ventotto - 𝚎𝚕𝚎𝚝𝚝𝚛𝚒𝚌𝚒𝚝𝚊̀

𝚒𝚜𝚊𝚊𝚌 𝚜𝚙𝚒𝚍𝚎𝚛

Il suo passo tutt'altro che felpato riempie il silenzio in cui mi ero crogiolato fino a poco fa, spaventandomi. Non mi aspettavo una visita.

«Zacchino?» mi chiama Akiko, entrando in camera mia.

Non riesco a non sbuffare per il tempismo: stavo cercando di pescare una trota arcobaleno, ma quella stronza mi ha rotto la lenza e l'entrata in scena di mamma è stato solo il colpo di grazia. Sono scarsissimo nei cozy games.

«Sì?» le dico mettendo, molto controvoglia, in pausa il gioco.

Con la coda dell'occhio, noto in alto a destra dello schermo una rana primaverile. È quasi completamente viola e mi rendo conto che ho speso benissimo i miei soldi. Ogni gioco con delle bestioline carine li merita.

"Peccato che ti venga meglio fare il cecchino o sconfiggere mostri. Ricordami com'è messa la tua isola su Animal Crossing?"

Rabbrividisco al pensiero di quella landa deserta, priva di alberi e cespugli, che ho ripulito io stesso da capo a piedi, senza però mai completarla davvero.

"Che sfigato."

In mia difesa, sono comunque arrivato alle cinque stelle per qualche miracolo divino, o forse perché ho piantato una marea di fiori e messo mobili a caso un po' ovunque.

"Pensi che questo ti faccia apparire meno bamboccio?"

Non c'è bisogno di mettere il dito nella piaga, va bene? Lo so anch'io che questi giochi sono il mio punto debole!

«Isaac? Tesoro?» Akiko mi guarda preoccupata e mi rendo conto di aver appena sfiorato un tasto ancora dolentissimo. Le rivolgo un sorriso che dovrebbe essere incoraggiante, ma lei non ci casca.

Merda.
Mi sono messo a fissare la fatina, o meglio un angolo vicino alla porta. Il mio silenzio tombale e lo sguardo vacuo che devo aver fatto non avranno migliorato di certo l'umore della mamma.

"Forse ora ha bisogno anche lei della psicologa." ridacchia quella che una volta era solo la mia dentista.

Zitta!

«Dimmi.» regalo al caporale tutta la mia attenzione, provando ad apparire rilassato, sereno.

Da quando mi è venuto quell'attacco, Akiko è diventata incredibilmente protettiva: mi estranio un secondo e lei pensa subito al peggio.

Non posso biasimarla però, capisco che reagisca così solo perché mi vuole bene. Forse le dovrei essere più grato.

«Stasera ci sei a cena?» mi domanda, giocherellando con il lembo della maglietta.

«Certo?» alzo un sopracciglio.

Dove altro dovrei andare? A malapena esco di casa.

«Bene, ottimo.» annuisce e vorrei scavarle nella testa per carpirle qualche informazione, perché mi ha incuriosito da morire e ciò che mi sta dando sono solamente briciole di pane. È come regalare una caramella a un affamato: non aiuta molto.

«Volevi altro?» le chiedo, ma lei scuote vistosamente il capo in segno di negazione, dopodiché si avvicina per darmi un tenero bacio sulla fronte.

Giuro che mi sta mettendo i brividi.

«Mamma, dacci un taglio. Cosa c'è?» la blocco subito.

Non è da lei comportarsi così, mi fa strano. Tanto per cominciare non mi ha ancora rotto le scatole con la solita ramanzina "esci, non stare davanti alla televisione" e poi non mi guarda negli occhi da quando è entrata.

«Ne parliamo a tavola, va bene?» ribatte, la sua espressione però non mi rassicura per niente.

Comunque lascerò correre.

«D'accordo.» cedo subito, un sospiro arrendevole mi sfugge dalle labbra.

Tanto non mi permetterà mai di vincere: Akiko non è una che molla l'osso e io non ho voglia di sprecare tutto il pomeriggio a discutere su una cosa che mi dirà stasera in ogni caso.

