𝚍𝚒𝚎𝚌𝚒

Settembre

 Era una notte buia e tempestosa.

Se Isaac avesse dovuto scrivere un horror, probabilmente l’avrebbe cominciato con questa frase. Oltre a essere terribilmente evocativa, era anche certo che fosse la più famosa e calzante per descrivere quel genere di atmosfera: un cielo tristemente scuro, un’aria inquieta portatrice di sussurri di gelo, dei fulmini che illuminavano di tanto in tanto i contorni delle case e una luna che si nascondeva fra le nubi, facendo capolino solo per prendersi gioco di lui, abbagliandolo per un misero secondo prima di sparire nuovamente.

Pareva quasi deriderlo, chiedergli che diavolo ci facesse alla finestra in una serata del genere.

Pioveva a dirotto, la luce dei lampioni in strada riusciva a catturare ogni insetto, creando veri e propri sciami di zanzare, ma non a rimanere stabile.

E mentre una falena volava leggiadra, evitando a malapena le gocce di rugiada, Isaac prendeva freddo per soccorrere un tizio che, per quanto bello, aveva conosciuto solamente qualche giorno prima.

«Sebastian?» lo chiamò, stranito, affacciandosi ancora verso l’esterno. La scala antincendio era parecchio arrugginita, oltre che fradicia e scricchiolante. A Isaac non piaceva per nulla l’idea che qualcuno ci fosse seduto sopra.

«Ehi.» Sebastian assottigliò gli occhi, raggomitolandosi su se stesso per scacciare una ventata ghiacciata che lo portò a tremare ancor più violentemente.

Inutile dire che il suo tentativo di scaldarsi non funzionò per nulla. Isaac comunque non voleva un morto di ipotermia sulla coscienza, ragion per cui spalancò la finestra di camera sua e gli fece cenno di entrare, allungando una mano.

Sebastian scosse la testa, declinando l’offerta.

«Sono uno sconosciuto, potrei avere cattive intenzioni.» lo ammonì, mettendo su un broncio tutt’altro che maturo.

«Se le avessi, non me lo diresti.» gli fece notare Isaac, alzando un sopracciglio.

L’erede degli Show puzzava di alcol e la sua espressione era molto più che stralunata. Non sembrava in grado di badare a se stesso e indossava abiti così leggeri che gli si erano appiccicati alla pelle. La maglia bianca si era fatta trasparente e Isaac riusciva a intravvedere i suoi capezzoli turgidi, dritti come chiodi. Era abbastanza vicino perché la luce della lampada potesse rischiarne i tratti, ma troppo lontano perché Isaac potesse sfiorarlo senza bagnarsi.

«Muoviti. Ti prendo degli asciugamani.» insisté.

«No.» sbuffò ancora Sebastian, scuotendo vigorosamente il capo.

Alcune ciocche di capelli gli rimasero incollate alla guancia e lui se ne liberò con un gesto deciso, tirandosele indietro. Isaac arrossì. Quell’uomo aveva un viso bellissimo: la mascella squadrata, due labbra da baciare, il naso alla francese, degli zigomi perfetti e gli occhi felini e accattivanti.

Sperò che Sebastian non si rendesse conto di come lo stava guardando.

«Volevo solo vederti un attimo, me ne vado.» borbottò all’improvviso, recidendo le sue fantasie.

Fece per alzarsi ma con quella postura traballante inciampò inevitabilmente su una pozzanghera e Isaac fu costretto a uscire per afferrarlo al volo. Si ritrovarono a un passo dal cornicione e, avvertendo un allarmante senso di vertigine, Isaac cominciò a spingerlo verso la finestra.

Sebastian però non si spostò di un centimetro. Era più cocciuto di un mulo. “Non capisce che sono dannatamente serio?” si chiese Isaac, tentando di non cedere alla frustrazione.

«Tu. Entri.» gli soffiò sul volto, scandendo ogni parola, per poi trascinarlo per un braccio.

E Sebastian, pur essendo molto più piazzato di Isaac, stavolta lo lasciò fare. O forse era troppo debole per reagire. Il suo corpo era scosso da violenti spasmi e Isaac temette che stesse per svenirgli addosso. Una volta dentro, la prima cosa che il padrone di casa fece fu agguantare una coperta di lana.

