quarantuno - 𝚌𝚕𝚘𝚎́ 𝚎 𝚓𝚞𝚕𝚒𝚊
𝚒𝚜𝚊𝚊𝚌 𝚜𝚙𝚒𝚍𝚎𝚛
Quando la incontrai per la prima volta, andavo alle superiori.
La vidi in corridoio, circondata dalle sue amiche, che sparlottava di chissà chi. I nostri sguardi si incrociarono per mezzo secondo, ma non diedi molto peso alla cosa.
Mi affrettai verso l'aula del professor Cullen, sperando di arrivare prima che occupassero tutti i banchi in fondo.
Passò qualche giorno.
Fu in una mensa piena di mocciosi urlanti e agitati che parlammo per la prima - e al tempo pensavo ultima - volta. Stavo giocando con il mio ds, rifiutandomi categoricamente di toccare il pranzo, visto quanto era messo male, e lei mi approcciò sfiorandomi lievemente una spalla.
«Carino Sonic.» mormorò e, quando mi girai, mi sorrise.
Però la sua voce mi era parsa strana. Non mi piaceva perché la trovavo particolarmente acuta, come se si stesse sforzando di apparire gentile.
La guardai, rimanendo sulle mie, e la ringraziai con un gesto del capo seguito da un sospiro, prima di tornare al riccio blu.
Con il senno di poi, ammetto di essere stato veramente uno stronzo a rifiutare tanto apertamente la sua amicizia ma, a mia discolpa, quello era un periodo grigio.
Mi sentivo particolarmente solo e non riuscivo a vedere altro che dolore ovunque.
Immerso in quelle giornate apatiche, mi ero chiuso in me stesso ancora di più. E non volevo essere salvato.
Desideravo guarire le mie ferite piano piano, lentamente. Paul si era trasferito, lasciandomi indietro, e avevo bisogno di tempo dopo aver perso l'unica persona che mi aveva sempre protetto. Dovevo riflettere su molte cose, prima fra tutte la mia cazzo di malattia, che ultimamente mi stava facendo impazzire.
A dire il vero i muri che mi ero costruito intorno in un certo senso mi nascondevano la brutta realtà: un mondo in cui ero circondato da persone sconosciute, senza più alcun appiglio a cui aggrapparmi.
Non ero ancora pronto ad abbatterli. Allora avevo deciso di non prendere più alcuna medicina.
Ammetto che il rancore che nutrivo verso il perfetto Paul Spider, in quel periodo, si era gravemente intensificato. Mi sentivo abbandonato. E odiavo il pensiero di essere costantemente paragonato a mio fratello. Lo facevano tutti. I professori. I compagni. Perfino i miei genitori a volte.
Ma io non ero Paul. Ero Isaac.
Quindi detestavo essere disturbato. Volevo essere come un laghetto quieto, dalle acque fredde e congelate. Privo di onde, di animali e di piante.
Solo un enorme buco pieno di cose inutili e trasparenti.
Tutto qui.
E ogni volta che un estraneo apriva bocca, era come se un enorme masso venisse gettato in quelle acque e ciò alterava gravemente il mio umore, rendendomi tempestoso.
La fatina compariva e io non lo accettavo. Quando lei non c'era però era la consapevolezza di essere totalmente solo a levarmi il respiro.
Conobbi Julia nel momento più nero della mia intera esistenza.
Tornando a quel giorno, onestamente non sapevo nemmeno di averla ridicolizzata, umiliata o qualsiasi cosa dicessero le voci che, da quel momento in poi, cominciarono a circolare sul mio conto.
Mi accorsi troppo tardi di aver oltrepassato il limite.
Mentre facevo correre Sonic e recuperavo monetine a forma di hula-hoop, provando a distrarmi, lei mi stava già disegnando un bersaglio sulla schiena.
Aveva tentato un altro paio di volte a catturare la mia attenzione, ma la fatina del dentifricio gridava e non ero abituato alla sua presenza, quindi mi concentrai su di lei e la sua voce stridula, ignorando la ragazza.
Alla fine Julia mi lasciò in pace e, poco dopo, pure la mia amica immaginaria seguì i suoi passi.
