quarantotto - 𝚕'𝚎𝚛𝚘𝚎

𝚒𝚜𝚊𝚊𝚌 𝚜𝚙𝚒𝚍𝚎𝚛

«Tesoro, devi mangiare qualcosa.» insiste forse per la millesima volta la mamma, ma scuoto la testa.

A che serve? Ogni volta che provo a mandare giù un boccone mi sale la nausea e finisco per vomitare.

"Perché lui non è qui."
Mi ricorda la fatina, con voce graffiante quanto malinconica, agguantandomi un braccio per attirare l'attenzione. Ironico che non mi disturbi nemmeno più la sua invadente presenza. A dire il vero, non mi importa di nulla.
"Zacchino! Non ignorarmi!" mette il broncio.

Oggi ho preso le medicine senza fiatare, lei però è ancora qui.

Non che sia un dramma: dovrò solo parlarne con Linda, ecco tutto. Forse mi prescriverà altri farmaci.

Sospiro. La fata del dentifricio mi osserva di lato, respirandomi il fiato caldo sulla guancia, poi diventa reale e quel volto robusto viene sostituito da quello di Akiko, che mi lascia un grosso bacio sulla gota.
Poverina. Mi spiace che abbia me come figlio. Se a questo punto mi abbandonasse, non mi arrabbierei neppure. Sarebbe solamente ciò che merito.

Ora mi sta dicendo qualcosa, ma non riesco a connettere le sinapsi e ascoltarla. Mi pare di essere dentro una grossa bolla d'aria e a malapena ci respiro.

Credo di essere un casino.

Le medicine non funzionano correttamente se non ho l'energia necessaria per sostenerle e mi è venuta pure la febbre alta un paio di giorni fa. Probabilmente dovuta anche allo stress, oltre che alla mia perdita di appetito.

Maledizione. Vorrei solamente rimanere da solo, però Akiko continua a starmi addosso, preoccupata da morire.

Mi dispiace.

I miei ci provano e mi dicono di rimettermi in piedi, ma la verità è che non voglio davvero fare nulla.

Ho pianto fino a non avere nemmeno più mezza lacrima e credo di essere buono quanto uno straccio in questo momento.

Qualche mattinata fa Paul, magari rendendosi conto del suo errore, ha provato a rimediare chiedendomi scusa, per poi aggiungere che comunque Sebastian era da evitare e... Alla fine non ho retto e gli ho mollato uno schiaffo, dopo avergli urlato contro in una scenata colossale davanti ai nostri genitori. La caffetteria per fortuna era deserta. Poi me ne sono stato in camera mia, sparendo dai radar per il resto della giornata.

E la mamma è venuta a controllarmi quasi un'ora dopo, per assicurarsi che non mi sentissi troppo giù, però non ha fatto alcuna domanda su Seb, per cui sono certo che Paul le abbia parlato quel giorno stesso. Quando l'ho rivisto a cena, aveva un'espressione colpevole e nostro padre lo sguardo assente.

Cavolo...
Sono passate ormai due settimane da quando ho rivisto Sebastian, ma stavolta sembra che sia davvero un addio.

Isabel e Georgie non sanno cos'è successo, credono sia una delle mie solite crisi. O meglio, lo spero. A dire il vero mia sorella è venuta a dormire con me la notte della litigata, rubando il divanetto di solito occupato da Sebastian. Non ha spiccicato mezza parola, si è solo portata la sua coperta e il cuscino per poi stendersi.

E sono abbastanza sicuro che mi abbia sentito piangere, però non me l'ha fatto pesare. L'ho apprezzato, non tutti gli adolescenti sono così sensibili. Un po' mi sento fortunato.

Georgie invece mi ha fatto almeno una decina di disegni. Con amarezza ho notato immediatamente che in più della metà di quelli c'era Seb al mio fianco. E dire che perfino lui si è accorto di quanto mi piaccia averlo vicino, ma Paul l'ha trattato come un criminale e...

...L'ho fatto anch'io.
Era disperato, avrei dovuto parlargli con calma, invece l'ho solamente aggredito.

«So che è dura.» mi dice Akiko, risvegliandomi da questi pensieri tristi.