Decido quindi di concentrarmi su altro: afferrando tutto il coraggio di cui dispongo, provo a testare le acque. Purtroppo è ancora parecchio incavolata con Sebastian, anche se gli permette di ordinare in caffetteria.

«Senti, mamma...» le dico, deglutendo un po' a disagio.
«È passato Seb per caso?»
Ho usato il tono più amichevole del mio repertorio, eppure la sua reazione non è buona come speravo.

Al solo sentire quel nome, il caporale cambia umore: incrocia le braccia al petto, mentre una scintilla di rabbia le illumina lo sguardo e le fa arrossire le guance.

«L'ho mandato via.» sbotta lapidaria.
«Sa che ha sbagliato ed è in punizione.»

«Punizione?» ripeto, stranito.

«Non può entrare in casa fino a nuovo ordine.» lo sussurra abbastanza forte perché io possa ascoltarla, ma comunque a bassa voce, come se odiasse le sue stesse parole.

Mamma può fare la dura quanto vuole, però è comunque molto affezionata a Seb.
Realizzo, notando come picchietta con l'indice sul gomito, nervosa.

Sa che non abbiamo tagliato i ponti e anche quanto lui mi piaccia: dopo un po' credo che sia diventato palese a tutti, in realtà. Senza contare che l'ho praticamente urlato, l'altra volta. Dubito che qualcuno non mi abbia sentito.

Non posso dire che mamma ora mi supporti al cento percento, perché la ferita è ancora fresca e lei è una che porta rancore finché campa, comunque è impossibile che inizi a odiare Sebastian. Ormai lo vede come un figlio.

Infatti stringe la labbra e decide di lasciare il campo di battaglia, facendo dietrofront.

«E digli che il colore della vernice è sbagliato.» mette il broncio, indicando il mio cellulare, lasciato a prendere polvere sul tavolinetto. Dopodiché sguscia via, inoltrandosi nel corridoio.

Quindi alla fine l'ha comprata davvero.

Non so perché mi ritrovo a sorridere.

Mi alzo per chiudere la porta, che ovviamente lei ha lasciato spalancata e, nuovamente da solo, mi butto sul divanetto.

Sistemo una ciocca di capelli ribelle che mi è piombata sulla fronte, e chiudo le palpebre godendomi questa calma. Non dura molto però, perché un rumore alla finestra mi fa sobbalzare e gli occhiali quasi mi volano via dal naso, per il movimento che ho fatto in avanti.

Devo far aggiustare queste maledette astine.
Mi dico, andando verso il vetro. Ho già il cuore che batte a mille, perché c'è solo una persona abbastanza fuori di testa da arrampicarsi sulla scala antincendio, infischiandosene di tutto e tutti.

«Ehi.» lo saluto, imbarazzato, aprendogli immediatamente.

Subito dopo mi ricordo di non aver chiuso a chiave e mi precipito verso la porta per far scattare la serratura.

Se Akiko lo vedesse qui, la sua punizione si estenderebbe per altri vent'anni.

Non mi rendo conto di aver commesso un grosso errore fino a quando non è troppo tardi per rimediare.

D'un tratto avverto la sua presenza farsi più vicina e mi ritrovo quelle mani che tanto mi erano mancate sui fianchi e quel dolce respiro sulla nuca.

Farfalle nello stomaco, una frase che ho sempre trovato brutta, terrificante. L'idea di un mucchio di insetti che ti svolazza per le viscere mi inquieta da morire e fa pure un po' schifo, se pensi che subito dopo c'è l'intestino.
E poi come diamine dovrebbero entrarti nel corpo? L'orifizio più vicino è pure l'ultimo in cui vorrei ritrovarmele.
Comunque sia, ho appena capito perché si dica così.

Solo che chiunque abbia scritto questa boiata è un cretino, perché dire farfalle è alquanto riduttivo.

Col cavolo che sono solamente bestiacce: nessuna di queste è una falena, sono stormi interi di uccelli. E diventano un vuoto, un buco incolmabile, ma allo stesso tempo è come se mi sentissi pieno, appagato e incredibilmente fragile e piccino.

