio, alzando gli occhi dal pavimento e ritrovando di fronte a sé la sua figura, riflessa per intero in uno specchio alto fino al soffitto in mezzo a due pile stracolme di jeans blu.
Deglutì, restando ad osservarsi senza dire una parola, seguendo le linee delle sue braccia sottili, delle sue spalle magre, i suoi fianchi così poco morbidi, le sue gambe corte e poco slanciate, sotto quel vestito che sembrava starle così largo ma allo stesso tempo stretto in quel momento, mentre quelle parole in testa prendevano a girarle forte come a rincorrerla insieme alla paura lungo quei corridoi.
"Patetica, decisamente patetica…"

Il fiorellino si morse un labbro, senza riuscire a distogliere gli occhi dal suo riflesso né a muovere un passo, imponendosi di non pensare a quei brutti ricordi ma piuttosto a quelli che erano seguiti dopo, a quanto Mike fosse stato carino con lei, gentile nell'aiutarla e nell'asciugarle le lacrime:
"Io credo siano assolutamente adorabili…"
Un piccolo sorriso si fece strada sulle sue labbra rosse anche in quell'istante, facendola sentire immediatamente meno sola, meno impaurita, ricordandole in un'istante il vero motivo per cui era arrivata fino a lì.
Sì, Mike era adorabile, probabilmente il ragazzo più gentile che lei avrebbe mai potuto avere l'occasione di incontrare lungo i corridoi affollati della Hawkins High ma, per quanto adorabili fossero ai suoi occhi i suoi semplici vestiti, El era lì quella mattina per cercare per quel loro primo incontro qualcosa di diverso, qualcosa un po' fuori dal comune della sua confort zone.
Qualcosa che lo stupisse, che potesse farlo sorridere di gioia e stupore.
Qualcosa che portasse il suo nome, ma invero anche il suo.
Qualcosa che portasse davvero in nome di…

"…Mike!" esclamò El di fronte a quello specchio, vedendo voltarsi un paio di signore con aria scettica e scocciata accanto a lei.
Ma El non badò a quegli sguardi, voltandosi di scatto su stessa verso la tshirt alle sue spalle il cui riflesso le aveva fatto saltare il cuore di gioia nel petto.
Si avvicinò a quella gruccia la piccola Hopper, rivolgendo un sorrisone enorme a quella maglietta a righe sottili bianche e nere, così semplice ma allo stesso tempo così graziosa, così simile a quelle indossate sempre da lui.
Mike Wheeler adorava le magliette a righe, ed El, in quel momento, non sentì di avere più dubbi in merito in quel negozio.
"Adorabile, assolutamente adorabile…"

"Che ne dici di questo?" sentì una voce familiare richiamare la sua attenzione da dietro ad uno scaffale, facendola voltare su se stessa e vedendo Joyce fare capolino da un angolo con una gruccia fieramente stretta nella sua mano.
"Ti piace?"
El annuì lentamente, con un sorriso titubante sul viso, scorrendo gli occhi lungo la cruccia reggente una salopette di jeans chiaro, con pantaloni stretti e dalla vita alta e due bretelle sottili, un paio di fiorellini semplici e fianchi ricamati sulla tasca al centro del petto e bottoni metallici ai lati sulle spalle.
"Ti va di provarlo, tesoro?"

"Sì…" annuì poco convinta El, reggendo tra le braccia la sua piccola tshirt, immediatamente adocchiata dallo sguardo attendo della sua amica:
"Hai trovato anche tu qualcosa di carino?"
"Sì!" annuì questa volta più convinta la piccola El sorridendo a quella maglietta come se fosse stata direttamente una delle sue, rialzando su di lei due occhi emozionati e ritrovandone due altrettanto dolci:
"Mike…Mike adora la magliette a righe"

Joyce sorrise, annuendo con aria dolce e comprensiva, voltandosi di spalle ed invitandola a seguirla verso il fondo del negozio, dove un cartellone rosso su sfondo bianco recitava la scritta: camerini di prova.
"Infila tutto e chiamami quando sei pronta!" propose Joyce indicandole un camerino e tirando alle sue spalle una tendina rossa:
"Sono qui se hai bisogno!"

