flashback due - 𝚒𝚗𝚟𝚘𝚕𝚝𝚒𝚗𝚒 𝚎 𝚌𝚊𝚛𝚘𝚝𝚎
ottobre - 𝚒𝚜𝚊𝚊𝚌 𝚜𝚙𝚒𝚍𝚎𝚛
Tornato a casa, l'ultima cosa che mi aspettavo di vedere, dopo un estenuante lunedì mattina passato a lamentarmi con Linda, era sicuramente Sebastian intento a prendere le ordinazioni al mio posto, con tanto di divisa da cameriere. E invece eccomi qui.
Aguzzando lo sguardo, noto sul suo petto il familiare cartellino con il mio nome inciso sopra, che accompagna quasi tutte le mie giornate. È spillato sul petto del gilet ed è difficile toglierlo perfino se si fa uso di un paio di affilatissime forbici da cucito.
Inoltre ho appena capito perché la camicia che indossa sotto, bianco panna, non è quella del nostro bar: mia madre probabilmente gli avrà fatto indossare solo il grembiule, per coprire i pantaloni scuri ed eleganti, e il mio gilet, che tiene aperto perché evidentemente troppo piccolo per il suo fisico scolpito.
La signora Beatrice sta chiacchierando con lui in un italiano fluidissimo - o almeno così mi sembra - mentre il caro maritino li fulmina con gli occhi, palesemente geloso della gioventù e bellezza di Seb.
Sapevo che fosse di origini italiane, che il suo cognome traeva in inganno perché suo nonno ai tempi l'aveva cambiato, ma non mi aspettavo che conoscesse perfino la lingua. Né che conquistasse così presto le simpatie della nonnina.
Perfino io ci ho messo un mesetto.
Seb d'un tratto borbotta qualcosa in un dialetto ancora più tagliente di quello a cui sono abituato e poi arrossisce vistosamente, distogliendo lo sguardo. La signora Beatrice si porta una mano alla bocca, ghignando tra sé e sé. Il marito invece, povero martire, scuote la testa, sconsolato.
“Hanno toccato l'argomento fidanzata.” dichiara la fata senza mezze misure, come se avesse la risposta a tutto.
Un piccolo colpo alla schiena mi fa trasalire.
«Ma ti vuoi spostare?» domanda Isabel alle mie spalle, costringendomi a un passetto laterale per permetterle di entrare.
«Ti sta scendendo almeno un litro di bava.» mi punzzechia poi, urtandomi con lo zaino per errore. O almeno spero.
Il suo modo di chiedermi scusa è una smorfia annoiata.
“Gli adolescenti!”
Si lamenta la fatina, solo che poi mi sorpassa anche lei con la stessa grazia, con tanto di linguaccia.
Ma che problemi ha il mio subconscio?
Finalmente mia madre, Sua Signoria il caporale maggiore, si accorge della mia notabile presenza, quindi decide di seguire la sacra via dell'imbarazzo.
Ammicca con le sopracciglia indicando Sebastian e già mi sento morire di vergogna.
Cos'ho fatto di male nella mia vita precedente per meritarmi questo trattamento?
Mi avvicino a lei, guardingo. Faccio appena in tempo a poggiare il mio diario sul bancone e sistemarmi gli occhiali che subito parte all'attacco: «Sarebbe un ottimo acquisto.»
Ovviamente parla di Sebastian. So che vorrebbe spettegolare, ma dopo la seduta di oggi non è che sia proprio in vena.
«Ah-ah.» mugugno, tirando via l'elastico dal polso per improvvisare una coda di cavallo.
«Senti, ma', la mia divis-»
«Dimenticala.» sorride.
«Puoi stare al bar.»
«D'accordo.» alzo gli occhi al cielo e faccio per prendere posto dietro alla familiare cassa, ma Akiko decide di mettersi in mezzo.
«Dovresti invitarlo più spesso.» propone.
«Viene già qui un giorno sì e l'altro pure.» le faccio notare.
«Sta al dormitorio, giusto? Ogni tanto potrebbe fermarsi anche a dormire.» sbuffa.
«Magari si sente solo soletto lì.»
«Ne dubito. Ha un coinquilino.» le comunico con nonchalance, eppure a lei pare che stia per venire un infarto.
Aggrotta le fini sopracciglia, mi fa sentire un po' a disagio.
«Un coinquilino etero?» domanda infine, facendomi arrossire.
«Cosa? Non lo so.»
Dio, non sta succedendo davvero.
«Mm... Vabbè, dubito sia il suo tipo.» gongola.
«Sì, certo.» alzo gli occhi al cielo.
“Non sfidare tua madre, Zacchino.” mi rimprovera la fata del dentifricio, ma il suo avvertimento mi arriva in ritardo perché Akiko ne sa davvero una più del diavolo.
