𝚚𝚞𝚊𝚝𝚝𝚘𝚛𝚍𝚒𝚌𝚒

Ottobre

Isaac, per nessuna ragione al mondo, avrebbe dimenticato quel maledetto giorno: la sua prima, terrificante, visita a casa Show. E aveva senso che fosse accaduta proprio d'ottobre: era il mese dei morti dopotutto, no?

Sebastian si era sempre dimostrato un tipo solare: quasi sempre sorridente, adorava gli sport, soprattutto il surf, e suonare la chitarra. Lo trovavi perennemente circondato da persone, aveva un sacco di ammiratrici e pareva spensierato perfino nei momenti peggiori. “Direttamente uscito da uno di quei filmacci adolescenziali” si era ritrovato spesso a pensare Isaac.

Eppure la vita era stata chiaramente troppo dura con il suo adorato Seb: si era accanita, l'aveva distrutto e calpestato. Lui però non aveva mai mancato di trattare Isaac con cura. Forse per questo l'aveva attirato così facilmente... Era una calamita...

No. Sbagliato.

Sebastian era un'onda gigantesca.

Ti travolgeva e tu non potevi fare altro che rimanere ad ammirare lo spettacolo di Madre Natura, aspettando la fine.

E il signorino Show poteva fare il duro quanto voleva, ma Isaac era convinto che possedesse una notevole compassione, il che era un male, visto che l'aveva portato a innamorarsi così profondamente di qualcuno che non poteva avere. Con il tempo quei sentimenti erano diventati una vera maledizione. Isaac non poteva neanche più contare le volte in cui si era chiesto se Sebastian stesse insieme a lui per fargli da crocerossina o per un affetto genuino.

Lo rispettava come persona? Oppure lo vedeva come un caso di cui prendersi cura?

Quei pensieri a volte gli facevano vedere tutto nero. Isaac era insicuro, paranoico. Timido. Sebastian l'opposto.

Per Isaac la gentilezza di Sebastian era innata, fragilissima. Suo padre gliela aveva strappata pezzo per pezzo, insieme all'innocenza, eppure rimaneva lì: rotta, ma brillante. Era consapevole che Sebastian fosse come lui, che un po' si odiava, forse molto più di quello che lasciava trasparire, però, nonostante le cose brutte di cui si macchiava, Sebastian rimaneva... Buono.

Aveva il cuore puro, in un certo senso. Una volta l'aveva visto aiutare un uccellino caduto a ritornare al suo nido. Un'altra ancora al parco aveva approcciato un bambino piagnucoloso, per Isaac davvero insopportabile, e senza pensarci l'aveva preso sotto la sua ala, cominciando a cercare i genitori. E quando si erano incontrati era stato proprio Sebastian a occuparsi di quell'uomo orribile che l'aveva molestato.

Sebastian aveva avuto solo una sfortuna: quella di nascere nella famiglia sbagliata.

Isaac era tremendamente grato di poter far pare della ristretta cerchia di cui si circondava. Di essere considerato un amico, almeno.

Sapeva che per Sebastian era difficile far entrare le persone nel suo cuore, che aveva eretto muri su muri, che in fondo si incolpava di tutto.

Per questo non si sarebbe mai aspettato quella piega degli eventi.

Tornando a quel giorno, al tempo si conoscevano da poco più di un mese, ma nonostante questo Isaac si era convinto di averlo inquadrato al meglio.

Sebastian era il suo Seb: un ragazzo dolce, gentile, che lo trattava nei migliori dei modi e che, per qualche miracolo divino, riusciva perfino a toccare senza impazzire. Tanto perfetto che gli avrebbe ceduto la sua anima all'istante, se solo glielo avesse chiesto.

Per questo quando mise piede nella sua stanza, quella volta, Isaac si sentì cedere la terra sotto i piedi.

