9. In vacanza, io e te
Lele e Mat erano atterrati all'aeroporto internazionale di Santorini da pochi minuti. Stavano insieme da appena tre mesi, ma il maggiore aveva deciso di festeggiare il compleanno del compagno in Grecia. Dieci giorni di svago e relax in una cornice da sogno. Michele aveva avuto un bonus al lavoro e aveva deciso di spenderlo per loro. Zeus era stato affidato alle cure di Giulio e Patrizia e per dieci giorni sarebbero stati soli.
Anche se, considerando la quantità di gente presente in aeroporto, proprio soli non sarebbero stati.
«Hai visto quante persone ci sono a giro? Ma sono tutti turisti?»
«Non saprei, amore; molto probabile comunque, dal momento che questa è una delle isole delle Cicladi più frequentate, e ormai siamo in estate.»
Una volta fuori dall'aeroporto cercarono un taxi per farsi accompagnare all'albergo.
Michele aveva prenotato per loro una camera deluxe con vista mare e una vasca idromassaggio in terrazza.
L'isola di Santorini aveva una superficie di poco meno di ottanta chilometri quadrati e nemmeno quindicimila abitanti, che durante la stagione turistica triplicavano di numero. E quel giorno sembravano essersi concentrati in aeroporto.
Michele trascinava il trolley pieno zeppo dei vestiti di entrambi, mentre Mattia portava lo zaino con il necessario per il mare.
Il taxi era vecchio e un po' sgangherato e l'autista capiva sì e no l'inglese, ma a loro non importava. Il giovane designer guardava stupito le stradine che dall'aeroporto li stavano conducendo al centro dell'isola. Il loro albergo sorgeva in cima a una scogliera, nella zona ovest della città di Santorini. L'isola in epoca preistorica era stata un vulcano, ormai inattivo, e col tempo aveva assunto la caratteristica forma a mezzaluna. Mattia l'aveva vista chiaramente dall'aereo e ne era affascinato. Per numerosi motivi, anche se aveva ventiquattro anni, non aveva viaggiato molto, né in Italia, né all'estero. A parte l'Irlanda, in cui era andato proprio dopo aver conosciuto Michele, e Barcellona, che aveva visitato col fratello per i suoi diciotto anni. Era stato il suo regalo di compleanno, tre giorni nella movida della città catalana. Per il resto conosceva solo Milano e dintorni, e quando c'erano ancora i suoi genitori in vita, Rimini, dove erano soliti andare al mare. Per lui la Grecia quindi era un sogno; un altro regalo di compleanno, ma questa volta dall'uomo che amava.
Da quando si erano detti ti amo reciprocamente la sera dopo la festa di matrimonio di Nadia, nessuno dei due lo aveva fatto di nuovo. Mattia in un certo senso era come se sospettasse che Michele fosse ancora molto impaurito da quel sentimento che provava. Lui dal canto suo, pur non avendolo provato per nessuno altro, ne era felice. Sapeva che il maggiore era la persona giusta per lui, la sua persona.
«Mat, siamo arrivati» gli aveva detto il compagno, una volta che il taxi si fu fermato davanti a una piazza con una scalinata, in centro città.
Il ragazzo annuì e seguì il compagno il quale nel frattempo aveva pagato il taxi e scaricato le valigie.
«Dai, in albergo ci stanno aspettando; ho inviato un messaggio per avvisare che siamo arrivati.»
Mattia osservava il suo ragazzo con aria sognante: indossava dei pantaloni con le tasche in cotone chiaro e una polo blu. Anche se più sportivo di come vestiva di solito era molto sexy. Lui aveva invece dei jeans strappati a vita bassa e una maglia larga a righe. A lui piaceva stare comodo e spesso il suo uomo lo prendeva in giro perché vestendo così largo appariva sempre un ragazzino.
«Ricciolino, che succede? Mi sembri un po' distratto!»
«È tutta colpa tua! Sei bellissimo oggi, che ci posso fare...»
L'uomo fece un sorriso compiaciuto e si mise gli occhiali da sole. Era caldo pur non essendo ancora mezzogiorno. «Muoviti, De Pascalis, che abbiamo un idromassaggio da provare.»
Mattia deglutì al pensiero del suo compagno immerso fra le bolle e prese deciso a camminare.
«Ehi, a destra» disse divertito Michele. Adorava il modo in cui il ragazzo andava in confusione per lui.
«Sì, okay, mica so dove dobbiamo andare. Non mi hai detto nulla!» sbuffò Mattia seguendolo su per una scalinata alquanto ripida.
***
Michele si era fatto una doccia e stava aspettando che Mattia finisse di prepararsi. Aveva prenotato un ristorante vicino al porto, un luogo appartato, fuori dalle mete ambite del turista medio. Aveva studiato molto bene dove portare il suo ragazzo e, anche se sapeva che Santorini era una delle isole gay friendly della Grecia, non voleva incorrere in spiacevoli incontri. Non che gliene fossero capitati poi molti nella vita. Lui era sempre stato un tipo riservato e non aveva mai dato troppo adito a pettegolezzi, ma preferiva evitare comunque il ritrovarsi in situazioni che avrebbero rovinato la vacanza a entrambi.
