3. Riflessioni
La reazione di Michele era stata esagerata, forse, ma in quel momento si era sentito perso. Era come se Mattia lo avesse tradito, in un certo senso. Razionalmente sapeva che non era così, ma lì per lì, a caldo, aveva perso il controllo. Si era sentito uno sciocco patetico; aveva riposto in Mattia così tante aspettative e speranze che anche solo supporre che il ragazzo lo avesse cercato solo per togliersi uno sfizio, dopo quello che aveva saputo da Andrea, lo mandava nei pazzi.
Mentre rientrava a casa aveva chiamato la madre per disdire il pranzo del giorno dopo adducendo una scusa stupida: mal di testa. Da ragazzo soffriva di emicranie; da quando faceva una vita regolare e salutista non le aveva più, ma i suoi non lo sapevano, come non sapevano tante altre cose di lui. Michele entrò in casa e Zeus si precipitò da lui per fargli le feste. Lo salutò con meno enfasi del solito e andò in camera per cambiarsi. Si mise una tuta e quando rientrò in salotto il pastore tedesco lo stava aspettando con il guinzaglio in bocca.
«Non sono dell'umore, bello! Per oggi ti dovrai accontentare del giardino! Non fare troppi danni, okay?» disse prendendo il guinzaglio e mettendolo a posto, per poi aprire la porta finestra che dava sul retro della casa. Zeus corse, comunque felice di stare fuori, prese la palla che si trovava lì nel mezzo e si mise a giocare da solo.
Michele si toccò più volte le tempie. Si mise seduto sul divano e fissò il televisore spento.
Era sempre stato un tipo un po' suscettibile di natura; anche se in generale cercava di controllarsi, in quel caso le sue paure avevano preso il sopravvento, perché stava provando così tante emozioni in breve tempo, per un ragazzo che conosceva appena. E ancora non l'aveva nemmeno baciato, e forse mai l'avrebbe fatto. Diede un pugno sul divano per la frustrazione.
La sua testa stava andando oltre, immaginando scenari e complotti che sicuramente non esistevano. Se non fosse stato astemio si sarebbe ubriacato.
Il suono del campanello lo riscosse. Si alzò di malavoglia per andare a vedere chi fosse a cercarlo.
«Sei già tornato....» La voce del fratello si spense di fronte alla figura triste di Michele, così come il sorriso che aveva sul viso prima che la porta si aprisse.
«Sì, perché sei qui?»
«Ho visto la macchina e ho suonato. Ero venuto per portare fuori Zeus, visto il tuo impegno di oggi pomeriggio, ma da come sei ridotto deve essere andato male...»
«Molto» rispose Michele lapidario buttandosi sul divano.
«Okay, porto il lupacchiotto a fare un giretto e dopo ordiniamo cibo spazzatura!»
«Lo sai che non mangio schifezze! E poi tu non esci con Patrizia? È sabato sera.»
«Oh, le mangerai eccome e parlerai con me, e ti sfogherai, e manderemo a fanculo quel tipo che ti ha fatto sentire così! Patrizia comunque stasera ha un impegno, una festa con delle amiche, solo donne» disse il fratello minore toccandogli un braccio. Loro non erano fratelli espansivi, la loro famiglia non lo era, ma Giulio, che era il più piccolo, ci provava sempre, a rompere i muri dei suoi familiari.
«Va bene, Giulio...» sospirò il maggiore. Giulio intanto aveva preso il guinzaglio e chiamato Zeus per portarlo fuori. Michele si raggomitolò sul divano, grato perché Giulio non lo mollava, non più.
***
Mattia era rientrato a casa quasi in lacrime. Michele gli piaceva davvero. Cavoli, ma com'era possibile che fosse lo stesso Michele di cui gli aveva parlato Andrea mesi prima? E quello insieme a lui doveva essere Maurizio. Mattia aveva conosciuto Andrea al parco durante l'estate, l'aveva abbordato ed erano andati a casa sua, ma il ragazzo tutto ricci all'ultimo si era tirato indietro. Poi si erano rivisti mesi dopo, quando Andrea non sapeva scegliere fra Michele e Maurizio, quasi sicuramente il ragazzo con cui l'aveva incontrato quel pomeriggio. Avrebbe voluto avere il suo numero per capire bene come stavano le cose, per poi poter parlare con Michele di nuovo. Non aveva compreso perché l'uomo avesse reagito in modo così aggressivo, specie perché non sembrava per niente il tipo da reazioni di quel genere.