Non ho mai avuto così tanta saliva in bocca e più deglutisco, più mi sale.

«Devo prenderlo come un invito, Zack?» commenta Sebastian, più roco di un fumatore, e mi irrigidisco, rendendomi conto che rinchiudersi in camera con il ragazzo che ti piace, subito dopo averlo accolto, non è stato proprio intelligente.

"Soprattutto ora che lui sa cosa provi nei suoi confronti." sghignazza la fata.

«No!» esclamo, girandomi di colpo. Mossa sbagliata, perché me lo ritrovo a un centimetro dal viso.

Adesso sì che sono fottuto.
Mi fa male il pomo d'Adamo da quanto lo sto facendo lavorare. Troppa saliva prodotta e una gola troppo piccola per liberarmi di questi litri.

È colpa della sua maledetta boccaccia: come sempre è invitante, mi stordisce e rapisce. Ed è così rossa e morbida e... Merda!

Come cazzo faccio a mettere della distanza?
E soprattutto voglio davvero farlo?

«Shh, piccolo.» mormora.
Quel soprannome.
«Altrimenti ci fai scoprire.»

Cazzo, chi gli resiste più?
Penso, buttandogli le braccia al collo.

Seb è sorpreso, ma non si tira affatto indietro. Mi lascia giocherellare con la  chioma rosea e vorrei solo sfilargli la fascia dalla fronte per baciare ogni centimetro del suo bel viso.

Eppure è sbagliato.
Dovrei avercela con lui. Perché non sono minimamente arrabbiato?

«Pensavo avessimo litigato.» gli ricordo, un po' confuso. Forse però lo sono più da me stesso che da lui. Il corpo mi si è mosso da solo, quasi fosse attirato da una potente calamita.

Mi sa che sto già perdendo il controllo e non mi piace affatto essere così dipendente da lui, soprattutto visto che non ha alcuna intenzione di andare oltre l'asticella dell'amicizia.

Eppure... Già, eppure.

«Che ti aspettavi che facessi? Non ci vediamo da troppo tempo.» mi dice e quel tono ammaliante mi fa aumentare di almeno dieci volte il battito cardiaco.
«Non ho fatto altro che pensarti.»

A chi lo dici.

«Bugiardo.» sussurro.

«Dico molte bugie.» ridacchia.
«Ma stavolta è vero.»

«Quindi niente più bigliettini?» lo stuzzico e, per tutta risposta, Seb mi artiglia le cosce, sollevandomi di colpo. Mi ritrovo con le gambe attorcigliate attorno alla sua vita e mi sento incredibilmente più leggero.

Non riusciamo a smettere di sghignazzare, di toccarci.

Se questo è un sogno, tiro giù tutti i Santi. Mi è già bastato una volta.

Non osiamo rompere la magia del momento: è come se un fulmine si fosse schiantato al suolo nello stesso istante in cui ci siamo ritrovati da soli e, lo leggo nel suo sguardo, nemmeno lui vuole rovinare qualunque cosa stia accadendo fra noi.

Mi porta verso il letto e si siede sul bordo, facendomi cadere sulle sue cosce. Rimaniamo così per un po', persi nel nostro silenzio e in quell'abbraccio di cui entrambi avevamo davvero tanto bisogno.

Percorre con la punta delle dita la mia spina dorsale, contando le vertebre, soffermandosi su alcuni punti. Mi fa il solletico. Non riesco a trattere un risolino, lui ribatte schioccandomi un bacio sulla guancia.

Merda.
Questo profumo d'arancia mi era mancato da impazzire. Mi mordo il labbro inferiore, da come mi fissa pare voglia farlo anche lui.

È assurdo.

Ci limitiamo a provocarci, con occhiatine e piccole carezze, però non ci azzardiamo ad andare oltre. Non un vero bacio, né una parola d'amore.

Solo noi e un singolo istante.

«Cosa ti succede, Orfeo?» lo prendo in giro, a un certo punto, picchiettandogli il petto con l'indice.
«Stai tremando.»