La mano di Sebastian era bollente e più Isaac la stringeva, più si convinceva che avesse la febbre, per questo non esitò a coprirlo, buttandogli la trapunta sulle spalle.

«S-sei g-gentile.» mormorò Sebastian, balbettando per il gelo. Gli sorrise, però non durò molto. Si schiarì la gola l’attimo dopo, provando a darsi un contegno quasi temesse di essere giudicato. «Pensavo che avresti chiamato la polizia.» aggiunse, dopo qualche secondo.

«Ti ho detto io dove abito.» gli ricordò Isaac, tornando con la mente al giorno del loro primo incontro, a quando gli aveva rivelato che la sua famiglia gestiva un caffè e che sarebbe stato il benvenuto. Certo, non pensava di ritrovarselo alla finestra di punto in bianco alle due di notte.

«Non avresti dovuto.» lo sgridò Sebastian, alzando il mento come se volesse comunicargli quanto fosse stato sconsiderato.

Isaac intanto schiacciò l’interruttore della luce, rendendo quella dell’abat jour pressoché inutile.

«Hai almeno un minimo senso di pericolo? Non so, un campanello dall’allarme o-»

«A momenti non ti reggi in piedi.» gli fece notare Isaac, spingendolo piano sul divano. E gli bastò una mano sola, perché Sebastian crollò subito fra i cuscini. Lo osservò dal basso, completamente nel pallone, e Isaac trovò la sua reazione abbastanza buffa finché, abbassando gli occhi, non notò com’era conciato il suo corpo.

Ora che la luce lo illuminava per intero, vide il povero addome ricoperto di graffi, di morsi feroci quanto voraci. E lividi di ogni dimensione che si riconducevano a succhiotti creati con foga.

E mentre Sebastian si rimetteva dritto, Isaac rimaneva colpito dalla sua espressione stanca. E si sentì di colpo vuoto, privato di ogni emozione. Non sapeva come reagire, cosa dire. Avrebbe voluto chiedergli perché, ma era consapevole di quanto quella domanda sarebbe stata indelicata, crudele e ingiusta, quindi preferì tacere, perso in un mare di se, come e ma. Inutile dire che Isaac non sapeva affatto rimanere a galla in quella tempesta, non ne era in grado, la corrente lo trascinava verso il fondale e quello era talmente scuro che lo spaventava a morte. “Come riemergo da questa situazione?”

Strinse i pugni.

Isaac non sapeva nemmeno cosa gli fosse accaduto, ma dubitò fortemente che potesse essere stato anche solo vagamente piacevole. Se fosse stato Sebastian, probabilmente ora starebbe piangendo, rannicchiato su se stesso, eppure lui non emetteva un singolo suono. Né una lamentela.

Ovviamente Sebastian si accorse quasi subito del suo sguardo indagatore. Arrossì di vergogna, si nascose nella coperta.

Isaac trattenne a stento un’imprecazione alquanto colorita.

“Complimenti, Isaac. Tu sì che sai come mettere a proprio agio gli altri!”

«Potrei star fingendo.» borbottò Sebastian, ripiegandosi sullo stomaco come un foglio di carta, per poi massaggiarsi le tempie con forza. Aveva un’emicrania atroce. «Non abbassare la guardia, rimango uno sconosciuto.»

«Certo e sarebbe molto intelligente da parte tua rivelarmelo, giusto? Hai letto troppo Sherlock Holmes.» ribatté Isaac, facendo finta di non aver visto quel macello. Tuttavia la voce lo tradiva.

«Tu invece troppo poco.» sbuffò Sebastian, lanciando un’occhiata alla collezione di fumetti, disposti in bella vista nella libreria. Strizzò gli occhi, Isaac era certo che non riuscisse neanche a metterli a fuoco. Era ubriaco marcio.

“Porca puttana…”

Sospirò, andando in bagno per recuperare un paio di asciugamani. E quando tornò in camera, Sebastian stava trafficando con la maglia fradicia, tentando goffamente di togliersela.

Isaac trattenne un sorriso abbattuto, chiudendo la porta a chiave. “Se Akiko vedesse questa scena mi ripudierebbe.”