«Mat, sei tu?»
«Sì, sono tornato, vado in camera, ci becchiamo dopo...»
«Ehi, non così veloce, che hai combinato? Hai pianto? Che ti ha fatto quel tizio, lo devo picchiare sul serio?» disse Simone tenendo il fratello minore per un braccio, visto che lui stava cercando di andare in camera senza nemmeno guardarlo in faccia.
«No, cioè, è complicato. Abbiamo discusso. In Galleria abbiamo incontrato un suo ex e io a quanto pare lo conosco. Lui ha frainteso e ha pensato che avessi voluto prenderlo in giro. Io però non sapevo che fosse un suo ex. Lo conosco appena... L'ho visto giusto un paio di volte... Ci sono rimasto male, mi ha dato del bugiardo» disse tutto d'un fiato Mattia, senza riuscire a trattenere un singhiozzo. Simone lo strattonò piano, facendolo crollare tra le sue braccia, e lo trascinò sul divano. Da quando i loro genitori erano morti toccava a lui fare la parte del padre, e alcune volte anche della madre. Mattia sembrava sbarazzino ed esuberante, ma era dolce e fragile e soprattutto credeva nell'amore. Per come stava in quel momento, quell'uomo lo doveva aver colpito nel profondo.
«Shish, non piangere. Calmati. Vedrai che fra qualche giorno ti cercherà o tu cercherai lui, parlaci di nuovo. Se è vero che il ragazzo che conoscevi tu era un suo ex forse si è sentito davvero tradito, non so. Se è più grande di età sarà diffidente, sai, le vicissitudini della vita a volte ci induriscono. Mi hai detto tu che è pure un tipo riservato.»
«Sì, lo è. Simo...»
«Dai, vedrai che si risolve, okay? E se poi non vorrà parlare di nuovo con te allora sarà lui che ci perde, non tu, piccoletto!»
Mattia si strinse maggiormente al fratello. «Hai da fare adesso?»
«No, se vuoi puoi addormentarti qui, poi più tardi preparo una zuppa di legumi, che ne dici? Sarà pure primavera, ma fa freddo ancora.»
«Okay, e zuppa sia. Fai tu!»
«Va bene, ma ora non ci pensare, chiudi gli occhi e rilassati» disse il fratello maggiore massaggiando il cuoio capelluto di Mattia e cercando di farlo calmare. Il ragazzo si addormentò in breve tempo. Simone restò a fissarlo. Il suo esuberante fratellino. Se quel Michele lo avesse fatto soffrire ancora, beh, un pugno avrebbe potuto pure tirarglielo.
***
Michele si trascinava stanco per il negozio, lo sguardo spento e le occhiaie visibili. Era passata quasi una settimana dalla discussione con Mattia. Il ragazzo aveva provato a chiamarlo, a mandare dei messaggi per chiarire e lui nulla. Alcuni suoi colleghi gli avevano detto che era venuto persino in negozio a cercarlo. Ciò da una parte gli faceva piacere, ma dall'altra lo spaventava molto. Non si era comportato bene con lui, lo sapeva; si stava dimostrando più immaturo di un ragazzino.
Stava sistemando alcuni nuovi arrivi nel reparto nuoto quando vide uscire Andrea dall'ufficio di suo padre. Pensò fosse strano, perché il ragazzo non veniva mai in quel negozio. Il suo primo istinto fu di nascondersi, scomparire. Soprattutto quando Andrea, avendolo notato, si diresse verso di lui. Ah, quanto avrebbe gradito il teletrasporto in quel momento!
«Ciao, Miki.»
«Ciao.»
I due si guardarono impacciati, mentre il ragazzo più giovane si torceva le mani per il nervoso. «Mi sembri stanco. Devo dire a papà di darti qualche giorno libero?» soffiò piano, sperando di sciogliere la tensione creatasi con l'incontro inaspettato in Galleria, e osservò meglio il suo ex.
«Non importa; so badare a me stesso, ragazzino.»
«Ehi, guarda che non sono più così piccolo! Ho pure la patente, sai?»
«Ah, allora devo stare attento a uscire di casa, sai com'è.»
«Spiritoso... Davvero sembri stanco, e... triste. Mi dispiace per sabato scorso. Ero imbarazzato, non ci vedevamo da tanto. Poi non sapevo avessi un ragazzo» disse piano Andrea, diventando tutto rosso.
