𝚒𝚜𝚊𝚊𝚌 𝚜𝚙𝚒𝚍𝚎𝚛

Corro fino all'ingresso della villa, con il fiato già pesante e le guance paonazze.

Noto subito un gruppetto piuttosto esaltato e chiedo loro se hanno visto passare una ragazza bionda in lacrime, ma sono troppo fuori per rispondermi.

Due ragazzoni sbiascicano qualcosa, però non riesco a capirli con questa musica rompi-timpani.

Credo che non mi abbiano notato nemmeno in realtà, che stiano semplicemente parlando fra di loro, quindi li lascio perdere.

Una delle donne presenti, quella vestita in paillettes, all'improvviso mi mette una mano sulla testa, spettinandomi i capelli.

«Seeeei carinooo!» cantilena, mentre la puzza di grappa mi invade le narici.

Davvero! Quanta cazzo di roba alcolica c'è in questa casa!?
Mi domando, scrollandomela di dosso in malo modo.

Odio essere toccato, soprattutto dagli sconosciuti.

Il cuore ha cominciato a fischiarmi nelle orecchie da quando ho perso di vista Cloé, non è un buon segnale: potrei crollare da un momento all'altro.

Immagino di essere ancora in piedi solo grazie all'adrenalina che mi scorre in circolo, implacabile. Mi scuote e mi rende meno lucido, facendomi pensare a troppe cose brutte tutte insieme.

La tipa che ho rifiutato si lamenta con la sua amica, che mi guarda storto, ma non ho tempo da perdere.

Dicono che sono un deficiente e decido di lasciarle nel loro brodo, oltrepassandole a spallate.

Le mollo lì e, grazie a Dio, non sono il tipo di ubriache moleste. Mi hanno mandato a fanculo, però non protestano se preferisco farmi gli affari miei. Per fortuna, aggiungerei: non ho alcuna intenzione di litigare.

Il battito intanto non accenna a diminuire: si fonde con la musica, distraendomi dal mio obiettivo.

Non so come, riesco a schivare la scarpa da ginnastica di un tizio che ha pensato che fosse una buona idea fare la verticale qui. Gli faccio il terzo dito, ma è troppo brillo per rendersene conto.

«Ehi, amico! Rilassati.» mi dice una tipa, aspirando dalla canna.

Ci mancava solo questa! Non voglio rilassarmi! È il momento peggiore per rilassarsi!
Mi lamento, allontanandomi da lei e dalla sua sigaretta simpatica.

Julia mi ha fritto il cervello e sono preoccupato da morire: Cloé, dove cazzo sei!?

Mi affaccio alla porta d'uscita: spalancata. Un getto d'aria fredda mi investe da capo a piedi e rabbrividisco, desiderando ardentemente una pelliccia, ma tento di convincermi che il cocktail che mi ha dato Seb sia abbastanza per scaldarmi.

Spero non sia andata per di qua.

Alzo allora lo sguardo verso le scale che portano al piano di sopra, dove Taylor ha accompagnato Nick.

Di qui?

Quando sto per salire la rampa, mi rendo conto che qualcuno ha spiaccicato qualcosa lungo tutto il corrimano.

Non so cosa sia, sembra appicoso e mi sale un disgusto tale che non riesco a continuare oltre. Mi volto, pronto a cercarla in giardino. Preferisco morire congelato che scivolare su un mare di merda alcolica, ma una voce mi ferma.

«Amico, hai visto quello schianto?»

«La biondina in bagno?» ribatte allegro un altro tipo.
«Era almeno un otto su dieci!»

Che trogloditi.
Sbuffo, correndo su per le scale. D'un tratto non mi importa più dell'appiccicume, per quanto sia viscido e stomachevole.

Deve essere scivolato pure su qualche gradino, perché mi si è attaccato alle scarpe e avverto quel fastidioso ciac-ciac sotto le suole a ogni passo.

Che schifo.

Una volta in cima, mi guardo intorno. È pieno di gente anche al secondo piano. Faccio una smorfia.

Quei due erano appena scesi quando li ho sentiti e qualcosa mi dice che stavano parlando proprio di Cloé.

Non posso averne la certezza, ovviamente, però nei bagni c'è di tutto: rasoi, limette per unghie, forbici per capelli. Cose taglienti.

