𝚞𝚗𝚍𝚒𝚌𝚒
Novembre
Quella mattina non passava più. Paradossale, considerando che Isaac si trovava ancora in compagnia di Sebastian e che di solito si divertivano un sacco insieme, tanto che il tempo passava perfino troppo velocemente.
Ma quel giorno era tutto diverso. Isaac era stanco morto e perfino i joycon della switch gli sembravano pesanti.
Sospirò. Aveva dormito poco e male. Non che quella fosse davvero una novità, però ogni cosa pareva remargli contro. Si era coricato alle cinque del mattino, sperando di crollare in un sonno senza sogni, ma probabilmente l'universo intero lo detestava, perché il resto della nottata - o mattinata, a seconda dei punti di vista - l'aveva passata alternando incubi e pensieri autodistruttivi.
E ora aveva due occhiaie talmente tanto profonde che avrebbero fatto paura perfino a un vampiro, lo stomaco in subbuglio e continuava a perdersi, a vagare con la mente. Fortunatamente Sebastian era un tipo paziente: cominciava tutte le conversazioni, aspettava le risposte con calma e quando Isaac gli chiedeva di ripetersi, lo faceva.
“Come osa essere così perfetto?”
Isaac credeva davvero che gli si fosse fuso il cervello. L'unica cosa che riusciva a metabolizzare con lucidità erano le braccia di quello stronzo e ciò che era successo in quel maledetto bagno. Perché l'aveva soccorso? Perché non l'aveva lasciato annegare nel lavandino?
Forse per pareggiare i conti? Perché in passato Isaac l'aveva aiutato senza esitare? “Ma quante volte vuole ancora salvarmi, prima di ritenersi soddisfatto?”
Isaac ricordava ancora con estrema precisione ogni singolo dettaglio: il corpo di Sebastian ricoperto di graffi e morsi, lo sguardo che gli aveva rivolto mentre lo medicava, implorante e bisognoso, il sapore della sua pelle martoriata... E un succhiotto sul polso.
Fu anche la prima volta che vide un sorriso genuino sul suo viso. Quando si staccò dal livido, Sebastian lo fissava adorante, quasi avesse vinto un premio al lotto, e Isaac si era ritrovato a fare i conti con la sua vena sadica. Aveva ancora il suo sapore in bocca.
La verità era che in quel preciso istante aveva avvertito distintamente un gusto ferroso solleticargli le labbra, avvolgergli la lingua, straziargli il petto.
Sebastian sapeva di sangue. Isaac lo amava e -cazzo! - se avrebbe voluto rifarlo altre mille volte.
Scosse il capo. Doveva smetterla di pensarci. Ciò che era successo quella sera doveva rimanere lì, sepolto nei ricordi. Come quello che era accaduto in bagno. Era inutile continuare a rimuginarci.
“A lui non piaccio io.” si ripeté. Ancora e ancora. “Anche se...”
Sebastian l'aveva stretto così forte da togliergli il fiato e il suo profumo era tanto dolce da fargli girare la testa, perdere la ragione. Quello sguardo preoccupato poi era magnifico, bello quanto la sua voce. Isaac avrebbe voluto sentirlo gridare il suo nome, mentre affondava nelle sue soffici carni e, merda, cominciò a immaginarselo.
Chissà se gli avrebbe permesso di lasciargli qualche segno, come quella sera di tempo addietro.
«Chi è quel gatto?» gli domandò all'improvviso il suo principe azzurro, dando finalmente un freno a quelle maledette fantasie. Per fortuna, altrimenti si sarebbero fatte molto più spinte. E malate.
«Si chiama Bob.» ridacchiò Isaac. «È un figo.»
Avevano deciso di giocare a qualcosa, dopo aver fatto colazione. Faceva comunque troppo caldo per fare altro, nonostante fosse novembre inoltrato. “Dannato surriscaldamento globale.”
«Sembra lo stregatto.» ribatté Sebastian, muovendo l'indice per far esplodere delle caramelle sul cellulare.
Isaac riconobbe immediatamente quella musichetta snervante.
«Ma a che giochi? Hai novant'anni?» lo prese in giro, anche se lo trovava abbastanza carino. A volte Sebastian sembrava un vecchietto. E dire che era più giovane di lui.
«Perché me lo chiedi? Cerchi uno sugar daddy?»
Isaac rise, un po' imbarazzato, ma stette al gioco: «Ne conosci uno disponibile?»