Il loro albergo si trovava nel punto più alto della città e godeva di una vista sul mare mozzafiato. Michele aveva scelto quella stanza perché oltre ad avere un affaccio sul mare era dotata di un terrazzo a tasca. Questa aveva un tavolino per la colazione, sedie e due sdraio, e una jacuzzi nell'angolo più esterno e appartato, sormontata da una enorme bouganville viola. Dopo pranzo avevano approfittato della siesta per immergersi nella vasca. Aveva adorato baciare lentamente Mattia fra le bolle; farlo impazzire con le mani su di lui, nascoste dall'acqua, fino quasi all'orgasmo per poi trascinarlo in camera e fare l'amore sul letto a baldacchino.
«Sono pronto.»
Il minore comparve in terrazza dove Michele si stava godendo il primo tramonto sull'isola. Appena sentì la sua presenza si voltò verso di lui: aveva indosso dei pantaloni bianchi e una camicia verde bottiglia, così aderente da mettere in risalto la sua figura slanciata. Il ragazzo gli sorrise e il cuore di Michele fece una capriola. I capelli di Mattia, appena lavati, erano vaporosi e i ricci ricadevano sulla sua fronte, dandogli l'aspetto di un angelo. Sì, uno splendido angelo con l'indole di un diavolo. Lo faceva impazzire ogni volta, a letto, sia che fosse lui a dominarlo che il contrario. Mattia si incastrava perfettamente a lui, e questo lo spaventava a morte.
«Wow, sei...»
«Bellissimo?» Ammiccò il più piccolo.
«Tutto merito tuo, ti ho fregato gli slip.»
Michele sgranò gli occhi: «Tu cosa?»
«Sì, amore, mi sono messo i tuoi slip, quelli bianchi, sennò con questi pantaloni si sarebbe visto tutto... Io li avevo solo scuri. E tu non vuoi che si veda nulla, vero?» gli disse sensuale il suo ragazzo mettendogli le braccia al collo e baciandolo languidamente.
«Tu mi farai perdere la ragione uno di questi giorni...»
«Lo spero proprio» rise il minore fra le sue labbra tastandogli in modo sfacciato il sedere che era fasciato in dei jeans scuri.
«Meglio se andiamo a cena e poi a letto...»
«Nemmeno un giretto per la movida di Santorini?» chiese maliziosamente Mattia leccandosi le labbra.
«Te la do io la movida, ricciolino. Su, muoviti!» concluse Michele fingendosi serio e dando una pacca sul di dietro al più piccolo, il quale intanto si era slacciato dal suo abbraccio per dirigersi verso la porta. Mattia rideva ancora, era felice, davvero felice.
***
Alcune sere dopo
Le parole di Mattia gli rimbombavano nel cervello incessantemente.
«Io ero piccolo quando sono morti però loro dicevano sempre che l'amore è condivisione. Chi ama deve esporsi, sennò l'altro non potrà mai saperlo. Io mi sono esposto, per te Michele, solo per te.»
Erano ore che lo cercava. Avevano discusso. Lui aveva discusso. Mattia aveva fatto una battuta su un ragazzo, una battuta innocente e a Michele non era piaciuta. Lui non era mai stato un tipo geloso, ma, forse, dopo la storia con Andrea aveva ferite di cui nemmeno lui era a conoscenza. Forse alcune sue paure inespresse, senza alcun preavviso, si erano palesate in quei giorni sull'isola.
Mattia era un ragazzo socievole ed espansivo per natura; scherzava con tutti. Di pomeriggio, nella spiaggia che era associata all'albergo, il giovane aveva iniziato a giocare a Beach Volley con dei ragazzotti. Tutti giovani e aitanti maschi, alcuni pure etero a giudicare dalle ragazze che facevano il tifo a bordo campo. Con uno in particolare Mattia sembrava avere un buon feeling, un certo Jan. Ad ogni modo non era stata la gelosia a far scattare il maggiore, ma la paura di perderlo per uno migliore di lui. Non esattamente per Jan, ma per qualcuno che per età e carattere fosse più simile al giovane designer di skate. Mattia aveva provato a calmarlo, a parlarci, però quando lui gli aveva dato del ragazzino che non conosce l'amore aveva ceduto. Il labbro si era arricciato e gli occhi riempiti di lacrime e gli aveva detto quella frase. Lui si era esposto perché lo amava davvero e si sentiva ferito. Subito dopo si era dileguato tra la folla di Santorini. Erano usciti per una serata di musica e divertimento ed era finita in un pasticcio.
Michele tornò sconfitto in albergo, non l'aveva trovato da nessuna parte. Santorini era grande e piena di vicoli. Sperò che non si fosse messo in pericolo o si fosse ubriacato.