«Sono abbastanza certa che gli piacciano i ragazzi con i capelli lunghi e viola.» allude infatti, facendomi stringere il petto.
Ma che problemi ha?
Le lancio un'occhiataccia che ricambia con un movimento di sopracciglia molto più che ambiguo.
“Te l'avevo detto.” mi punzecchia la fata.
Decido di ignorarle entrambe. Non voglio sapere cosa passa per la testa di mia madre: dubito che sia qualcosa di non traumatizzante.
«Comunque...» continua d'un tratto il caporale, sistemandosi un orecchino.
«Chiedigli se stanotte si ferma. Anzi convincilo. Faccio gli involtini.»
«Con il cavolo?»
La mia smorfia disgustata comunica ben più cose della bocca. Odio quei cosi. Perché si ostina a cucinarli?
«Sono i suoi preferiti.» annuisce.
«Che gusti del cazz-»
«Linguaggio!» mi interrompe, inviperita.
«Sei in servizio.» mi porge il suo grembiule; immagino non le serva più.
Mentre me lo allaccio in vita, aggiunge: «Avete già dormito insieme, no? Invitalo.»
Per quanto mi piaccia l'idea che stia qui, so già dove Sua Signoria vuole andare a parare. Adoro che mia madre mi supporti così tanto, però dovrebbe capire che ho i miei tempi. Già le poche volte che resta mi si ferma il cuore.
Io sto a rischio infarto!
«Mamma, ha letteralmente due case. Una è pure qui nei paraggi.» schiocco la lingua contro il palato.
«E quindi? La nostra è di sicuro più accogliente.» ribatte fiera.
«Sì sì, va bene, ok.»
Mi allungo verso il diario, ne accarezzo la copertina con estrema delicatezza prima di riporlo sotto il piano, al sicuro dagli schizzi di birra.
Intanto Akiko ha già le mani sui fianchi ed è pronta alla guerra. Mai mettersi contro una mamma orientale e il futuro dei suoi figli: rischi che ti arrivi una bacchettata sulle mani o, peggio, che ti cucini cozze oppure pesci ugualmente puzzolenti.
«Zacchino, dovresti ascoltare tua madre. Ai miei tempi i figli obbedivano ai genitori.» comincia il suo discorso con una velata nota di superiorità nella voce, quasi si stesse autoproclamando autorità massima.
Non che sia tanto diverso dalla realtà: papà tende ad accontentare ogni suo capriccio. Forse è per questo che è così egocentrica.
«Ho vent'anni.» le faccio presente.
«E allora? Io rispetto i nostri antenati e loro ne hanno almeno un centinaio. Perché tu non puoi fare lo stesso con me?» mette il broncio.
«Mamma, non posso costringerlo. Se vuole andare a cas-»
«Figurati se vuole tornare là!» incrocia le braccia al petto.
«Scommetto che non lo trattano con amore, guarda come sta sciupato!»
Certo. Descriverei proprio così il nostro Sebastian-ammasso-di-muscoli-Show.
Anche se ha ragione da vendere sul rapporto che lo lega a suo padre. Da quello che so tra di loro c'è tutto tranne che affetto.
«E come lo sai tu?» le chiedo, già stufo di questa conversazione.
«Istinto materno.» fa spallucce.
«E poi qui c'è qualcosa che a casa non ha.» canticchia scuotendo il capo, soddisfatta di aver catturato la mia attenzione.
«Cosa sarebbe?»
«Un'adorabile suocera.» si indica.
«Isabel è troppo piccola per lui.» faccio il finto-tonto. Eccola che riparte: sapevo che saremo tornati a questo.
«Lo so. Io mi riferivo a un certo Zacchino che disprezza l'amore di sua madre.»
«Ho solo detto che non lo voglio invitare.» mi acciglio.
«È lo stesso.» si impunta. Poi ghigna e non mi piace per nulla.»
«Oh, Seb! Isaac deve dirti una cosa.» annuncia gioviale.
Faccio appena in tempo a voltare il capo che me lo ritrovo dietro il bancone, a un passo da me.
Merda.
«Vi lascio soli!» esclama il caporale.
«E stasera ci sono gli involtini.» detto questo, se ne va.
Mannaggia a lei!
«Con il cavolo? Buoni.» sorride Sebastian. Socchiude le palpebre, mi sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio. È una cosa che fa spesso, ma non riesco ad abituarmici.
«Mi piacerebbe mangiarli.» mormora grave e - merda! - da come lo dice non sembra stia parlando di un cazzo di involtino.
Oh, cazzo.
Faccio un respiro profondo.
«Puoi rimanere, se vuoi.» cedo, nonostante l'istinto mi stia urlando che è una pessima idea. Ho bisogno di riposare e riflettere sulla semi-sfuriata di Linda.
«Isaac, devi prendere le medicine!» ha detto.