«Ew, Zack!» sbuffò, lasciandosi scivolare sul divano. «E anche ouch! Io sono proprio qui, devo girare con una freccia led per farmi notare?»
«Non hai tipo una fidanzata?» gli ricordò, offrendogli il comando della console, ma Sebastian scosse la testa, declinando l'offerta.
«Non stiamo insieme.» ribatté con convinzione, facendo una smorfia sconsolata di fronte al numero di mosse rimaste. Isaac si chiese perché non fosse ancora illegale essere tanto tenero. Prima o poi il suo cuore avrebbe ceduto, di fronte a tanta dolcezza.
Però quantomeno avevano ritrovato un po' di calma. Fra loro era sempre stato così: un'estenuante tensione l'attimo prima e la complicità di due bambini quello dopo.
«Per ora.» borbottò Isaac.
«Geloso?» lo stuzzicò l'altro.
«Nah, non è il mio tipo.» fece spallucce.
«Io lo sono?»
«Smettila, estùpido.»
«Quello è spagnolo. Io sono italiano.» ghignò.
«Guarda che lo sapevo!» esclamò Isaac, arrossendo. No, non lo sapeva. Mai stato bravo con le lingue.
«Se vuoi ti do qualche lezione.» lo provocò, dandogli dei piccoli colpetti sul capo per richiamare la sua attenzione. Quando Isaac posò lo sguardo su quel viso angelico, non riusciva già più a rimanere serio.
«Come si dice “sei un cretino”?» sbuffò, dandogli un buffetto sul polso per fargli capire che doveva piantarla di toccarlo in quel modo. Oppure lo avrebbe baciato sul serio.
«“Sei meraviglioso”.» rispose Sebastian, senza esitazione.
«Beh, “sei meraviglioso”!» Isaac gli fece la linguaccia, improvvisando un italiano molto più che disastrato. “Una parola più difficile non potevo sceglierla, vero?”
Sebastian però si stava trattenendo dalle risate e Isaac realizzò.
«Ok, mister, cosa mi hai fatto dire?» borbottò, preparandosi a una figuraccia.
Sebastian fece spallucce, enigmatico.
«Va bene, devo imparare l'italiano.» si lamentò Isaac.
«Non ce n'è bisogno per conquistarmi. Sono già parecchio colpito~» Sebastian gli lanciò un bacio volante, accompagnato da un occhiolino e Isaac alzò gli occhi al cielo, sentendo il cuore fremere.
Era costantemente a rischio infarto quando c'era di mezzo lui.
Sebastian fece per dire qualcosa - un insulto probabilmente - ma si bloccò quando notò qualcuno in corridoio. Isaac non dovette nemmeno voltarsi per capire chi l'avesse fatto irrigidire in quel modo.
«Isaac, per l'amor del cielo!» urlò sua madre entrando a grandi falcate nella stanza. La cara Akiko era un terremoto ambulante: portava con sé caos e profondo odio per il parrucchiere di Trump.
Molte volte Isaac non la capiva affatto, comunque era esilarante vedere come Sebastian si rimetteva composto, sotto il suo sguardo vigile.
“Prima era praticamente fuso con i cuscini, ora è dritto come uno stuzzicadenti.” pensò, trattenendo un sorriso. In un certo senso, era stato il karma.
Il senso di vittoria però non durò a lungo: «È il tuo giorno libero. Cosa ci fai ancora qui?» lo sgridò la donna.
«Gioco?» le rispose Isaac, mostrandole i joycon con fare innocente.
Lo sguardo che gli lanciò lei, però, era tutt'altro che amichevole. Akiko si sistemò i capelli scuri, poi socchiuse gli occhi a mandorla e infine: «In una bella giornata come questa?» attaccò.
«Sì.» ribatté suo figlio, anche se sapeva che Akiko poteva essere molto più che convincente.
E menomale che la donna non sapeva che Isaac tra sé e sé la chiamava per nome, altrimenti gli avrebbe urlato contro che era un ingrato che disprezzava i loro antenati.
«Perché non fai come tutti i ventenni ed esci a ubriacarti?» gli domandò dopo un momento.
«Mamma!» Isaac spostò lo sguardo tra lei e Sebastian.