Non mi sembrava di aver fatto niente di che, in realtà. È un ricordo così lontano e stupido che mi è venuto in mente solo adesso che non posso più rimediare.
Se ci avessi pensato prima, le avrei chiesto scusa e forse mi avrebbe risparmiato questo immenso dolore.
O magari no, probabilmente voglio darmi la colpa, perché in fondo non accetto l'idea che Cloé abbia ceduto. Che quel mostro sia riuscita a farla crollare definitivamente.
Julia è sempre stata cattiva: mi domando perché le abbia dato il beneficio del dubbio finora. Forse volevo credere che il mondo non fosse poi così brutto, che quella del liceo fosse una parentesi infelice.
«Ti ho portato una cosa.» mormoro, appoggiando delle bustine di zucchero e di ketchup sul comodino che le hanno riservato, accanto ai fiori di Seb e alle foto di Scarlett.
«Così se ti svegli puoi giocare con qualcosa... So quanto ti piace improvvisare.» ghigno, ma la battuta mi esce fuori spezzata a metà da un singhiozzo.
Hanno detto che si riprenderà, che le hanno dato dei calmanti perché era agitata e rischiava di farsi ancora del male, ma vorrei solo che aprisse gli occhi. Che mi dicesse che va tutto bene.
Le prendo una mano: è fredda come il ghiaccio.
Ho un magone in gola.
Julia, perché?
Mi chiedo.
Solo una settimana dopo la nostra chiacchierata unilaterale, scoprii di averla mortalmente offesa. Lei era nel gruppo dei ragazzi popolari e le sue amiche presto iniziarono a fissarmi in corridoio, indicarmi in classe e deridermi a ogni occasione.
Le ignoravo: cos'altro potevo fare?
Del resto neanche mi importava più di tanto.
Avevo altro per la testa.
In quello stesso periodo, mi appassionai un po' a quei film adolescenziali che esaltavano l'esperienza del ballo studentesco, elogiandolo come qualcosa di meraviglioso. E decisi che volevo quella corona.
Soprattutto grazie alle sedute con Linda, avevo acquisito un po' di autostima e fiducia in me stesso, stavo curando il mio aspetto anche più del solito ed ero riuscito a farmi perfino qualche amico. Quindi mi dicevo: perché no?
E allora cominciai con il propormi come segretario del consiglio perché, stupidamente, ero convinto che quel ruolo mi avrebbe reso benaccetto.
Ma votarono Julia, nonostante avessi il sostegno degli insegnanti e di un discreto numero di studenti.
Poco male.
Mi dicevo.
Julia mica poteva rubarmi pure la corona. E poi volevo far parte del consiglio con un secondo fine in mente, quindi forse era un titolo che non meritavo.
Julia ovviamente non vinse la corona di re del ballo, ma se la prese il suo cavaliere.
Non ricordo il nome di quel ragazzo, ma quello che fece mi è rimasto impresso a fuoco nella memoria.
Nella vita si vince e si perde quindi, benché ci fossi rimasto male, sorrisi e applaudii quando i due regnanti salirono sul palco.
Il cavaliere di Julia, però, poi prese il microfono e cominciò a parlare.
Un intero discorso, lungo chissà quanto.
Pieno zeppo di insulti verso uno studente ignoto, accusato di andare a letto con un insegnante.
Quando finì, un faretto mi illuminò il viso, accecandomi.
Mi guardai intorno, inciampai su qualcosa e, mentre i miei occhi cominciarono ad abituarsi a quel giallo intenso, li vidi.
Sguardi cattivi mi trafiggevano ovunque.
Mi sentii piccolo e patetico.
Ero io l'ignoto, ma non avevo fatto nulla di male. Si stavano sbagliando. Provai a difendermi, ma quando aprii bocca non uscì un singolo suono.
Smisi di respirare, non ricordavo come dovessi farlo. So solo che i professori presenti intervenirono in quel momento. Magari anche loro erano scioccati, per questo non erano stati abbastanza rapidi.
Passò altro tempo.
Aumentarono le mie sedute con Linda.
E persi di vista gli amici che mi ero fatto.
La situazione si chiarì solamente l'anno successivo: lo studente ad avere una relazione con Cullen era proprio il cavaliere di Julia.
