Capitolo 42

"La forza di volontà è un muscolo da allenare."
Anonimo

Seattle, Washington, 2004. Dieci mesi dalla scomparsa di Lily.

Non c'era città nel nord America che Bridget non avesse visitato, negli ultimi mesi. Ospite di telegiornali, talk-show e radio.

Tutti volevano parlare con i genitori di Lily. Tutti volevano tenere vive le ricerche.

Ma ben presto Nick si era stancato di passare più tempo nella sala di attesa di un aeroporto che a casa sua.

«Non credo di riuscire a venire... È arrivato il momento di tornare a lavoro», le aveva detto un giorno, di fronte alla sua ennesima richiesta di partenza.

Non poteva biasimarlo. In fondo fino a quel momento lo aveva fatto solo perché era stata lei a convincerlo.

Ma il cuore di Bridget subì un brutto colpo.

Una parte di lei si sentì tradita e abbandonata dal marito. E ancora non di più non poteva accettare che si stesse arrendendo.

Non quando era stato lui a tirarle su il morale. A tenerle la mano e a confortarla durante le notti più cupe.

Quel Nick sembrava svanito, perso nello sconforto e nell'alcol.

Era il suo modo di affrontare e gestire la vita. E per quanto lei non potesse comprenderlo, non se la sentiva di giudicarlo. Non in quel momento.

Avrebbe voluto averlo al suo fianco. Avrebbe voluto sentirlo più fiducioso. Ma non poteva chiedergli ciò che non era più in grado di darle.

Non volendo però rinunciare a cercare e a sperare, lei aveva continuato a farsi intervistare.

Lo vedeva come l'unico contributo che era in grado di dare alle indagini e non si sarebbe fermata.

Nick non aveva opposto resistenza, anzi, accettava il suo modo di vedere le cose. Anche se glielo vedeva negli occhi che non lo comprendeva fino in fondo.

Così era finita a Seattle, a parlare ad una nota radio del posto di sia figlia e della sua sparizione.

Le notizie da parte della polizia erano diminuite drasticamente e lei non sapeva più che cosa fare.

Telefonava allo sceriffo tutte le settimane ma ogni volta capiva ancora prima di chiedere che non avevano tirato fuori un ragno dal buco.

Lo percepiva dal tono di voce, sconfortato, dell'uomo.

Neanche lui sapeva più dove andare. Ma trovava nello sceriffo un'anima quasi affine.

Forse perché anche lui, come lei, non voleva arrendersi. E nonostante non sapesse più dove cercare, non aveva smesso di farlo.

Continuava a incoraggiarla e a farle credere che quel suo lungo girovagare tra i vari studi televisivi fosse utile.

Forse si stavano ingannando a vicenda, ma sembrava non importare a nessuno dei due.

E proprio mentre stava rientrando da un'intervista, che nella hall dell'albergo che le era stato assegnato dalla produzione del programma televisivo vide un volto conosciuto.

Seduto su uno dei divanetti, in attesa proprio del suo ritorno, il giovane agente Ridge stava leggendo un giornale.

Lo riconobbe anche senza l'uniforme e nonostante indossasse un cappello a visiera che gli nascondeva gli occhi.

Probabilmente stava cercando di passare inosservato, e a chiunque altro sarebbe sembrato un uomo in attesa nella hall di un Hotel.

Bridget ne rimase invece sorpresa. Forse perchè le andava strano di trovarlo proprio lì.

E quando lui la vide, posò il giornale sul divano e si alzò di scatto.

«Signora Mastrani, la stavo aspettando», non finse neanche che non era lì per lei. Ovviamente non avrebbe potuto mentire, qualsiasi scusa sarebbe stata banale o sospetta.

«Che cosa ci fa lei qui?».

«Volevo parlare con lei».

«Intendo dire che cosa ci fa a Seattle», insistette lei. Negli ultimi tempi aveva iniziato a sviluppare un certo sospetto verso chiunque.

L'agente che aveva partecipato alle ricerche di sua figlia non era da meno.

Lui in risposta si tolse il cappello e cercò di sorriderle, anche se sembrava troppo triste per la sa giovane età.

«Sono venuto a trovare un amico che si sposa ma quando ho saputo della sua intervista non ho potuto fare altro che venirla a cercare».