«Non ho nessun ragazzo» disse Michele con troppa enfasi.
«Ah, no? Peccato, perché Mattia è un tipo in gamba.»
«Sì? E tu lo conosci bene?» rispose il commesso assottigliando lo sguardo.
«Non proprio, cioè, ci siamo visti solo due volte, ma è stato gentile con me e mi ha ascoltato, sai, quando ero confuso... Hai capito.»
«Gli hai parlato di me?»
«Ehm, sì. A volte è più facile aprirsi con uno sconosciuto... Ma non gli ho raccontato i fatti tuoi o cose del genere!»
«Okay, scusa se solo l'ho pensato conoscendoti; è stato sciocco da parte mia, giusto?»
«Non sono così stronzo!» cercò di difendersi Andrea a bassa voce.
«Lo so, stai tranquillo, ragazzino. Tu come mai hai pensato che stessimo uscendo insieme?»
«Il tuo sorriso. Sorridevi mentre camminavi vicino a lui, prima di vedere me, ovviamente. E poi so che Mattia è gay.»
«Giusta deduzione, Sherlock... E tu... sei felice?»
«Sì, sono molto felice...» ammise Andrea, mordendosi le labbra. «Ma potresti esserlo anche tu. Sempre che Mattia ti piaccia. Te lo meriti...» aggiunse e si avvicinò piano per dargli un leggero bacio sulla guancia, per poi sparire tra i clienti.
Michele rimase imbambolato per un attimo; Andrea riusciva sempre a scombussolargli la vita. Forse aveva ragione: anche lui meritava di essere felice all'interno di una coppia e sì, Mattia gli piaceva, molto, a dire la verità, più di quanto volesse ammettere.
Erano già un po' che rimuginava sul come potersi approcciare di nuovo al designer di skateboard. Non era bravo in certe cose. L'aveva ignorato per giorni e in quel momento non sapeva da che parte ricominciare. Forse avrebbe dovuto solo chiamarlo. Quella sera però aveva una cena a casa dei suoi genitori, con i fratelli e i loro partners, non poteva rimandare ancora. Sua madre si sarebbe infuriata.
***
Quando arrivò a casa dei suoi per cena non si era ancora deciso a contattare Mattia. Era un codardo. Appena sua sorella Nadia aprì la porta capì che quella non sarebbe stata una serata piacevole. «Sei arrivato, finalmente. Hai una faccia...»
«Grazie, sorellina, sempre una gioia vederti.»
«Spiritoso, lo dico per mamma. Dai che si preoccupa, nonostante tutto.»
Michele si morse un labbro a quel nonostante tutto: sapeva a cosa si stava riferendo sua sorella, ma fece finta di nulla. Era stanco. Quelle cene da famiglia felice poi gli sembravano quanto mai ridicole, ma aveva ripreso a frequentare quella casa per via dell'insistenza di Giulio. Era gay, mica aveva una qualche malattia contagiosa. «Salve a tutti, scusate il ritardo, ma ho trovato un po' di traffico.»
«Vieni, Michele, siediti, stavamo aspettando solo te» disse sua madre facendogli segno di accomodarsi al suo fianco. Di fronte a lui per fortuna c'erano Giulio e Patrizia. Suo padre e il suo futuro cognato, Gabriele, a capotavola. Sua madre fra lui e Nadia. Lui, vicino a suo padre, che quasi non l'aveva salutato. Che bell'atmosfera. Sospirò e sua cognata Patrizia gli fece l'occhiolino, suscitando una smorfia in Nadia, mentre suo fratello Giulio lo sfiorava piano da sotto il tavolo come a volerlo incoraggiare. Per fortuna aveva loro, dalla sua parte.
La cena iniziò in religioso silenzio, dopo la preghiera di ringraziamento. Non si parlava in casa Meriggio, quando si mangiava, un po' come faceva in chiesa, anche se a messa almeno si poteva cantare. Erano quasi alla fine del secondo, quando sua madre, dopo il suo ennesimo sbuffo chiese: «Si può sapere cos'hai, Michele? Non fai altro che sbuffare, stasera, e poi sembri sciupato, triste. Hai due occhiaie tremende...»
«Mamma, fidati, non lo vuoi sapere veramente cos'ho.»
