Capitolo 53
"Quello che ci aspettiamo raramente accade: ma quello che meno ci aspettiamo di solito succede".Benjamin Disraeli
Spokane, Washington, 2012, nove anni dalla scomparsa di Lily.
Era il turno di Nick. La sala era in silenzio, in attesa che lui salisse sul pulpito e si accomodasse su quella sedia di legno grava del dolore altrui.
Lo fece con calma, non più timoroso come la prima volta, ma sicuro di ciò che sarebbe successo di lì a poco.
Non pensava mai molto a quello che avrebbe desiderato esternare, solamente si metteva seduto e lasciava che fosse il flusso di pensieri a prendere il sopravvento.
E fu così anche quella volta.
Guardavo fisso davanti a sé, senza puntare gli occhi su una persona in particolare, ma cercando gli occhi di un po' tutti i presenti.
C'era Derek, e molte persone che aveva conosciuto in quegli anni e con i quali aveva condiviso tante storie. E poi c'erano anche alcuni nuovi volti.
Non aveva bisogno di sapere chi fossero, perché sapeva che erano tutti accumunati da un unico dolore.
Si schiarì la voce e, dopo i soliti convenevoli, iniziò a parlare.
«Tra noi due, la mia ex è sempre stata quella che si guardava alle spalle, senza riuscire ad andare avanti. Ci abbiamo provato, a restare insieme... Ma sembrava non ci fosse alternativa. Non perché qualcosa si fosse rotto per sempre, o meglio, forse è anche per questo... Ma sono convinto che non sia stata la sparizione di Lily in sé a dividerci, ma il nostro modo diverso di affrontarla».
Non era la prima volta che ne parlava e poteva comprendere dai volti dei presenti che non era l'unico ad aver dovuto affrontare quel bivio.
«Lei pensava che restare insieme, che ignorare gli ostacoli sarebbe stata la strada giusta... Che ciò significava continuare a lottare. Bridget ha sempre lottato, senza sosta, ed è convinta che io mi sia arreso».
A quelle persone aveva confidato tanti segreti, paure e dolori, e di solito non si imbarazzava mai.
Ma quella sera era diverso, perciò si prese qualche istante, tirò un lungo sospiro affranto e continuò.
«Ho voluto io la separazione, l'ho decisa io e sono sempre stato fermo e convinto anche quando Bridget insisteva per continuare a restare insieme. Per lei era inaccettabile e non è mai stata d'accordo. Ma questa mattina, quando ci siamo incontrati dall'avvocato per firmare le carte del divorzio, improvvisamente mi è sembrato tutto sbagliato...».
Ripensare a quel momento fu come riviverlo. Tutte le sensazioni, tutti i dubbi.
«Mi tremava la mano e per un attimo ho pensato che stessi facendo il più grosso errore della mia vita. Avrei voluto tornare indietro, e mi sono quasi convinto che lei potesse avere ragione», gli venne quasi da ridere quando aggiunse: «Credo che una parte di me ci crederà sempre».
Si prese un momento per se stesso, dimenticandosi come sempre che non era solo.
«È stata lei a firmare per prima e devo ammettere che ne sono rimasto stupito. Così a messo la mia firma. Una parte di me si è sentita perfino sollevata, con un peso in meno a cui pensare. Ma riflettendoci, non credo che sia cambiato poi molto...».
Si era preso tutta la giornata, per restare da solo e pensare a quanto la sua vita sarebbe cambiata di lì a poco.
Ed era giunto ad una terribile verità.
«Non cambierà ciò che provo per lei, non smetterò mai di amarla come lei non smetterà di amare me. E quindi è lecito pensare, perché lo abbiamo fatto? Certi giorni mi convinco che sia un bene, certe volte no».
Lo aveva ammesso, prima fra tutti a se stesso. Ma era anche sicuro che la loro storia non sarebbe potuta andare a finire in modo diverso.
La strada della vita li aveva portati a quel bivio e non gli aveva dato più altra scelta.
Si era sentito inerme, costretto a firmare, proprio come era stato costretto a rinunciare a sua figlia.
Si sentiva diviso in due, indeciso se essere completamente contento per aver portato a termine qualcosa di inevitabile o distrutto per aver permesso che finisse a quel modo.
Per questo aveva approfittato dell'appuntamento settimanale con il gruppo di sostegno, per parlarne.
Non si aspettava una qualche risposta, perché di solito gli spettatori restavano in silenzio, ma solo qualcuno che avrebbe ascoltato ciò che aveva dire.
Solo qualcuno disposto a lasciarlo parlare e sfogarsi.
Si era tolto un peso, soprattutto perché in quel luogo si sentiva sempre a suo agio, circondato da persone che sapeva avrebbero capito.
Quando poi si concluse la riunione, come al solito, un gruppo di loro si fermò, usufruendo del caffè e dei biscotti gratis che qualcuno portava sempre e poggiava su un tavolo in fondo alla sala.
