11. Incidente
Mancava quasi un mese a Natale. Milano non era ancora stata imbiancata dalla prima neve della stagione. Michele non vedeva l'ora che nevicasse sul serio per portare Mattia a sciare.
«Mamma, dai, è inutile che insisti. Non faremo un Natale tutti insieme!» Michele stava girando per i reparti del supermercato cercando di fare la spesa. Erano diversi minuti che sua madre lo stava tormentando con il pranzo del venticinque dicembre. Voleva organizzare una gigantesca riunione di famiglia. Loro più i genitori di Gabriele e quelli di Patrizia, e Mattia e Simone. L'uomo non ci pensava nemmeno. In quei mesi la loro famiglia si era sì unita, ma gli sembrava eccessivo tutto quello.
«Mamma, scusa, ho una chiamata in arrivo. È Mat. Sì, te lo saluto, ciao, ciao...»
Chiuse in fretta per accettare l'altra chiamata: «Amore!»
«Salve, qui è il dottor De Curtolo, pronto Soccorso Ospedale San Paolo, lei conosce Mattia De Pascalis?»
Michele si dovette reggere al carrello, le gambe gli stavano cedendo. Si appoggiò perfino al frigo dei surgelati. Sentiva freddo.
«Pronto? Mi ha sentito? Sto cercando un conoscente del Signor De Pascalis, il suo contatto di emergenza, Simone De Pascalis, è irraggiungibile. Lei è il secondo che è indicato...»
«Sì, sì. Sono... sono il compagno.»
«Perfetto.»
«Cos'è successo a Mattia?»
«Purtroppo, Signor?»
«Meriggio, Michele Meriggio. Mi scusi, ma Mattia? »
«Ha avuto un incidente con lo skateboard, ha battuto la testa in un cordolo di cemento. È privo di conoscenza. Abbiamo bisogno che qualcuno venga al Pronto Soccorso.»
«È in pericolo di vita?»
«Per adesso la prognosi è riservata, finché non si sveglia non possiamo saperlo. Abbiamo bisogno di un parente.»
«Comprendo. Cercherò il fratello e arriviamo il prima possibile. E grazie.»
Michele riattaccò la chiamata e sentì una vertigine più forte. Era tutto assurdo. L'aveva salutato poco prima ed era al lavoro. Che ci faceva su uno skate? Lui li disegnava. Strinse il manico del carrello cercando di dirigersi alle casse. Sentiva il fiato corto per la paura che gli stava attanagliando il cuore. Un incidente.
«Signore, si sente bene?» chiese la ragazza alla cassa.
«No, però non si preoccupi. Vado a casa e...» Gli veniva da piangere. Pagò le poche cose che aveva messo nel carrello prima della telefonata del dottore. Come un automa si diresse alla sua macchina. Una volta dentro si rese conto di non poter guidare. Gli tremavano le mani. Non poteva cedere in quel momento. Era troppo presto. Michele prese il cellulare e senza riflettere compose il numero del fratello minore: «Giulio?»
«Ehi, fratellone, sono ancora al lavoro. È un brutto momento...»
«Giulio...» e scoppiò in lacrime. Non gli succedeva mai.
«Michele, ma che cavolo? Che succede? Stai male?»
«Mattia, Mattia ha avuto un incidente. È al Pronto Soccorso e non riescono a rintracciare Simone. Io sono nel parcheggio del Supermercato vicino al Decathlon. Io...»
«Non ti muovere. Ti mando Patrizia. È in zona. Io cerco di contattare Simone. In che ospedale dobbiamo andare? »
«Ospedale San Paolo.»
«Non usare la macchina, okay?»
«Non sono in grado, Giulio. Se...»
«Non dirlo!»
«Va bene.»
«Ti richiamo non appena ho recuperato Simone. Stai tranquillo, io ci sono. Ti voglio bene.»
«Grazie, Giulio, grazie.»