El annuì, rimasta sola, posando in terra il suo zaino e affermandosi a sciogliere il laccio alle converse bianche ai suoi piedi, sentendosi rassicurata e più a suo agio, vedendo i piedi della sua accompagnatrice fermi immobili al di sotto del margine inferiore della tendina.
"Conosco Mike da quando aveva 5 anni, lo sai?" la sentì commentare al di là del camerino, facendola sorridere sfilando il vestito dalle braccia, immaginando nella sua mente una versioni minuscola e ancora più dolce di quella sua personale reincarnazione maschile di Biancaneve.
"È amico con Will dall'asilo…è un caro ragazzo, veramente un tesoro, sono sicura che ti piacerà!" la sentì proseguire con voce dolce, facendo arrossire le punte delle orecchie della piccola in un misto tra vergogna ed orgoglio: oh sì, quel ragazzo era davvero un tesoro e a lei già piaceva…piaceva eccome!

"E sono sicura ti troverai bene anche con il resto dei suoi amici, vedrai! Will mi ha detto sarai dei loro questa sera non è vero?"
"Sì!" abbozzò timidamente El abbottonando l'ultimo bottone dei jeans con particolare attenzione a non voltarsi allo specchio alle sue spalle,
"Mike mi ha invitato e…"
"…e ha fatto benissimo, tesoro! Te lo dicevo che era un tesoro!" concluse Joyce con entusiasmo,
"È ora che tu ti faccia degli amici, qualcuno della tua età, qualcuno di gentile! E, sinceramente, nessuno può essere migliore di loro! Cavolo, non posso credere che questa sera conoscerai finalmente anche i mio Will!"

"In realtà l'ho già conosciuto, ma non credo di avergli fatto una buona impressione…" avrebbe voluto rispondere la piccola, ma ritenne più saggio tacere, chiudendo gli occhi e scuotendo i ricci sulla fronte per un secondo, abbassando gli occhi sui jeans e coprire le sue gambe sottili e prendendo un bel respiro.
"Sto…sto uscendo..." balbettò con una mano già sulla tendina, ma in quel preciso istante sentì una mano più veloce scostarla per intero, aprendo il camerino alla vista di due occhi dolci e spalancati in un secondo su di lei.
"Tesoro! Sei…" iniziò Joyce con viso emozionato, portando le mani sulle sue spalle per osservarla meglio, sorridendole infine ritrovando di fronte a sé gli occhi della piccola incerti e titubanti.
"Guardati…" le sorrise Joyce con aria comprensiva, muovendole leggermente le spalle e facendola voltare su se stessa all'indietro, verso lo specchio che El aveva cercato di evitare per tutto quel tempo e che ora rifletteva di fronte alla piccola una figura così insolita e diversa dal solito,
"…sei stupenda!"

El sorrise di fronte a quello specchio, vedendo Joyce annuirle in modo incoraggiante alle sue spalle, e di fronte a sé riflessa in quello specchio semplicemente…una ragazza!
Una ragazza di 16 anni con una salopette di jeans stretta in vita e una t-shirt a righe infilata nei pantaloni.
Semplice, grazioso, niente di esagerato, ma sicuramente fuori dal suo comune.
Oh sì, avrebbe potuto davvero funzionare.

"Mi…mi piace!" sorrise El a quello specchio, sentendolo la sua migliore amica stringere più forte le sue spalle dolcemente.
"Ti sta benissimo, sweetheart, davvero! Immagina la faccia di Mike quando ti vedrà!"

El arrossì a quelle parole, abbassando immediatamente lo sguardo ai suoi piedi, ma Joyce fu più veloce, captando immediatamente quel movimento di vergogna e pudore.
"Oh, non credere di poter prendere in giro me, tesoro!" la sentì ridere con aria tenera ma sorriso complice,
"Per tuo padre è meglio resti un compagno di scuola ancora per un bel po', ma io le capisco certe cose, sai? Mike è molto, molto carino e tu…"
El alzò di scatto gli occhi, incrociando i suoi riflessi nello specchio, sentendo le guance bruciare e il fiato mozzato a quelle parole.
Sì, Mike era molto, molto carino, Joyce aveva ragione.
Mentre lei invece era…

"…e tu, tesoro…" concluse Joyce vedendola esitare, accarezzando dolcemente le sue spalle fin lungo le sue braccia, schiudendo le labbra per replicare nel più dolce dei sorrisi:
"…tu sei bellissima vestita così, davvero!"