Deglutisco, scansando un paio di ragazze che spettegolano fra loro, e comincio ad aprire tutte le porte che incontro.

Una cheerleader vomita nel cestino di quella che credo sia la stanza dei genitori di Taylor. Non si accorge nemmeno che l'ho beccata da quanto è presa e non voglio disturbarla.

Due tizi che stavano limonando mi linciano con lo sguardo quando spalanco la porta di una palestrina casalinga, ma passo oltre prima di sentire i loro insulti.

Apro la terza porta ed è la camera di Taylor. Nick dorme su quel letto assurdamente enorme, avvolto da coperte calde e rannicchiato su se stesso, mentre il gigante con la cresta legge un libro sulla poltrona, accanto a lui. La luce è spenta, ma una lampada gli illumina il volto sereno e il russare sommesso del suo amico lo accompagna ogni volta che gira pagina.

Mi blocco un secondo, osservandoli.

Non stanno insieme un paio di palle!
Penso, andandomene via prima che si accorgano di me.

Quanti minuti saranno passati?
Mi chiedo, affrettandomi.

L'ultima porta che mi si para di fronte è pure l'unica stanza che non ho ancora controllato. Mi asciugo le mani sudate sui pantaloni, prima di girare la maniglia.

È il bagno e tiro un sospiro di sollievo quando realizzo che quella povera ragazza seduta fra il gabinetto e la vasca da bagno è proprio Cloé.

Ha il capo chino sulle ginocchia e sta tremando. Non l'ho mai vista tanto sconvolta.

Chiudo la porta con tanto di chiave, per assicurarmi che nessuno possa introfularsi. Il colpo secco non la allarma per niente, non alza nemmeno gli occhi per controllare chi sia entrato.

Quei singhiozzi soffocati mi lacerano il cuore, ma mi faccio coraggio andandole incontro.

Prendo posto accanto a lei, stupendomi di quanto sia enorme perfino il bagno e, dopo qualche secondo, Cloé si appoggia alla mia spalla di sua spontanea iniziativa.

Il suo profumo di fragola, unito alla vodka che si è scolata, mi stuzzica le narici da quanto è pungente. Ci metto tutto il mio impegno per non farglielo pesare, so che non è il momento.

E lei mi struscia la fronte contro il braccio come un gattino indifeso.

Odio il contatto fisico, però oggi faccio un'eccezione e la tiro più vicino, abbracciandola forte. Posso sopportare sia l'odore che questa intimità, se sono stato in grado di ignorare quello schifo sulla scala.

Posso essere la sua ancora, se ha bisogno di sostegno.

Il suo pianto aumenta, ora urla e le sue sono grida soffocanti e strazianti, talmente disperate che sussulto, preso in contropiede. Il mio tono è calmo, mentre le dico che va tutto bene, che Julia non le farà nulla e che sotto c'è Sebastian che sta prendendo le sue difese.

«Seb?» ripete lei, tirando su con il naso. Finalmente mi guarda in faccia, i suoi occhi rossi e gonfi sono anche tristi e persi.
«S-Seb mi sta d-difendendo?» balbetta e io annuisco.
«Ma Ju-ulia n-non mi ha fatto niente.» le freme il labbro, sta per scoppiare.

«È una stronza, Cloé.» sbotto, pulendole il muco spiaccicato sul viso con una manica.

Non so neanch'io perché non mi faccia estremamente schifo, ma credo di avere altre priorità. Penserò ai germi più tardi.

«Non mi ha nemmeno tradita.» insiste, chiudendosi su se stessa a riccio.
Sposta una manica del vestitino che indossa e sfiora delicatamente il disegno che copre i tagli.
«Perché Jules non è più mia.» continua, con il tono cupo di chi ha smarrito la via.

Quel tenero soprannome le scivola sulla lingua con dolcezza, ma ciò che nasconde è puro rimpianto.

«Quella merita di stare da sola.» mormoro, a rischio di suonare indelicato. Cloé si morde forte il labbro inferiore, voltandosi verso di me con le guance gonfie di tutto il fiato che le rimane.

«Tu non sai nulla, Zack!» grida.
«Julia è bella, gentile e si preoccupa per me! Lei mi vuole bene! Mi ama-» si interrompe, si porta le mani ai capelli e afferra alcune ciocche, strattonandole come se il dolore potesse curarla.
«No, non mi ama più!» urla e la voce diventa graffiante, stridula come quella di un corvo ferito.