Per evitargli il bullismo che subii io prima di andarmene da quella scuola, però, rimase anonimo. Parlarono solo con i nostri genitori e con quelli di Julia che, dopo qualche domanda, fu dichiarata innocente. Lei d'altra parte era solo la sua accompagnatrice: come poteva prevedere che il suo partner avrebbe preso il microfono per fare quelle pesanti dichiarazioni?
Non l'aveva mica istigato lei, giusto?
Alla fine, il professor Cullen fu licenziato e io aggiunsi un nuovo trauma alla mia lista.
Ma a pensarci ora, Julia è brava a manipolare gli altri, a renderli sue pedine...
Esco dalla stanza, lasciando riposare Cloé. Rimanere lì stava diventando troppo soffocante.
«Zack?»
Seb mi aspetta dall'altra parte del corridoio. Questo posto mi fa male: è bianco e stretto, sommerso dai pianti dei genitori di Cloé.
Akiko è con loro, sta provando a consolarli, però capisco che ogni parola appaia loro vuota in questo momento.
Vado da Sebastian, gli faccio segno di seguirmi fuori. E lui lascia Taylor per venire con me.
Mi trascino all'ingresso dell'ospedale, poi fino al parcheggio. Solo una volta giunto nei pressi dell'auto della mamma, trovo il coraggio di voltarmi.
Seb mi osserva. Sa quello che sto per fare e non accenna a difendersi quando lo prendo per il colletto della camicia, stringendo il tessuto tanto forte da farmi male alle dita.
Lo fisso e so di aver il viso distorto in una maschera di rancore, ma non riesco a farne a meno.
«Perché!?» sbotto.
«Perché cazzo è successo!? Avevi detto che avresti pensato a tutto, Seb! Che non dovevo preoccuparmi!»
Lui sospira.
«Io... ho fatto un errore di calcolo.» confessa.
La mia presa si fa ancora più mordace.
«Un errore di calcolo!?» ripeto, incredulo.
«È così che lo chiami!?»
«Scusami, io-»
«Dobbiamo allontanarci da Julia.» lo interrompo.
«Scappare come avevamo detto!»
Sto urlando, me ne rendo conto, ma quando Sebastian me lo fa notare mormorando un «Calmati, Zack», il sangue mi va al cervello.
«No che non mi calmo! Come fai tu a esserlo!? Cazzo, provavi qualcosa per Cloé!»
Stavolta gli sto a un soffio dal muso, però non riesco a farmi piacere la sua vicinanza. È come se quello davanti a me non fosse nemmeno più lui.
Seb sospira, dopodiché mi prende delicatamente i polsi e abbassa il capo, appoggiando delicatamente le labbra sulle mie nocche. Mi guarda dolce, però non percepisco mezzo battito o farfalla: solo un'immensa e viscerale rabbia.
E la cosa mi agita, mi faccio paura, ma lui non capisce e nemmeno prova a venirmi incontro.
«Piccolo, va tutto bene.» prova a rassicurarmi.
«Cloé è sedata, immobile su un cazzo di letto!»
Lui è impassibile. Raggelo in un secondo quando, con voce profonda e l'espressione congelata, dichiara: «È per il suo bene.»
Sbarro le palpebre. Mollo la presa. Arretro di un passo. È come se mi avesse schiaffeggiato. Anzi forse del dolore fisico sarebbe stato meno atroce.
Bene!? Nulla di quello che le è successo è stato per il suo cazzo di bene!
«È viva. L'abbiamo presa in tempo, Zack.» continua Seb, venendo verso di me. Mi abbraccia forte, facendomi appoggiare il viso sul suo corpo caldo.
«Va tutto bene.» mi sussurra all'orecchio.
«Non è vero!» strillo, dimenandomi.
Voglio solo fuggire, svegliarmi da questo incubo. Stamattina Cloé stava bene, aveva una nuova ragazza, mi mandava meme e audio buffi. Mi diceva che era fortunata, che si sentiva alla grande.
E io le ho creduto... Come un cretino!
«Non è colpa tua.» mi dice, quasi mi leggesse nel pensiero.
«E poteva finire peggio, siamo arrivati in tempo.»
Vorrei davvero colpirlo, dirgli che Cloé è pure amica sua, ma mi sta accarezzando la schiena e continua a bisbigliare che ci penserà lui.
