Let me be your superhero

«Ragazzi io vado a riposare.»

Me ne sgattaiolo così con un sorriso mezzo tirato sulle labbra, divincolandomi dalle braccia dei miei migliori amici. Faccio le scale di corsa, senza guardarmi indietro, e schianto la porta della mia stanza alle spalle con il fiatone. Getto via sul pavimento l'uniforme scolastica che sembra volermi soffocare. Guardo la stanza ridotta un casino, il pavimento in legno completamente sommerso da tutti i vestiti sparpagliati a casaccio, e sospiro pensando che il mio vicino di stanza se vedesse tutto questo casino sicuramente tenterebbe di ammazzarmi. Rido quasi a quel pensiero, cercando un qualcosa che non sia completamente lurido da poter indossare e con un po' di fortuna pesco vicino al tappeto una canottiera, un po' malandata ma che può essere tranquillamente indossata per stare in camera al buio. La indosso e mi lascio cadere contro il letto, ignorando il sinistro rumore delle doghe al mio movimento, con un peso nel cuore difficile da esprimere. Partiamo dal presupposto che ho una memoria visiva quindi se il mio cervello da masochista vuole farmi rivivere qualche evento traumatico può benissimo decidere di proiettare nella mia testa delle immagini in 4K di quell'avvenimento come se stessi vedendo un film. Ed è proprio così che rivedo il mio fallimento contro quel cattivo con la forza devastante, vedendomi cadere ancora ed ancora davanti ad un suo singolo pugno mentre il mio corpo indurito viene sbalzato via di una decina di metri. La pelle che si infrange, staccandosi così dalla carne e tutto il sangue che mi sgorga via dalle braccia. Il dolore è così intenso che rischio quasi di svenire ma i miei occhi non possono fare altro che guardare la schiena del mio senpai mentre accusa uno dietro l'altro tutti i colpi che io non ho retto. Dovevo esserci io lì, ad incassare. Il nostro team è formato da uno scudo e una lancia. Io assorbivo i colpi e Fatgum li rimandava al mittente; funzioniamo così bene ma non era bastato. Recovery Girl era stata brava a rimettere le mie braccia in sesto, sanguinavano così copiosamente e la carne viva era così esposta che bruciava anche solo al contatto con l'aria. Stringo la stoffa delle lenzuola rosse tra i palmi delle mani tanto più la frustrazione sale, mi scorre come lava calda su per le vene; e a un certo punto, all'improvviso, mollo la presa. Come una corda che viene tirata fino all'estremo, fino alla inevitabile rottura, mi spezzo. Così, con un grugnito disperato, nascondo il volto contro il guanciale, lo sconforto che prende il sopravvento. Fin da piccolo volevo essere un uomo virile, un eroe virile, ma sono solo uno stupido e debole ragazzino. Ingenuo nei suoi tentativi di migliorarsi ma la realtà è questa, sono uno stupido e debole ragazzino. Non ho retto nemmeno un colpo e sono rimasto semi incosciente contro un muro a farmi proteggere da Fatgum per chissà quanto tempo, la conoscenza dello scorrere del tempo non era contemplata tra le abilità che acquisisci quando perdi i sensi. Non sono cambiato di una virgola dalle medie, quando quel mostro si presentò tra le vie della mia città. E io che feci in quell'occasione? Rimasi pietrificato, immobile sul bordo del marciapiede, ad una quindicina di metri da dove quel cattivo stava "interrogando" due mie compagne di scuola. Non ero riuscito ad aiutare loro all'ora e tutt'oggi non ho svolto il mio lavoro da aspirante eroe. Non sono diventato più forte, più robusto o chissà che altro, e forse sono anche stufo di dovermi dimostrare sempre sorridente. Sia chiaro, amo vedere le persone ridere con me, sollevare il morale agli altri e fargli da supporto; un uomo virile farebbe questo. Ma l'altra faccia della medaglia fa capire che è tutta una recita, la mia da uomo forte e senza crepe. E più va avanti e più quelle crepe che nascondo si allargano e la muffa, il marciume, della mia anima insicura sta venendo allo scoperto e quel duello ha solo accellerato il processo. E mentre medito sul fatto di passare l'intera notte in questo stato pietoso, a maledirmi per il mio errore, pensando pure di inventare un qualche tipo di malessere per saltare le lezioni del giorno successivo, dei colpi contro il muro attirano la mia attenzione. Due rintocchi oltre il muro e la mia testa si solleva di colpo, due colpi dovuti da delle micro esplosioni vogliono dire "terrazza". Io e Katsuki odiamo comunicare via messaggio, soprattutto quando entrambi siamo in camera, e così abbiamo inventato un nostro personale metodo di comunicazione attraverso dei precisi colpi dati contro il muro, sfruffando la nostra innata capacità di fare abbastanza rumore da farci sentire oltre il cemento. I due colpi, ad esempio, significano "terrazza", il nostro ambiente dove possiamo chiaccherare a voce durante la notte senza essere disturbati da nessuno e senza che il professor Aizawa ci scopra. Ribatto con un colpo del palmo, sostanzialmente per far capire a Katsuki che lo stavo per raggiungere, alzandomi dal letto con una finta espressione pimpante, sapendo benissimo perché mi avesse chiesto di uscire a parlare. Apro la porta finestra e sbircio alla mia sinistra, dove si trova la camera di Katsuki, ma non vedendo nessuno e la sua porta socchiusa deduco che si è seduto sulle mattonelle a scacchi aspettandomi. Imito il suo comportamento, poggiandomi all'angolo più vicino possibile al confine tra la mia e la sua terrazza e aspetto. Aspetto che Katsuki parli, aspetto che la mia voce esca da sola; aspetto un qualsiasi avvenimento ma non succede niente di tutto ciò. Restiamo in silenzio a guardare le stelle. Non è un silenzio piacevole però, no. Non è uno di quei silenzi confortanti a cui io e Katsuki siamo abituati.