Ma come può saperlo lei? È una situazione talmente surreale che dubito che qualcuno si sia mai trovato in mezzo a qualcosa di simile.

La guardo, sconsolato. Mamma mi accarezza una guancia, la stessa che poco prima ha baciato.

"Mi manca Sebastian. Lui sarebbe capace di rendere bella pure questa desolazione."
La fatina fa eco ai miei pensieri e io non posso che darle ragione, nonostante mi stia palesemente prendendo in giro. Ora è scomparsa di nuovo, ma la sua dannatissima voce c'è e si è fatta più forte e petulante.
"Forse devi solo immaginare il tuo posto felice, come diceva lui." ridacchia.
E lo fa perché è ovvio che questa volta, quando riaprirò le palpebre cercando la sua presenza, non lo troverò a stringermi in un grande abbraccio.

Seb non c'è, mi ha lasciato. Io l'ho abbandonato.

Scaccio una lacrima con il dorso della mano. Detesto farmi vedere così affranto dalla mamma, però cosa ci posso fare? Sto impazzendo.

Sebastian mi ha bloccato ovunque e quando ho provato a contattarlo con il cellulare di Isabel ha messo subito giù. Paul si rifiuta di darmi il suo telefono e quello è l'unico numero che non ha ancora silenziato.

Tiro su con il naso.

Credo che Akiko abbia appena concluso un enorme discorso, ma sono un figlio orribile e non ho ascoltato nemmeno una sillaba. Voglio solamente che lui torni da me, che mi stringa al petto, che mi accarezzi i capelli e che mi sussurri che andrà tutto bene.

"Non lo farà, caro. Quando ci ha provato l'hai rifiutato, ricordi?" sghignazza quella vipera, malefica.
"E io non potrò vederlo per colpa tua. Uffa! Magari dovremmo solo morire e riprovare in un'altra vita. Tu che ne pensi?"

«Zitta.» mi lascio sfuggire di bocca e la mamma sospira pesantemente, presa in contropiede.

Merda.

«Dimmi che sei in fase ribelle ed era rivolto a me, Zack.» dice, grave, però sono stanco di fingere che vada tutto alla grande e scuoto la testa.
«È qui?» chiede guardandosi intorno come se potesse vederla pure lei. Annuisco.
«Le medicine?» chiede.

«Le ho prese, ma non funzionano se sono troppo agitato. Linda mi ha spiegato che devo rimanere calmo e-» alzo il capo, pentendomi l'attimo dopo di averlo fatto perché dietro al viso affranto della mamma scorgo l'ultima persona che vorrei vedere.
«Andrebbe via se ci fosse Sebastian.» continuo duro, con risentimento, chiudendomi a riccio quando Paul si affaccia alla porta del salotto, quasi dovesse chiedere il permesso di entrare.

«Tuo fratello cercava di proteggerti.» Akiko come al solito mi legge come un libro aperto, ma stavolta non cedo al suo tono rassicurante.

«Proteggermi da cosa!?» sbotto.
«Ha allontanato l'unico che riesce a darmi un po' di pace!»

«Ci siamo noi...» mormora la mamma, però devo metterla al corrente della triste verità per quanto possa ferirla.

«Non è lo stesso.» le dico.
«Senza di lui nulla sembra avere senso. È tutto insapore, incolore e lontano.» rabbrividisco.
«Stavolta sento di averlo perso per sempre, mi pare di stare in gabbia.»

Akiko rimane in silenzio per qualche secondo. Paul intanto si fa largo nel salotto. La sua presenza diventa lentamente più reale e pressante. Mi sta tornando la nausea.

«Mi dispiace tanto.» mi dice infine la mamma, premendo la fronte contro la mia. Io lascio che mi culli.
«Volevo solo che tu fossi felice.»

«Allora perché ci separate?» ribatto.
«Gli vuoi bene anche tu, no? Non sei preoccupata?»

«Io-» evita di darmi una risposta. Se dalle sue labbra uscisse un no sapremmo entrambi che è una bugia.

Sono consapevole quanto tenga a Sebastian: è come un altro figlio per lei e, a giudicare da come le batte forte il cuore ed evita di scontrarsi con il mio sguardo, so che è in pensiero almeno quanto me.