«Che c'è? Sono stata giovane anch'io!» esclamò lei, muovendo i fianchi a destra e sinistra, improvvisando un balletto. Quindi aveva scelto la strada dell'imbarazzo per farlo uscire di casa. «Dico sul serio: vai a una festa! Bevi! Dammi un motivo per lamentarmi di te!» concluse allargando le braccia, esasperata. «Da piccolo me ne davi così tanti!»
“Ti scongiuro, non davanti a lui!”
Era l'unica cosa che Isaac riusciva a pensare mentre, ne era certo, assumeva il colore di un'aragosta.
«E devi proprio farmi la predica davanti a Seb?» sbuffò Isaac, alla fine. “A questo punto è andata, tanto vale comportarsi come un adolescente.”
«Ormai lui è di famiglia.» gli disse, il tono di chi stava solo sottolineando un'ovvietà.
In realtà a Isaac fece davvero piacere e Sebastian sentì un formicolio al petto, ma poi lei rovinò tutto aggiungendo: «Giusto?»
E rivolse a Sebastian un occhiolino che lasciava ben poco all'immaginazione. E Isaac capì che l'aveva scambiato per il suo ragazzo.
«Certo. Zack è il mio fratellone.» sorrise Sebastian, circondandogli le spalle con un braccio. E rubando anche un altro po' del suo povero cuore.
«Nient'altro?» borbottò Akiko, palesemente delusa.
Per qualche ragione, sua madre amava Sebastian alla follia.
La prima volta che si erano visti, era stato il mattino dopo che Isaac l'aveva soccorso sulle scale antincendio. Non aveva la più pallida idea di che diavolo si fossero detti, perché stava ancora dormendo, ma quando aveva aperto gli occhi, Sebastian non era più rannicchiato su quel divano troppo piccolo. E la sua risata allegra riecheggiava per tutta casa. Una volta raggiunta la cucina, Isaac l'aveva trovato a discutere di moda con sua madre. E George lo guardava con occhi luccicanti.
«Senti qua, Zack, tuo fratello dice che odia pikachu. Ma ti pare possibile?»
«È troppo mainstream!» aveva ribattuto immediatamente il marmocchio, sbattendo un pugno sul tavolo. «Meglio polteageist, puoi pure versarci il tè dentro. Scommetto che Daphne lo sceglierebbe.»
«Quella di Scooby-Doo?» era intervenuto Isaac, un po' sconcertato. E George l'aveva guardato come se avesse detto una stupidata. Sebastian invece gli aveva fatto posto a tavola.
«Uova?» gli aveva chiesto, mentre Akiko canticchiava a bassa voce. «Mi hanno detto che ti piacciono in camicia. Te le preparo? Cucino da Dio.»
Isaac pensò di aver fatto jackpot. Poi si ricordò che i suoi sentimenti non erano ricambiati. Ma che ci poteva fare? Era già cotto.
“Oh cazzo.” Isaac scosse il capo. Quei ricordi non facevano altro che alimentare le sue speranze, doveva finirla. In un attimo, si ritrovò a premersi insistentemente un cuscino sul viso, trattenendo a stento un grido imbarazzato, ma immaginò che ormai tutti in quella casa fossero abituati alla sua follia, perché l'unica reazione che ottenne fu una carezza sulla schiena. Sebastian poi gli tolse delicatamente il cuscino di mano, privandolo della sua unica protezione.
Isaac stava per protestare, ma...
«Seb, tu sei ancora single, giusto?» bastò quella frase per indurlo a riportare la sua attenzione su Akiko. «Anche Isaac non ha trovato nessuno...» alluse sua madre, facendogli quasi venire un coccolone.
«Mamma! Esci!» la pregò, già esaurito.
Notando la sua occhiataccia, aggiunse immediatamente un: «Per favore!»
L'ultima volta che l'aveva fatta arrabbiare, lei aveva risposto cucinando cozze per una settimana e costringendolo così a prepararsi da mangiare da solo perché le detesteva. Le vendette di Akiko erano silenziose e pungevano come tanti piccoli aghetti.
«Va bene, ma solamente se mi promettete di spegnere quell'affare.» contrattò, indicando la televisione attaccata alla parete. «Mi stai diventando pallido a furia di stare dentro casa, Zacchino.» lo sgridò di nuovo.
“Merda. Ancora quel nomignolo.”
«Per me va bene.» intervenne Sebastian, rubandogli i joycon. “Prima il cuscino, ora questo!” «Andiamo, Zacchino?» domandò, salvando il gioco.