«Mi scusi» disse Michele in inglese avvicinandosi al bancone della reception del loro albergo «ha per caso visto rientrare il mio compagno? Un ragazzo italiano, capelli ricci, stanza 11F; ci siamo persi di vista in centro e non sono riuscito a ritrovarlo. Speravo fosse rientrato.» Anche se aveva cercato di nasconderlo, la sua voce aveva un tono incerto e preoccupato. La ragazza al bancone lo guardò cercando di comprendere la gravità della situazione.
«Non saprei, signore, il mio turno è iniziato da poco e Andreas non mi ha lasciato nessun appunto. Magari se il suo compagno fosse rientrato, forse, le avrebbe lasciato un messaggio. Giusto?»
«Giusto!» rispose l'uomo con lieve disperazione. «Grazie.»
Michele si diresse in camera ma poi fece una deviazione verso il terrazzo dove si trovava il bar. Se non fosse stato astemio avrebbe bevuto volentieri.
Si mise a sedere a uno dei tavolini e chiese un succo di frutta. La città brillava sotto di lui con le sue mille luci che si riflettono sul mare.
«Mat, ma dove sei finito?» mormorò fra sé. Prese il cellulare e provò di nuovo a chiamarlo.
L'utente da lei desiderato è al momento irraggiungibile.
Staccò la chiamata stizzito. Stava per mettere il cellulare di nuovo in tasca quando decise di fare un ultimo tentativo.
«Michele?»
«Ciao, Giulio, come stai?»
«Noi benone, e voi come procede la vacanza? Vuoi sapere di Zeus?»
«Sì, cioè no, sono sicuro che è in buone mani... Noi...»
«Michele, ma che succede? Hai una voce!»
«Volevo solo... hai per caso hai il cellulare di Simone?»
«Sì, certo. Ci siamo visti per una birra anche l'altro giorno. Ma perché, Mattia non ce l'ha?»
«Giulio... Mattia in questo momento non c'è.» Benché non avesse detto nulla di particolare, suo fratello comprese subito che c'era qualcosa che non andava.
«Non ho capito, scusa... Spiegami!»
«Abbiamo discusso e l'ho perso di vista. Non so dove sia adesso.»
Giulio emise un verso strozzato. «In che senso l'hai perso e perché cazzo avete discusso! Mattia ti adora!»
«Giulio, linguaggio! Poi, perché dai per scontato che sia colpa mia?»
«Perché, coglione, stai chiamando tu e non lui, e vuoi il cellulare di Simone.»
«Hai ragione... Io... Non lo so, ho perso la calma.»
«Michele, devi trovarlo. Se chiami Simone adesso gli farai prendere un colpo. Provo io a contattarlo e sento se ha sentito suo fratello, rimanendo sul vago. Stai tranquillo, fidati di me.»
«Mi fido, e... Giulio, grazie. Ti voglio bene.»
«Te ne voglio anch'io, zuccone. Hai guardato se è rientrato in stanza?»
«Dalla reception mi hanno detto di no, ma vado a controllare ugualmente.»
Michele chiuse la chiamata e corse verso la camera. In effetti avevano una doppia chiave elettronica e forse Mattia era già rientrato e lo stava aspettando. O forse aveva fatto le valigie e se n'era già andato?
Il cuore gli si strinse a quel pensiero.
Una volta arrivato alla porta della loro stanza rimase un attimo fermo. Poi inserì la chiave magnetica e la porta si aprì. L'interno era buio: non era un buon segno. Michele avanzò dentro la stanza col cuore pesante. Non accese la luce, si sentiva sconfitto. Le tende non erano accostate e dalla finestra la tenue luce della luna la illuminava. Solo quando fu di fronte al letto a baldacchino lo vide. Mattia era in camera, nel letto, rannicchiato su un fianco con il cuscino del maggiore abbracciato al suo corpo. Era nudo, fatta eccezione per i boxer. Michele trattenne il fiato; voleva urlare dalla gioia. Era lì, l'aveva ritrovato. Prima di fare qualsiasi cosa scrisse un messaggio veloce al fratello.
- È in camera, sta bene. Ti chiamo domani. E grazie ancora fratellino. -
La risposta arrivò immediata: - Menomale! A domani, zuccone. -
Sorrise a quel l'epiteto mai così meritato e posò il telefono sul tavolino, poi si voltò verso il ragazzo. Il cuore gli batteva furioso: Mattia era al sicuro. Lui, però, voleva parlarci, chiarire anche se quello, forse, non era il momento più adatto. Cercò di riordinare le idee e facendo attenzione a non fare rumore si spogliò per poi stendersi accanto al corpo addormentato del suo ragazzo. I ricci erano sparsi su tutto il cuscino e le ciglia sfarfallavano un po'. Stava dormendo. Chissà se aveva pianto. Voleva accarezzarlo. Michele era ancora immobile quando Mattia si spostò allontanando il cuscino e avvicinandosi a lui. L'aveva riconosciuto pure nel sonno. «Lele...» mugugnò piano. Il maggiore lo avvolse nel suo abbraccio, pelle contro pelle. Mattia sospirando si accostò ancora di più a lui e non disse altro.
«Dormi, amore, parleremo domani. Te lo prometto!»
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