El inspirò profondamente, immensamente grata e felice per quelle parole, tornando con lo sguardo alla sua figura, mai sembrata a lei così bella come in quel momento dopo quella risposta.
"Carina…bellissima"

"Quindi è questo..." El sussurrò a fior di labbra senza essersene nemmeno accorta, scorgendo gli occhi attenti della sua amica alle sue spalle brillare attenti in un secondo:
"Che cosa, tesoro?" chiese Joyce facendola sobbalzare, accorgendosi solo in quel secondo di aver parlato ad alta voce,
"Questo è...che cosa?"
El deglutì, abbassando gli occhi per un secondo a quei jeans chiari, dentro i quali non sarebbe probabilmente mai riuscita a vedersi riflessa allo specchio fino a quel momento ma nei quali ora, sotto la spinta incoraggiate di quella donna gentile alle sue spalle, la piccola Hopper si sentiva bella come una principessa con indosso il vestito per un ballo.
"Dunque è questo che vuol dire...fare shopping con la mamma?"

El vide con la coda dell'occhio Joyce trattenere il fiato, colta sorpresa da quell'innaspettata domanda, un secondo prima di sorridere nuovamente, con il sorriso più bello e genuino che la piccola ricordava di averle mai visto indosso al suo viso stanco ma mai meno gentile.
"Beh...io non sono un'esperta, sweetheart, ho cresciuto due maschi!" rise Joyce portando una mano sul suo viso, scostandole una ciocca dietro l'orecchio e vedendola risollevare piano il viso, occhi grandi e luminosi, innocenti, pieni di sogni,
"Ma credo proprio che sì, tesoro, sì...siamo proprio simile a questo!"

El annuì, immensamente grata e mai stata più felice di averla vicina, sentendo un'irrefrenabile voglia di gettare le braccia al collo a quell'unica figura femminile che in così poco tempo aveva riempito il suo mondo di positività e di gioia.
E così El fece, allungando le braccia e stringendole alle sue, venendo accolta da braccia altrettanto gentili, restando così immobili per un secondo strette ed abbracciare, El e Joyce, una ragazza ed una donna, un amica per un'amica, una madre per una figlia.

"Ti aspetto in cassa, sweetheart!" Joyce trillò felice, dopo un ultimo sorriso di gioia, facendola voltare di scatto pronta a protestare di indignazione:
"No, no! Papà mi ha dato i soldi, mi ha detto…!"
"Ti autorizzo a non dare ascolto a quel brontolone del tuo papà, solo per questa volta!" El la vide voltarsi verso di lei un secondo con una strizzata d'occhio, prima di proseguire a passi svelti con il portafoglio già in mano,
"Non sarà certo lui ad impedirmi di farti un regalo!"
"Ma…" El iniziò a protestare, vedendola però sparire dietro l'angolo prima di poter replicare, facendole richiudere lentamente le labbra e tornare con un passo dentro il camerino, rimasta sola ed in silenzio all'improvviso.

Si voltò nuovamente all'indietro verso lo specchio la piccolina, tornando con gli occhi alla sua figura, così diversa dai suoi vestitini, così informale ma di certo non meno femminile, ripensando alle parole di Joyce di pochi istanti prima, capaci di farla avvampare ad arrossire anche in quel momento, anche lì di fronte a quello specchio ormai da sola:
"Immagina la faccia di Mike quando ti vedrà!"

El sorrise a quello specchio, sentendo il cuore accelerare di ritmo a quelle parole, le gambe tremare, le guance scottare, quasi come se lo avesse potuto davvero avere di fronte già in quel momento, come se davvero avesse potuto essere già lì, tra le pareti della sua camera già impresse nel suo cuore, nella sua memoria.
Come se quelle parole fossero state già sue, solo sue.
Sue da sempre.
"Prettybeautiful"

*

Mike Wheeler non aveva mai creduto dell'importanza della prima impressione, quello era da sempre vero.
Ma era anche vero che Mike Wheeler non aveva mai avuto un primo appuntamento.

Passando e ripassando le mani tra i suoi ricci neri irrimediabilmente incasinati come sempre, Mike percorreva quei 5x5 della sua camera al secondo piano di casa Wheeler continuando a chiedersi cosa mai avesse potuto avere sbagliato.
Sì, perché qualcosa doveva avere sbagliato, doveva aver sbagliato di per certo, se al termine delle due ore impiegate per dare un'ordinata a quella camera da letto, tutto ciò che era riuscito ad ottenere era stato di aver messo solo ancora più in disordine cose di cui prima ignorava perfino l'esistenza, rimaste sepolte da quando aveva memoria sotto le doghe del suo materasso.

