12. Una preghiera per te
I genitori di Michele erano riusciti a convincerli ad andare a riposare, ma Simone era voluto ritornare a casa sua per prendere un cambio per il fratello.
Michele si era buttato sul letto ancora vestito e aveva permesso a Zeus di dormire con lui. Ne aveva bisogno. Ormai era abituato a dormire col suo ragazzo e pensare di non poterlo fare di nuovo lo atterriva. Michele pensò fosse il caso di pregare un poʼ: ne sentiva decisamente la necessità.
Si inginocchiò ai piedi del letto, come quando era bambino e sua madre gli faceva recitare il Padre Nostro, e appoggiò i gomiti al letto, quindi congiunse le mani e abbassò il viso. Il magone alla gola gli stava facendo venire voglia di piangere, ma era certo che Dio non lo avrebbe abbandonato.
«Signore, ti prego, aiuta Mattia. È un ragazzo dolce e buono, che mi fa sentire meno solo quando la mia fede in Te non basta. Sono sicuro che anche tu lo ami perché siamo tutti tuoi figli, perciò faʼ che non abbia danni cerebrali, è così giovane, e che io possa stargli a fianco nella grazia del tuo amore.»
Era ancora in ginocchio quando sentì Zeus abbaiare e dei rumori dal soggiorno.
«Zeus, cucciolone!» La voce di Andrea risuonava allegra per casa. «Vuoi fare un giretto?»
Michele era incerto se mostrarsi o meno, anche se la porta della camera era aperta. Doveva essere in pessime condizioni, aveva ancora indosso i vestiti del giorno prima e non si era fatto la doccia.
«Ehi...» mormorò il ragazzo di Andrea rivolgendosi a lui e facendo un cenno verso Michele, a cui poi disse: «Perdonaci per lʼintrusione», chinando la testa in segno di scusa.
«Miki, credevo non fossi in casa...»
Alla fine aveva deciso di uscire allo scoperto. Quando aveva visto che oltre Andrea cʼera pure Maurizio si era sorpreso un poʼ.
«Non fa niente, anzi, grazie per essere qui. Avrete sicuramente di meglio da fare...»
Il ragazzo si avvicinò e gli tese la mano, osservandolo con occhi seri. «Io sono Maurizio Sangallo, non ci siamo mai presentati.»
Michele lo scrutò attentamente con aria pensierosa, ma accettò la sua mano. «Piacere, Michele Meriggio.» La testa gli faceva leggermente male per via della nottata insonne e della situazione di Mattia.
«Ehi, stai... stai bene?» gli domandò Maurizio con cautela, avendo percepito la presa un poʼ fiacca e notanto le borse sotto gli occhi. Anche Andrea, attirato dal tono del suo ragazzo, si avvicinò a loro, osservando Michele in silenzio.
Michele sospirò: «Ieri Mattia ha avuto un incidente.» Pronunciare quelle parole gli faceva male. Era come se tutto diventasse ancora più reale.
«Cosa? Che incidente?» chiese concitato Andrea, mentre Maurizio gli poggiava una mano sulla spalla per farlo stare calmo.
«Non sappiamo i dettagli. Era al parco vicino al suo negozio con lo skateboard ed è caduto battendo la testa. È in prognosi riservata. Sono a casa solo per riposare un poʼ... Ho avvisato ieri tuo padre, non te lʼha detto?» Michele sospirò di nuovo e Zeus intrufolò il muso sotto una sua mano. Erano ancora in piedi nel mezzo del soggiorno.
«Vi spiace se mi siedo? Sono molto stanco...»
Maurizio spostò una sedia da sotto il tavolo del soggiorno e gli fece segno di accomodarsi, mentre si rivolgeva allʼaltro: «Dai, prendigli un bicchiere dʼacqua», quindi sedette accanto a lui e dʼimpulso gli appoggiò la mano sulla sua, stringendogliela piano. «Stai tranquillo.»