Quando aveva fatto coming-out, la risposta di sua madre era stata: «Sai che novità, comunque basta che non mi porti un alcolizzato.»

E poi era tornata a sfogliare una delle sue amatissime riviste di moda. Isaac non osò chiedersi come avrebbe reagito a questo: Sebastian Show nudo, ferito e ubriaco in camera sua, un uomo che conosceva solamente da sette giorni o poco più e che tra l’altro era probabilmente invischiato in cose losche.

Si concesse un respiro profondo prima di avvicinarsi. Non reggeva bene il contatto fisico, ma contava di poter resistere almeno qualche minuto. Inoltre Sebastian possedeva qualcosa di speciale, qualcosa che lo induceva ad abbassare le difese, per questo si sentiva stranamente a suo agio in sua compagnia. Per quello e anche per il fatto che gli aveva letteralmente salvato il culo.

E poi in quel momento non sembrava in grado nemmeno di camminare, figuriamoci di fargli del male.

Isaac appoggiò quindi un ginocchio sul divano, chinandosi quanto bastava per aiutarlo a sfilarsi la maglietta di dosso. E quando il suo viso fece capolino dal tessuto, Sebastian lo accolse con un’espressione mozzafiato.

Isaac avvertì il battito salirgli dritto in gola. Sbarrò gli occhi, provò a concentrarsi su qualcosa che non fosse il suo sorriso smagliante, ma non trovò nulla che non fosse attraente in lui. E boccheggiò, incapace di fare altro.

Isaac credeva che qualsiasi intimità lo avrebbe disgustato, eppure l’unica cosa che riusciva a razionalizzare era che si trovavano ancora troppo lontani. E quegli strani sentimenti erano qualcosa di contorto, che avrebbe dovuto ripudiare con tutto se stesso… Giusto?

“Voglio davvero avvicinarmi? Cioè lui mi piace, è chiaramente il mio tipo, però credevo di odiare tutto questo.”

Isaac si voltò verso la finestra, convinto di trovarci l’ombra, ma non vide nulla. Di solito appariva puntualissima, soprattutto se era estremamente agitato, quindi perché ora che aveva lo stomaco in subbuglio, lo aveva abbandonato? Eppure il mondo sembrava davvero star per crollare: Isaac sudava come se stesse correndo una maratona e cominciava ad avvertire caldo al petto.

«Sei gentile per davvero.» sussurrò d’un tratto Sebastian, guadagnandosi la sua attenzione.

Inclinò poi il capo, studiandolo, mangiandolo con gli occhi. Sebastian appariva come il più seducente dei diavoli ma, visto che il suo cuore non tollerava certe cose, con uno slancio Isaac si liberò di quella visione celestiale, coprendogli la testa con la tovaglia.

Cominciò ad asciugarlo, facendo attenzione a non tirargli le ciocche. I suoi ricci pallidi erano talmente belli che richiamavano il candore della luna. Castano chiaro. Che bel colore.

«Saresti un’ottima mamma.» lo prese in giro Sebastian.

«Non fare lo splendido con me.» ribatté Isaac, arrossendo fino alle orecchie.

«Mi trovi addirittura splendido?» rispose allora l’altro, lasciandosi poi andare a una risatina.

Isaac gli diede un buffetto amichevole sul braccio, ma quando Sebastian gemette di dolore, si rese conto che nemmeno le spalle erano state risparmiate.

“Dio mio…”

Nel vedere quello spettacolo pietoso, le mani di Isaac affondarono nel tessuto spugnoso con ancora più foga, quasi sentisse il bisogno di sfogarsi, ma quando Sebastian sussultò, capì che forse lo stava spaventando, quindi iniziò a massaggiargli la chioma ribelle lentamente, catturando quante più gocce d'acqua possibile. E Sebastian sospirò felicemente, grato delle carezze.

“Cos’ha vissuto nelle ultime ore?”

Allungandosi, Isaac notò che perfino la schiena era stata colpita, incisa da numerosi solchi rossi e viola, visibili nonostante i tatuaggi. Troppo grandi per essere dei graffi, troppo superficiali per essere riconducibili a delle pugnalate. E i lividi bluastri che li circondavano lo portavano a pensare a delle frustate.

