𝑒𝑝𝑖𝑙𝑜𝑔𝑜
𝚒𝚜𝚊𝚊𝚌 𝚜𝚙𝚒𝚍𝚎𝚛
Dieci anni.
Dieci fottuti lunghissimi anni.
Non posso dire che non siano stati proficui: mi sono iscritto all'università, ci sono uscito, ho frequentato diverse persone, fatto nuovi incontri e riallacciato un po' i rapporti con mio fratello.
Però restano dieci anni senza di lui. Li ho vissuti con una maschera incollata al viso, fingendo di ridere quando volevo solo chiudermi in camera a piangere.
E allora posso davvero dire di non essermene pentito? Di non aver perso tempo prezioso?
Ogni giorno spalanco le palpebre e non lo trovo al mio fianco. Alla sola idea anche adesso mi si contorce lo stomaco e il mio cuore si lacera un pochino di più. È talmente inutile ora, quell'organo, che non sono nemmeno sicuro che batta ancora. Credo tiri avanti per inerzia o mera disperazione.
Ogni sera mi rannicchio nel mio giaciglio e stringo le lenzuola gelide fra le dita, cercando il suo calore, e rimango scottato dall'amara verità.
Sebastian non è qui ed è davvero mia la colpa.
La fatina non la vedo più, mi avrà abbandonato pure lei. Ogni tanto una voce mi dà il tormento, ma si è fatta meccanica e pare appartenere più a un robot che a una creatura alata. Immagino che perfino nel subconscio, non mi senta per niente libero.
E quel profilo Instagram alla fine non l'ho mai utilizzato, il che è piuttosto assurdo. Lo apro oggi per la prima volta e ovviamente l'unica pagina che mi interessa è la sua.
Un sacco di foto diverse la vivono: momenti di un Sebastian che non conosco.
Si è realizzato il mio timore più grande, l'unica cosa che non volevo che facesse: Seb è andato oltre, lasciandomi indietro.
C'è una ragazza diversa per ogni luogo in cui è stato e ci sarà per ogni hotel in cui soggiornerà. E la scritta della compagnia di suo padre regna sovrana in tutte le descrizioni. Quello sguardo triste però, non può essere solo una mia impressione.
Il sorriso di Sebastian è zelante e gioviale, non lo riconosco in quell'uomo in abiti scuri che fissa la telecamera. Quegli occhi vacui e malinconici non sono semplicemente i suoi.
E più ingrandisco quelle immagini, più mi rendo conto che forse anche io manco a lui. O magari amo illudere me stesso.
Isabel non mi ha rimproverato neanche mezza volta per non avergli mai scritto, nonostante fossi protetto dall'anonimato. Penso che legga qualcosa nel mio doloroso silenzio. Non avevo mai capito perché tacesse, fino a oggi. È impossibile trovare le giuste parole di fronte a tanto sconforto.
Se Sebastian mi fosse davanti, l'unica cosa che farei è abbracciarlo per assicurarmi che il suo cuore batta ancora per me. Il che è ridicolo, non è mai nemmeno riuscito a dirmi ti amo, e magari per lui ero davvero solo un passatempo.
Eppure, nonostante questa possibilità, voglio comunque credere in lui, nel suo sguardo dolce e in quelle carezze che avevano l'oscuro potere di scuotermi l'anima.
Dopotutto mi ha regalato così tanti preziosissimi attimi: almeno tanti quanti quelli che ho perduto in tutto questo tempo passato senza di lui. E in pochi mesi è diventato per me talmente essenziale che ho vissuto dieci anni in astinenza della sua presenza.
Cloé ogni tanto mi chiama, ma il nostro è diventato un rapporto freddissimo, quasi ghiacciato. E mi dispiace da morire. Le voglio ancora bene, lei però si sforza di sorridere ogni volta che ci ritroviamo al telefono e so che lo fa solo per il mio bene.
Lo percepisco dalla sua voce nervosa, dal modo in cui canticchia e tamburella con le dita, producendo un secco toc toc. Non mi va che si debba cucire la bocca per farmi stare bene, quindi le nostre chiacchierate giornaliere sono diventate prima settimanali e poi mensili.
Ma ora sono tornato qui a New York dopo tutti questi anni, senza avvisare nessuno o quasi. E ho davvero l'intenzione di sistemare le cose.
Julia, la dolce innocente Julia, è morta quest'anno. Le cause sono sconosciute al pubblico, però si sa che la polizia ha un solo sospettato: l'erede della famiglia Show.
Pare che nessun legale voglia difenderlo e che Sebastian sia impelagato in questioni ben più spinose di un omicidio.
Il che è tutto un programma.
Però il destino è un bastardo e un po' mi fa sorridere.
«Diventa avvocato.» mi aveva proposto Akiko.
E io mentre esco dall'aereoporto, posso solo dire: grazie, mamma.
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