Quel gesto di conforto disinteressato gli scaldò il cuore. Cercò di ricacciare indietro le lacrime, ma da quando aveva visto Mattia privo di conoscenza era diventato emotivo. Lui, che non piangeva quasi mai. «Scusatemi.»
Andrea gli mise di fronte un bicchiere dʼacqua e gli si sedette vicino, dal lato opposto a Maurizio, accarezzandogli la schiena. Non trovava le parole per consolarlo, sebbene fosse estremamente dispiaciuto per quella notizia, ma per fortuna il suo ragazzo era molto più capace di lui in quel genere di situazione.
«Quali sono le sue condizioni? È in ospedale?»
«Per adesso è in prognosi riservata, anche se sono fiduciosi. Lʼhanno portato al San Paolo...»
«A San Paolo ci lavora mio padre... In che reparto è?»
«Oh, penso sia neurochirurgia. Ieri ero troppo nervoso per capirlo davvero. So solo che siamo entrati dal Pronto Soccorso, poi siamo andati al secondo piano, dove cʼè la terapia intensiva.»
«Sì, sì. Non so che medico se ne stia occupando, ma posso dirgli di dargli unʼocchiata.»
«Lo segue il dottor De Curtolo. Oggi non sono ancora andato e i miei non hanno chiamato... Non penso ci siano ancora novità. Ci hanno detto che lʼavrebbero tenuto in coma farmacologico per quarantotto ore...» La voce di Michele era a tratti spezzata e lui faticava un poʼ a parlare. Bevve lʼacqua e il brontolio del suo stomaco gli ricordò che non aveva toccato cibo dal giorno prima a pranzo, ad eccezione della torta di sua madre.
«Sì, gli dico di dagli unʼocchiata, va bene?» Maurizio prese il cellulare e iniziò a scrivere un messaggio mentre continuava a parlare. «Piuttosto, da quanto non mangi?»
«Ti ringrazio, non sei tenuto a farlo» disse abbassando lo sguardo per evitare la seconda domanda, ma il suo stomaco non era in accordo con lui.
«Che ne dici se Andrea porta a spasso Zeus e intanto io ti preparo qualcosa da mangiare, prima che tu svenga dalla fame?»
«Ma io...» cominciò a protestare Andrea.
«Shh!» gli intimò Maurizio, rivolgendo lo sguardo allʼuomo più grande.
Michele guardò il suo ex cercando una conferma, pensando fosse singolare come Maurizio stava provando ad aiutarlo. «Prima però faccio una doccia veloce. E solo se Andrea ha voglia di uscire con questa peste.» Quindi si alzò dalla sedia e uscì dalla stanza in modo che i due si potessero confrontare sulla questione.
Quando ritornò in salotto dopo una decina di minuti Zeus e Andrea erano spariti. La doccia calda gli aveva calmato un poʼ i nervi e aver indossato una felpa di Mattia con ancora il suo odore gli stava dando conforto, specie dopo aver pregato. Per fortuna il suo ragazzo vestiva due taglie di troppo. Sorrise mestamente a quel pensiero.
«Spero ti possa piacere. Non sono uno chef, ma di solito cucino per mio padre» gli stava dicendo intanto Maurizio, servendogli un piatto di pasta con un brodo molto profumato. «Scusami per aver invaso la cucina, ho preso della roba surgelata dal congelatore, per fare prima.»
«Figurati... E grazie, per tutto. Mi dispiace per questo trambusto, io...»
«Non cʼè bisogno di ringraziare. Capisco perfettamente...» Il ragazzo strinse le labbra, non continuando la frase. «Devi tenerti in forze anche per lui, in modo che quando si sveglierà non si senta troppo male per averti fatto preoccupare. Cioè, non è che non lo saprà, ma così magari si sentirà un poʼ meno in colpa.»
Michele annuì prendendo una cucchiaiata di minestra: «Buono. Sei bravo.» Riprese poi a mangiare in silenzio. Il cellulare era di nuovo carico, ma ancora nessuno lʼaveva cercato, erano ormai le undici passate. Doveva tornare in ospedale.