La camera da letto, per forza di cose, rispecchia la personalità del proprietario, ma, si ritrovò a pensare Isaac, forse per Sebastian non era mai valsa quella regola. Oppure - come si rese conto in quell'istante - non lo conosceva poi così tanto bene.

Sebastian in genere era spensierato e tranquillo, ma quell'ambiente lugubre sembrava lo specchio di una sua versione più oscura e intima.

Tre pareti erano dipinte di un blu notte, scurissimo. Su una di queste erano appese tre vecchie chitarre acustiche, un'altra - quella comprata più di recente - giaceva sul letto a due piazze insieme al suo plettro.

In quel mare blu erano appiccicate anche delle stelline luminose, le stesse che di solito si mettono accanto ai lettini dei bambini che hanno paura del buio. Isaac si chiese se Sebastian temesse la notte, ma poi si disse che era una domanda sciocca: magari semplicemente gli piacevano o risalivano a quando era piccolo.

Sul secondo muro erano appoggiate due tavole da surf: una vecchia e rovinata, di un giallo smorto, l'altra nuova e immacolata, di un azzurro sgargiante; su quest'ultima erano disegnate delle onde e una palma, richiamava un po' il tatuaggio che Sebastian aveva sulla nuca.

Isaac si sentiva mancare.

Era circondato da quell'ormai familiare, dolce, profumo d'arancia e, doveva ammetterlo almeno a se stesso, era cotto marcio di Sebastian, quindi rischiava seriamente l'infarto. Quanti possono dire di essere entrati nella camera della propria eterna cotta unilaterale? Di aver avuto accesso al suo spazio, al suo letto?

Sì, non sarebbe sopravvissuto. Gli serviva aria.

Quindi, preso da un bisogno improvviso di respirare, si mosse verso le grandi vetrate che si affacciavano sulla città. Da qui Sebastian poteva guardare New York dall'alto ogni volta che lo desiderava. Isaac immaginò quanto potesse essere scomodo svegliarsi la mattina con il sole in faccia, ma poi notò le spesse tende nere aperte che giacevano ai lati delle finestre. Forse - si disse - non era poi così male avere un attico. Certo, se ignorava le persone minuscole - come tante formichine operaie - che si muovevano agitate sotto di lui. Quello gli faceva girare un po' la testa.

Il pavimento comunque era di un legno chiaro e ogni passo pareva rimbombare nella stanza. Isaac si sentì improvvisamente pesante.

Quando si ritrovò sul tappeto posto poco più lontano dal letto, si voltò per osservare l'ultima parete.

E si immobilizzò all'istante. Perse il piccolo sorrisetto nervoso che l'aveva accompagnato fino a quel momento.

Farfalle. C'erano farfalle di ogni tipo e forma, con i toraci spillati, squarciati, premute, intrappolate dentro dei macabri quadretti. Tutte in ordine, di varia grandezza, lo salutavano con occhi vuoti e vacui.

Gli si chiuse lo stomaco.

«Questo...» mormorò Isaac, poi si rese conto che non erano disposte a casaccio. Parevano incorniciare una tarantola nera. Quello spettacolo aveva un significato. Era la cruda glorificazione di una strage, una tragedia.

Sebastian ridacchiò. Si diresse verso la libreria in faggio, accanto alle tavole, e ne tirò fuori un grande volume.

«Taylor, Nick... Mi hanno fatto la stessa domanda quando le hanno viste la prima volta: perché?»

«Te la faccio anch'io.» Isaac stette al gioco, nonostante avvertisse un po' di agitazione mentre si sedeva accanto all'amico. Quelle parole gli erano uscite agitate, tremolanti.

“Aspetta... Anche Chloé è già stata qui?” non osò chiederglielo.

Le lenzuola bordeaux sembravano volerlo inghiottire in un sol boccone e Isaac si ritrovò gocciolante di sudore. Non poteva negare che si sentisse anche stupidamente speranzoso. Il suo corpo fremeva di anticipazione: Sebastian gli avrebbe permesso di spingerlo tra quelle coperte scure?