«Perché eri mezzo nudo?» domandò, lanciando un’occhiataccia al suo petto colmo di succhiotti e morsi. Pensava che glieli avesse inflitti la sua ragazza, però apparivano talmente violenti e possessivi che non riusciva a credere che a farli fosse stata una partner, una persona amata.

«Non posso dirtelo.» mugugnò Sebastian, godendosi la sensazione di quelle dita gentili fra i capelli. Non era abituato ad avere qualcuno che si prendesse cura di lui. Era piacevole.

Quando Isaac lo liberò dall’asciugamano per poterlo guardare in faccia, Sebastian gli riservò uno sguardo carico di gratitudine.

«Pensavo fossi con la tua fidanzata.» gli disse Isaac.

Si erano scritti fino a qualche ora prima e Sebastian dai messaggi sembrava star più che bene. Chi lo aveva ridotto in quello stato?

«Non stiamo insieme.» Sebastian ci teneva a chiarirlo. «E poi ero con lei, ma mio padre mi ha chiamato e-» si fermò, deglutì.

Isaac lo fissò: Sebastian contraeva la mascella come se stesse tenendo qualcosa fra i denti, nervoso.

«Ti fa male?» gli chiese, sfiorando con il pollice uno dei succhiotti, quello sulla gola. L’arteria passava di lì, era una zona pericolosa. «Ci vuole il disinfettante.» aggiunse, alzandosi dal divanetto per precipitarsi verso il comodino.

«Ok, mamma.» ribatté Sebastian, regalandogli un sorriso fantastico.

Isaac prese anche il cotone. Akiko era talmente previdente che avevano almeno un kit medico in ogni stanza. Isaac le aveva sempre dato dell’esagerata, ma ora avrebbe voluto solo ringraziarla.

«Senti, non è colpa di Chloé. Lei non c’entra.» mormorò Sebastian di punto in bianco.

“Chloé… La sua ragazza che però non è la sua ragazza, giusto?”

«Va bene.» gli rispose cautamente, tornando al suo fianco con almeno metà del contenuto della valigetta fra le mani. Ripose tutto sul tavolinetto vicino, ma non osò ancora sedersi.

Sebastian lo osservò senza dire una parola e Isaac segretamente cominciò ad ammirarlo: benché stesse palesemente soffrendo, Sebastian trovava comunque la forza di difendere la sua innamorata.

Era il tipo di affetto che lui desiderava da una vita.

Sebastian con le sue parole voleva davvero fargli capire che qualsiasi cosa fosse successa non era colpa di questa Chloé, anche se ora si mordeva le labbra con vigore, quasi si pentisse amaramente di avergli fornito troppi dettagli.

«Dovrei davvero tapparmi la bocca.» aggiunse infatti.

«Sai, io non riesco a reggere il contatto fisico.» confessò Isaac, dopo un momento, andando verso l’armadio per tirare fuori la felpa più larga che possedeva e un paio di pantaloni della tuta. «Non più per un paio di minuti almeno.»

Sebastian lo guardò, stranito. Non sapeva come rispondergli né perché gli stesse rivelando qualcosa di così tanto personale.

«Inoltre tendo a perdermi nel mio mondo. Vedo cose che non ci sono affatto e spesso mi distraggo.» continuò Isaac.

Dopo essersi aperto in quel modo, si prese del tempo prima di concludere il discorso. Accese la stufetta elettrica all’angolo della stanza, dopodiché la prese per il manico e cominciò a spostarla facendo attenzione al filo.

«Come vedi, ho troppi problemi per permettermi di giudicare qualcuno.» gli sorrise, posizionando la loro unica fonte di calore di fronte al tavolino.

Gli porse i vestiti e si voltò verso il muro per concedergli un po’ di privacy, mentre prendeva posto sul divano.

«Grazie…» mormorò Sebastian. «Non dovevi.»

«Certo che dovevo. Non sono mica un mostro.» ridacchiò. «Mettiti solo i pantaloni se le gambe sono apposto. Al resto ci penso io.» continuò «Puoi anche fare una doccia se vuoi.»

«A che servirebbe? Le loro mani non andranno via, né ciò che mi hanno lasciato.» gracchiò Sebastian, stanco. Dal rumore, Isaac era certo che si stesse spogliando. Avvertiva chiaramente il fruscio dei vestiti, il fiato agitato, i movimenti nervosi del suo corpo.