Maurizio sembrò seguire il filo dei suoi pensieri. «Vuoi un passaggio in ospedale?»
«No, grazie, prendo la macchina; ce la faccio. Potreste venire da Zeus in questi giorni? Non so come si evolveranno le cose con Mattia e la mia famiglia ha già deciso che farà i turni allʼospedale finché non si sveglierà. Altrimenti cerco un dogsitter.»
«No, no, tranquillo. Puoi contare su di noi. Anche su di me, se ti serve qualcosa.»
«Maurizio, io non so che dire...»
Il ragazzo portò una mano ad accarezzare lʼanello che teneva al medio dellʼaltra, rigirandoselo intorno tra le dita, abbassando gli occhi per un attimo soltanto. «Sai, mia madre è stata tanto tempo in ospedale. Anche se non era un incidente, capisco cosa provi. Scusa per Andrea. Non è che sia insensibile: è solo che non sa cosa dire in queste situazioni.»
Michele ridacchiò piano. «Non preoccuparti, lo conosco. Anzi, direi che ha reagito bene, tutto sommato.» Poi lʼuomo si fece serio e guardò il ragazzo dritto negli occhi: «Mi dispiace per tua madre, lei...» Michele non sapeva se chiedere se la donna fosse tornata a casa, oppure fosse in ospedale. Il tono della voce di Maurizio e il suo toccare distrattamente lʼanello della mano gli diceva, però, che la situazione si era conclusa nel modo peggiore.
Il ragazzo colse la sua espressione preoccupata e sorrise per rassicurarlo. «Sono sei anni che non cʼè più.»
Michele deglutì, colpito da quella verità così cruda: era praticamente un bambino quando se nʼera andata. «Maurizio...» Lui aveva un rapporto coi genitori difficile e solo negli ultimi tempi stava migliorando, ma il pensiero di perderli lo atterriva.
«Non preoccuparti. La porto sempre con me. Qui» disse e si indicò il petto allʼaltezza del cuore, «e qui» aggiunse tamburellandosi una tempia.
«Sei un ragazzo forte, e sensibile. Andrea ha fatto la scelta giusta.»
Maurizio strinse le labbra. «Ha lasciato anche me: abbiamo qualcosa in comune, vedi? E poi sono sicuro che anche tu sia una persona buona, altrimenti Andrea non ci terrebbe tanto, a te.»
Lʼuomo sorrise. «Diciamo pure che il suo tempismo è pessimo, eh? Anchʼio tengo a lui, ma amo il mio ragazzo e credo sia lʼora di tornare da lui. Grazie ancora, Maurizio.»
Michele quindi si alzò dal tavolo per mettere il piatto ormai vuoto nel lavello. Quando si voltò il ragazzo gli porse la mano e il suo sguardo era dolce. Per Michele fu semplice protendersi verso di lui e stringerlo in un abbraccio subito ricambiato, che confortò forse più lui che lʼaltro.
«Eccoci» annunciò Andrea, che nel frattempo era tornato insieme a Zeus. Vedendoli separarsi da un abbraccio, così vicini, si rabbuiò un attimo.
«Non fare il pirla, eh?» lo ammonì Maurizio scherzoso, avvicinandosi a lui e stampandogli un bacio su una guancia. «Adesso è meglio se ci leviamo dalle scatole.»
«Sì, scusa. Stai meglio, Miki?»
«Meglio, grazie.»
Maurizio gli fece lʼocchiolino e i due ragazzi si congedarono.
***
Michele era arrivato in ospedale poco dopo mezzogiorno. Aveva chiamato prima Simone per sapere se voleva un passaggio, ma era già ritornato dal fratello. Il ragazzo gli aveva detto che non cʼerano variazioni e stavano aspettando che il medico facesse la sua visita della mattina. Arrivò in terapia intensiva e del fratello del suo ragazzo non cʼera traccia. Mattia era ancora dietro il vetro della terapia intensiva. Lo osservò con attenzione: era sempre pallido e pieno di tubi e tubicini attaccati. Il suo volto sembrava comunque sereno e questo lo consolò appena un poʼ.