La sua voce mi frega sempre: mi rassicura anche quando tutto crolla.
Però oggi quella magia non funziona.
Più parla, più mi viene voglia di buttare fuori tutta la mia angoscia. Magari lui vuole che lo faccia, che mi sfoghi.
Ma io non posso farlo... Se mi lasciassi davvero andare, le visioni potrebbero intensificarsi. Le medicine non le tengono totalmente a bada e Linda non fa che ripetermi che devo stare calmo.
«Andrà tutto bene.»
«Guardami, Seb! Ti sembra che stia andando bene!?» alzo la testa e sono pronto a gridargli contro che è uno stronzo senza cuore, ma mi blocco quando vedo la sua espressione.
Forse perché convinto che non scattassi in questo modo e non lo vedessi, si è lasciato andare.
Lontano dal mio sguardo, i suoi occhi si sono stretti in due fessure letali. Le sue belle labbra ora sono morse da denti affilati, divenute già rosse, tagliate e screpolate. Le sopracciglia corrucciate sono il colpo di grazia: quella è un'espressione di puro odio.
«Pensavo di voler essere buono, di abbandonare i miei propositi, volevo essere degno di te...» sussurra d'un tratto, continuando a sfiorarmi con delicatezza.
«Ma alla fine rimango una cattiva persona, vero? E devo fare ciò che farebbe qualunque mostro.»
Non ho idea di che diamine stia parlando. Forse stiamo delirando entrambi. Siamo qui da ore. Abbiamo un disperato bisogno di dormire e di lasciarci questa brutta storia alle spalle. Di calmarci per sostenere Cloé.
Ma sono così arrabbiato!
Finalmente mi abbandono alle lacrime, stringendo forte il tessuto della sua camicia. Mi rifugio nel petto di Seb, trattenendo a stento i singhiozzi.
Il battito del suo cuore è feroce, impazzito. Da come mi tiene, capisco che anche lui vorrebbe spaccare qualcosa.
«La mia famiglia fa schifo.» mi dice, ascoltando pazientemente i miei lamenti soffocati prima di continuare.
«Julia è perfetta per mio padre. Si meritano a vicenda.»
«Seb, ma che cazzo...» ribatto. Non capisco quale sia il filo conduttore del suo discorso. Per un attimo penso che nemmeno mi interessi, voglio solo che Cloé torni sorridente.
Ma quando aprirà gli occhi probabilmente non vedrà il mondo allo stesso modo di prima.
Non giocherà più scioccamente con i condimenti. Non viaggerà più con la fantasia sognando di possedere un alicorno. Non scriverà battutine sul mio diario, non appena volterò gli occhi. Forse non verrà nemmeno alla caffetteria. Non mi prenderà più in giro, né mi farà la predica.
Ho paura che cambi, che la Cloé che stavo imparando a conoscere sia già scomparsa.
«Isaac.» mi chiama Seb, mortalmente serio, spingendomi delicatamente via. Tiro su il naso, lui mi pulisce il viso con le maniche della camicia.
«Sistemerò tutto, ok?»
Ma alcune cose non si sistemano...
«Stai mentendo...» mi lamento.
Cloé è quasi morta! La stavamo per perdere definitivamente!
«No.» sorride o almeno ci prova.
Appoggia la fronte sulla mia: sta scottando.
«Aggiusterò le cose.»
«Come?» domando.
Non si può aggiustare ciò che si è rotto.
«Non posso dirtelo.» distoglie lo sguardo, si allontana.
«Perché se lo sapessi saresti complice.» mormora poi incrociando le braccia al petto, quasi volesse proteggersi da me, da un mio rifiuto.
«Non penso tu possa far peggio dello stalking.»
«Scommettiamo?» ribatte e credo che mi stia venendo un infarto.
Una delle poche certezze che ho è che Seb sia buono, ma l'espressione che ha ora è davvero quella di un cattivo. Non riesco a descriverla: è brutale, animalesca. E vendicativa. Spietata.
«Non sono una brava persona. Te l'ho sempre detto.» mi fa notare, con gli occhi morti, le iridi prive di emozioni. Due mari azzurri ghiacciati.
«E adesso non sono ubriaco, non è come quella sera.» mormora poi.