«Perché non mi hai detto niente? Sei sparito da scuola per due giorni interi.»

Katsuki finalmente parla e lo fa con un tono che oserei quasi definire debole, a tratti ferito.

«Il professor Aizawa ci aveva fatto promettere di non farne parola con nessuno, però non è stato facile. Sei stato parecchio insistente al telefono.»

«Odio essere tenuto all'oscuro.»

L'ennesimo silenzio si fa spazio tra di noi, carico di tensione e verità che stanno per venire a galla. Serro i pugni e li rilascio dopo qualche secondo, eseguendo meccanicamente un esercizio per il controllo dell'ansia, ma tutto quello che ottengo sono piccole ferite inferte dalle mie unghie sui palmi callosi.

«È successo qualcosa durante quella ronda vero? Non può essere stato un semplice incidente, non mi sembri nemmeno tu.»

È ancora Katsuki ad interrompere il silenzio. E mi sento come se avesse voltato il capo verso destra per vedermi e che potesse effettivamente osservare la mia faccia sorpresa. Sono bravo a fingere di stare bene, modestamente nessuno si accorge mai di quando fingo. Katsuki però è il mio unico punto debole. Lui non si fa fregare da sorrisi smalianti e perfetti, da una posa solida o dalla presenza possente. Lui ti scava dentro e se stai fingendo o provando a manipolarlo lui lo sa, lo sa sempre.

«Io- »

"Eijiro vuoi davvero che Bakugo sappia quanto fai schifo? Quanto debole e codardo sei? Non è da uomini virili dire le proprie debolezze. Fingi, fingi ancora un po' e quando avrai finito qui con lui potrai tornare nel tuo misero letto, ad odiarti per il resto dei tuoi giorni."

Il mio cervello è cattivo, lo è sempre stato, ma è anche un temibile tentatore che tocca i miei punti deboli abbastanza perché menta al mio migliore amico.

«No, va tutto bene Bakugo.»

«Tsk! Le tue menzogne mi fanno venire il voltastomaco. Sputa il rospo idiota o giuro che scavalco e te lo faccio sputare a suon di pugni.»

Ringhia aggressivo e delle piccole esplosioni scoppiettano tra le sue dita, figurando la sua possibile incazzatura da lì a breve.

«Bakugo, sul serio, va tutto bene. Sto bene.»

Cerco di convincerlo, quasi supplicandolo di non insistere perché no, non sto bene, non sto decisamente bene. Voglio piangere, voglio urlare e voglio spaccare tutto finché le malelingue nella mia testa non smettono di inveire contro di me. Ma agli uomini virili non è concesso tale lusso e così rimango in silenzio, il peso che grava al centro del petto che anche oggi non viene sfogato in alcun modo.

«Fingere a cosa ti ha portato Kirishima? Ad autocommiserati al buio della tua stanza lontano da tutti mentre sotto i riflettori fai l'imbecille.»

Mi incalza ancora. La voce sempre più affilata e tagliente fino a spezzare in mille frantumi la mia recita.