«Scusa, non voglio deprimerti.»

«Chiamiamo la polizia?»

«Non servirebbe. Ci ho già provato e-» si interruppe. Non si fidava per nulla delle forze dell’ordine. Erano codardi e facili da corrompere.

«Ho finito.» dichiarò dopo qualche attimo e quando Isaac si girò, notò che stava stringendo le gambe. Sicuro come l’oro, era messo male anche sulle cosce, ma Isaac immaginò che non volesse mostrarsi troppo vulnerabile. E lo rispettò.

«Perché non mi sbatti fuori? Non sono nemmeno una brava persona.» lo informò Sebastian, quasi fosse scontato.

Isaac afferrò l’acqua ossigenata e ne versò un po’ sul cotone. Meditò su ciò che gli aveva detto e non vi trovò alcun senso. Quello davanti a lui era l’uomo che l’aveva salvato da qualcuno di veramente spaventoso, non una persona cattiva.

«Sei ferito.» gli ricordò Isaac, cominciando a tamponare sui morsi nel petto. Sebastian inspirò fra i denti, tese ogni muscolo, eppure non si lamentò.

«Non è niente di che. Ormai è come respirare.» gli rispose. «È a questo che non sono abituato.» dichiarò poi, lanciando un’occhiata alla boccetta di disinfettante.

E Isaac trovò agghiacciante come ne stesse parlando: il tono deciso gli faceva intuire che Sebastian credesse sul serio che quella situazione fosse normale. Agli occhi di Isaac però quella era solo una crudeltà. Sebastian era un essere umano, non meritava di essere trattato come una bestia, una bambola.

«Cristo, devi pensare che sono veramente patetico.» mormorò ancora Sebastian, con un filo di voce. Isaac prese un cerotto, glielo appiccicò su un taglietto sanguinante.

«No.» scosse il capo. «Non lo sei.»

«Allora come mi vedi?» sogghignò Sebastian, mettendo su una maschera impavida quanto arrogante. «Ridicolo? Stupido?»

«Coraggioso.» confessò Isaac, cambiando il cotone. «E anche molto solo. In questo ci somigliamo.»

Sebastian socchiuse le palpebre. Voltò leggermente il capo a destra, rifletté su quelle parole.

«Se vuoi sfogarti puoi farlo.» continuò Isaac, provando a rassicurarlo. «Se invece vuoi parlare d’altro, ti prometto che non tirerò fuori l’argomento. In ogni caso potremmo dire che sono chiacchiere tra ubriachi.»

«Tu non sei ubriaco però.» Sebastian alzò un sopracciglio. Per tutta risposta, mentre lui si girava per dargli la schiena, Isaac si abbassò verso il tavolino. Aprì il primo cassetto e ne tirò fuori una lattina di birra.

«È solo per me, non voglio che cominci pure a vomitarmi in camera.» gli disse, aprendo la linguetta di alluminio. Ne bevve un solo sorso, poi la appoggiò per terra e riprese il cotone.

«Le nascondi ai tuoi?» rise Sebastian.

«Nah, è solo che è comodo tenerle qui: almeno rimangono fredde. Il frigo è sempre occupato dai prodotti bio di Isa.» Isaac alzò gli occhi al cielo. Decise di versare direttamente l’acqua ossigenata sulle ferite.

«Isa?» chiese Sebastian, ma poi si irrigidì avvertendo la bruciante sensazione del disinfettante.

Gli colò lungo la spina dorsale, mettendo in risalto i muscoli scolpiti dagli allenamenti e i tatuaggi giapponesi. Delle carpe koi, un drago, delle maschere, alcuni yokai. Una tavola sulla nuca. Il surf, doveva ammetterlo, l’aveva salvato innumerevoli volte, riuscendo a distrarlo da quella vita di merda, quindi il suo era diventato un fisico allenato dalle onde. E Sebastian avvertì un brivido percorrergli le vertebre perché – cazzo! – lo sguardo di Isaac era piacevole.