«Michele?»
Lʼuomo si voltò di scatto: «Nadia?»
La donna lo raggiunse apparendo dalla saletta dʼattesa. «Mamma e papà sono andati via cinque minuti fa. Erano stanchi. La mamma ti chiamerà più tardi.»
«Va bene. Tu che ci fai qui? Mi avevano detto che non stavi bene.»
Nadia arrossì leggermente sfiorandosi il ventre coperto dal maglione largo che indossava. «Ora stiamo benone...»
Michele sgranò gli occhi seguendo il movimento della mano della sorella. «Tu...»
«Sì, diventerai zio. Anzi lo diventerete entrambi...» disse la donna guardando oltre il vetro dove si trovava il giovane disteso.
Michele cercò di trattenere le lacrime seguendo lo sguardo della sorella e capendo lʼallusione. «Quando nasce?»
«A fine maggio, primi di giugno.»
«Sai già se è maschio o femmina?»
«Non ancora, sono entrata da poco nel terzo mese. Ancora non lo sa nessuno, a parte Gabriele... e ora anche tu e Mat.»
Michele si avvicinò di un passo a lei e la strinse piano a sé. «Questa è una bellissima notizia, sorellina. Non vedo lʼora che arrivi.»
Nadia ridacchiò: «Mattia impazzirà quando lo saprà.» Michele sospirò, mentre la sorella riprese a parlare. «Stamani avevo un controllo e quando sono arrivata mi hanno detto di Mat; mi sono fatta lasciare qui da Gabriele che è tornato al lavoro.»
«Non ti stancherai troppo? Non sarà il caso che torni a casa? Non devi mangiare, cioè... Non so come funzioni...»
«No, no, stai tranquillo, ho fatto una bella colazione e ho un po' di autonomia, quando sarà il momento di rientrare me ne andrò con la metro.»
Michele scosse la testa, «non se ne parla neppure... Ti accompagno io e poi torno qui.»
«Non dire sciocchezze; al massimo prendo un taxi. Tu devi rimanere qui con il tuo ragazzo. Sono sicura che si sveglierà.
«Ciao, Lele.»
«Ehi, Simone.»
Il fratello del suo ragazzo era appena arrivato nel piccolo corridoio davanti alla terapia intensiva. «Forse è meglio se andiamo nella sala di attesa. A breve dovrebbe arrivare il dottor De Curtolo. E ci darà notizie. Le infermiere mi hanno detto che ha passato una notte tranquilla e che non ci sono stati peggioramenti, e già è tanto...»
Michele annuì, in cuor suo sperava di trovarlo sveglio.
«Come stai, Michele? Sei riuscito a dormire?»
«Sto, Simone, per come posso...» disse stringendo un braccio allʼaltro. I due uomini non si conoscevano molto bene, ma in quel momento fra di loro cʼera unʼempatia difficile da spiegare.
«Signor De Pascalis?» la voce del dottore risuonò nella stanza. «Ah, siete qui? Bene. Volevo avvisarvi che stiamo procedendo con il risveglio di Mattia. La Tac di stamani ha evidenziato il riassorbimento dellʼedema e quindi possiamo spostare il paziente in terapia sub-intensiva, al piano superiore.»
Michele aveva trattenuto il fiato. «Vuol dire che è fuori pericolo?»
«Direi di sì, anche se finché non si sveglia è difficile da confermare lʼentità dei danni al cervello, se ci sono stati.»
Il cuore di Michele batteva furioso, da una parte la felicità perchè Mattia era fuori pericolo e dallʼaltra la paura che avesse subito delle lesioni irreparabili.
***
Come aveva detto il dottore avevano spostato Mattia al piano superiore in una stanza singola, grazie allʼintervento telefonico di Gabriele che era assicurato con quellʼospedale e aveva chiesto per il compagno di suo cognato tale stanza. Nadia era tornata a casa con un taxi e aveva detto loro che avrebbe informato lei il resto della famiglia Meriggio.
