𝚘𝚝𝚝𝚘

Ancora una volta, Isaac si ritrovò a scrivere su quel maledetto diario. Forse sperava di trovare fra quelle pagine bianche un po’ di coraggio, magari credeva davvero che imbrattare un foglio di inchiostro l’avrebbe aiutato a risolvere i suoi problemi.

Oppure era la mancanza di sonno, unita alla sua vena masochista, a fargli fare cavolate del tipo chiudersi in bagno con un quadernetto, nel bel pieno della notte, per sfuggire a un ignaro Sebastian, che nel frattempo dormiva bellamente nell’altra stanza. Un pochino si sentiva in colpa, gli sembrava quasi di far un torto al suo amico.

Ma cercava di non pensarci, poteva gestire solo un’emozione alla volta e prima della colpa veniva la paura. Sì, Isaac era spaventato a morte.

Ciò che era accaduto appena un paio di ore prima l’aveva terrorizzato così tanto che non era più riuscito a guardare Sebastian in faccia. In meno di dieci minuti aveva preso il necessario per fare un letto, l’aveva buttato sul divanetto e aveva fatto finta di coricarsi.

Sebastian, vedendolo, aveva provato a protestare: «Zack, prendo io il diva-»

Isaac però l’aveva prontamente interrotto: «Seb, sei un armadio. Non ci stai.» Chiudendo gli occhi aveva poi aggiunto: «Spegni la luce, ho sonno.»

E Sebastian l’aveva accontentato, anche se a malincuore.

Isaac aveva aspettato un’ora e passa, prima di sgattaiolare fuori dalla camera per rifugiarsi in bagno. Si era poi seduto sul gabinetto e, guardando la finestra, si era finalmente concesso un respiro profondo. Aperto il diario, aveva cominciato a scrivere. Voleva evitare l’argomento Sebastian, non era ancora pronto, quindi si concentrò su una memoria d’infanzia. Certo, non una delle più felici. Anzi forse la più drammatica.

Le onde dell’oceano che si infrangevano sugli scogli fu la prima cosa che gli venne in mente. Le disegnò, poi descrisse le rocce che adornavano la spiaggia. Socchiuse le palpebre, sospirò. Una piccola pausa. Abbozzò una tavola da surf. La stessa che Sebastian si era tatuato sulla nuca.
La cancellò con rabbia l’istante dopo.

Tremolante, boccheggiò alla ricerca d’aria. Per Isaac quella fu un’esperienza brutale, qualcosa che l’aveva cambiato per sempre, che aveva distrutto il suo piccolo mondo, corrotto la sua fragile psiche di bambino. E probabilmente non avrebbe dovuto addentrarsi in quei pericolosi ricordi quando era già così provato, eppure gli pareva meglio che fare i conti con ciò che era quasi accaduto con Sebastian.

Isaac se lo rimproverava ancora: se quel giorno non fosse stato un emerito cretino, la sua vita sarebbe stata estremamente più facile. Forse avrebbe deciso perfino di andare all’università, come Paul. Invece…

Magari perché in quel periodo non faceva altro che stare alle calcagna di suo fratello, Isaac si metteva spesso nei guai. Akiko lo sgridava un giorno sì e l’altro pure, suo padre gli regalava libri su libri, sperando che si interessasse a qualcosa che non fosse sbucciarsi le ginocchia o perdersi.

Eppure Isaac non era un bambino particolarmente litigioso o lamentoso, ma se Paul faceva qualcosa, qualsiasi cosa, lui lo imitava. Perché era suo fratello maggiore e lui lo vedeva come un esempio, lo adorava, gli voleva bene.

Poi arrivò la gelosia. Molto dopo però. Almeno la prima parte della loro infanzia fu più o meno pacifica, perché a parte l’età fra lui e Paul non c’era alcuna differenza.

Quel giorno si trovavano in spiaggia con i loro genitori. I due credevano che Isaac fosse con suo fratello come al solito, ma lui pensava di essere già abbastanza grande e, proprio come un ninja, aveva deciso di seguire Paul di soppiatto, senza farsi vedere. Invisibile, un fantasma. E l’altro non ne aveva idea, nessuno si era degnato di avvertirlo.