Mike Wheeler sospirò tra le dita, chiudendo gli occhi per un secondo e riaprendoli all'improvviso sperando fosse tutto finito, che quel casino di fronte a sé potesse sparire in un secondo al successivo battito di ciglia.
E invece no, tutto rimaneva ogni volta esattamente al suo posto, sul suo letto o sul pavimento immerso nel caos più totale, tanto che per più di una volta il piccolo Wheleer dovette trattenersi non poco dalla tentazione di riinfilare tutto nell'angolo sotto il letto dal quale era venuto.

"Quando hai detto che arriva la tua compagna Mike?!" chiese Karen Wheeler da sotto le scale, facendolo imprecare a fior di labbra per l'ennesima volta quella mattina, alzando gli occhi cielo e dando alla madre la stessa identica risposta, la sola che aveva saputo darle dall'inizio di quella giornata:
"Non lo so mamma, non lo so!"

"Maple Street 11" sussurrò El a fior di labbra, vedendo fuori dal finestrino le case sfrecciare intorno alla macchina, un cielo limpido a fare da sfondo a poche nuvole bianche come una miriade di tante pecorelle.
"Certo" sorrise Joyce di risposta, svoltando a destra lungo un vialetto molto noto e familiare, vedendola rivolta verso il finestrino assorta, senza permettersi di perdere uno scorcio di quel nuovo paesaggio tutt'intorno.
"Ci siamo quasi tesoro! Allora, sei agitat.."

"Agitato? Perché dovresti essere agitato, Wheeler?" chiese scettico il piccolo Mike al suo riflesso nello specchio, la t-shirt a righe decisamente più stropicciata del dovuto, una cascata informe di ricci sugli occhi e una gamba tremula che non aveva smesso di dargli pace da quella mattina e che non pareva avere la minima intenzione di farlo.
"Agitato? Tu?! Eddai Mike, è solo una mattina di studio, non stare a montarti la testa! In fondo non è la prima volta per te che…"

"…dovrei esserlo?" chiese timidamente El lanciando uno sguardo di sfuggita alla sua amica seduta al posto di guida, vedendola scuotere la testa silenziosamente ma con un sorriso sulle labbra valido più di mille e mille altre parole.
"Oh no, sweetheart! Non è necessario essere nervosi! Esserlo un po' sarebbe normale per tutti, ma non è certo obbligatorio!"
El annuì in silenzio, tornando con lo sguardo fuori dal finestrino, ispirando lentamente ed espirando abbassando le spalle.
Lo era? Lo era davvero?
Era davvero agitata oppure no?
Non avrebbe saputo dirlo, non avrebbe anche voluto saputo spiegarlo.
Era quella la parola giusta per riassumere il mal di pancia forte e allo stesso tempo dolce che si faceva sempre più forte a mano a mano che le ruote precedevano lungo l'asfalto e i minuti passavano sull'orologio del cruscotto?

"Okay Mike smettila, non ci credi nemmeno tu…" concluse l'irritante vicina nella sua testa, facendolo mordere il labbro inferiore con espressione umiliata sulle guance più rosse puntinate di lentiggini.
"Tu hai idea di come vanno questo genere di cose, non l'hai mai saputo! Non farti ora lo splendido solo perché credi che questo ti possa essere d'aiuto a…"

"…lo conquisterai di certo tesoro, non ho dubbi!" sorrise per l'ultima volta Joyce, frenando davanti ad un cassetta delle lettere bianca dove una scritta blu scuro dall'elegante calligrafia recitava una scrittura:
Famiglia Wheeler
"Solo…non dire al tuo papà che te l'ho detto, intesi?"