Giustamente, visto che non era lui a essere finito sotto il mirino di sua madre, lo stronzo stava iniziando a rilassarsi.
«Lo sapete che detesto quel soprannome.» sbottò Isaac.
«Sono tua madre, posso chiamarti come voglio.» disse genitore uno allungandosi verso di lui per tirargli una guancia. «E anche riempirti di coccole.»
Isaac cacciò un urletto. Quella non gli sembrava affatto una coccola.
«Ti prego no!»
Si allontanò da quelle pinze mortali, ma era certo che gli fosse rimasto lo stesso un segnetto rosso. Sebastian ridacchiò. Ovviamente.
«Vi voglio fuori di qui, ragazzi.» ordinò infine la mamma, rimettendosi dritta come un fottuto comandante. Mosse qualche passo verso la porta, poi si fermò. Si voltò.
«E Sebastian?» lo chiamò. Il principino tornò a essere di cemento.
«Mi dica.» rispose cordiale, anche se stava già sudando.
«Sei sempre il benvenuto, ma la prossima volta portati il pigiama.» fece schioccare la lingua sul palato, prima di scomparire in corridoio.
«Mi terrorizza ogni volta.» ammise Sebastian, ritornando a respirare normalmente solamente quando i passi del capo supremo sparirono del tutto. «Anche se la adoro.»
«Lei ti adora.» lo punzecchiò Isaac. Pigiò il tasto rosso del telecomando. La televisione si spense. La schermata nera lo fece sospirare. Voleva solo rilassarsi un po', ma evidentemente era chiedere la luna.
«Anche tu mi adori.»
«Nah, è solo che non riesco a liberarmi di te.» borbottò, nonostante sapesse benissimo quanto quella bugia fosse palese.
«Non vuoi liberarti di me.» lo corresse Sebastian. «Anche se ogni tanto ti isoli in quel tuo mondo, lasciandomi indietro.» aggiunse, abbassando la voce. «Ma non preoccuparti, tanto ti aspetto.»
Dopo essersi alzato, Sebastian gli porse una mano per far fare a Isaac altrettanto. Le sue dita erano lunghe, sottili. Invitanti. Isaac sorrise.
«Che facciamo quindi?» gli chiese poi.
Isaac ci pensò su. Fece scivolare la mano lungo tutto il palmo, piano, solleticandogli le dita. Godendosi ogni istante di quella piccola carezza. Poi lo lasciò.
“Chissà se si rende conto di quanto mi bruci il suo tocco...”
«Andiamo dalla concorrenza? C'è una caffetteria con ottime recensioni.» propose, alzando le braccia per stiracchiarsi e allontanare l'imbarazzo. «Ci portiamo anche la switch.» gliela indicò con un gesto del capo.
«Sei un figlio orribile.» commentò Sebastian, prendendo i joycon per rimetterli al loro posto.
«Tu che proponi?» sbuffò l'altro, non troppo contento.
«Passeggiata al parco.»
«Non sono mica un cane.»
E come sempre Sebastian rise, allegro, e Isaac si sciolse. Quell'uomo riusciva a farlo sentire ancora come un quindicenne.
«Possiamo prenderci un hot dog.» provò a tentarlo.
“Come fa ad avere ancora fame, dopo tutti i pancake che si è mangiato prima?”
«Mi fanno male alla pancia.» ribatté.
«A me no.» Sebastian si morse il labbro, trattenendo l'ennesima risata. Beh, la sua argomentazione era intoccabile. «Andiamo! Sarà divertente!» lo afferrò per un braccio, quasi potesse trascinarlo nel suo entusiasmo, ma d'un tratto cambiò idea, rimase immobile e iniziò a fissarlo. Isaac avrebbe fatto qualsiasi cosa per non fargli perdere la scintilla che gli illuminava gli occhi.
«Sì, uno spasso.» guardò il pavimento.
Anche se continuava a lamentarsi, Sebastian l'aveva già convinto da un pezzo. Isaac sarebbe salito senza esitazione sulla prima astronave per Marte, se fosse stato Sebastian a chiederglielo, quindi poteva sopportare benissimo una gita a Central Park.
«Ma porto la console.»
«Pff, sono molto più interessante.»
«Ti dai troppe arie.»
Isaac fece per tirare indietro il braccio, ma la stretta diventò ferrea, quasi non lo volesse mollare più.