Isaac l’aveva pedinato per un po’, il suono delle onde accompagnava ogni suo passo, il sole era caldo. E lui ridacchiava felice, sempre più curioso, sempre più gasato dalla sua piccola avventura. Aveva una missione da compiere!

Erano in vacanza da almeno una settimana e fin dal primo giorno, mentre lui non guardava, Paul spariva da qualche parte, lasciandolo indietro. Dove andava? Sua madre non aveva aperto bocca, suo padre non ne aveva idea e suo fratello gli aveva detto di farsi gli affari suoi, perché erano cose da grandi.

Ma Isaac era grande! Aveva già dieci anni. Dieci! Ed era anche un ninja.

A un certo punto, Paul si fermò. Alzò un braccio per salutare un bambino e corse da lui.

Isaac allora si paralizzò. Non aveva mai sentito suo fratello ridere così forte. Gli bruciò. Si arrabbiò. Quello era suo fratello. Il suo! Chi era quel bambino? Perché Paul aveva preferito la compagnia di quello lì alla sua?

Isaac non ricordava bene come ci fosse finito, ma a un certo punto si ritrovò in acqua. Forse c’era corso dentro per annegare la frustrazione con una nuotata. Si era dimenticato dei braccioli, ma del resto lui era già grande. Se Paul non aveva bisogno di lui, allora lui non aveva bisogno di Paul. Si sarebbe divertito benissimo da solo.

L’acqua bassa non fu un problema. Isaac sorpassò senza guardarsi indietro turisti, bagnanti… Nessuno fece davvero caso a lui.

Un vasto cielo azzurro gli sorrideva dall’alto, degli uccelli bianchi lo salutavano sbattendo le alucce e Isaac, galleggiando come un morto, avvertì la voce dell’oceano chiudergli le orecchie. E i mormorii smorzati della gente presto lo abbandonarono. Finalmente un po’ di pace. La rabbia parve sciogliersi, disfarsi come schiuma di mare.

Isaac non si accorse di quanto si stesse allontanando dalla riva. Un paio di minuti dopo si stava avventurando per delle acque molto più grandi e tempestose del suo animo agitato, completamente da solo, e in un battito di ciglia un’enorme onda lo inghiottì.

Di ciò che accadde in seguito, Isaac ricordava poco e niente, le sue memorie si erano ridotte da tempo a frammenti maciullati: delle bolle candide, un paralizzante senso di soffocamento, apprensione, timore, una sconfinata terra blu e l’oceano ghiacciato che gli entrava nel corpo privandolo dell’ossigeno. Della vita.

Quando riprese i sensi, la prima cosa che vide fu un viso sconosciuto, messo in ombra dal sole alle sue spalle. E mentre Isaac tossiva disperato, tentando di allontanarsi da quell’estraneo con le poche energie che gli erano rimaste, Paul rimaneva in piedi e tremolante dietro al bagnino che gli aveva prestato soccorso.

Da quel momento, l’ombra cominciò a visitarlo. Una volta al mese. A settimana. Ogni giorno.

Quando finì di scrivere, Isaac lanciò un’occhiata all’orologio che portava al polso. Le quattro del mattino. E lui era ancora barricato in bagno.

Chiuse il diario con un tonfo, osservando il soffitto. Una risatina nervosa gli uscì dalla gola. Gli bruciavano gli occhi. Era uno stupido. Non avrebbe dovuto ricordare proprio quello, scrivere certe cose. E per un attimo fu tentato di strappare la pagina e mangiarla, ma poi che avrebbe detto a Linda? Picchiettò la copertina con la penna. 

Una falena volò verso il lampadario, provando a posarsi sul vetro incandescente della lampadina. Da come batteva le ali, faticosamente e traballando perfino, Isaac era sicuro che quella non fosse la prima volta che tentava quell’ardua impresa. Poi l’insetto cadde e un pensiero attraversò la mente del ragazzo.

“Forse vuole solo morire.”

Isaac grattò il quadernetto, ci scavò dentro con le unghie. L’aveva preso perché consapevole che avrebbe avuto bisogno di una valvola di sfogo, però il suo piano non aveva funzionato. La frustrazione non se ne era affatto andata.

In quel momento, Isaac avrebbe voluto solamente piangere e gridare. Forte. A squarciagola. Eppure ridacchiava. Stava davvero impazzendo.