Riattaccò la chiamata e cercò di concentrarsi sul proprio respiro. Provò anche a chiamare Simone, ma il cellulare era staccato e non aveva il numero del suo ufficio. Come avrebbe fatto Giulio a trovarlo? Passarono minuti interminabili in cui la sua testa gli mostrava scenari apocalittici, finché sentì bussare al vetro della macchina. Patrizia. Aveva fatto presto.
Michele aprì la portiera e scese dalla vettura per far guidare la sua golf alla cognata, che per prima cosa lo abbracciò. Michele le fu grato di quel contatto: ne aveva bisogno.
«Grazie!»
«Non dirlo nemmeno per scherzo. Ora andiamo, abbiamo un riccio da recuperare.»
«È in coma, me lo sento.»
Patrizia mise in moto la vettura e si diresse fuori dal parcheggio. «Non essere così catastrofico.»
«Prognosi riservata, equivale a coma. Non è cosciente.»
«Michele, qualsiasi cosa sia, la supereremo insieme. Okay? Non ho mai visto due persone che si amano come voi due» disse la donna appoggiando una mano sul ginocchio del cognato.
«Sono felice che tu stia con Giulio, sai? Ho pensato da subito che tu fossi una in gamba.»
«Non mi adulare.»
«Giulio ti ha chiamato?»
«Sì, è uscito per andare da Simone in ufficio. Sai, loro ogni tanto si vedono per giocare a calcetto o per una birra. Vanno molto d'accordo...»
Michele annuì distratto, guardando fuori dal finestrino della macchina il traffico di Milano. Era ormai sera. Le luci della città iniziavano a rischiarare le strade.
«Vuoi parlarne?»
«E di cosa? Ancora non riesco a credere sia vero. Stava andando tutto bene...»
«Michele...»
«Se svolti di qua, a destra, forse facciamo prima.»
«Okay.»
E poi non parlarono più. Gli occhi rossi del cognato e la sua voce tremula fecero comprendere a Patrizia che non era quello il momento delle rassicurazioni a vuoto. Dovevano arrivare in ospedale e parlare con i medici, anche se la ragazza dubitava che avrebbero avuto notizie dal momento che non erano parenti di Mattia. «Eccoci» disse dopo dieci minuti di silenzio. «Io cerco un parcheggio, tu intanto vai dentro. E Michele, coraggio, eh?»
L'uomo annuì poco convinto davanti all'insegna del Pronto Soccorso ma scese ugualmente di macchina e con passo deciso si diresse all'accettazione.
«Sono Michele Meriggio, il dottor De Curtolo mi ha chiamato una mezz'ora fa per Mattia De Pascalis. È ricoverato qui, credo... Il fratello sta arrivando» disse nel modo più coerente che riuscì a tirar fuori in quel subbuglio che erano i suoi pensieri. La voce malferma, ma il piglio deciso.
«Aspetti che verifico. Il dottore sta facendo le visite di controllo. Attenda un attimo lì in sala d'attesa.»
Michele annuì e si voltò verso la zona indicata dalla donna. Compiva ogni gesto come un automa, come se non fosse realmente lì. Era ancora in piedi ad attendere quando Patrizia entrò al Pronto Soccorso.
«Novità?»
«Non ancora, il dottore sta visitando... Mi hanno detto di aspettare qui.»
«Okay, vuoi un caffè? Io ne avrei bisogno. Giulio sta arrivando con Simone.»
Patrizia non disse altro, però si intuiva dal tono della sua voce che era preoccupata. I due fratelli erano inseparabili.
«Signor Meriggio?»
«Sì, vengo subito. Il fratello di Mattia sta arrivando.»
«Sì, l'ha già detto, ma lei è uno dei contatti di emergenza e il signor De Pascalis è un donatore di organi, siamo autorizzati dalla sua liberatoria a parlare con lei, non si preoccupi.»
Michele alla parola donatore vide nero, perdendo l'equilibrio, e fu solo la prontezza di riflessi di Patrizia a evitare che finisse a terra.