Ed è vero: Seb è come una volubile foglia al vento. Vola troppo in alto per poter fermare la sua corsa e poi è veloce, agile, sguscia fra i rami, eppure tremola, viene scosso e, quando il vento finirà di soffiare a suo favore, cadrà inevitabilmente al suolo.

«È solo che-» si interrompe, china il capo in avanti.
Fa sprofondare il viso nella piega della mia gola e le sue labbra mi sfiorano il pomo d'Adamo.

Ancora non accenna a mordermi, né a giocare una qualsiasi delle sue carte, anche se gliene sto dando l'occasione. Non vuole rischiare come aveva fatto in passato, preda della passione e con il fiato corto. Questo suo tirarsi indietro è una novità che non capisco, mi confonde.

«Ho davvero paura che scompari, Euridice.» ridacchia.
«Sta andando troppo bene.»

«Tu dici?»

Effettivamente non ci stiamo ancora scannando. Credevo che non ci saremmo visti per un altro po' e che poi il nostro incontro sarebbe stato più brutale, animalesco perfino. Invece siamo tranquilli, ci godiamo l'un l'altro e, benché il cuore mi stia scalpitando in petto, quasi volesse uscire e raggiungerlo, mi sento a casa. È come se il puzzle della mia vita fosse finalmente completo.

«Non mi hai nemmeno dato uno schiaffo.» continua intanto Sebastian e mentirei se dicessi che questa intimità non mi piaccia.

«Lo sai che non sopporto i buzzurri violenti.» ghigno e lui sobbalza, sorpreso, poi realizza.

«Cloé o Paul?» domanda.

«Tu su chi punti?»

«Paul?»

«Cento punti a Corvonero

«Io però sono Serpeverde

«E quindi? Voglio far vincere la mia casa.»

«Sei veramente tremendo.» ride.
«E io dovrei cucire la bocca a tutti quanti.» borbotta l'attimo dopo, imbronciato.

Sì, mi era decisamente mancato tutto questo e ho il terrore di perderlo di nuovo.

Era molto più semplice quando non ci baciavamo ogni volta che ne avevamo l'occasione; prima che le ragazze entrassero nelle nostre vite con così tanta forza.

Prima che esistesse un vero e proprio noi.

«Sono felice che tu non sia arrabbiato. Credevo che mi avresti mangiato vivo.» mi dice Seb e mi si capovolge lo stomaco. Mi sento tutto scombussolato.

«Quello posso farlo anche se non sono arrabbiato.» gli faccio notare, provando a dirlo con tono sicuro, ma invece mi ritrovo a essere quello più goffo. Infatti Seb ride ancora e io, offeso, gli dò un pizzicotto sulla spalla, ma questo pare farlo reagire in un altro senso.

Perché quando abbasso lo sguardo, cercando di capire cosa mi abbia colpito l'interno coscia, mi rendo conto che lui è già duro come una roccia.

«Dovremmo parlare?» domando, obbligandomi a cambiare argomento.

Seb si sposta leggermente per potermi guardare in faccia.
«Sarebbe la cosa migliore.» ribatte poi, indugiando con gli occhi sulle mie labbra.

Torna l'elettricità statica, la tensione travolgente che ci frega ogni volta. Socchiudo le palpebre, mi si ferma il respiro.

Cazzo, dovrei solo farlo mio.

«Oggi non scappi?»

«No, oggi no.» sussurra, sempre più arrendevole.

«Cos'é cambiato?»

«Non lo so.» ammette.
«Muoio dalla voglia di toccarti da quando hai chiuso a chiave.» deglutisce.
«Ero venuto solo per chiarire, davvero...» eppure non è molto convincente.

«Non c'è molto da chiarire in realtà.» arrossisco.
«Tu sei fidanzato e io-» mi fermo, sentendomi accaldato.
Chiudo gli occhi, inalando una grossa boccata del suo profumo.
«Merda, perché è diventato difficile?» mi lamento.

«Mi sa che è tutta colpa mia, vero?» dice di punto in bianco, mortalmente serio.