"Forza Mike, smettila!" si ripeté Mike a quello specchio, appoggiandosi al lavandino e sentendosi nauseare in un secondo dall'odore forte della colonia maschile che quella mattina aveva ben deciso di mixare in eccesso al suo solito deodorante al sapore di menta.
Oh sì, aveva decisamente esagerato.
"Solo perché ti ha rifiutato quella stronza non vuol dire che ti debba per forza andare male!" deglutì al suo riflesso ritornando con la mente in un secondo a quella spiaggia, alle onde contro il bagnasciuga, alla sabbia, ai gabbiani…e poi?
A due labbra morbide sulle sue, posatesi appena per un istante, sufficiente per rubargli il primato, non abbastanza per poterlo definire come avrebbe voluto "un vero primo bacio".
"Solo perché ti è andata male una volta non è detto che debba succedere di nuov…"

"Di nuovo grazie, Joyce!" El sorrise riconoscente, stringendo la mano che quella donna gentile aveva portato sulla sua all'altezza dei suoi jeans nuovi.
Joyce sorrise, con occhi vispi ed emozionati almeno quanto quelli della piccola che ora le era di fronte.
Chissà come era stato il primo appuntamento di quella donna un tempo ragazza, chissà quale vestito speciale si era messo lei per essere carina di fronte ad un altro ragazzo.
El non poté fare a meno di pensarci, arrossendo appena per quel pensiero, non potendo frenare le sue fantasie che già la stavano portando ben oltre le domande lecite e consentite.
Chissà se quella ragazza di un tempo non aveva condiviso un appuntamento anche con lui…con il suo papà?

"Jim passa a prenderti per pranzo!" Joyce la risvegliò dal suo sogno, vedendola sbattere le ciglia prendendo un profondo respiro ed annuendo piano,
"Sì sì, certo…beh…ora credo sia ora che io vad…"

"Vai Mike, mostra il tuo coraggio!" un piccolo paladino ripeté davanti allo specchio un'ultima volta, spalancando la porta del bagno ed uscendo sul corridoio a petto in fuori come si fosse trattata di un'arena da gladiatori e della peggiore delle giostre medioevali.
"Vai e conquista la tua pulzella, la tua principessa…insomma, vai e fatti valere, Wheeler!"

"Vai tesoro, buona fortuna!" la salutò Joyce con tono incoraggiante, vedendola aprire la portiera con un altro lungo respiro, uscendo lentamente dall'abitacolo dell'auto rossa e indugiando un secondo di fronte a quel vialetto, non osando muovere un passo.
El deglutì, inspirando profondamente ed impegnandosi non poco per mantenere calmo il respiro, cercando di prendere tempo e distrarsi lanciando un'occhiata in giro alle file di case e giardini tutt'intorno di fronte ai suoi occhi curiosi.

Quella sì, sembrava davvero essere una bella casa.
Non che la piccola avesse molte esperienza di case e giardini, dopo aver vissuto la maggior parte dei suoi anni chiusa in uno spazio angusto di cemento e l'altra in una piccola casetta in mezzo al bosco, per quanto più accogliente ed ospitale fosse, ma quella che aveva di fronte sì, El non ne ebbe dubbi quella mattina nel vento fresco autunnale, era proprio una casa dove avrebbe volentieri potuto abitare.
I mattoni a vista erano rossi nella parte inferiore dell'edificio, bianchi nei piani superiori, il giardino ordinato, il prato ben falciato, cespugli di fiori colorati elegantemente disposti a delimitare un piccolo sentiero mattonellato, quello che la piccola con passo incerto ora percorreva lentamente stringendo tra le mani le bretelle di quel suo zaino bianco sulle spalle.

Prese un profondo respiro El, alzando lo sguardo all'intero edificio dall'aspetto accogliente ma dal quale, se avesse potuto, avrebbe voluto scappar via il più velocemente possibile.
Chissà dove era ubicata la camera di quel ragazzino, la piccola Hopper si chiese con il naso all'insù, scorgendo tende bianche alle finestre inferiori e rosa tenue in quelle superiori.
Mike le aveva parlato anche di un altro spazio, quello dove ogni sabato sera con i suoi amici si trovava per giocare a quel gioco dal nome strano e sconosciuto: basement l'aveva chiamato, certo!
E quel gioco, quel gioco…come aveva detto che si chiamava?!

Quel fiorellino trattenne il fiato al termine di quel vialetto, giunta ad un passo da quella porta dove un amichevole tappetino recitante "welcome" la invitò a fermarsi, con gli occhi puntati al campanello dorato di fronte a sé.
"Coraggio El, coraggio…oramai sei qui, no? Cosa può succedere di male?" annuì a se stessa El prendendo il coraggio residuo e portandolo in avanti di fronte a sé, come se fosse stato in grado da solo di suonare per suo conto quel dannato campanello.
Cosa aveva detto Joyce?
Era normale essere nervosi, era assolutamente normale, giusto?
Quindi, per evitare di svenire o farsela sotto da un momento all'altro su quella porta d'ingresso tanto valeva buttarsi, non era vero?