E io lo so che devo, ok? È solo che non voglio. Mi fanno sentire malato e-
«Zack?» Sebastian richiama la mia attenzione.
Mi sono distratto di nuovo. Merda.
Un sorriso divertito gli circonda le labbra piene, illuminando quello sguardo di cui sono perdutamente innamorato.
«Ho detto che mi fermo.» mi spiega pazientemente, prendendomi la mano per accarezzarne il dorso.
«Sì, va bene.» brontolo, tentando di ignorare il calore che mi trasmette.
«Ti sei perso nel tuo mondo?» domanda.
«Un pochino.» ammetto.
«Sei stanco? Vuoi riposarti?» chiede allora.
«Ti do il cambio.»
«Tu non lavori qui.» gli faccio notare.
«Il contratto che ho firmato dice l'opposto.» mi fa la linguaccia.
«Anche se è solo per una settimana.» aggiunge.
«Mia madre ti ha incastrato, eh?» lo prendo in giro.
«Ha detto che potrei perfino ereditare l'attività.» ridacchia.
«E come? Ti adotta?»
Oddio, ne sarebbe capace.
«Più o meno: mi ha offerto la tua mano.»
Ma che cazzo!
«Le hai detto che hai una ragazza?» domando brusco, distogliendo immediatamente lo sguardo.
«Perché mentirle? Non ce l'ho mica.» sospira, mollandomi piano la mano.
«Sei arrabbiato?»
«No.» metto il broncio.
«Bugiardo.» mi pizzica una guancia.
«Ma visto che sono in servizio, per ora ci passo sopra. Per tua fortuna sei abbastanza tenero.» conclude.
Se ne va prima che possa ribattere.
Anche se forse è meglio così.
L'unica cosa che avrei potuto dirgli è: quello tenero sei tu.
Probabilmente non sarebbe stata una top-risposta, considerando che sono più rosso di un Bloody Mary.
Non posso credere che Seb abbia preferito rimanere a cucinare con mia madre piuttosto che salire in camera con me. Rimpiazzato da un paio di schifosi involtini: è così che dovevo finire!
Sono tremendamente irritato.
Per questo inizialmente avevo allineato tutti i miei peluche sul letto: per pestarli uno a uno. Eppure per qualche ragione ora gli sto facendo un discorso.
“È successo perché hai preso il diario, l'hai scaraventato contro il muro, si è aperto, hai disegnato qualcosa di molto esplicito e altrettanto imbarazzante, ne sei rimasto così soddisfatto da pubblicarlo online cambiando i nomi e ora ti sei montato la testa per un paio di like.”
Riassume la fatina, limandosi le unghie con uno spazzolino.
Blah blah blah. Ma tu che ne sai?
“Io sono te.”
Zitta.
Mi sistemo gli occhiali, prima di riprendere il sorriso e annunciare fieramente: «Voglio ringraziare per questo premio soprattutto la mia famiglia, che mi ha ispirato e-»
«Che fai, Isaac?» domanda Sebastian all'improvviso, picchiettandomi sulla spalla.
«Aaah!» ammetto che l'urletto che mi è appena sfuggito dalle labbra sia la cosa meno virile che sia mai esistita.
Mi porto le mani alla bocca, fissando con rancore la porta spalancata. Vado a richiuderla e stavolta mi assicuro che sia a chiave.
Sospiro.
Almeno non è stata Isabel a beccarmi.
«Amico, rilassati.» ridacchia Seb.
Non so se sia davvero un bene che lui sia così abituato alle mie stranezze. Sono abbastanza certo che chiunque altro avrebbe riso o mi starebbe prendendo per il culo, Seb invece non ha battuto ciglio.
Ed è imbarazzante.
«Mi hai spaventato a morte!» confesso, portandomi una mano al cuore.
Cazzo. Sta battendo un po' troppo forte.
«Scusa.» mi dice, eppure non sembra per nulla pentito mentre si scompiglia i capelli ribelli.
«Quindi? Che combini?»
«Solo le prove per le mille interviste future che mi faranno. Diventerò un grande fumettista!» esclamo, prima di ridimensionare la cosa.
«Scherzo. So che non ce la farò, ma ogni tanto sognare va bene, giusto?»
Dio, devo sembrargli pazzo.
«Sei troppo modesto, Zack.» sbuffa.
«Ho visto i tuoi disegni. Sono buoni.» continua prendendo il cellulare. Ci metto un secondo a realizzare che ha aperto il mio profilo.
«Questo qui mi somiglia.» continua, indicando l'ultimo post.
«Non sei tu.» taglio corto.
«Si chiama Jacob.»
«Lo so. Mi hai solo usato come ispirazione, giusto?»
«Pff, No.» mento.
Non la beve nemmeno per un istante.