Continua a torturarsi il labbro, infilzandoselo con i denti. È nervoso, parecchio anche.

«Ti ho fatto delle cose orribili, Zack.» continua, senza darmi il tempo di ribattere in alcun modo.
«Scusa se sono corso via. L'altro giorno, sul momento, mi sono odiato terribilmente e ho avuto certi pensieri non proprio allegri.» ammette, pieno di vergogna, grattandosi la nuca.

«Non vuole essere salvato.»
Perché ora mi tornano in mente le parole di Cloé?
Senza esitare, lo afferro per il colletto della maglia, tirandolo verso il basso. Mi aspetto morsi, lividi, graffi, però non vedo nulla di tutto ciò.

«Seb-»

«No, fammi finire.» insiste.
«Continuava a tornarmi in mente quel mi piaci e mi sono reso conto che non riesco a detestare qualcosa che ami.» mi prende il polso, mi accarezza.

Mi si è capovolto lo stomaco. Anzi l'intestino intero. Ogni sua parola è un brivido e una pugnalata.
Sebastian mi sta finalmente mostrando una nuova parte di sé: lui si odia.

E l'ho appena capito.

«H-ho sistemato ciò che dovevo. Sei davvero l'unico che può toccarmi ora.» deglutisce.
«Quindi credi di potermelo ridire?» mi prega, poi si rende conto di ciò che ha appena detto e, rosso fino alle orecchie, cerca l'ennesima via di fuga.
«Non devi farlo subito!» si tira indietro, dicendolo velocemente, senza respirare. Non è solo agitato, la sua è pura paranoia.
«Cioé se non te la senti va bene... Non voglio forzarti e-»

Gli appoggio un dito sulla bocca, per farlo stare zitto. Le sue labbra sono così tanto morbide e invitanti che, prima che me ne renda conto, le schiudo con l'indice, scoprendogli i denti. E Seb me lo lascia fare, accogliendomi con la sua lingua calda e studiandomi con quei suoi incredibili oceani blu.

«Mi piaci.» mormoro e lui si illumina.

Il suo sorriso mi accorcia il fiato.

Fa per dire qualcosa, ma si ritrova a boccheggiare, privo di parole. Fa un respiro profondo. Ci riprova, ma stavolta il suo tremore peggiora.

«Cazzo, ma perché?» sbuffa, triste, sconsolato. Abbandonato da se stesso.

Lo abbraccio stretto, con tutta la forza di cui dispongo. Voglio tranquillizzarlo, fargli capire che sono un porto sicuro.

«Mi sa che ti devo delle spiegazioni.» sussurra, tramortito dalle mie carezze.
«Prometti di non ridere e di non colpirmi?»

«Non riderò.» ribatto e lo penso sul serio.

«E l'altra cosa?»

«Beh, prometto di evitare di prenderti sul naso.» provo a smorzare la tensione.

«Guarda che fa ancora male.» scherza. Vuol dire che un po' ci sono riuscito.

Sono contento che siamo tornati a chiacchierare in questo modo: non avrei retto oltre il trattamento del silenzio.
E poi, ora che mi sono finalmente dichiarato, mi sento più leggero.

«Non sono gay» mi ha detto Seb quella volta al telefono e se è questa la verità devo accettarla, proprio come lui ha fatto con la mia sessualità.

Io ci sono e voglio che lui lo sappia.

Per questo quando si distanzia da me per potermi contemplare il viso, lascio che mi accarezzi una gota, percorrendo con il pollice il contorno della mascella.

«Resterai mio amico, qualunque cosa ti dica?» domanda, apparendo molto più piccolo della sua età.

«Certo che sì.» stringo la mano in un pugno e la avvicino al suo petto, donandogli un goffo buffetto.
«Siamo una squadra, no?»

L'ho colpito dritto al cuore e mi aspetto che lui faccia lo stesso, ma Seb rimane Seb: ci tiene proprio a stupirmi. Si fa avanti, schioccandomi un bacio sulla guancia e indugia qualche istante sulla pelle, dandomi il tempo di abituarmi al suo respiro caldo e alla sua presenza confortante. Quando si stacca, già ne sento la mancanza.