«La conosci la storia del ragno e della farfalla, Zack?» quella domanda, fortunamente, lo distolse dai quei maledetti pensieri.

Isaac scosse la testa. Il titolo gli pareva stranamente familiare, eppure non riusciva a ricondurlo a nessuna fiaba o favola in particolare. A onor del vero, era talmente impacciato e confuso che a malapena ricordava il suo nome.

Sebastian aprì allora il librone, mostrandogli un'illustrazione. Una tarantola scura era intenta a tessere la sua ragnatela, tuttavia questa non pareva riuscire a catturare alcun insetto. Al contrario, i fili bianchi si estendevano fino ai lati della pagina, costruendo muri di velluto bianco e formando un abozzatissimo castello medievale. Sebastian aspettò una qualche reazione... Ma non arrivò. Isaac era genuinamente incuriosito, però non vi era alcuna traccia di consapevolezza nel suo bel viso.

“L'ha dimenticato.” fu l'amara conclusione a cui giunse Sebastian. Sospirò. Ingoiò l'orgoglio, la rabbia che gli stava già infiammando i polmoni. “Mi ha dimenticato. L'ha fatto davvero.”

Schiuse la labbra, gli occhi ridotti a una fessura, e sibilò, soffiò come un gatto. O almeno così apparì quel ruggito alle orecchie di Isaac. Era animalesco, istintivo. Nulla di umano. Disperato.

«C'era una volta un ragno.» lessero insieme. Si bloccarono. Isaac arrossì, Sebastian spalancò gli occhi, sbatté le palpebre e, infine, sorrise, più rilassato. Isaac gli fece cenno di andare avanti, l'altro lo assecondò. Stese un braccio lungo le spalle del suo amico, appoggiò il mento sulla sua spalla ossuta. Isaac trattenne uno strillo. Sebastian lo stava toccando ancora e, cazzo, se gli piaceva.

«Oggi siamo un po' appiccicosi, eh?» sussurrò imbarazzato, cercando di stemperare la tensione. Sebastian sogghignò.

«Ti do fastidio?» mormorò suadente, la voce roca.

«Nah...» ammise Isaac, mangiandoselo con gli occhi, poi si rese conto di ciò che stava facendo, di quanto fosse sciocco pensare che avesse davvero qualche speranza con lui, e distolse lo sguardo, concentrandosi sul libro.

Le carezze però non cessarono. Erano dolci come lo zucchero. Sebastian lo sfiorava con la stessa dedizione e delicatezza che usava per voltare pagina. E Isaac stava bollendo vivo. Non nutriva alcun timore nei confronti del suo amico e ciò lo spaventava, in un certo senso.

Prima o poi anche Sebastian l'avrebbe abbandonato, così come avevano fatto tutti. Era ovvio. Eppure sentiva di essere a casa quando avvertiva il suo profumo, il suo respiro sulla pelle. Sebastian era riuscito a infrangere ogni regola che l'aveva accompagnato da sempre.

Il calore del suo corpo lo rassicurava, adorava quel tepore, il modo in cui pronunciava il suo nome. Allora Isaac non sapeva ancora che ne sarebbe diventato presto dipendente.

«Nessuno lo amava, tanto era brutto e cupo. Solo un pazzo avrebbe voluto essere suo amico.» continuò Sebastian con tono teatrale, facendolo ridere. Lo riprese dandogli un piccolo pizzicotto sul braccio, Isaac ribatté con una linguaccia. I loro erano gesti del tutto infantili, ma sapevano che potevano permetterseli proprio perché erano insieme.

«Un giorno però una farfalla si fermò a parlare con lui. Gli volò sopra la testa, facendo ben attenzione a non farsi acchiappare.»

«"Posso avere un po' della tua tela?" gli chiese.»

Isaac accarezzò la pagina ingiallita del racconto, chiedendosi quante volte lui l'avesse sfiorata.