Non vuole farmelo sapere però, tenta di nascondermelo anche se non è poi chissà quanto brava in queste cose. E rimane sospeso fra noi un silenzioso "sì, sono preoccupata".

«Chissene importa di quel tizio. Noi siamo la tua famiglia.» si intromette Paul all'improvviso, avvicinandosi a passo incerto, come se temesse di innescare una mina.
«Non ti bastiamo, Zack?» mi chiede, il tono lugubre e malinconico.
«Non ci ho capito molto nemmeno io, ma so che quello è pericoloso. Puoi trovarti di meglio di un delinquente che gioca a fare il mafioso.»

«Davvero lo lasci parlare in questo modo di Seb?» domando alla mamma, rifugiandomi dall'altra parte del divano, perché non ho alcuna intenzione di stare troppo vicino a mio fratello in questo momento e lui si è appoggiato alla spalliera quasi avesse il permesso di sfiorarmi.

«Isaac-» prova a parlami Paul, ma mi alzo in piedi nello stesso istante in cui tenta di venirmi incontro.

«Lasciami stare.» mi impunto.
Indico la mamma.
«Perfino lei ora è dalla tua parte! Credevo che Sebastian fosse tuo amico! Ci ridevi fino a poco fa e tu l'hai abbandonato di nuovo!»

«Io non ho-» prova a difendersi.

«Sì che l'hai fatto!» lo accuso, mentre il risentimento torna a intrappolarmi. E la fatina sghignazza.
«Non sei più tornato da lui!»

Sebastian ti stava aspettando! È rimasto ancorato a quella spiaggia attendendo che ritornassi sui tuoi passi per settimane, poi mesi e addirittura anni. Ti sei perfino dimenticato che esistesse per un po' e quando finalmente vi siete rivisti non hai avuto neanche un po' di rimorso!
Vorrei urlarlo. Non mi escono le parole giuste. Mi scoppia il cervello.

«Come credi che si sia sentito!?» grido.

"Affranto? Solo? E poi sei sicuro che queste parole siano per Paul, Zacchino?" mi fa eco la fata.

«Perché lo tiri in ballo ora? Non è che fossimo chissà quanto amici, sai.» sbuffa mio fratello.

Eppure io so che per Sebastian era importante che tu fossi lì con lui. Perché era la prima volta che qualcuno gli mostrava affetto senza avere un secondo fine e tu l'hai segnato, per poi calpestare i suoi sentimenti. E continui a farlo!
Lo guardo male.
Vorrei trasmettergli ogni mio pensiero, ogni imprecazione che mi rimane bloccata in gola.

«Senti, Zack. Non so cosa ti frulli in testa, ma avevo altro a cui badare.» ribatte Paul. Il suo è un tono conciliante che però non si sposa affatto con le sue fredde parole. Mi fa imbestialire.
«L'ultima volta che l'ho visto è stato il giorno dell'incidente. Quell'onda ha provato a inghiottirti e io pensavo...» si lascia andare a un lungo sospiro prima di riprendere.
«Eri la mia priorità. Cosa dovevo fare? Lasciarti affogare?» si sfoga.
«Se non avessi chiamato il bagnino non saresti più fra noi.» mi spiega, forse per la milionesima volta, però non riesco ad ascoltarlo. Sono stanco di questa storia.

"Sembra che si diverta proprio a tirare in mezzo questa cosa." ironizza la fata.
"Magari il nostro eroe vuole una statua, che dici?"

Vada al diavolo.

«Se non fossi arrivato in tempo, tu-»

«Stareste tutti meglio, no?» ghigno sprezzante, bloccando l'ennesimo monologo su quella sua grande impresa che mi vede come protagonista.

Lui pare scioccato, non dice nulla. Mamma nemmeno. Eppure io sono stufo marcio e voglio parlare. Da quella volta camminano tutti sui carboni ardenti quando ci sono io. E solo perché la fata è apparsa e io non sono più stato normale. E dopo il liceo la situazione è pure peggiorata.