«Sono totalmente sobrio e convinto di ciò che farò.»
«Che intendi?» domando.
Non mi risponde.
«Seb?»
Ancora niente.
«Perché eri a casa di Cloé?» insisto.
Lui tace.
«Seb!» ora lo sto praticamente obbligando.
Gli afferro un braccio, quasi avessi paura che scappi. Una parte di me in realtà non vuole sapere nulla, vorrebbe rimanere totalmente ignorante, ma Cloé è mia amica.
E amo Sebastian, non voglio che gli accada nulla di brutto.
«Parlami, porca puttana!»
Seb si gratta nervosamente la nuca. Non ha il coraggio di guardarmi negli occhi.
«Ti amo.» provo infine e questo cattura finalmente la sua attenzione.
«Ti amo e qualsiasi cosa tu abbia in mente non cambierà ciò che provo per te, ma devi dirmelo, Sebby.»
Deglutisce.
«Ero a casa di Cloé perché Julia mi ha chiamato.» dice con un filo di voce. E torna la rabbia, l'amarezza.
«Mi ha detto che non sarei arrivato in tempo.» trema.
«Ma ce l'ho fatta: Cloé starà bene, Zack. Credimi.»
Perché sembra che stia cercando di autoconvincersi? E quello sguardo?
Cloé ha provato a togliersi la vita dopo aver visto Julia, ma come faceva lei a saperlo? Perché ha chiamato Sebastian?
«Anche se non potrà camminare per un po', è ancora viva.»
Camminare? I tagli erano sulle braccia, no?
«Aspetta, cosa-» mi fermo. Realizzo ciò che tentavo disperatamente di ignorare.
Sto per vomitare. Julia era lì con lei, mentre Cloé si faceva del male... O forse...
Sbarro gli occhi.
A Julia non importa di nulla, benché Cloé sia così tanto innamorata di lei da difenderla nonostante tutto. Anzi forse è proprio per questa ragione si è accanita in quel modo. Sa che non la tradirà mai.
«È uno scherzo? Non fa ridere...» domando a Sebastian. Lui scuote il capo.
Al telefono Cloé non mi ha detto cos'è accaduto. Probabilmente non racconterà niente neanche alla sua famiglia.
È una vittima, ma non farà il nome della colpevole.
Mi torna su la bile, devo staccarmi da Seb e riversare sul marciapiede quello che ho mangiato a colazione. Mentre rigurgito, l'acido mi graffia la gola, i conati si intensificano.
È tutto così orribile.
Le ferite sul braccio immagino fossero solo l'ultima goccia.
Magari l'estremo tentativo di scagionare la sua amata e portare quell'angoscia nella tomba.
Dallo schermo del cellulare non ho visto le gambe. E i morsi sul collo erano nascosti dai capelli, ma in ospedale li aveva e... Perché l'ho realizzato solo ora? Anche quelli erano troppo violenti e brutali per essere dei semplici succhiotti.
E c'era troppo sangue per delle ferite che perfino dal cellulare parevano superficiali... Perché non veniva da lì, ma dalle cosce. Cloé si sarà tagliata le braccia con le ultime energie di cui disponeva e poi per qualche motivo mi ha chiamato.
Ora pure la sua pelle pallida e viola assume un altro significato. Quella che ha subito è... Una tortura.
Violenza psicologica e... Fisica.
Indossava una gonna, ma quando Seb l'ha portata in ospedale si sono resi conto che l'intimo mancava. Sono arrivato con la mamma proprio in quel momento. Ho sentito i suoi genitori che ne parlavano. Perché non ci ho riflettuto?
«Cloé...»
Quanto ha sopportato?
Ha urlato fino a perdere la voce?
Ha subito in silenzio?
Julia invece rideva?
Sebastian mi sostiene mentre mi lascio andare, attirando qualche occhiata dei passanti.
Mi brucia tutto, la testa gira vorticosamente.
«Clo...» piango, scosso dai tremori.
«Sono arrivato in tempo...» ripete Sebastian.
«Per salvarle la vita...»
Ma il resto glielo ha strappato.
«Julia era ancora con lei quando ti ha chi-»
«Sì.» mi interrompe bruscamente.
«Sì, Zack.»
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