«Cosa? Sei offeso?» la voce rispecchiava appieno la perplessità che stava provando.
Sebastian a volte era difficile da leggere: non si comportava sempre come Isaac si sarebbe aspettato.
«Non prendi gli occhiali?» gli chiese, dopo averlo osservato per un po'.
“Ecco dove voleva andare a parare!”
«Non iniziare anche tu con questa storia. Ci vedo benissimo.» sbuffò, ritraendosi, Sebastian ancora non lo lasciava andare.
Era stato fiscale dal giorno uno su questo argomento: per lui Isaac avrebbe dovuto indossarli il più possibile.
New York l'aveva sempre calmato con i suoi grattacieli grigi e il cielo nebbioso, perché Isaac sapeva che in una città tanto grande nessuno avrebbe fatto caso all'ennesimo difetto di fabbrica che l'accompagnava. Soprattutto se evitava di mettersi gli occhiali. Certo, per un periodo aveva provato le lenti a contatto, ma non era riuscito ad abituarcisi. E quindi di recente aveva preso l'abitudine di mollarli a casa, a meno che non fossero proprio necessari. Come durante la visione di un film.
Sebastian era l'unico che lo incoraggiava ancora a portarli: suo padre ci aveva rinunciato.
«Lo sai che poi ti viene mal di testa.» gli ricordò Sebastian dolcemente, facendosi avanti.
«Non iniziare.» lo scongiurò.
«Dico solo che il parco è più bello quando non è sfocato.» mormorò, liberandolo dalla presa per accarezzargli una guancia. «E poi ti stanno bene da morire.» aggiunse, sfiorandogli la frangia blu, attorcigliandosi una ciocca fra le dita.
«Sono troppo grandi.» obiettò Isaac. Perfetto. Ora aveva bisogno d'aria. «Mi fanno il viso piccolo, sembro una ragazza.» sputò fuori, con rassegnazione.
«A me sembri un maschio.» alzò un sopracciglio.
«Tu sei un lecchino. E spostati.»
Aveva il suo respiro sul viso: come poteva pretendere che potesse pensare lucidamente quando l'aveva tanto vicino?
Gli mancava già il fiato, lo stomaco stava facendo di testa sua e gli fischiavano le orecchie. Faceva tanto caldo.
Isaac sapeva che Sebastian era abituato a queste cose, ma...
«Mettili. Ti dico che stai bene.»
«M-ma s-smettila...» balbettò, sgranando gli occhi quando si rese conto che Sebastian non aveva alcuna intenzione di ascoltarlo. E che gli stava fissando le labbra. Di nuovo quella strana tensione!
«L-lo sai che con me le moine non attaccano...» mentì. Deglutì.
«Allora perché balbetti?» il suo tono si fece più flebile. Socchiuse le palpebre, continuando a torturalo, accarezzandogli il volto. Fece scivolare il braccio destro alla base della sua schiena e lo avvolse in un abbraccio tutt'altro che goffo.
«Mi piace starti vicino, Zack.» ammise.
«Anche a me... S-siamo una bella squadra, no?»
«Puoi dirlo forte.»
«P-per questo siamo amici...»
Sebastian ridacchiò. «Ora mi sembri tutt'altro che amichevole, Isaac.»
«Eh?»
«Sei duro.»
Isaac provò a staccarsi, saltò come un gatto, ma Sebastian lo teneva stretto a sé. Gli impedì di scappare.
«Hai mai baciato qualcuno?»
«C-che ti frega?»
«Non hai risposto.»
«Non voglio rispondere!» grugnì di frustrazione.
«Beh, l'hai appena fatto.»
«Seb!» esclamò, arrendendosi. Più scalpitava, più Sebastian stringeva. Era inutile.
«Vuoi provare?» ghignò. «A darne uno.»
Isaac deglutì, senza parole. Sapeva benissimo che per Sebastian non avrebbe significato nulla, che aveva sperimentato così tanto che un bacetto da principiante non gli avrebbe fatto alcun effetto, però...
“Merda... Rischia davvero di ammazzarmi se continua.”
No, non poteva cedere, perché sarebbe sicuramente finita malissimo: una volta superato il limite, non sarebbe più riuscito ad accontentarsi, poi avrebbe desiderato sempre di più. Quegli occhi pazzeschi fissi su di lui, quel corpo scultoreo alla sua mercé e tutto l'affetto di Sebastian.