«"No." disse il ragno. "Sono un brutto mostro e pure stupido. Perché mai vorresti venirmi vicino?"»

Sebastian chiuse la mano in un pugno, lo avvicinò al muso dell'amico a mo' di microfono.

«"Nessun mostro potrebbe creare qualcosa di così tanto meraviglioso." insistì lei.» Isaac sorrise, l'espressione finalmente morbida.

“Non è poi così male.” pensò.

Novembre

“Che accadde dopo?” si chiese Isaac sovrappensiero, mentre Sebastian lo trascinava nell'ascensore del palazzo. “Il ragno si innamora.” si rispose, la mente completamente intossicata da Sebastian, dai suoi modi capricciosi, impulsivi.

«Zack.» lo richiamò all'improvviso, facendolo sobbalzare. Si era perso nel suo mondo. Ancora. Isaac si sentì impacciato da morire, ma Sebastian lo rassicurò, accarezzandogli piano la mano con il pollice. Non l'aveva mollato un secondo. «Pensa solo a me.» ordinò l'attimo dopo, un ghigno sulle labbra.

“Sei praticamente il mio unico pensiero, Seb.” pensò l'altro con amarezza, grato che non potesse davvero leggergli nel cervello. Chissà che sarebbe successo se Sebastian avesse saputo che aveva la mente invasa dei suoi ricordi? Che non faceva altro che rivangare il passato, che custodiva ogni momento con una folle, insana, gelosia.

Probabilmente a Sebastian non sarebbe bastato. Pretendeva che Isaac si concentrasse unicamente su di lui, voleva la sua attenzione, la desiderava, la reclamava e se la prendeva. Sfiorava il suo corpo con cura, lo venerava passandoci sopra le dita, lo studiava lanciandogli sguardi ammalianti.

No, Sebastian non si sarebbe accontentato di un boccone: lui voleva tutto. La schiena, le braccia, le gambe, i polsi, la vita, il collo. Avrebbe morso ogni centimetro. Aspettava solo un invito a farlo.

I suoi erano movimenti lenti, calcolati al millimetro, e Isaac si sentì girare la testa. Era quasi come se Sebastian avesse pianificato per mesi interi esattamente cosa fargli, dove colpire e con quale pressione e forza.

E mentre correvano tra la folla Isaac realizzò: “Mi vuole davvero. Me. Vuole me.”

Non avevano fatto altro che tenersi per mano lungo la strada, evitando le rumorose auto con i loro stridenti clacson, fuggendo dai mormorii delle persone che popolavano gli articolati marciapiedi e ignorando ogni campanello d'allarme che suggeriva loro che quella era un'idea del tutto malsana.

Isaac credeva che fosse da stupidi stare a rimuginarci troppo su, visto che per Sebastian non sembrava un grande problema, ma non poteva fare a meno di chiedersi: perché? Cos'è che aveva spinto Sebastian tra le sue braccia? Perché proprio ora? Cosa aveva provato lui quando si erano baciati?

Era anche abbastanza certo che il suo amico non si comportasse allo stesso modo con tutti i suoi partner... E già solo questo non lo rendeva di fatti un'eccezione? L'unico che Sebastian toccava in quel modo?

“E allora anche Chloé è un'eccezione?”

Sebastian premette velocemente il bottone dell'ultimo piano - il suo - poi si voltò verso Isaac. Un grande sorriso gli illuminava il volto. Gli strinse il palmo, quasi volesse rassicurarlo, non farlo scappare.

Isaac sospirò, Sebastian gli si avvicinò lentamente, gustandosi ogni sfumatura della sua espressione imbarazzata, prima di posargli un tenero bacio sulla fronte, poi senza alcun preavviso gli pizzicò il naso e rise, allegro.

Il cuore di Isaac cedette. Le gambe gli tremavano. Qualcosa era cambiato in Sebastian. Isaac poteva avvertirlo chiaramente: il suo sorriso era diverso.

Non era quello gentile, che gli rivolgeva di solito, rassicurante e dolce. Non era da amico.