Si levò i capelli dalla fronte. Doveva tornare di là, lo sapeva. Doveva… Doveva dormire un pochino. Si alzò, tirò lo sciacquone come se dovesse giustificare la sua presenza in quel bagno a qualcuno e andò verso il lavandino, lasciando il diario a riposare sopra la cesta dei panni sporchi.

Ciò che vide allo specchio non gli piacque. Un volto stanco, degli occhi tristi circondati da solchi lunghi e neri e una chioma azzurrina, odiosamente femminile. Il sorriso gli morì sulle labbra. Ovviamente Sebastian non lo ricambiava. Si era praticamente rovinato da solo, con le sue stesse pallide mani. Era sbagliato, strano e malato… Non aveva amici, la gente lo evitava, le persone sussurravano alle sue spalle, lo additavano come matto. E il suo aspetto poi? Poteva sembrare una donna, ma era un uomo. Non aveva nulla che potesse interessare Sebastian.

L’ombra gli picchiettò sulla spalla. Gli afferrò il mento, lo costrinse a guardare il lavandino. Lo indicò con un dito ossuto.

Isaac scosse la testa, ma girò comunque la leva dell’acqua fredda per lavarsi la faccia. Mise il tappo per non farla scendere lungo il tubo.

A causa di quel piccolo incidente di poche ore prima, si era creato delle aspettative. E ciò era un male. Sebastian l’aveva fatto sentire speciale, l’aveva accarezzato, era stato al gioco, non l’aveva scacciato. Sembrava desiderare quel bacio almeno quanto lui.

Ridicolo. Impossibile.

Isaac doveva piantarla. Doveva mettersi in testa che Sebastian non sarebbe mai stato suo. Erano amici. Solo amici. Prima o poi l’avrebbe perso sicuramente, perché era naturale che accadesse, ma non doveva accelerare le cose per colpa di una stupidissima crisi ormonale. O si sarebbe odiato ancora di più.

Sebastian era l’unico che l’aveva accettato in tutto e per tutto e che non gli aveva fatto pesare i suoi innumerevoli difetti. Non gli aveva mai urlato contro, né dato del pazzo, né riso di lui. Al contrario gli aveva regalato più sorrisi di quanti riuscisse a contarne. Era gentile, dolce, intelligente e si preoccupava per lui.

“Esattamente come un migliore amico.”

Sentendone l’impulso, Isaac infilò senza esitazione la testa sotto l’acqua, dicendosi che aveva bisogno di quel gelo, che se lo meritava e che doveva allontanare Sebastian dai suoi pensieri per un po’. Schiudendo piano le palpebre, Isaac vide il candore del lavandino, di un bianco talmente accecante che fu quasi tentato di rimanere così in eterno, trattenendo il respiro.

Ma poi qualcuno bussò alla porta, disturbando la sua quiete. La sua voce gli arrivò all’orecchio. Gli fece male come se gli stessero piovendo mille aghi nel timpano, e Isaac alzò di colpo il capo, richiamato da quella sirena.

Boccheggiò, con gli occhi spalancati. Tossiva, ma non se ne accorgeva neppure. Aveva le labbra blu, a lui non importava nemmeno. Probabilmente aveva bevuto, non lo sapeva. A separarlo da Sebastian, c’era solamente una porta di noce. Pareva tanto fragile che l’idea malsana di spezzarla con un pugno gli solleticò la mente, benché Isaac sapesse benissimo che non avrebbe funzionato affatto.

Abbassò lo sguardo sulle mani. Si immaginò le nocche ferite. Il sangue scarlatto lungo le dita, le schegge di legno conficcate nella pelle, il dorso squarciato da graffi grandi più di un tappo, le ossa private del loro guscio di carne.

«Zack?» ripeté piano Sebastian, scandendo il suo nome con estrema gentilezza.

“Cazzo.” Pensò Isaac, chiudendo l’acqua, colata lungo i bordi del lavabo e sul suo pigiama. “Perché è qui?”

Isaac capiva che qualcosa fosse fuori posto. Non aveva ancora metabolizzato esattamente cosa fosse accaduto, ma si levò comunque la maglia fradicia di dosso, buttandola malamente sul pavimento bagnato. Camminò lento verso la porta, sentendosi un condannato. La aprì, quella scricchiolò. Ciò che si trovò di fronte fu uno sguardo terribilmente preoccupato.