«Mi sono scontrato contro dei villain, ero da solo con Fatgum e un villain ci ha caricato. Io mi sono messo davanti a lui per proteggerlo e quando mi ha colpito mi ha sbalzato via, facendomi crollare contro il muro e stavo quasi per svenire. Io non sono riuscito a fare niente Bakugo. Io- io sono debole.»

Mormoro sconfitto in risposta alle sue insistenti richieste, stringendo il tessuto del mio indumento tra le mani con frustrazione ed ammettendolo. Mi sento debole da sempre e non saranno dei capelli colorati ed un corpo più muscoloso a cambiare la mia stupida indole da debole senza spina dorsale.

«Tsk! Debole? Quante cazzate. Ti sei rialzato dopo no? Credevo di avertelo già detto Kirishima chi non crolla è dannatamente forte.»

La voce di Katsuki suona davvero convincente, con un filo di amorevolezza come contorno. Ha ragione, lo sapevo che razionalmente ha ragione. Effettivamente mi ero rialzato dopo quei minuti di stordimento, ed è proprio grazie all'effetto sorpresa del mio corpo che riusciva ad attaccare che eravamo usciti vivi da quella serata di ronda. E, cazzo, vorrei davvero crogiolarmi in quelle belle parole. Un discorso simile aveva già stimolato il mio spirito a formulare "Unbreakable", la mia tecnica più potente spingendomi oltre al limite finora comprovato del mio potere. Ma il marcio dentro di me era troppo per poterlo schermare con le sue parole brillanti.

«Io non posso essere forte Bakugo, io ero terrorizzato in quel momento. Mi sono sentito così impotente mentre venivo difeso da Fatgum, quando a stento riuscivo a tenere gli occhi aperti.»

«Tutti provano paura imbecille. Anch'io ho provato paura, e tanta, in vita mia.»

La voce di Katsuki ha perso la magnificenza di prima. Si sta sporcando le labbra dicendo un qualcosa di così banale ma che io, in tutto questo tempo, ho completamente scordato.

«La paura è uno dei sentimenti più primitivi ed innati dell'uomo.»

«Tu hai avuto paura?»

Dire che sono sconcertato da quelle parole e dir poco. Il grande Bakugo Katsuki, la bestia della Yuuei, uno dei primi della classe sia sul piano degli studi sia sulle esercitazioni, il rabbioso e il violento dinamitardo che faceva esplodere qualunque cattivo facendolo sembrare facile come bere un bicchier d'acqua aveva provato un sentimento così viscido come la paura? A quanto pare sì. Certo, so che ha passato cose orribile ma da lì a provare qualcosa di simile alla paura non pensavo fosse possibile per lui.

«E che pensi?»

Risponde seccato, quasi offeso per essere stato scambiato per una macchina che non prova nessuna emozione.

«Che fosse divertente avere un attacco di panico durante la mia prima esercitazione qui alla Yuuei? Che mi sia piaciuto essere sempre additato come un possibile villain ed essere incarcerato sul podio al torneo scolastico? Che mi sia divertito a farmi rapire da quegli stronzi della lega dei villain? E quando mi sono trovato davanti ad All for one? Ero dannatamente terrorizzato cazzo ed è vero, ho continuato a combattere lo stesso, ma era solo l'istinto a farmi muovere. Se mi avessero ferito come hanno ferito te quella volta sarebbe stato game over. Non pensare mai più che sia da deboli provare paura.»

All'ultima frase Katsuki si alza in piedi e insintivamente io lo seguo, e noto che sul suo viso c'è l'ombra di un sorriso. Mezzo metro ci divide, due muretti che ci arrivano fin sopra la vita e poi il vuoto di tre piani di palazzo. Guardo il cielo, troppo imbarazzato per il discorso appena avuto col mio amico, e assimilo il fatto che la paura non sia debolezza ma solo umanità.

«Ehi Red Riot»

Katsuki mi richiama con il mio soprannome da eroe e quando abbasso lo sguardo su di lui lo trovo sporto con le gambe oltre al muro di cemento. Poggia un ginocchio sopra il bordo del perimetro del mio terrazzo e con una mano mi acciuffa la canottiera. Si sporge ancora un po' e mi lascia un bacio a fior di labbra. Quando si stacca e comincia a parlare non so se sono più sconvolto e intenerito dal bacio o da quello che mi dice.

«Sei un vero eroe, non dubitarne mai più.»

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