Quest’ultimo intanto continuava a blaterare pur di tirarlo un po' su di morale: «È mia sorella. Va alle superiori. Ho anche due fratelli. Il più piccolo si chiama George e dovresti vedere quanto cazzo è sveglio. Gli piacciono i videogiochi, come me, e tende a litigare con la mamma per tutto. A volte penso che sia il bambino più furbo del pianeta ed è pure cocciuto da morire. Riesce perfino a tener testa a Isazilla. Paul invece-» mi interruppe di colpo. Per quanto gli volesse bene, a volte Isaac si sentiva davvero schiacciato dalla sua presenza e il solo nominarlo smorzò il suo entusiasmo. «È perfetto in tutto, ecco.» concluse.

«Io sono figlio unico.» sussurrò Sebastian. «Ed è meglio così.» Voltò il capo quel tanto che bastava per potergli lanciare un’occhiata. «Non fare quella faccia. Non sto mica morendo.» sogghignò

“Come può sorridere come se nulla fosse?”

«E poi rimango uno sconosciuto, non dovrebbe importarti, no?»

«Invece mi importa.» sbuffò Isaac, facendogli segno di allungargli le garze. Sebastian ubbidì, poi si rimise dritto.

«Perché?»

«Non lo so.» sospirò.

Isaac stava facendo del suo meglio per curarlo, ma purtroppo non poteva fare più di tanto. Non sperava in un miracolo, solo di risparmiargli almeno un po’ di dolore. Anche se probabilmente si stava davvero sforzando troppo. Odiava il sangue. Quell’odore gli stava già causando qualche problema.

E cercava di rimanere lucido, nonostante le energie lo stessero abbandonando. Era tardi, era stanco, stressato, e in compagnia di quello che era praticamente un estraneo. E lui faceva già schifo di suo a parlare con le persone. La sua unica consolazione era che l’ombra non lo stesse tormentando. Prese un altro sorso di birra. Uno molto grande.

«Sei strano.» borbottò Sebastian.

«Beh, tante grazie.» mise il broncio. «Ma poi ci deve essere un motivo per forza? Voler aiutare qualcuno non è abbastanza?»

«Io non faccio mai niente gratis.» lo informò Sebastian e, proprio quando Isaac finì di applicare l’ultima garza, si girò. Lo affrontò.

Lo stomaco del ragazzo si contorse. Sebastian aveva delle iridi particolari: deliziose e trasparenti, due laghi ghiacciati che riflettevano violentemente ogni emozione. E Isaac si ritrovò in balia del suono del suo respiro, di come il petto ne seguiva stancamente i movimenti. Era una melodia dolce, accompagnata da una danza soave e Isaac sapeva che non avrebbe dovuto trovarlo affascinante nella sua sofferenza.

Eppure…

Sebastian lo inchiodò sul divano, puntellando lo schienale con i palmi delle mani. Poggiò le ginocchia con forza sui cuscini, avvicinandosi così tanto al suo viso che Isaac avvertì chiaramente una vaga nota d’arancia, mista all’alcol.

«Sebas-» mormorò, stranito.

«Tu sei come loro?» gli domandò, soffiandogli sul collo. Sebastian era caldo, tanto bollente che gli ustionava l’anima. «Oppure no?» gli sfiorò la guancia con un dito. «Mi confondi, tremi come una foglia.» inclinò il capo, la voce nervosa. «Solo un paio minuti, eh? Bugiardo.»

Isaac deglutì.

«Di solito è così.»

«Davvero?»

Annuì. Sebastian sorrise.

«Te l’hanno mai detto che sei carino?» domandò, continuando ad accarezzarlo. Seguì lentamente la linea della mascella, quasi la stesse venerando e, una volta arrivato al mento, lo afferrò fra le dita. Lo tirò con forza verso di sé. Fu talmente brusco che Isaac si ritrovò inerme, alla sua mercé.

E gli piacque da matti.

«Allora?»

«Lo pensi perché somiglio a una donna?» fece una smorfia.

«No. Sei carino e basta.» rispose Sebastian. E Isaac si sentì strano, perché l’aveva detto come se fosse ovvio.

«Che vorrebbe dire? Lo fai apposta?» sbuffò, tentando di scacciare quel formicolio al petto. «Guarda che mi arrabbio.»

«Saresti carino anche da arrabbiato.»

«Ti informo che non attacca la scenata da dongiovanni con me.» mentì, distogliendo lo sguardo.