«Cosa c’è?»  chiese Isaac, inclinando il viso. La voce tremendamente roca.

Sebastian sembrava potergli scrutare l’anima con quelle dannate iridi celesti. Deglutì, si morse il labbro. Trattenne un grido disperato. Senza pensarci, rinchiuse Isaac in un goffo abbraccio.

Isaac respirò il suo odore. Ci annegò dentro. Quella di Sebastian era una ragnatela talmente sottile che si sarebbe potuta frantumare al minimo movimento, ma comunque abbastanza resistente da tenere a bada le sue emozioni. Riuscì a catturare i demoni che reclamavano la sua testa, per poi darli in pasto a un ragno vorace. Si disfò così dei loro corpi liquefatti. E Isaac tornò a sentirsi vivo.

Isaac detestava questo tipo di cose, certe intimità lo spaventavano a morte, eppure gli fu dannatamente grato.

«Vuoi parlarne?» gli soffiò all’orecchio, quando l’altro smise di tossire. Di respirare male.

La testa gli girava vorticosamente, ma aveva il cuore in gola e suonava forte, rimbombava nel cranio, una batteria. Lo distraeva. Tirò su con il naso. Isaac l’aveva sentito, però non si mosse, né aprì bocca.

“Forse posso dirglielo: che sono gay, che sono innamorato di lui, che odio Chloé, che sono un egoista, che non lo merito, che lo desidero...”

Isaac fece un respiro profondo, inalando il profumo d’arancia. Era intossicante, non riusciva già più a immaginarsi un mondo che non sapesse di Sebastian.

“...che è meglio se mi lascia perdere, che sono un veleno e distruggo tutto ciò che tocco…”

«Isaac?» Lo chiamò ancora Sebastian.

E lui perse la ragione.

«Sono innamorato.» ammise, stregato dalla delicatezza con cui aveva pronunciato il suo nome.

Probabilmente era lo stress accumulato a parlare per lui. Non aveva mai avuto la mente tanto vuota. Non aveva mai avuto la testa tanto pesante.

«Non mi corrisponde.» aggiunse, prima che Sebastian potesse rispondergli.

Sebastian lo afferrò per le esili spalle, allontanandolo un po’ per poterlo guardare negli occhi. Era stato completamente preso alla sprovvista. Una parte di lui non riusciva nemmeno a credere alle parole di Isaac.

“Innamorato? Lui? Di… Di chi?” continuava a ripetersi, il cervello che intanto registrava mille scenari. Uno più tragico dell’altro, perché nessuno di quelli lo riguardava. Si sentì male, derubato di qualcosa. Boccheggiò, non sapeva cosa dire e aveva la nausea.

Isaac aspettò. Riusciva a leggere della confusione nel volto dell’amico e anche qualcos’altro… Qualcosa di molto più scuro, torbido... Sconforto? Invidia?

Sebastian si mordeva le labbra come se volesse strapparsele, pareva incapace di rispondere e cercava di prendere tempo per ponderare le parole. Temeva che se avesse dato aria alla bocca guidato dall’istinto, avrebbe commesso un errore atroce.

“Cazzo no… No. No. No. No. No.”

Non voleva farlo crollare, infliggergli più sofferenza di quanta Isaac potesse sopportarne, ma era terrorizzato. Lo era sul serio. La sola idea che Isaac potesse lasciarlo lo stremava.

“No. Lui non... Non... Non voglio.”

Sebastian non poteva perderlo, altrimenti tanto valeva che si strappasse direttamente il cuore dal petto.

Anche se il suo Zack voleva lasciarlo, glielo avrebbe impedito. Sì, l’avrebbe fatto. A costo di farsi odiare. No, che Isaac non poteva abbandonarlo! Non di nuovo. Non in quel modo. Non uccidendosi e non per qualcun altro.

«Di chi?» domandò infine Sebastian, con una nota dolente cucita nella voce. «Qualcuno che conosco?»

“E di cui posso liberarmi facilmente?”

Isaac non frequentava nessuno, che lui sapesse. Una cotta non corrisposta allora? Dove l’aveva incontrata? In caffetteria? Da Linda? Si sentiva fremere di rabbia. Non poteva essere Julia: quando erano insieme Isaac pareva più a disagio che altro.