Come se l'avesse appena realizzato.

«Perché non mi ama più!? È colpa mia!? È mia, vero!?»

Mi muovo per esserle di fronte e le sposto le mani, anche se lei tira e singhiozza, si dimena. Quando sono riuscito a stringere a me entrambi i palmi, noto alcuni capelli biondi attorcigliati fra le nostre dita.

Li ha strappati.

«Cloé, guardami.» la prego.
Lei scuote la testa, si rifiuta di aprire un dialogo.
«Cloé...» la chiamo ancora.

«Io pensavo fossi mio amico...» sussurra, stanca.

«Lo sono.» le dico.

«Allora perché non sei dalla mia parte?» piange.
«Perché credi a Sebastian e non a me? Ti ho detto che Julia è buona, ma tu-»

«Non basta un po' di trucco per cancellare quello che ti ha fatto.» bisbiglio, sfiorando con il pollice le sue cicatrici. Provo a restare calmo, a darle forza, eppure ora mi pizzicano gli occhi.

Il disegno si sgretola sotto il mio dito e quelle linee bianche, lunghe e pesanti come macigni, si mettono fra noi. Provano a dividerci, ma finalmente Cloé posa il suo sguardo su di me e mi sento meno solo in questa battaglia.

Posso combattere per lei solo se rimane al mio fianco. Non si può aiutare chi non vuole essere aiutato.

Rosse.
Mi dico, accarezzandole i polsi e quelle linee affilate.
Ho il terrore che tornino rosse.

«Cosa faccio?» mi domanda, strizzando gli occhi per cacciare le lacrime.
«Con Julia, con Scarlett, con questo!?» sbarra le palpebre, si china sulle nostre mani unite e mi viene naturale darle un piccolo bacio sulla fronte.

Lei mi osserva, confusa, io provo a sorriderle anche se vorrei solo scappare via da questo incubo.

«Pensa solamente a Cloé.» mormoro.
«Devi prenderti cura di te stessa.»

Lei si lascia sfuggire una risata isterica, spezzata almeno quanto il suo cuore. Non mi rassicura.

«È assurdo che proprio tu me lo dica, quando non prendi nemmeno le tue dannate medicine.» mi accusa.

Non sono sorpreso, però.

«Quanto hai letto?» domando, riferendomi al mio diario. Ovviamente lei lo sapeva. Ho scritto pagine intere sulla situazione, su quanto la malattia mi divida dalle persone e mi condizioni.

«Tutto praticamente.» confessa.
«Non puoi farmi la predica.» si lamenta.

Lancio un'ultima occhiata a quei maledetti tagli, al tremore che le scuote l'animo.

Ripenso a quelle dita giudicanti puntate su di me, a quei sussurri che mi davano dello strambo, alla cattiveria che mi hanno sputato addosso senza alcuna ragione.

Ero solo un bambino, loro però erano adulti.

Cloé fa per tirarsi indietro, per allontanarsi da me e so che sarà per sempre se glielo permetto, quindi aumento la presa e lei mi osserva, perplessa, quando nota che ora siamo in due a piangere.

Non ci credo che sto per dirlo.

«Lo giuro...» mormoro, avvertendo il groppo che ho incastrato in gola farsi più grosso.
«Ti g-giuro che le pr-renderò.» balbetto, lasciandole le dita solo per stringerla in un abbraccio.

Il suo corpicino pare molto più fragile del mio, ma ora tremiamo entrambi. Possiamo farci forza a vicenda?

«Isaac...» mi chiama.

«Sono qui.» sospiro.
«E prenderò i farmaci, m-ma tu stai lontana da Julia.» la scongiuro e la sento di nuovo tirare su con il naso, contro la mia povera maglietta che ora sarà davvero da buttare.

Solo che non me ne frega nulla. Desidero solo che lei stia bene, che non scompaia e che non rinunci alla sua vita per colpa di quella stronza egoista della sua ex.

«Sei uno scemo.» mi rimprovera, però ricambia il mio abbraccio con lo stesso vigore. Non le rispondo.
«Allora non sono più una tartaruga?» prova a buttarla sul ridere, le sue parole mi graffiano.

«Non lo sei.» le dico.
«Ti voglio bene, Clo.»