Cazzo, ho scelto perfino delle scuole diverse per staccarmi dall'immagine perfetta di Paul, ma rimango ancorato all'ombra di mio fratello anche dopo tutti questi anni.
E poi lui è un disco rotto, ogni scusa è buona per rinfacciare cose del tipo: "se fossi stato presente", "se ci fossi stato io"...
Quanto cazzo è egocentrico!? So badare a me stesso!

Avverto il vuoto che ho in petto ingigantirsi lentamente per divorarmi completamente. Il cuore mi batte, furioso e implacabile, e stringo il tessuto della maglia fra le dita per calmarmi, ma non funziona.

Non funziona più un cazzo.

«Rimangiatelo.» mi ammonisce il nostro grandissimo eroe.

«Perché? Da morto non avrei questi problemi, giusto? E voi non avreste a che fare con un peso inutile come m-»

Un boato secco. Poi avverto un dolore bruciante alla guancia. Osservo sconvolto Akiko, che a sua volta mi fissa con la mano ancora sospesa in aria.

«Non dire queste cose!» mi sgrida, per poi abbracciarmi forte e tenermi stretto a sé come se potessi scomparire da un momento all'altro.
«Mi dispiace, Isaac...» mormora, scoppiando a piangere.

Guardo Paul, lui evita di fare lo stesso. Ricambio l'affetto della mamma, ma non demordo e insisto a squadrare mio fratello.

«Anche a me dispiace.» mormoro.
«Mi perdoni, mamma?» domando l'attimo dopo, facendomi travolgere da un'ondata di angoscia.

Nonostante la tristezza però le lacrime si rifiutano di scendere, se non per qualche goccia ribelle. Ho gli occhi talmente rossi che mi fanno male, ma non riesco nemmeno più a fare una cosa così semplice come piangere.

Sono patetico.

E chissà come sta lui.


È il cuore della notte. Non c'è molto rumore, solo il ticchettio incessante dell'orologio che mi accompagna nel sonno.

E vengo puntualmente disturbato. La finestra si apre lentamente. È da giorni che non la chiudo a chiave, sperando che Sebastian cambi idea. E sì, qualcuno l'ha effettivamente spalancata. Mi metto a sedere di scatto, mirando alla lampada sul comodino per accendere la luce.

Finalmente.

«Seba-»

Il sorriso mi muore sulle labbra quando mi rendo con che quello è Paul e che la finestra la sta serrando. Mi sono sbagliato. Maledizione.

Cos'è? Uno scherzo di pessimo gusto?
Mi chiedo, grattandomi il collo per sfogare in qualche il modo il nervosismo che mi sento addosso.

«Fate gli stessi gesti.» mi dice, ma gli rispondo rimettendomi giù e coprendomi con le coperte fino al mento.
«Zack, parlami.» mi implora.
«Quello non va bene per te, è-»

«Se stai per insultarlo ancora ti consiglio di ripensarci.» lo avviso.
«Perché di questo passo non faremmo mai più pace.»

«Isaac, io-»

«Sono arrabbiato anche con me stesso, sai?» ammetto.
«Non l'ho difeso e lui ora mi odia di sicuro.»
Deglutisco, però il magone in gola non si dissolve, anzi pare farsi più grosso e ingombrante.
«È normale che mi detesti, forse starà escogitando qualche assurda vendetta.» ridacchio. Lo accetterei, almeno non mi eviterebbe.
«O si starà dando la colpa.»

«Zack-»

«Seb mi coccolava sempre.» lo interrompo.
«Mi baciava anche.» vuoto il sacco all'improvviso e credo che gli sia venuto un coccolone.
«Abbiamo fatto sesso.»

«Cos-»

«Non è stata una volta sola.» mi rimetto seduto, piegando le ginocchia per potermici appoggiare con il mento.

Sorrido perché nonostante tutto parlare di lui me lo fa sentire talmente tanto vicino che non riesco a smettere. E Paul prende posto sul bordo del letto, invitandomi silenziosamente a continuare, anche se, a giudicare dall'espressione ingrugnita, pare che lo stia bastonando.

Non che mi interessi il suo stato d'animo ora.

«Mi ha anche dato un nomignolo e forse è banalissimo, ma suona così bene quando lo dice lui.»