L'avrebbe monopolizzato, avvelenato, rovinato... L'avrebbe sicuramente distrutto. E quell'istinto carnale che lo induceva a possederlo era ciò che lo spaventava di più, perché esisteva ed era orribile. Isaac sapeva che era annidato da qualche parte nel suo cuore ed era pure caparbio, ostinato. Incontentabile. Come l'ombra che l'accompagnava.
«Perché?»
Aveva il fiato corto.
«Perché no?» ribatté Sebastian.
«È sbagliato.» sbottò. «Non sono una femmina.» si impuntò Isaac.
«Non mi frega.»
“No. Non posso.”
Sebastian non sapeva quanto gli piacessero le sue attenzione, né che se non l'avessero piantata immediatamente avrebbe perso la ragione, diventando una bestia della peggior specie.
Isaac lo adorava, ma la verità era che quel sentimento era ben lontano dall'amore. Non aveva nulla della sua purezza: era possessivo, contorto, malato e soprattutto sbagliato.
La sua era un'ossessione. Una di quelle mortali. Sarebbe finita in tragedia, se lo sentiva.
«Non sono capace.» riprovò. «Non ti piacerà.»
«Credo spetti a me deciderlo.» rise.
«Dai, Zack. Non è un dramma. Siamo entrambi single. Non dobbiamo pensarci troppo. La gente si bacia di continuo.»
“Non proprio.”
«È molto poco etero però.»
«Hai ragione, denunciami.» sorrise, facendo un passo indietro - ridandogli spazio e di conseguenza l'ossigeno.
Per un attimo, Isaac credette che ci avesse ripensato, ma poi lo vide andare verso la porta e chiuderla con un colpo secco.
«E Chloé?» lo punzecchiò.
«Non è la mia fidanzata.»
«A te piace.»
Sebastian esitò. Ci pensò. Poi: «Non significa che stiamo insieme.»
«Siete praticamente una coppia però.»
«In che mondo?» domandò.
«Sebastian, io non ti capisco più.»
«E io non capisco te.» borbottò, facendo scattare la serratura. «Perché la metti in mezzo? Qui ci siamo solo io e te, Zack.»
Quel tono, grave e minaccioso, fece qualcosa alle budella di Isaac. Qualcosa di cattivo.
Era fastidioso, Isaac voleva davvero dargli un pugno in faccia. Non lo sopportava quando si impuntava in quel modo e odiava che rimanesse tanto affascinante. La sua voce era tremenda, stordente, lo tentava. Il passo invece era fiero e lento, come quello di un ragno in attesa di scattare verso la preda.
«O forse non ti va?» Lo stava palesemente sfidando. «Hai paura che ti piacerà troppo? Oppure non vuoi tradire il tuo amichetto?» aggiunse, sempre più cattivo.
«No, io... Ti ho detto che non mi ricambia?»
«Sì, l'hai fatto. E ho anche capito una cosa: stai cercando di dimenticarlo, giusto? Aggrappandoti a Julia.» sussurrò. «Ma perché usare lei? Sei bi, no? Io sono proprio qui, disponibile...» ghignò, gli girò intorno. «E siamo anche buoni amici, no? Buoni amici che si aiutano a vicenda...»
Gli accarezzò le spalle, prima di superarlo, tornando dalla porta.
«Non voglio la tua pietà.»
Si voltò. «Non è pietà.» allargò le braccia. Lo stava invitando. «Sono bravo, sai? Posso farti scordare chiunque ti stia tormentando.»
Isaac scosse il capo.
«Seb, no.»
Cazzo, stava tremando.
«Zack.» lo chiamò. Isaac sbatté le palpebre. Quella determinazione... L'aveva catturato. «Puoi farmi ciò che vuoi.»
“Ah.”
Sbarrò gli occhi. Lo stomaco sottosopra. Qualcosa dentro di lui, nella sua psiche, nel suo cuore, si ruppe. Un interruttore si accese.
«Ne sei sicuro?»
Sebastian rabbrividì. Cos'era quello sguardo? Non glielo aveva mai visto fare...
Prima che se ne rendesse conto, Isaac era a un passo da lui. Allungò un braccio, gli sfiorò il petto. Sebastian sussultò, ma non disse nulla. Si limitò a fissarlo, vittorioso.
«E se ti volessi graffiare? Far male?» sogghignava. Il suo Zack stava sorridendo al solo pensiero di lacerargli la pelle.