Nei suoi occhi notò un tormento che non aveva mai scorto in lui.

Nei tre mesi in cui erano stati a Los Alamos, il sorriso del ragazzo non si era mai spento. Insieme al suo ottimismo.

Invece, lì, le sembrava di aver di fronte una copia più triste di Mike Ridge.

«Lo sceriffo non sa che io sono qui e penso che non approverebbe... Ma dovevo parlare con lei».

L'estrema esigenza che sentiva nella sua voce la fece preoccupare a tal punto da condurlo nella sua camera per poter parlare in privato.

La stanza era piccola e accogliente, e il ragazzo si guardò subito intorno, curioso.

Non si accomodò fino a quando non fu Bridget ad invitarlo a sedersi sull'unica sedia disponibile mentre lei prendeva posto sul bordo del letto.

«Il signor Mastrani non è venuto?».

La domanda non la prese del tutto contropiede però ci mise comunque qualche secondo di troppo per rispondere.

«Lui è rimasto a casa...», non aggiunse nient'altro. In fondo non c'era bisogno di spiegare, non davanti a chi aveva assistito al loro dolore.

Infatti Ridge annuì, comprensivo.

Sembrava non volesse dire nulla, imbarazzato da tutta quelle situazione. Stringeva il suo cappello a visiera tra le mani, stropicciandolo con forza.

«Le sembrerà strano che io sia venuto a cercarla, all'insaputa dello sceriffo Colin».

«Avreste potuto anche chiamare, non c'era bisogno di vederci di persona».

«Certe cose è meglio dirle faccia a faccia».

Il tono grave e serio dell'agente la mia subito all'erta. La paura che avessero scoperto qualcosa di brutto.

Una parte di lei non voleva continuare la conversazione. Un'altra parte invece sentiva il bisogno di sapere.

«Lo sceriffo non ha il coraggio di dirvelo perché non vuole deludervi. E sinceramente non vorrei neanche io. Ma è giusto che lei e suo marito sappiate che il dipartimento ha deciso che non verranno più stanziati fondi per la ricerca di Lily».

La notizia arrivò come una doccia fredda. Inaspettata e indesiderata.

«Le poche indagini che stiamo mandando avanti, io e Colin, lo facciamo durante il nostro tempo libero e a nostre spese», ammise lui, dispiaciuto come se fosse sua la colpa.

«Lo sceriffo non è più lo stesso. È ossessionato dalla scomparsa di Lily e non posso biasimarlo».

«Perchè mi sta dicendo questo?», lo interruppe lei, anche un po' infastidita.

Non capiva bene perché fosse lì. Ne tanto meno che cosa volesse da lei. E ancor di più perché stava condividendo certe cose con lei.

Lui non si fece abbattere dal muro che lei aveva creato fra di loro.

«Perchè credo che sia giusto farvi sapere che cosa sta succedendo. Credo che sia giusto dirvi che, nonostante il nostro insistente coinvolgimento, le ricerche andranno sempre più diminuendo... E forse un giorno qualcuno metterà la dicitura "caso irrisolto" sulla cartella di Lily».

Era schietto e, nonostante le sue parole fossero come coltellate nel cuore, Bridget non riuscì a non essergliene grata.

«Non c'è nulla che si può fare?».

Ovviamente non voleva che la polizia smettesse di cercare. Era la sua unica speranza.

«Le assicuro che né io né lo sceriffo smetteremo di cercare tra gli archivi degli scomparsi e tra le segnalazioni. Ma non credo che sarà mai abbastanza».

Poi si alzò e le porse un biglietto da visita.

Sopra un nome che lei non conosceva e un numero di telefono.

«Ho fatto delle ricerche, chiesto in giro tra i miei amici nei vari distretti... Lui è il miglior investigatore nella sua zona. Lo chiami... Mi pesa ammetterlo, ma non resta che affidarsi ai privati».

Si vedeva che soffriva a farle una confessione simile. Ma non aveva altra scelta.

Così Bridget prese il biglietto da visita, lo strinse tra le dita come se avesse la paura di perderlo e rimase ad osservarlo per ore e ore.

Anche quando rimase sola, non si mosse dalla sua posizione.

E poi si decise a prendere il telefono.

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