Era incantevole, ipnotizzante, brutalmente incatenante. E prometteva cose che Isaac non si era mai permesso nemmeno di immaginare.

Si sentiva creta modellabile nelle mani di un artigiano.

«Vieni.» mormorò Sebastian, mollandolo all'improvviso. Fece un passo in direzione della parete.

“Sta giocando con la mia sanità mentale, vuole che lo insegua.” realizzò presto Isaac.

Ovviamente gli fu subito dietro e - in un impeto di inaspettato coraggio - portò le mani ai suoi fianchi, possessivo.

E Sebastian tremò. Indietreggiò, trascinando Isaac con sé. “Cazzo... È il tuo modo per dirmi che sono tuo ora, Zack?”

Lasciò che Isaac lo inchiodasse alla parete. Alzò un sopracciglio, pronto a dargli il comando. E abbassò lo sguardo, puntandolo sul rigonfiamento dei pantaloni dell'amico.

«E poi dici di non essere virile?» lo prese in giro, guardandolo con rinnovata ingordigia. No, quella non si poteva affatto chiamare lussuria, non era un banale desiderio carnale. Si volevano azzannare alla gola, mangiarsi l'un l'altro.

«Oh, fanculo...» sussurrò Isaac, una smorfia divertita sul volto.

Adorava sentirlo così: il suo respiro addosso, quel corpo fra le sue braccia... Deglutì. Sebastian era un demone, stava danzando con la sua anima, lo tentava, mormorava al suo orecchio sinfonie blasfeme e lo pregava di peccare insieme a lui. Come poteva dirgli di no?

“Lo voglio sotto di me. Ansimante.”

Isaac si passò velocemente la lingua sulle labbra, lasciando che quei pensieri prendessero il sopravvento.

“Mio.”

L'ascensore finalmente si fermò, silenzioso. Senza dire una parola, i due ragazzi si staccarono. Le porte si aprirono. Sebastian prese nuovamente la mano di Isaac, ma fu quest'ultimo stavolta a guidarlo fuori. E Sebastian lo lasciò fare, trattenendo un ringhio in gola.

«Il ragno comincia a tessere.» borbottò Isaac all'improvviso. Si guardò intorno. L'ascensore portava direttamente all'appartamento. “Maledetto riccone.” pensò tra sé e sé.

«Cosa?» ridacchiò Sebastian.

«La storia.» sorrise Isaac, lasciandogli la mano. «Il ragno tesse, no?»

«Sì, senza sosta.» confermò Sebastian, inclinando il capo. Osservò Isaac muoversi per il salotto, la confidenza con cui camminava per la stanza, la sicurezza di ogni suo passo. “Come fa a non accorgersi dell'effetto che mi fa?” si chiese, andandogli incontro. “Merda. Lo sto seguendo come un cane.”

«E la farfalla che faceva?» domandò Isaac, fingendo di esserselo dimenticato. Incrociò le braccia al petto, si fermò accanto al divano. «Aspetta... Ce l'ho sulla punta della lingu-AAAH!» In un attimo, si ritrovò nuovamente fra le braccia di Sebastian. L'aveva sollevato con una facilità disarmante, tenendolo su per il culo. Isaac assunse il colorito di un pomodoro, Sebastian gli regalò un sorriso bellissimo.

«Viene mangiata.» mormorò Sebastian, la voce grave, lugubre. Isaac per puro istinto aveva portato le gambe ai suoi fianchi, cingendolo in vita, e sentiva tutto. Sebastian era davvero duro. E grosso. E pulsava. E...

«Posso succhiartelo...?»

«Voglio succhiartelo.»

Entrambi sbarrarono gli occhi. Non era da Isaac parlare sporco. Non era da Sebastian quel tono insicuro.

E il fatto che avessero avuto lo stesso pensiero, che lo avessero esternato in modi tanto differenti nello stesso istante...

Scoppiarono a ridere.

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