«Isaac, ti ricordi il mio amico?»

Quindi vuole iniziare da qui?

«La tua cotta?»

«Sì.» sospira.
«Ho scoperto di aver fatto uno sbaglio.»

Sento già un nodo alla gola.
Spero che non sia nulla di troppo traumatico.

«Che vuoi dire?»

«Pensavo di essere innamorato di lui, che eravamo destinati a stare insieme.» si morde il labbro inferiore, facendo una pausa.
«Ma il ragazzo che ho incontrato, quello che credevo essere il mio amico-» si interrompe, riducendo gli occhi in due fessure. Mi fissa con una nota di colpevolezza nello sguardo e non riesco davvero a capire cosa gli passi per la zucca.
«Merda... Come lo spiego?»

«Vai avanti.» lo incoraggio.
«Ti ascolto.»

Si fa più vicino, quasi non vedesse l'ora di colmare questa insopportabile distanza fra noi.

«Ho scambiato un completo sconosciuto per il mio amico d'infanzia.» dice tutto d'un fiato e io devo sbattere le palpebre un paio di volte, per rendermi conto che non sto sognando.

No, non sta scherzando.

Ho promesso di non prenderlo in giro, quindi stringo le labbra con forza, ma Seb ovviamente capisce immediatamente che mi sto sforzando per non scoppiargli a ridere in faccia.

«Dammi un momento.» gli dico.

Prendo, in fretta, il cuscino più piccolo del letto e me lo premo in faccia, nascondendogli il mio volto sghignazzante. Non riesco a soffocare tutti i risolii, ma Sebastian non me lo fa pesare, continua ad accarezzarmi il dorso della mano sinistra, aspettandomi pazientemente, e di questo gliene sono grato.

Non so nemmeno io se sto ridendo per disperazione, stress o per puro divertimento. Magari sono solo esaurito.

«Ok.» borbotto, facendo un respiro profondo, lanciando il cuscino alle sue spalle.

«Tutto a posto?» domanda, inarcando un sopracciglio.

«Sì.» deglutisco.
«È per questo che non si ricordava di te?»

«Già.» finge di essere irritato, ma sono convinto che si sia rilassato, anche grazie alla mia reazione.
«Se devi ridere ancora, fallo in fretta.»

«Scusa... Scusami davvero... È solo che...» non ce la faccio davvero più e mi lascio andare a un'altra risata, ma stavolta non riesco a coprirmi in tempo.
«Come cazzo è successo?» gli chiedo, con le lacrime agli occhi.

«Non voglio dirtelo.» sbuffa.

«E come ti sei accorto di aver sbagliato?» gli chiedo, senza preoccuparmi delle lacrime. Ancora una volta non capisco se sono malinconico o spensierato.

Gocce salate mi scivolando lungo le gote, facendomi avvampare. Credo di avere gli occhi tutti rossi, ma non smetto di ridacchiare.

Fino a quando Seb non risponde alla domanda.
Allora mi congelo.

«Perché poi tu me lo hai presentato.» sussurra, allungano un palmo per pulirmi il viso.
«Il mio vecchio amico.»

Ci metto un attimo a metabolizzare. Ed è un pugno allo stomaco. Il sorrisetto che avevo stampato in faccia scompare velocemente, sostituito da una consapevolezza che quasi mi blocca le corde vocali.

«P-paul?»

Rabbrividisco, non appena pronuncio quel nome lui annuisce. Non ho mai provato tanto freddo.

«Sì...»

Oh.
Abbasso la testa. Ho già perso, non ho alcuna speranza. Io adoro mio fratello, so quanto sia fantastico: non posso vincere contro di lui, è impossibile.
Paul è intelligente, atletico, ha carisma da vendere e io... Non sono niente di tutto ciò.

Deglutisco.
Avevo detto che lo avrei accettato...

Devo farcela, per Seb, per la nostra amicizia.

Allora gli pongo la domanda più difficile, mascherando l'agonia con un sorriso e pregando che la voce non tradisca il dolore che sento: «Ti... Piace mio fratello?»

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