«Adesso ricomincia la tiritera...» sbottò Nadia, posando in malo modo la forchetta sulla tovaglia inamidata.
«Scusami, sorellina, se tutta questa farsa mi dà fastidio. Sono umano pure io, anche se sono gay. E non sarò all'altezza di farti da testimone, ma esisto e sono tuo fratello maggiore, quindi abbi rispetto. Poi la mia sessualità è un problema solo tuo, visto che don Flavio lo sa...» Michele non aveva più resistito a tutta quella ipocrisia, la frustrazione per quella cena e per la situazione in generale lo stava facendo crollare piano piano.
«Ragazzi, non è il momento» disse suo padre cercando di riportare la cena su toni che riteneva più consoni alla loro famiglia.
«Anna, puoi servire il dessert, credo che col secondo abbiamo finito.»
«No, papà, non abbiamo finito» disse d'improvviso Giulio, il volto serio e la mano stretta a quella di Patrizia.
«In questa famiglia dobbiamo smetterla di nascondere i problemi sotto il tappeto. Michele è gay, allora? Rimane sempre nostro fratello, vostro figlio. Per me non cambia nulla e tu, Nadia, la dovresti smettere di essere così intransigente; non credo che arrivi al matrimonio illibata a oltre trent'anni. Scusa, Gabriele, ma detesto tutto questo. Se Michele non può farti da testimone perché omosessuale, io e Patrizia non verremo al matrimonio. Ne abbiamo parlato e siamo d'accordo.» La ragazza annuì e strinse maggiormente la mano del suo ragazzo.
«Nadia?» disse il fidanzato guardando la futura sposa. «Che storia è questa? Sai benissimo che anche Sergio, mio cugino, è gay, e lui sarà il mio testimone. Non rinuncerei mai a lui: è come un fratello per me.»
Nadia si morse un labbro e non rispose, cercando appoggio nei suoi genitori, che però in quel caso decisero di rimanere in silenzio.
«Non mi avevi detto che il vero problema per cui tuo fratello maggiore non poteva più farci da testimone fosse questo.»
«Oh, senti, tesoro, io credo che un gay non possa essere un testimone di nozze, insomma... Ma se tu vuoi tuo cugino...»
«Scusate, dopo questo credo che sia meglio che vada. Mamma, grazie per la cena. Papà. Gabriele, è stato un piacere. Giulio, Patrizia, ci vediamo presto...» e di proposito non salutò Nadia e se ne andò con un senso di nausea.
***
Il rientro a casa fu interminabile, Michele oltre al senso di nausea aveva un forte mal di testa. Sul serio quella volta, non come il sabato precedente, quando l'aveva usato come scusa per saltare il pranzo dai suoi. Appena fu nell'appartamento, Zeus gli venne incontro e lui aveva solo voglia di urlare. Che colpa ne aveva lui se era gay? Non era stata una scelta, per molto tempo aveva represso quella parte di sé, nascondendola ai suoi cari, ma era stato peggio. Persino don Flavio quando glielo aveva confessato gli aveva detto che agli occhi del Signore siamo tutti suoi figli prediletti. E allora perché sua sorella si ostinava a fargliene una colpa? Perché? Michele era stremato da tutto. Prese il telefono e senza pensarci digitò veloce un messaggio a Mattia: - Sono stato uno stronzo, lo so, ma ho bisogno di te. Ti prego vieni qui, Lele -
Aveva usato il nomignolo che gli aveva affibbiato il ragazzo, senza pensarci troppo. Pigiò invio senza rileggerlo, allegando la sua posizione e chiarendo che era casa sua. Era un azzardo, lo sapeva, un colpo di testa che non era da lui. Ma si sentiva soffocare e voleva di nuovo provare la leggerezza che aveva sentito quando fra le dita aveva avuto il ricciolo di Mattia.
Si mise seduto sul tappeto cercando di calmarsi e Zeus gli si sdraiò sopra per farsi coccolare. Lui non lo giudicava mai, anzi gli stava accanto come un buon amico.
Suo fratello Giulio si era dimostrato per l'ennesima volta una persona eccezionale e anche la sua ragazza; la prossima volta l'avrebbe abbracciato o ci avrebbe provato. Accidenti ai Meriggio e alle loro regole. Alcune lacrime di rabbia scesero sul suo viso e rimase lì a terra con il viso immerso nel pelo morbido di Zeus. Chissà se Mattia sarebbe venuto.
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