Stava funzionando eccome.

«Quale attacca allora?» gli chiese Sebastian.

Non appena lo lasciò andare, Isaac percepì un bizzarro senso di abbandono. Era scosso, smarrito. E per qualche assurda ragione gli mancava già la sua vicinanza.

«Mi hai accolto, ascoltato e curato anche se non mi conosci. Cos’hai? La sindrome da crocerossina?» Sebastian sputò fuori quelle parole crudelmente, ma Isaac era troppo impegnato ad analizzare ciò che provava per preoccuparsi del suo tono rauco, arrabbiato e ferito.

“Sono… Deluso? Volevo che rimanessimo appiccicati?”

Isaac attorcigliò nervosamente un lembo della maglia fra le dita. Non si riconosceva più, era stupito da se stesso.

Sebastian si allontanò ancora, sistemò un cuscino dietro la schiena, gli negò il suo tepore, rifugiandosi nella coperta e poi si grattò piano la nuca, chiaramente agitato.

Isaac lo stava palesemente studiando, lo fissava senza vergogna, ma non riusciva più a smettere.

Si chiedeva da dove fosse saltata fuori quella stupida frustrazione: la avvertiva nelle vene, implacabile come un fiume in piena.

“Voglio toccarlo, che lui mi sfiori.”

«Non ti sei spostato.» mormorò a un certo punto Sebastian, rompendo il silenzio. «Hai detto che ti dava fastidio, quindi perché non mi hai rifiutato?»

«Io-»

«Non mi conosci.» ripeté. «Perché mi hai fatto entrare?»

«Non lo so, ok?» ammise Isaac, spazientito. «Ho solo pensato che non volevo abbandonarti.»

Sebastian spalancò gli occhi. Lo fissò come se gli fosse spuntata un’altra testa. Aprì la bocca, fece per dire qualcosa, ma ci ripensò l’attimo dopo e la richiuse. Sigillò le labbra mordendole con forza. Infine appoggiò piano la testa contro lo schienale e donò a Isaac un’espressione indecifrabile. Stava sorridendo anche se pareva sul punto di scoppiare a piangere.

«Sei gentile, carino e ora questo?» sussurrò, portandosi le mani al viso. «Sei cambiato parecchio, Spider.»

«Eh?»

All’improvviso Sebastian allungò un braccio e questo comparve lentamente dalla soffice protezione della trapunta, tentennando. Risultava parecchio insicuro nei movimenti, meccanico e fragile come le farfalle quando escono dal loro bozzolo, eppure gli era apparso incredibilmente forte quando, appena qualche giorno prima, l’aveva protetto.
Sebastian artigliò una ciocca dei capelli di Isaac, la attorcigliò nell’indice con fare assorto.

«Se te lo chiedessi…» gli disse. «...me ne faresti uno anche tu?»

Era terribilmente serio e stava indicando uno dei succhiotti sulla gola. Isaac deglutì.

«Cosa?» domandò, anche se una parte di lui stava già gridando di sì, che gliene avrebbe fatti anche cento.

«Non deve essere sul collo per forza.» continuò Sebastian, sfiorandogli il dorso della mano. Lo fece con delicatezza, quasi non volesse rischiare di romperlo. «Domani sicuramente non riuscirò a guardarmi allo specchio, ma forse se vedessi una traccia amica io-» si fermò. Ricominciò a grattarsi la nuca. «Scusa. È una cosa stupid-»

«Non lo è.» Isaac lo interruppe.

Chinò il capo. Gli accarezzò il braccio. Ne baciò piano la pelle.

Sebastian inspirò fra i denti.

Isaac cacciò fuori la lingua. Sebastian era così tanto teso che Isaac riusciva a contare ben cinque vene: gli partivano dal polso, solcavano l’intero braccio, sfociavano nel gomito.

Di solito odiava quelle cose. Certe intimità non lo riguardavano.

Ma Sebastian era riuscito a renderle più che tollerabili.

«Isa-»

«Zack.» gli disse. «Per gli amici è Zack.»

«Zack.» ripeté Sebastian, incantato.

Isaac schiuse labbra. Lo fissò dritto negli occhi.

«Mi piace come suona.» confessò Sebastian, imprigionandogli il cuore.

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