"Mike!"
Il grido di sua sorella giunse alla orecchie del piccolo Wheeler proveniente dal piano inferiore, facendolo saltare in piedi sul posto come una molla, sperando davvero Nancy non avesse richiamato la sua attenzione solo per l'ennesimo insulto.
"Sì, Nancs?" Mike urlò di rimando schiarendo la voce, sporgendosi dal fondo delle scale e portando un orecchio in ascolto, lanciando un ultimo sguardo disperato alla porta della sua camera rimasta mezza aperta e mostrante il caos ancora lì fermo ad attenderlo sul pavimento.
"No no no, non ora ti prego, no! Fa che non sia già…"
"C'è una ragazza sulla porta Mike!" la voce acuta di Nancy ruppe come una bolla di sapone le sue speranze, facendo eseguire al suo piccolo cuore un triplo salto mortale all'indietro e prendendo a battere senza freni all'impazzata.

"Holy mother of…"
"Ma Mike…non può essere lei! Non può essere la tua compagna!"
"Cosa?!" esclamò Mike confuso, precipitandosi di corsa lungo le scale del piano superiore, decidendo di fingere per la sua incolumità mentale in quel momento che quel casino residuo in quelle quattro mura non fossero solo il frutto della sua più fervida immaginazione.
"Cosa?!" ripeté il piccolo Wheeler arrivando di fronte alla sorella sporta dal divano fino alla tenda davanti alla finestra, con espressione così sinceramente stupida che per un secondo Mike credette davvero non lo stesse sul serio prendendo in giro:
"Questa ragazza non ha i brufoli, e nemmeno l'apparecchio! È troppo carina per te, Mike! Non sembra nemmeno una mezza nerdina come t…"

"E tu invece una stronza lo sei per intero, Nancs!" Mike scosse la testa non potendo trattenersi dal sorridere, lanciando un'occhiata dietro le tende e riconoscendo uno zaino bianco sulle spalle dall'aria familiare.
Carina? Troppo carina per lui?
Sì, era decisamente il suo fiorellino, la sua El.

"Okay, ora suoni, El!"
"Nancy, cortesemente…te ne potresti andare di sopra?"
"Okay, uno…"
"Tesoro! Hanno suonato alla porta?!"
"Non ora mamma, ti prego!"
"Due…"
"Che permalosi che siamo oggi, Mike! Qualcuno ha forse voglia di…"
"Nancy!"
"…tre!"

Mike aprì la porta, nello stesso preciso istante nel quale, preso un profondo respiro, il dito di El si fu appoggiato al bottone del campanello abbastanza perché un chiaro trillo risuonasse intorno a sé e lungo le stanze di quella casa.
Il repentino movimento, troppo veloce e precoce per non farla sobbalzare, fecero partire dalle labbra della piccola un piccolo sospiro, veloce e secco di stupore e spavento, quando El vide aprirsi la porta di casa Wheeler e un viso familiare sorridente e agitato palesarsi di fronte a sé prima che riuscisse a rendersene conto.

"Ci…ciao!" Mike sorrise con i ricci arruffati e gli occhi spalancati di meraviglia, vedendo i suoi occhi a primo acchito stupiti, sciogliersi così come le sue labbra nel più dolce dei sorrisi.
"…Ciao El!"
"Ciao Mike!"

E fu una primavera di luce, una festa di fuochi d'artificio dritti nella pancia, un magnete così potente in grado di cancellare ogni altro colore, ogni altra figura a loro intorno, ogni altro contorno che non fosse il loro, quello dei loro due occhi uniti dell'elettricità più pura e ad alta tensione che mai avrebbe potuto catturarli senza dar loro la scossa.

"Wow…" avrebbe voluto sospirare la piccola Hopper, per quanto dolce era il viso del suo paladino in quel momento, tra i ricci neri ricaduti sulle ciglia e quella pelle pallida leggermente più colorata sulle guance in mezzo ad una costellazione di puntini.
"Wow…" avrebbe voluto sorridere il piccolo Wheeler davanti alla sua principessa vestita di luce e di fiori, con quella salopette di jeans che la faceva apparire invero ancora più bambina, ma ancora più adorabile e così maledettamente carina, con quella t-shirt a righe simile alla sua che no, Mike non poteva avere dubbi, non in quel momento: El l'aveva scelta apposta per lui.