Prendo il pupazzo a forma di fantasmino che dorme con me da qualche sera ormai. Sebastian me l'ha regalato qualche tempo fa. Prima era suo.

È da quando abbiamo litigato che lo uso come suo sostituto, senza successo. Però quando lo stringo mi sembra di avvertire il suo profumo.

«Piccolo, lo sai che ci sono anch'io, vero?» si era lamentato, abbracciandomi da dietro, quando mi aveva beccato a giocherellare con quel pupazzetto.
«Se ti piace così tanto è tuo, ma ti costerà.»
«Quanto?» avevo chiesto con tono malizioso, alzando un sopracciglio. Mi aspettavo qualcosa che coinvolgesse un sex toy ed ero già eccitato all'idea.
La sua risposta però fu tremendamente dolce: «Un milione di baci, ma tranquillo puoi pagare a rate.»

Paul ancora non dice nulla, ma sono grato di questo silenzio perché ho più tempo per pensare a quanto mi rendesse felice stare al fianco di Seb. E un po' di quella gioia penso che mi sia arrivata al cuore perché non riesco a smettere di sorridere, nonostante abbia la voce rotta e il magone sia diventato grande quanto un edificio a due piani.

«E poi gli brillano gli occhi quando scrive le note di una nuova canzone. L'altro giorno era tutto intento a inventarsi delle rime perché si era messo in testa di dedicarmi qualche strofa.» sghignazzo, rivedendolo nella sua stanza al dormitorio, immerso nei fogli. E io avevo occhi solo per lui, anche se fingevo di essere più interessato al cellulare.
«Non la finirà mai quella canzone.» concludo, accarezzando le guanciotte del peluche come se fossero le sue mani calde.

«Sai che gli piace il gelato al gusto cavolo? L'abbiamo provato insieme. All'inizio era un po' restio, ma mi è venuto dietro quando gli ho assicurato che era fantastico.» sospiro, facendomi travolgere dai ricordi. Non dimenticherò mai il suo volto stupito quando si è reso conto che gli piaceva, per quanto fosse insolito, e il suo tono orgoglioso mentre mi diceva: «Non tirartela solo perché stavolta ci hai preso. E poi per te facile capirmi. Mi conosci come le tue tasche ormai!»

«Mi ha promesso che mi avrebbe insegnato a nuotare e poi a surfare.» gli dico.
«Aveva detto di aspettare le stagioni più calde, ma immagino sia saltato anche quello.»

«Zack, basta...» mi implora Paul e leggo nel suo sguardo stravolto solo rimpianto, però decido di non dargli retta.

«Perché? Se non vuoi ascoltarmi, vattene.»

«Io...» ma non dice altro.

«Non puoi impedirmi di pensare a lui, peste.» sospiro.

«Isaac, se stai cercando di farmi sentire in colpa-»

«Ci sto riuscendo?» rido.
«Anzi non rispondere. Tanto non cambierà niente, no?»
Ormai sono rassegnato. Sebastian non verrà.
«Hai detto a mamma e a papà che se l'avessero visto l'avrebbero dovuto mandare a casa, vero? Ma tanto la vostra alleanza è inutile perché non si avvicinerà nemmeno.»

«Non c'è nessuna alleanza. Lo stiamo facendo per te.»

«In che modo stargli lontano dovrebbe aiutarmi?»

«Ecco...»
Ovviamente non sa argomentare.

«Ti ho spiegato che l'attacco che ho avuto era dovuto alla sua lontananza e non l'opposto, no?» chiedo benché sia ben consapevole quanto sia inconcludente tentare di ragionare con lui.
«Non mi hai salvato questa volta, Paul. Mi dispiace strapparti di dosso l'etichetta da eroe ma è così. Tu mi stai ammazzando privandomi di Seb.»

«Isaac...»

«Tranquillo, non intendo mica letteralmente. Starò comunque qui. Anzi vivremo insieme, giusto? Mi porti via alla fine.» lo guardo. Lui è rimasto senza parole. Non si aspettava che lo sapessi. La decisione è presa ormai, il biglietto è pronto, le valigie lo saranno presto e io a quanto pare non ho voce in capitolo sulla faccenda.
«Solo perché sono silenzioso, non significa che non ascolto. Ne avete parlato quasi non fossi nemmeno in casa. Mi considerate già fuori dalla porta?»