Nick non rimaneva spesso ma quella sera aveva sentito il bisogno di attendere Derek, per chiedere magari se avesse voglia di fare una passeggiata insieme, e così, mentre aspettava che finisse di parlare con un gruppo, si era avvinato al tavolo per prendere un po' di caffè.
«Pensi che queste ciambelle siano buone?», una voce femminile, al suo fianco, lo fece voltare per puntare gli occhi su una donna che non aveva mai visto.
Alta, vestita di tutto punto, dall'aria quasi professionale, sembrava un pesce fuor d'acqua. I suoi grandi occhi scuri non avevano alcuna luce che di solito contraddistingueva chi aveva subito un dolore come il suo.
E negli anni aveva imparato a capirlo al primo sguardo. Lei non aveva perso un figlio, non era lì per condividere il suo dolore.
«Non saprei, non ho idea di chi porti qui questa roba» le risposte, un po' sulle sue. Non si fidava di chi si presentava a quel tipo di gruppo solo per ascoltare.
«Scusami, credevo che fossi un assiduo frequentatore e invece...».
«Infatti lo sono, ma chi porta le ciambelle e il caffè resta per me un mistero».
La fece perfino sorridere, anche se quello non era il suo intento primario. Però dovette ammettere a se stesso che aveva un bel sorriso.
Non genuino e spensierato di Bridget, certo, ma uno di quel sorrisi pacati e intelligenti. Come se fosse pienamente consapevole dell'effetto che quel sorriso avrebbe avuto sugli altri.
«Mi dispiace per la tua perdita...», aggiunse lei, come se non fosse la solita frase fase.
«Direi lo stesso a te, se fosse vero», voleva farle capire che anche lui era sveglio e aveva subito compreso chi era.
La donna ebbe solo qualche istante di turbamento, scioccata per essere stata scoperta in così poco tempo, ma si riprese in fretta.
«Bé, in realtà tutti noi abbiamo subito almeno una perdita nella nostra vita...perciò non sono proprio nel posto sbagliato».
A Nick non convinceva molto la sua scusa e probabilmente non lo nascose neanche. Continuava a guardarla come se avesse voluto leggerle nella mente. Ma fino a quel momento era solo molto prudente e restio.
«Ho ascoltato attentamente il tuo discorso, è stato illuminante», continua lei, come se non si fosse accorta della poca propensa di Nick a parlare.
Poi allungò una mano verso di lui, ancora sorridente: «Piacere Laura, sono una psicologa».
A quelle parole Nick si chiuse ancora di più: «Se venuta a cercare nuovi pazienti?».
Si rese conto di essere stato troppo scortese, visto che neanche a conosceva, ma era stato più forte di lui. E non se ne era pentito.
«No, in realtà sono stata invitata...».
Non fece in tempo a risponderle che non le credeva, o anche solo a guardarla scettico perché proprio in quel momento Derek si avvicinò a lui, dopo essersi congedato dai suoi amici.
Si accostò tra i due e, sorridente e felice annunciò: «Vedo che vi siete già conosciuti, così potremmo evitare i soliti convenevoli».
Nick si voltò nella sua direzione, con estrema lentezza, per fissarlo sbalordito e anche un po' tradito: «L'hai invitata tu?».
Forse lo aveva detto con troppa enfasi perché Derek quasi sorrise alla sua espressione carica di stupore: «Laura è una mia amica, ha aperto da poco uno studio dopo anni e anni di tirocinio e ho pensato che le sarebbe stato utile venire qui a trovarci...».
Era così rilassato e tranquillo, come se non fosse successo niente, che Nick avrebbe voluto gridargli contro e ricordargli che non aveva alcuna intenzione di andare da uno psicologo.
Perché anche se non lo aveva detto, era ovvio che l'aveva fatta venire lì per convincere qualcuno - lui in particolare - ad andare a una seduta.
Era in procinto di voltarsi e andarsene, il più lontano possibile da quella strizza cervelli, ma Derek lo bloccò.
«Stai tranquillo, Nick, nessuno vuole fregarti... A me ha fatto bene parlare con lei ma non vogliamo obbligarti».
«In realtà io sono rimasta solo perché Derek mi ha proposto di bere un caffè dopo insieme... Ma se ti va mi farebbe piacere parlare, del più e del meno».
Sembrava così sicura, così in pace con se stessa, che Nick quasi la invidiava. Trasmetteva sicurezza, questo doveva ammetterlo.
«Solo un caffè? Non proverai a psicanalizzarmi?».
I due scoppiarono a ridere sotto lo sguardo incredulo e serio di Nick e alla fine Derek gli diede una pacca sulla spalla con fare amichevole: «Stai tranquillo, non corri rischi».
E così tutti e tre uscirono dall'edificio, diretti al primo bar disponibile aperto a quell'ora di sera. Nessuna aspettativa, se non quella di passare qualche ora lontano dai propri pensieri.
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