«Mi scusi, ma ci sta dicendo che mio cognato è morto? E che dovete procedere con...»
«No, no. Signorina. Stavo spiegando il protocollo al signore, ma credo sia molto provato. Di là c'è il dottore che vi attende. Vada anche lei... percorrete tutto il corridoio, poi seconda porta a destra.»
Patrizia tirò un sospiro di sollievo. «Dai, Michele, andiamo.»
Lui la seguì un po' frastornato. Era tutto troppo. La cognata però continuava tenerlo stretto e in quel momento era come una scialuppa di salvataggio in un mare in tempesta.
«Vedrai che sta bene.»
Michele annuì poco convinto. Gli sembrava un incubo e ci era piombato così, senza preavviso. Per un attimo pensò a come dovesse sentirsi Simone. Lui aveva ricevuto già una telefonata simile per i genitori. Chissà se erano morti sul colpo oppure era dovuto andare all'ospedale.
«Ci siamo» disse Patrizia bussando alla porta che le era stata indicata.
«Avanti!»
«Buonasera, dottor De Curtolo? Siamo qui per Mattia De Pascalis. Io sono Patrizia Ghiosi e lui Michele Meriggio, il compagno di Mattia e suo contatto di emergenza.»
«Benvenuti. Accomodatevi pure. La situazione è seria, ma siamo fiduciosi. Da quando l'ho chiamata, signor Meriggio, sembra che Mattia stia reagendo bene alle terapie. Nella caduta si è procurato un edema alla base del cranio che ha necessitato il coma indotto per evitare troppa pressione intracranica. L'edema si è già ridotto. Dobbiamo attendere però le prossime quarantotto ore, poi lo sveglieremo e speriamo per il meglio.»
Patrizia annuì mentre Michele rimase in silenzio.
«Possiamo vederlo?» chiese allora la ragazza vedendo il cognato in difficoltà.
«Uno per volta, e da dietro il vetro, essendo una terapia intensiva. Però se qualcuno volesse rimanere per la notte abbiamo una saletta apposita per i parenti.»
«Grazie, dottore.»
«Di niente, ci vediamo domani per ulteriori aggiornamenti.»
Stavano per andarsene quando bussarono di nuovo alla porta ed entrarono Simone e Giulio. Entrambi stravolti. «Buonasera. Sono il fratello di Mattia.»
«Salve, signor De Pascalis,» salutò il medico prendendo la mano che l'altro gli porgeva, «come ho detto al signor Meriggio la situazione è seria, ma spero si risolva per il meglio. Suo fratello è giovane e nella sfortuna è stato soccorso immediatamente.»
«Grazie, dottore. Possiamo vederlo?»
«Come ho riferito ai signori, sì, ma uno per volta. Adesso scusatemi che devo chiudere il mio turno. Ci aggiorniamo.» E così dicendo li congedò tutti facendoli uscire dal suo studio.
***
Erano passate ore da quando era arrivata la telefonata dal Pronto Soccorso. Michele era seduto in una saletta attigua alla terapia intensiva. Aveva dormito a tratti poiché alla fine era rimasto anche Simone e non potevano stare entrambi da Mattia. Per fortuna Giulio aveva pensato ad avvertire il suo capo e poi lui aveva inviato un sms ad Andrea per chiedergli se poteva prendersi cura di Zeus in quei gironi. Gli dispiaceva approfittarsi del ragazzo, soprattutto adesso che le loro interazioni erano ridotte al minimo. Ma non poteva chiederlo a suo fratello. Già lui e Patrizia si erano offerti di fare i turni con loro due in ospedale.
Il momento peggiore era stato quando lo aveva visto per la prima volta steso in quel letto, attraverso il vetro. Appariva pallido e aveva la testa fasciata, e diversi macchinari attaccati al corpo. I riccioli quasi spariti tra le bende. Ripensandoci gli si stringeva il cuore.