«Zack, smettila.» si impunta.

«Lo so. È per il mio bene eccetera eccetera.» faccio spallucce.

Sento così tanto freddo. Probabilmente mi si è rialzata la temperatura. Dormire con la finestra aperta immagino che non fosse una buona idea. Voglio dire, a che scopo? Seb non tornerà da me.

Io l'ho abbandonato.

Lui mi ha lasciato.

Si troverà una brava ragazza, metterà radici con lei.

Mi dimenticherà.

«Zacchino-»

«Non farlo.» lo prego.
«Anche lui mi chiamava così.» mi sposto per impedirgli di toccarmi e Paul ritrae la mano, quasi scottato.
«Ho sempre odiato quel soprannome ma, anche se dicevo il contrario, in fondo mi piaceva quando era lui a pronunciarlo. Aveva un non so che di dolce.» rido.
«Sai, avevo iniziato a chiamarlo Sebby. Avrei potuto dargli tanti altri soprannomi amorevoli. Forse addirittura pasticcino o zucchero

«Tu hai sempre odiato queste cose.» mi fa notare. Ha ragione.

«Seb rendeva tutto bello, forse sarebbero diventate piacevoli anche queste stupide cose da coppietta.» sorrido.
«Non riuscirai a farmelo dimenticare, Paul. Gli ho promesso che non l'avrei mai scordato. E soprattutto io non sono te.»

«Ancora? Non l'ho scordato, ok?»

«E allora perché non sei tornato da lui quando hai potuto?» lo provoco.

«Zack, eravamo bambini.»

Annuisco.
«Già, lo so.»

«Allora perché mi tormenti?» esplode.

«Senso di colpa, credo. Ero lì ma non gli sono stato vicino fin dal principio.» ribatto. Forse se ci fossimo conosciuti da piccoli le cose sarebbero andate diversamente.
«Vorrei che mi avesse incontrato per primo. Io non l'avrei lasciato.» gli lancio un'occhiata.
Paul impreca a bassa voce.

«Ti rendi conto che la tua è un'ossessione, almeno?»

«Sì, voglio dire è palese.» inclino il capo.
«E poi il nostro rapporto era completamente sbilanciato. Siamo entrambi egoisti, possessivi e praticamente incontentabili.»

«Allora perché non rinunci e basta? Quella roba non è nemmeno amore.»

«E chi cazzo sei tu per dirlo?»
Sobbalza. Ho usato un tono calmo, ma glaciale. E credo che gli abbia fatto più male di qualsiasi schiaffo. Un po', me ne compiaccio.
«Lo so che ciò che provo è malato, sbagliato, difettoso, eppure voglio solo stare con lui...»

Ho deciso: il fantasmino lo chiamerò Sebby. Non gli avevo ancora dato un nome.
Sebastian non nomina gli oggetti, lo trova insensato, ma con me aveva ceduto e io e lui avevamo deciso di mettere giù qualche idea e darglielo insieme.

Avrei voluto unire i nostri nomi, ma ora mi sembra stupido farlo e poi vorrei avere una scusa per dire ad alta voce Sebby almeno qualche volta.

«Zack, scusa. Perdonami, va bene?» si arrende Paul.
«Giuro che le cose andranno meglio.»

«Come puoi dirlo? Mi stai portando via pure Cloé e lei ha bisogno di me.»

Lui sospira pesantemente. Penso che per un attimo gli si sia fermato il cuore.
Un altro strike per il nostro fantastico eroe, immagino.

«So che hai parlato con i suoi genitori, che gli hai detto che sono instabile o qualche puttanata simile per impedirmi le visite.»

Mi hanno scritto di non preoccuparmi per Clo e di riprendermi presto. Oh, se solo sapessero...

«Ma lo sei, Zack.»

«Anche lei.» lo fisso.
«E Seb.» aggiungo.
«E tu hai deciso di distruggerci tutti senza conoscere la situazione.» mi rimetto giù a dormire.
«Sei davvero un grande eroe, Paul. Congratulazioni.»

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