“Dio, sì...”
«Mi piacciono i gatti.»
«Sei un cretino.»
«Lo so.»
«E non sono una donna.»
«Lo so.»
«Non trattarmi come una ragazza.»
«Mi baci o no?»
Isaac si fece avanti. Sebastian schiuse le labbra, pronto ad accoglierlo, ad assaporarlo. Percepiva il suo fiato caldo sulla bocca. E Isaac profumava di buono. Non c'era nessuna traccia di polvere da sparo, né era stordente come le fragranze da donna. Quel profumo sapeva semplicemente di Isaac. L'aria aveva cominciato ad avere il suo odore. Ed era buono. Cazzo, se era buono.
Sebastian non aveva mai voluto qualcosa così tanto. Fremeva dalla voglia di toccarlo, voleva scavargli nelle guance e mangiarselo vivo.
Ma Isaac desiderava giocare con lui e Sebastian lo sapeva, avrebbe fatto il bravo.
All'ultimo secondo, lo prese per il bavero della maglia, stringendo il tessuto fra le dita. Lo fece abbassare al suo livello e Sebastian capì immediatamente di essere fottuto. Perché non osava muoversi, gli stava cedendo il comando... No, era Isaac a esserselo preso e gli piaceva da matti l'idea che fosse lui ad avere la situazione in pugno. “Fammi male, Zack.” quando questo pensiero gli attraversò la mente, Sebastian si ritrovò duro. Era lui a essere creta nelle sue mani, non il contrario.
Isaac gli schioccò un bacio sulla guancia. Timido, insicuro, eppure Sebastian credette di star per avere un infarto.
«Fatto. Contento?» gli chiese, sfottendolo.
Sebastian deglutì, inclinò il capo. Lo guardò, pregandolo con gli occhi di soddisfarlo.
«Non era un vero bacio.» gli fece notare.
«Non mi hai detto dove lo volevi.» ribatté.
«Sono abbastanza sicuro di non essere il solo a voler limonare, Zack.» socchiuse le palpebre, sentendosi febbrile.
«Allora chiama Chloé.» ridacchiò.
«E tu il tuo amichetto.» ruggì.
«Geloso?»
“Cazzo, sì.”
«E tu?»
«Ti piacerebbe.»
Non avevano fatto altro che accampare scuse su scuse, solo per arrivare a quello: i respiri affannati, disperati, urgenti, i cuori scalpitanti, palpitanti, gli stomaci ridotti a un rodeo.
«Parco.» mormorò all'improvviso Isaac, facendo un passo indietro. Sebastian sbatté le palpebre un paio di volte, intontito.
«Come?»
«Andiamo al parco. Volevi andarci, no?»
«Non sono un cane.» aggrottò le sopracciglia, sistemandosi il cavallo dei pantaloni.
«Lo sembri. Stai sbavando, amico.»
Sebastian sobbalzò, realizzò. “Oh... Oh!”
Isaac non si stava affatto tirando indietro. Il suo sguardo brillava, strafottente. E lo stava bellamente provocando.
“Sta flirtando... Con me? Oddio, sta flirtando con me!”
Non riuscì a trattenere il sorriso. Quindi Isaac voleva vederlo sudare. Il bacio doveva guadagnarselo, eh?
«Woof!» stette al gioco.
«Occhio che ti metto un guinzaglio.» scherzò.
«Già che ci sei, prendi anche qualche osso.» alzò un braccio, gli sfiorò le labbra con il pollice, poi gli fece l'occhiolino e si dileguò. «Vedo se Chloé ci raggiunge.» cinguettò, prima che Isaac potesse reagire.
Recuperò il cellulare dal tavolino, sentendosi potente, gasato.
Quello era un gioco pericoloso, eccitante, e avrebbe ripagato Isaac con la stessa moneta. Dopotutto sapeva benissimo come provocarlo, quali tasti premere. E sapeva anche che l'amico avrebbe accolto la sfida. Era troppo orgoglioso per non farlo.
Isaac fece una smorfia. Si grattò la nuca, districò i nodi che aveva alla base della testa.
«I cani di solito sono più fedeli.» borbottò, dicendosi che forse era meglio metterli quei dannati occhiali.
«Mai detto di essere il tuo cane.» sogghignò. «Magari sono un randagio che aspetta un collare.»
«Rosa, giusto?»
«Esatto.»
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