Il cellulare vibrò all'improvviso, quasi scarico. Non aveva con sé il caricabatterie. Doveva mandare subito un sms a Giulio per chiedergli se gliene portava uno. Il numero era nascosto. Chi poteva cercarlo alle cinque di mattina?
«Pronto?» disse con voce impastata dal sonno.
«Michele, sono la mamma.»
«Mamma?»
«Amore, non riesco a trovarti, dove sei?»
«In che senso mamma? Come dove sono?»
«Siamo in ospedale, io e papà. Non riuscivamo a dormire da quando Giulio ci ha detto di Mattia, siamo tanto in pensiero. Dove sei?»
«Terapia intensiva Ospedale San Paolo, secondo piano, saletta n. 3.»
«Arriviamo.»
L'uomo chiuse la chiamata e mandò un messaggio al fratello per chiedere del caricabatterie e ringraziarlo. Appoggiò la testa allo schienale della poltroncina e sentì le lacrime scendere piano. La sua famiglia era lì; erano venuti per lui, per Mattia.
«Amore» la voce di sua madre risuonò fra le freddi pareti come una calda melodia.
«Mamma» soffiò piano Michele. Gli occhi quasi chiusi per le lacrime e la stanchezza di quelle ore. La donna si avvicinò al figlio e senza dire niente lo abbracciò. Michele non si ricordava di un abbraccio così intenso e caloroso di sua madre da un sacco di tempo.
«Papà sta arrivando. Ho portato del caffè e pure un po' di torta. Si può, vero?»
«Non penso, mamma» ridacchiò da dietro una sua spalla.
«Michele.» Anche il padre era entrato nella saletta e aveva lo sguardo serio. «Come sta?»
«Per adesso è ancora in coma farmacologico, il dottore ci ha detto che l'edema si sta riducendo, ma finché non si sveglia non possiamo sapere se ci sono danni cerebrali.»
Sua madre si era staccata per prendere il caffè e la torta dal contenitore che aveva nella borsa.
«Sei solo?»
«No, c'è anche Simone, anzi adesso gli do il cambio. Anche se non possiamo far molto se non restare qui ad aspettare...»
«Perché non andate a casa a riposare, invece? Rimaniamo io e mamma: lei fa la maglia e io veglio sul tuo ragazzo.»
A quelle parole Michele emise un singhiozzo: come poteva suo padre dare un'approvazione del genere al suo rapporto, in quel momento, poi? Se non l'aveva ucciso l'incidente di Mattia, ci avrebbe pensato lui di sicuro.
«Papà, io...»
«Davvero, figliolo, sei uno straccio e pure Simone sarà nelle stesse condizioni. Noi abbiamo una certa età e non dormiamo molto, rimaniamo qui e vi chiamiamo al minimo cambiamento. Un paio d'ore di sonno ti faranno bene. Magari andate a casa tua e poi tornate insieme, eh?»
«Grazie, non so che dire...»
«Non devi dire nulla. Solo avvisate le infermiere che siamo qui per Mattia, credo si possa fare. Ah, tua sorella non è venuta perché non sa nulla. Ieri non è stata bene, è tornata a casa dal lavoro con un po' di febbre e abbiamo deciso con Giulio di avvisarla domani, visto che sicuramente stava dormendo quando lui ci ha chiamato...»
«Non importa, non doveva disturbare nemmeno voi, me la sarei cavata.»
«Non ne dubito,» disse convinto suo padre, «ma siamo la tua famiglia ed è giusto così.»
Michele annuì; si alzò d'istinto e abbracciò il padre in un modo che non aveva mai fatto in vita sua. Nonostante fosse un momento davvero brutto, quella visita per lui era come la luce in fondo a un tunnel. Adesso erano una famiglia, lo erano sul serio. E di nuovo grazie a Mattia.
ANGOLO AUTRICE
Si ricorda che non è possibile sparare all'autrice! E abbiate fede, tutto si sistema... spero!
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