Michele e Simone non si erano mossi dal capezzale del minore, facendo a turno. In quel momento era Michele seduto vicino al letto del ragazzo. Gli teneva la mano e con il pollice accarezzava piano le nocche sbucciate nella caduta.
«Mi manchi, piccolo» sussurrò portandosi alla bocca il dorso della mano dellʼaltro per baciarlo piano. Una lacrima scese prepotente, ancora Mattia non aveva dato segni di risveglio. Chiuse gli occhi e riappoggiando la mano sul letto si avvicinò con la testa al materasso cercando un contatto col suo ragazzo. Stava quasi per assopirsi quando sentì qualcosa che gli sfiorava i capelli. Alzò la testa quel tanto che bastava per vedere gli occhi nocciola di Mattia che lo osservavano acquosi. La sua mano destra appoggiata alla sua testa lo accarezzava piano.
«Amore...»
Mattia non parlò, ma accennò un sorriso debole.
«Chiamo un dottore, resta sveglio, piccolo. Resta con me!»
Michele buttò a terra la sedia per correre dalle infermiere; cʼera il bottone per chiamarle, ma lui neanche lʼaveva calcolato, tanta era lʼemozione di averlo visto con gli occhi aperti.
«Michele, ma che succede. Sta male?» chiese Simone ricomparso con due caffè.
«Si è svegliato, chiama il dottore. Presto!»
Simone rovesciò quasi i caffè a terra, per poi gettarli in un cestino a caso prima di correre verso la saletta dei medici e infermieri. Michele intanto era tornato indietro alla camera del fidanzato. La porta era socchiusa. Infilò la testa dentro e vide Mattia con gli occhi chiusi. Il cuore gli si spezzò, che si fosse immaginato tutto?
«Amore?»
Il ragazzo aprì di nuovo un occhio. «Sono stanco...» sussurrò in modo quasi impercettibile.
«Dopo ti riposi, piccolo, ora stai sveglio, fallo per me, ti devono visitare» disse Michele avvicinandosi a lui e prendendo una sua mano per infondergli coraggio. Era sveglio, sarebbe andata bene, grazie a Dio, era sveglio.
Mattia annuì sospirando. Gli faceva male dappertutto, aveva la gola secca e parlare gli causava fastidio.
Il dottor De Curtolo entrò in stanza seguito da un collega e due infermieri. «Buon pomeriggio, Mattia. Come andiamo?»
Il ragazzo lo guardava spaesato. «Sono stanco...» ripeté al medico.
«Immagino; facciamo un controllo di routine e poi domani faremo esami più approfonditi. Io sono il dottor De Curtolo, primario di terapia intensiva, e lui è il dottor Sangallo, primario di terapia sub-intensiva del reparto di neurochirurgia. Ti seguirà lui dʼora in poi.»
Michele che non si era spostato dal fianco del suo ragazzo, osservò lʼuomo. Aveva poco più della sua età e probabilmente era il padre di Maurizio. Il cognome era lo stesso.
«Adesso dobbiamo visitare, Mattia, potete uscire per cortesia?» chiese De Curtolo rivolto a Michele e Simone, che era entrato per ultimo con gli infermieri.
«Certo» rispose Michele allentando la presa dal ragazzo.
«Non te ne andare....» la voce di Mattia tremava.
«Amore, stai tranquillo, ti aspetto qui dietro la porta, non vado da nessuna parte. Promesso» disse dandogli una carezza su una guancia e guardandolo con amore.
Il più piccolo annuì e si lasciò controllare mentre gli altri due uscivano.
«È molto agitato...» constatò il fratello di Mattia.
«Sì, ed è stanco. Credo sia anche preoccupato delle nostre reazioni a tutto questo.»
Simone stava per rispondere quando i due medici uscirono dalla camera.
«Sta bene, anche se domani faremo delle analisi più mirate, non stancatelo per adesso.»
Entrambi annuirono e i due medici ripresero il loro giro di visite nel reparto.
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