“Merda.”
L'unica cosa di cui era certo era che l'avrebbe ammazzata, chiunque fosse.

Il battito di Isaac si fermò per un attimo. Poi accelerò, imperterrito. Come una canzone, cominciò lento, sovrastò gli altri suoni, il gocciolare del lavandino, la voce di Sebastian. «Non muoverti.»

Prese ritmo quando lui si voltò. Chiuse la porta, un lugubre scricchiolio come ritornello. Girò la chiave. Infine tornò da lui e lo imprigionò fra le righe di un pentagramma, strozzandolo con una chiave di violino, quando lo circondò con le braccia ancora una volta, stringendolo forte a sé.

La sua presenza non poteva essere più invasiva, possessiva. Quello non era un abbraccio da amico e Isaac se ne accorse immediatamente. Non era goffo, né amichevole, ma impetuoso e logorante. Quasi gli stesse mettendo una catena al collo. Quasi gli stesse ricordando a chi appartenesse. Le labbra di Sebastian gli sfiorarono il lobo. Con ghigno si fiondò sulla sua spalla, ci appoggiò il mento, rimase in attesa, respirandogli sulla gola.

E Isaac si ritrovò a deglutire a vuoto. “Perché?” pensò. “Io non sono mai stato suo e lui… Seb non è mai stato mio. Perché all’improvviso-”

«Ti ricordi quello che ti ho detto?» gli chiese sottovoce Sebastian, sentendosi un verme. Isaac era in crisi ed era palese, eppure lui aveva deciso di approfittarsene. Come un fottuto egoista. «Ti è vietato pensare a qualcosa che non sia io.»

«Per quaranta minuti…» mormorò Isaac, la voce ancora roca.

Sebastian rispose con un grugnito. Rialzò la testa. Stava facendo una pazzia, una cosa ignobile, però non gli importava. Strinse i fianchi dell’amico, lo fece cozzare sul suo petto. Allungò una mano per artigliare la chioma azzurrina, tirò piano, lo obbligò a sollevare il capo, a guardarlo in faccia.

Zack, il suo Zack, era innamorato. Innamorato di qualcuno che lo impensieriva così tanto da portarlo a… A fare cose stupide. Di qualcuno che glielo aveva quasi strappato via. Di qualcuno che sicuramente non lo meritava.

Di qualcuno che non era lui.

«Chi è?» chiese ancora Sebastian, apparentemente calmo, anche se era certo che non avrebbe ricevuto risposta. Isaac era testardo e parlare non avrebbe portato a nulla, se non a una bella litigata.

Ma Sebastian non voleva discutere, voleva che Isaac si lasciasse andare, che diventasse creta nelle sue mani, che si sciogliesse al suo tocco. Si era accorto da tempo delle reazioni che il suo amico aveva ogni volta che gli si avvicinava troppo, di come arrossiva e balbettava.

Isaac era debole al contatto fisico e avrebbe sicuramente ceduto alle sue carezze se avesse forzato la mano, perché semplicemente non era abituato a farsi sfiorare. Manteneva le distanze con tutti, ma non con lui.

E Sebastian stavolta ne avrebbe approfittato, l’avrebbe tentato e fatto cedere.

«Non lo conosci.» mentì Isaac, già a corto di fiato.

«Lo?» ripeté Sebastian, riducendo gli occhi a due fessure.

Isaac sbatté le palpebre. “Cazzo!”
Tentò di scappare, di voltarsi, ma Sebastian lo teneva fermo, non riusciva a muoversi, a lottare. E non poteva più nascondergli nulla.

«I-io…»

«Un maschio?» domandò ancora, lentamente, con cautela. Sorrise, cercò di apparire rassicurante, ma la gioia non gli arrivava agli occhi. Se Isaac si fosse innamorato di una donna, non si sarebbe sentito tanto sconfitto. «Non sapevo fossi bi.» continuò, accarezzandogli la schiena.

«Non è come credi…» Isaac si morse il labbro. Sebastian ora era tornato sul suo collo, ma stavolta gli soffiava proprio sul pomo d’Adamo.

«No? Allora com'è? Sei gay?»

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