«Ok, l'ho fatto.» confesso subito. Non riesco mai a resistergli e lui se ne approfitta sempre.
«Mi avevi dato il tuo permesso però.» gli ricordo.
«Ero ubriaco.» sorride.
«Quindi devo eliminarlo?» faccio il broncio. Mi renderebbe un po' triste, però se fosse il diretto interessato a chiedermelo immagino che dovrei.
Giusto?
«Nah, mi piace.» ammette senza alcuna vergogna.
«Anche se il mio sedere è molto più sodo.»
«Sebastian!» gli do un pugnetto sul braccio, lui sghignazza.
«Che c'è? È la verità.»
«F-facciamo che ti credo e non indago la cosa.» balbetto, provando a rubargli il cellulare, ma riesce a mettere un cuoricino prima che lo raggiunga. E quando mi rendo conto di essergli finito contro il petto, faccio un passo all'indietro, finendo per sbattere contro il comodino.
«Tutto bene?» mi chiede, senza perdere quel sorriso solare.
Che stronzo.
«Sto alla grande.» mi lamento, accarezzandomi la coscia.
«Comunque ignora i commenti di una certa Alicenove-qualcosa.» sbuffo. Mi arrendo.
Incrocio le braccia al petto, attendendo che li cerchi.
So che lo farà. E infatti.
«Perché? Oh!» ridacchia, scorrendo tra le varie emoji.
«Internet.» alza gli occhi al cielo, divertito.
Speravo che si imbarazzasse. Almeno non sarei stato l'unico. E invece guarda com'è contento!
“È preoccupante che non lo infastidisca il fatto che una tizia a caso voglia metterlo in un vasetto e-”
Stop! Non voglio ricordare certe cose.
«Comunque non sei tu.»
«Certo, come no.» mormora riponendo il telefono in tasca.
«Quindi sai già cosa gli farai fare nel prossimo capitolo?» domanda sinceramente interessato.
«Vorrei più disegni sul suo fidanzato. Chi hai detto che era il bottom tra i due?» parte a ruota.
«Non so se continuo.» borbotto.
«Voglio dire, non è nemmeno chissà cosa.»
«A me e a un sacco di altra gente piace.» mi fa notare.
«Tu sei un lecchino. Perché stai spostando i pupazzi?» chiedo, vedendo come si aggira per la stanza toccando questo e quello.
«Sono il tuo pubblico, giusto? Dovrebbero darti più spazio. Sei una celebrità, no?» ribatte senza prendersi la briga di voltarsi. Allontana Miss Ranocchia da Orsetto-bu e Apetta Allegra, poi scambia Scimmiotta e Lavandino il dinosauro. Sistema almeno altri cinque peluche prima di ritenersi soddisfatto.
«E io mi metto qui. Ti faccio da giornalista.» conclude, lasciandosi cadere sul bordo del materasso.
Ha afferrato una carota finta, quella che accompagnava Mr Coniglio, il peluche che ci osserva da sopra il cuscino. Pare voglia giudicarlo, visto che gli ha appena fregato il pranzo.
Sebastian si schiarisce la gola.
«Cosa? No! Io stavo solo giocando e-» provo a farlo desistere, perché questa è un'idea follemente infantile, ma lui non mi lascia molta scelta.
«Mi dica, signor Spider, chi è che voleva ringraziare per il premio?» annuncia con tono volutamente pomposo, portandosi l'ortaggio alle labbra. Poi me lo porge dalla punta.
«Fai sul serio?» borbotto, incredulo.
«Può rispondermi? È una domanda che si stanno chiedendo tutti in sala.» si morde il labbro inferiore, trattenendo una risata.
«Non usare le mezze citazioni contro di me!» lo sgrido bonariamente.
«Signor Spider, la prego di non sorvolare sulla questione.» insiste, giocoso.
Cazzo, mi scalda il cuore.
«Quella è una carota, non un microfono.»
«Usa l'immaginazione.» sbuffa, allontanando l'arnese dalla bocca. Ci ha perfino appoggiato sopra la mano, quasi temesse un rimbombo.
«Non la pianterai finché non ti darò corda, vero?» inclino il capo, lui annuisce.
«Verissimo.»
«Sei un cretino.» dichiaro.
«Insulti a parte, chi ringraziamo per questo premio, Zacchino?» ride spensierato.
È dannatamente bello quando fa così.
Ci penso su un attimo. Se non lo accontento, continueremo per tutta la sera. E poi che male c'è? Questa messinscena, per quanto finta e stupida, è abbastanza tenera.
«La mia famiglia e-» mi mordo le labbra. Aspetto che mi chieda di più.
«E?» mi incoraggia, recependo il messaggio.
«E il mio migliore amico.» mi gratto la nuca.
«Ma davvero?» ghigna.
«Ok, togliti quello stupido sorrisetto dalla faccia!»
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