"A..accomodati!" si scosse dal torpore Mike con un sorriso, facendosi da parte su quell'uscio dove non era mai stato più felice di dare il benvenuto a qualcuno, con un gesto della mano in segno di invito e un ultimo sguardo lungo l'intera sua figura, così intenso ma delicato da far sorridere quel fiorellino a sua volta, stupita e felice di quanto, per la seconda volta si stesse rendendo così semplicemente conto, di quanto incredibilmente semplice e naturale fosse stare vicino a quel ragazzino dal viso felice e dal bel sorriso.

"Cavolo…"
"Cavolo, cavolo!" sospirò Mike nella mente richiudendo la porta di casa alle sue spalle e girandosi verso di lei con un grande sorriso, vedendola ferma immobile verso di lui con gli occhi già curiosi a guardarsi tutt'intorno.

"Cavolo sì, è vera! Non è una visione, è vera! E ce l'hai nel salotto di casa tua, Mike, per la miseria!"
A Mike scappò da ridere, richiamando la sua attenzione e vedendola tornare con gli occhi su di lui, così attenti, così curiosi, così grandi, belli e luminosi.

"Cavolo quanto sei carina, El Hopper…"
"Cavolo quanto sei carino, Mike Wheeler…"
"So pretty.."
"So beautiful…"
"So pretty beautiful"

🌼📼

Ragazzuoli miei...ebbene sì!
Questo è il mio capitolo "bloccato a metà" al punto giusto, al punto dal quale tutto parte, tutto sta per incominciare...🎉
E con questo capitoli vi dico:
ci si vede dall'altra parte!
Questo è l'ultimo capitolo che pubblico prima del 4 luglio, di quella terza stagione che sembrava lontana anni luce e che, invece, ora è veramente ad un passo dall'essere raggiunta.
Come mi sento in questo momento?
Non basterebbe un altro capitolo per descriverlo❤
Ho iniziato a scrivere più di un anno fa per rendere più leggera l'attesa di questa stagione a me stessa e agli altri, per riempire il vuoto, per non smettere di sognare, e immaginare che ora tra meno di una settimana rivedrò sullo schermo i bambini che mi hanno fatto sognare per tutti questi mesi mi carica di un'emozione e allo stesso tempo di un'ansia pazzesca🙈
Quello che voglio augurare a tutti voi di cuore è solo BUONA VISIONE.
Sì, dimenticatevi del resto del mondo per 8 o poco più ore, tornate ragazzini (se siete un po' più cresciuti come me) o immaginate di essere con il party nel basement dei Wheeler, a correre con Max ed El per i corridoi del mall, a sbirciare un bacio tra Mike ed El direttamente dallo spioncino della porta di casa Hopper.
Questo show fa sognare ragazzi...lasciatevi far sognare❤
La magia non finirà dopo il 4 luglio, la mia no per lo meno, e sarò ancora qui per chi vorrà a immaginare, scrivere, sognare, di quella coppia di ragazzini ed amici che, ormai, è tutta la mia vita.
Ci si vede dall'altra parte, sì, con un capitolo che non vedo l'ora di scrivere, che sarà una coccola per me da realizzare e spero per voi da leggere, per consolarci tutti un po' e non smettere di sorridere🤗
Infine, vi volevo ancora aggiungere forse la cosa più importante: la trama di Let me Love you non cambierà, qualsiasi cosa vedremo tra una settimana sullo schermo.
Questa storia ha voluto e vorrà essere fedele allo show come ispirazioni, personaggi, concept ed ambientazioni, ma ho un filo guida e delle idee in mente che no, ho promesso a me stessa che no, non cambieranno qualunque cosa vedrò nello show.
Qualsiasi cosa succederà, qualsiasi personaggio a me caro morirà, qualsiasi personaggio minore prenderà importanza (chi ha orecchi per intendere intenda), io resterò fedele alla mia trama.
Perché?
Perché questo è il bello di scrivere fanfiction: farsi ispirare ma allo stesso tempo lasciare andare alla fantasia❤
Detto questo, non ho altro da aggiungere!
Auguro a tutti voi il migliore 4 luglio di sempre🎉
Buona visione, buon divertimento, con le persone che più amate (io e le mie folli amiche stranger-obsessed siamo pronte, e voi?😍)

A presto, un abbraccio grande fino al sotto sopra (and back❤)
Ari

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